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Ragazzi di Vita - Pasolini, I. IL FERROBEDO (1)

I. IL FERROBEDO (1)

E sotto er monumento de Mazzini...

Canzone popolare

Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s'era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare. Con una compagnia di maschi uguali a lui, tutti vestiti di bianco, scese giù alla chiesa della Divina Provvidenza, dove alle nove Don Pizzuto gli fece la comunione e alle undici il Vescovo lo cresimò. Il Riccetto però aveva una gran prescia di tagliare: da Monteverde giù alla stazione di Trastevere non si sentiva che un solo continuo rumore di macchine. Si sentivano i clacson e i motori che sprangavano su per le salite e le curve, empiendo la periferia già bruciata dal sole della prima mattina con un rombo assordante. Appena finito il sermoncino del Vescovo, Don Pizzuto e due tre chierici giovani portarono i ragazzi nel cortile del ricreatorio per fare le fotografie: il Vescovo camminava fra loro benedicendo i familiari dei ragazzi che s'inginocchiavano al suo passaggio. Il Riccetto si sentiva rodere, lì in mezzo, e si decise a piantare tutti: uscì per la chiesa vuota, ma sulla porta incontrò il compare che gli disse: - Aòh, addò vai? - A casa vado, - fece il Riccetto, - tengo fame. - Vie' a casa mia, no, a fijo de na mignotta, - gli gridò dietro il compare, - che ce sta er pranzo -. Ma il Riccetto non lo filò per niente e corse via sull'asfalto che bolliva al sole. Tutta Roma era un solo rombo: solo lì su in alto, c'era silenzio, ma era carico come una mina. Il Riccetto s'andò a cambiare.

Da Monteverde Vecchio ai Granatieri la strada è corta: basta passare il Prato, e tagliare tra le palazzine in costruzione intorno al viale dei Quattro Venti: valanghe d'immondezza, case non ancora finite e già in rovina, grandi sterri fangosi, scarpate piene di zozzeria. Via Abate Ugone era a due passi. La folla giù dalle stradine quiete e asfaltate di Monteverde Vecchio, scendeva tutta in direzione dei Grattacieli: già si vedevano anche i camion, colonne senza fine, miste a camionette, motociclette, autoblinde. Il Riccetto s'imbarcò tra la folla che si buttava verso i magazzini.

Il Ferrobedò lì sotto era come un immenso cortile, una prateria recintata, infossata in una valletta, della grandezza di una piazza o d'un mercato di bestiame: lungo il recinto rettangolare s'aprivano delle porte: da una parte erano collocate delle casette regolari di legno, dall'altra i magazzini. Il Riccetto col branco di gente attraversò il Ferrobedò quant'era lungo, in mezzo alla folla urlante, e giunse davanti a una delle casette. Ma lì c'erano quattro Tedeschi che non lasciavano passare. Accosto la porta c'era un tavolino rovesciato: il Riccetto se l'incollò e corse verso l'uscita. Appena fuori incontrò un giovanotto che gli disse: - Che stai a fà? - Me lo porto a casa, me lo porto, - rispose il Riccetto. - Vie' con me, a fesso, che s'annamo a prenne la robba più mejo.

- Mo vengo, - disse il Riccetto. Buttò il tavolino e un altro che passava di lì se lo prese.

Col giovanotto rientrò nel Ferrobedò e si spinse nei magazzini: lì presero un sacco di canapetti. Poi il giovane disse: - Vie' qqua a incollà li chiodi -. Così tra i canapetti, i chiodi e altre cose, il Riccetto si fece cinque viaggi di andata e ritorno a Donna Olimpia. Il sole spaccava i sassi, nel pieno del dopopranzo, ma il Ferrobedò continuava a esser pieno di gente che faceva a gara coi camion lanciati giù per Trastevere, Porta Portese, il Mattatoio, San Paolo, a rintronare l'aria infuocata. Al ritorno dal quinto viaggio il Riccetto e il giovanotto videro presso al recinto, tra due casette, un cavallo col carro. S'accostarono per vedere se si poteva tentare il colpaccio. Nel frattempo il Riccetto aveva scoperto in una casetta un deposito di armi e s'era messo un mitra a tracolla e due pistole alla cintola. Così armato fino al denti montò in groppa al cavallo.

Ma venne un Tedesco e li cacciò via.

Mentre che il Riccetto viaggiava coi sacchi di canapetti su e giù da Donna Olimpia ai magazzini, Marcello stava cogli altri maschi nel caseggiato al Buon Pastore. La vasca formicolava di ragazzi che si facevano il bagno schiamazzando. Sui prati sporchi tutt'intorno altri giocavano con una palla.

Agnolo chiese: - Addò sta er Riccetto?

- E ito a fasse 'a comunione, è ito, - gridò Marcello.

- L'animaccia sua! - disse Agnolo.

- Mo starà a pranzo dar compare suo, - aggiunse Marcello.

Lì su alla vasca del Buon Pastore non si sapeva ancora niente. Il sole batteva in silenzio sulla Madonna del Riposo, Casaletto e, dietro, Primavalle. Quando tornarono dal bagno passarono per il Prato, dove c'era un campo tedesco.

Essi si misero a osservare, ma passò di lì una motocicletta con la carrozzella, e il Tedesco sulla carrozzella urlò ai maschi: - Rausch, zona infetta -. Lì presso ci stava l'Ospedale Militare. - E a noi che ce frega? -gridò Marcello: la motocicletta intanto aveva rallentato, il Tedesco saltò giù dalla carrozzella e diede a Marcello una pizza che lo fece rivoltare dall'altra parte. Con la bocca tutta gonfia Marcello si voltò come una serpe e sbroccolando con i compagni giù per la scarpata, gli fece una pernacchia: nel fugge che fecero, ridendo e urlando, arrivarono diretti fino davanti al Casermone. Lì incontrarono degli altri compagni. - E che state a ffà? -dissero questi, tutti sporchi e sciammannati.

- Perché? - chiese Agnolo, - che c'è da fà? - Annate ar Ferrobedò, si volete vede quarcosa -. Quelli c'andarono di fretta e appena arrivati si diressero subito in mezzo alla caciara verso l'offficina meccanica. -Smontamo er motore, - gridò Agnolo. Marcello invece uscì dall'officina meccanica e si trovò solo in mezzo alla baraonda, davanti alla buca del catrame. Stava per caderci dentro, e affogarci come un indiano nelle sabbie mobili, quando fu fermato da uno strillo: - A Marcè, bada, a Marcè! - Era quel fijo de na mignotta del Riccetto con degli altri amici. Così andò in giro con loro. Entrarono in un magazzino e fecero man bassa di barattoli di grasso, di cinghie di torni e di ferraccio. Marcello ne portò a casa mezzo quintale e gettò la merce in un cortiletto, dove la madre non la potesse vedere subito. Era dal mattino che non rincasava: la madre lo menò. -Addò sei ito, disgrazziato, - gli gridava crocchiandolo. - So' ito a famme er bagno, so' ito, - diceva Marcello ch'era un po' storcinato, e magro come un grillo, cercando di parare i colpi. Poi venne il fratello più grosso e vide nel cortiletto il deposito. - Fregnone, - gli gridò, - sta a rubbà sta mercanzia, sto fijo de na mignotta -. Così Marcello ridiscese al Ferrobedò col fratello, e questa volta portarono via da un vagone copertoni di automobile. Scendeva già la sera e il sole era più caldo che mai: già il Ferrobedò era più affollato d'una fiera, non ci si poteva più muovere. Ogni tanto qualcuno gridava: - Fuggi, fuggi, ce stanno li Tedeschi, - per fare scappare gli altri e rubare tutto da solo.

Il giorno dopo il Riccetto e Marcello, che c'avevano preso gusto, scesero insieme alla Caciara, i Mercati Generali, che erano chiusi. Tutt'intorno girava una gran massa di gente e dei Tedeschi, che camminavano avanti e indietro sparando in aria. Ma più che i Tedeschi a impedire l'entrata e a rompere il c... erano gli Apai. La folla però cresceva sempre più, premeva contro i cancelli, baccajava, urlava, diceva i morti. Cominciò l'attacco e anche quei fetenti degli Italiani lasciarono perdere. Le strade intorno ai Mercati erano nere di gente, i Mercati vuoti come un cimitero, sotto un sole che li sgretolava: appena aperti i cancelli, si riempirono in un momento.

Ai Mercati Generali non c'era niente, manco un torso di cavolo. La folla si mise a girare pei magazzini, sotto le tettoie, negli spacci, ché non si voleva rassegnare a restare a mani vuote. Finalmente un gruppo di giovanotti scoprì una cantina che pareva piena: dalle inferriate si vedevano dei mucchi di copertoni e di tubolari, tele incerate, teloni, e, nelle scansie, delle forme di formaggio. La voce si sparse subito: cinque o seicento persone si scagliarono dietro il gruppo dei primi. La porta fu sfondata, e tutti si buttarono dentro, schiacciandosi. Il Riccetto e Marcello erano in mezzo. Vennero ingoiati per il risucchio della folla, quasi senza toccar terra coi piedi, attraverso la porta. Si scendeva giù per una scala a chiocciola: la folla di dietro spingeva, e delle donne urlavano mezze soffocate. La scaletta a chiocciola straboccava di gente. Una ringhiera di ferro, sottile, cedette, si spaccò, e una donna cadde giù urlando e sbattè la testa in fondo contro uno scalino. Quelli rimasti fuori continuavano a spingere. - E morta, - gridò un uomo in fondo alla cantina. - E morta, - si misero a strillare spaventate delle donne; non era possibile né entrare né uscire Marcello continuava a scendere gli scalini. In fondo fece un salto scavalcando il cadavere, si precipitò dentro la cantina e riempì di copertoni la sporta insieme agli altri giovani che prendevano tutto quello che potevano. Il Riccetto era scomparso, forse era riuscito fuori. La folla si era dispersa. Marcello tornò a scavalcare la donna morta e corse verso casa.

Al Ponte Bianco c'era la milizia. Lo fermarono e gli presero la roba. Ma lui non si allontanò da lì e si mise in disparte avvilito con la sporta vuota. Dalla Caciara poco dopo salì al Ponte Bianco pure il Riccetto. - Mbè? -gli fece. - M'ero preso li copertoni e mo me l'hanno fregati, - rispose Marcello con la faccia nera. - Ma che stanno a fà sti cojoni, ma perché nun se fanno li c... sua! - gridò il Riccetto.

Dietro il Ponte Bianco non c'erano case ma tutta una immensa area da costruzione, in fondo alla quale, attorno al solco del viale dei Quattro Venti, profondo come un torrente, si stendeva calcinante Monteverde. Il Riccetto e Marcello si sedettero sotto il sole su un prato lì presso, nero e spelato, a guardare gli Apai che fregavano la gente. Dopo un po' però giunse al Ponte il gruppo dei giovanotti coi sacchi pieni di formaggi. Gli Apai fecero per fermarli, ma quelli li presero di petto, cominciarono a litigare di brutto con certe facce che gli Apai pensarono ch'era meglio lasciar perdere: lasciarono ai giovanotti la roba loro, e restituirono pure a Marcello e agli altri che s'erano accostati di brutto quello che gli avevano fregato. Saltando dalla soddisfazione e facendo i calcoli di quello che c'avrebbero guadagnato il Riccetto e Marcello presero la strada di Donna Olimpia, e pure tutti gli altri si dispersero. Al Ponte Bianco, con gli Apai, restò solo l'odore della zozzeria riscaldata dal sole.

Sullo spiazzo di terra battuta sotto il Monte di Splendore, una gobba di due o tre metri che toglieva alla vista Monteverde e il Ferrobedò, e, all'orizzonte, la linea del mare, quando i ragazzini s'erano ormai stufati di giocare, un sabato, alcuni giovanotti più anziani si misero sotto la porta col pallone tra i piedi. Formarono un cerchio e cominciarono a fare del palleggio, colpendo la palla col collo del piede, in modo da farla scorrere raso terra, senza effetto, con dei bei colpetti secchi. Dopo un po' erano tutti bagnati di sudore, ma non si volevano togliere le giacche della festa o i maglioni di lana azzurra con le strisce nere o gialle, a causa dell'aria tutta casuale e scherzosa con cui s'erano messi a giocare. Ma siccome i ragazzini che stavano lì intorno avrebbero forse potuto pensare che facevano i fanatici a giocare sotto quel sole, così vestiti, ridevano e si sfottevano, in modo però da togliere qualsiasi voglia di scherzare agli altri.

Tra i passaggi e gli stop si facevano due chiacchiere. - Ammazzete quanto sei moscio oggi, Alvà! - gridò un moro, coi capelli infracicati di brillantina. - 'E donne, - disse poi, facendo una rovesciata. - Vaffan..., -gli rispose Alvaro, con la sua faccia piena d'ossa, che pareva tutta ammaccata, e un capoccione che se un pidocchio ci avesse voluto fare un giro intorno sarebbe morto di vecchiaia. Cercò di fare una finezza colpendo il pallone di tacco, ma fece un liscio, e il pallone rotolò lontano verso il Riccetto e gli altri che se ne stavano sbragati sull'erba zozza.

Agnolo il roscetto si alzò e senza fretta rilanciò il pallone verso i giovanotti. - Mica se vole sprecà, sa', - gridò Rocco riferendosi a Alvaro,

- stasera ce stanno da incollà li quintali.

- Vanno a tubbature, - disse Agnolo agli altri. In quel momento suonarono al Ferrobedò e alle altre fabbriche lontane, giù verso Testaccio, il Porto, San Paolo, le sirene delle tre. Il Riccetto e Marcello si alzarono e senza dir niente a nessuno se ne andarono giù per via Ozanam, e locchi locchi, sotto il solleone, se la fecero a fette fino al Ponte Bianco, per attaccarsi al 13 o al 28. Avevano cominciato col Ferrobedò, avevano continuato con gli Americani, e adesso andavano a cicche. E vero che il Riccetto per un po' di tempo aveva lavorato: era stato preso a fare il pischello al servizio delle camionette da uno di Monteverde Nuovo. Ma poi aveva rubato al padrone mezzo sacco, e quello l'aveva mandato a spasso. Così passavano i pomeriggi a far niente, a Donna Olimpia, sul Monte di Casadio, con gli altri ragazzi che giocavano nella piccola gobba ingiallita al sole, e più tardi con le donne che venivano a distenderci i panni sull'erba bruciata. Oppure andavano a giocare al pallone lì sullo spiazzo tra i Grattacieli e il Monte di Splendore, tra centinaia di maschi che giocavano sui cortiletti invasi dal sole, sui prati secchi, per via Ozanam o via Donna Olimpia, davanti alle scuole elementari Franceschi piene di sfollati e di sfrattati.

Ponte Garibaldi, quando il Riccetto e Marcello c'arrivarono zompando giù dai respingenti, era tutto vuoto sotto il sole africano: però sotto i suoi piloni, il Ciriola formicolava di bagnanti. Il Riccetto e Marcello, soli in tutto il ponte, con la scucchia sulla spalletta di ferro arroventato, si stettero per un pezzo a guardare i fiumaroli che prendevano il sole sul galleggiante, o giocavano a carte, o facevano il correntino. Poi dopo aver litigato un po' sull'itinerario, si riattaccarono al vecchio tram mezzo vuoto che scricchiolando e raschiando andava verso San Paolo. Alla stazione di Ostia si fermarono camminando a pecorone tra i tavolini dei bar, presso il giornalaio e le bancarelle o tra le passarelle della biglietteria a raccogliere un po' di mozzoni. Ma già s'erano stufati, il caldo faceva mancare il respiro, e guai se non ci fosse stato quel po' d'arietta che veniva dal mare. -A Riccè, - fece mezzo incazzato Marcello, - perché nun s'annamo a fa' er bagno pure noi? - E annamoce, - fece con la bocca storta e alzando le spalle il Riccetto.

Dietro il Parco Paolino e la facciata d'oro di San Paolo, il Tevere scorreva al di là di un grande argine pieno di cartelloni: e era vuoto, senza stabilimenti, senza barche, senza bagnanti, e a destra era tutto irto di gru, antenne e ciminiere, col gasometro enorme contro il cielo, e tutto il quartiere di Monteverde, all'orizzonte, sopra le scarpate putride e bruciate, con le sue vecchie villette come piccole scatole svanite nella luce. Proprio lì sotto c'erano i piloni di un ponte non costruito con intorno l'acqua sporca che formava dei mulinelli, la riva verso San Paolo era piena di canneti e di fratte. Il Riccetto e Marcello vi scesero in mezzo di corsa e arrivarono sotto il primo pilone, sull'acqua. Ma il bagno se lo fecero più a mare, un mezzo chilometro più in giù, dove il Tevere cominciava una lunga curva.


I. IL FERROBEDO (1) I. DAS FERROBEDO (1) I. THE FERROBEDO (1) I. EL FERROBEDO (1) I. O FERROBEDO (1)

E sotto er monumento de Mazzini... And under the de Mazzini monument ...

Canzone popolare

Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s'era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare. Riccetto, who was to receive first communion and confirmation, had already got up at five; but as he was going down via Donna Olimpia in long gray trousers and a white blouse, rather than a communicant or a soldier of Jesus, he looked like a kid when he went off to tow away for long hauls. Con una compagnia di maschi uguali a lui, tutti vestiti di bianco, scese giù alla chiesa della Divina Provvidenza, dove alle nove Don Pizzuto gli fece la comunione e alle undici il Vescovo lo cresimò. With a company of men like him, all dressed in white, he went down to the church of Divine Providence, where at nine Don Pizzuto gave him communion and at eleven the Bishop confirmed him. Il Riccetto però aveva una gran prescia di tagliare: da Monteverde giù alla stazione di Trastevere non si sentiva che un solo continuo rumore di macchine. Riccetto, however, was very eager to cut: from Monteverde down to the Trastevere station there was only one continuous noise of cars. Si sentivano i clacson e i motori che sprangavano su per le salite e le curve, empiendo la periferia già bruciata dal sole della prima mattina con un rombo assordante. Horns could be heard and engines bolted up hills and curves, filling the suburbs already scorched by the early morning sun with a deafening roar. Appena finito il sermoncino del Vescovo, Don Pizzuto e due tre chierici giovani portarono i ragazzi nel cortile del ricreatorio per fare le fotografie: il Vescovo camminava fra loro benedicendo i familiari dei ragazzi che s'inginocchiavano al suo passaggio. Il Riccetto si sentiva rodere, lì in mezzo, e si decise a piantare tutti: uscì per la chiesa vuota, ma sulla porta incontrò il compare che gli disse: - Aòh, addò vai? - A casa vado, - fece il Riccetto, - tengo fame. - Vie' a casa mia, no, a fijo de na mignotta, - gli gridò dietro il compare, - che ce sta er pranzo -. Ma il Riccetto non lo filò per niente e corse via sull'asfalto che bolliva al sole. Tutta Roma era un solo rombo: solo lì su in alto, c'era silenzio, ma era carico come una mina. Il Riccetto s'andò a cambiare.

Da Monteverde Vecchio ai Granatieri la strada è corta: basta passare il Prato, e tagliare tra le palazzine in costruzione intorno al viale dei Quattro Venti: valanghe d'immondezza, case non ancora finite e già in rovina, grandi sterri fangosi, scarpate piene di zozzeria. Via Abate Ugone era a due passi. La folla giù dalle stradine quiete e asfaltate di Monteverde Vecchio, scendeva tutta in direzione dei Grattacieli: già si vedevano anche i camion, colonne senza fine, miste a camionette, motociclette, autoblinde. Il Riccetto s'imbarcò tra la folla che si buttava verso i magazzini.

Il Ferrobedò lì sotto era come un immenso cortile, una prateria recintata, infossata in una valletta, della grandezza di una piazza o d'un mercato di bestiame: lungo il recinto rettangolare s'aprivano delle porte: da una parte erano collocate delle casette regolari di legno, dall'altra i magazzini. Il Riccetto col branco di gente attraversò il Ferrobedò quant'era lungo, in mezzo alla folla urlante, e giunse davanti a una delle casette. Ma lì c'erano quattro Tedeschi che non lasciavano passare. Accosto la porta c'era un tavolino rovesciato: il Riccetto se l'incollò e corse verso l'uscita. Appena fuori incontrò un giovanotto che gli disse: - Che stai a fà? - Me lo porto a casa, me lo porto, - rispose il Riccetto. - Vie' con me, a fesso, che s'annamo a prenne la robba più mejo.

- Mo vengo, - disse il Riccetto. Buttò il tavolino e un altro che passava di lì se lo prese.

Col giovanotto rientrò nel Ferrobedò e si spinse nei magazzini: lì presero un sacco di canapetti. Poi il giovane disse: - Vie' qqua a incollà li chiodi -. Così tra i canapetti, i chiodi e altre cose, il Riccetto si fece cinque viaggi di andata e ritorno a Donna Olimpia. Il sole spaccava i sassi, nel pieno del dopopranzo, ma il Ferrobedò continuava a esser pieno di gente che faceva a gara coi camion lanciati giù per Trastevere, Porta Portese, il Mattatoio, San Paolo, a rintronare l'aria infuocata. Al ritorno dal quinto viaggio il Riccetto e il giovanotto videro presso al recinto, tra due casette, un cavallo col carro. S'accostarono per vedere se si poteva tentare il colpaccio. Nel frattempo il Riccetto aveva scoperto in una casetta un deposito di armi e s'era messo un mitra a tracolla e due pistole alla cintola. Così armato fino al denti montò in groppa al cavallo.

Ma venne un Tedesco e li cacciò via.

Mentre che il Riccetto viaggiava coi sacchi di canapetti su e giù da Donna Olimpia ai magazzini, Marcello stava cogli altri maschi nel caseggiato al Buon Pastore. La vasca formicolava di ragazzi che si facevano il bagno schiamazzando. The tub was swarming with boys who were bathing in noises. Sui prati sporchi tutt'intorno altri giocavano con una palla.

Agnolo chiese: - Addò sta er Riccetto? Agnolo asked: - Addò sta er Riccetto?

- E ito a fasse 'a comunione, è ito, - gridò Marcello.

- L'animaccia sua! - disse Agnolo.

- Mo starà a pranzo dar compare suo, - aggiunse Marcello.

Lì su alla vasca del Buon Pastore non si sapeva ancora niente. Up there at the tub of the Good Shepherd nothing was known yet. Il sole batteva in silenzio sulla Madonna del Riposo, Casaletto e, dietro, Primavalle. Quando tornarono dal bagno passarono per il Prato, dove c'era un campo tedesco.

Essi si misero a osservare, ma passò di lì una motocicletta con la carrozzella, e il Tedesco sulla carrozzella urlò ai maschi: - Rausch, zona infetta -. Lì presso ci stava l'Ospedale Militare. - E a noi che ce frega? -gridò Marcello: la motocicletta intanto aveva rallentato, il Tedesco saltò giù dalla carrozzella e diede a Marcello una pizza che lo fece rivoltare dall'altra parte. Con la bocca tutta gonfia Marcello si voltò come una serpe e sbroccolando con i compagni giù per la scarpata, gli fece una pernacchia: nel fugge che fecero, ridendo e urlando, arrivarono diretti fino davanti al Casermone. Lì incontrarono degli altri compagni. - E che state a ffà? -dissero questi, tutti sporchi e sciammannati.

- Perché? - chiese Agnolo, - che c'è da fà? - Annate ar Ferrobedò, si volete vede quarcosa -. Quelli c'andarono di fretta e appena arrivati si diressero subito in mezzo alla caciara verso l'offficina meccanica. -Smontamo er motore, - gridò Agnolo. Marcello invece uscì dall'officina meccanica e si trovò solo in mezzo alla baraonda, davanti alla buca del catrame. Stava per caderci dentro, e affogarci come un indiano nelle sabbie mobili, quando fu fermato da uno strillo: - A Marcè, bada, a Marcè! - Era quel fijo de na mignotta del Riccetto con degli altri amici. Così andò in giro con loro. Entrarono in un magazzino e fecero man bassa di barattoli di grasso, di cinghie di torni e di ferraccio. Marcello ne portò a casa mezzo quintale e gettò la merce in un cortiletto, dove la madre non la potesse vedere subito. Era dal mattino che non rincasava: la madre lo menò. -Addò sei ito, disgrazziato, - gli gridava crocchiandolo. - So' ito a famme er bagno, so' ito, - diceva Marcello ch'era un po' storcinato, e magro come un grillo, cercando di parare i colpi. Poi venne il fratello più grosso e vide nel cortiletto il deposito. - Fregnone, - gli gridò, - sta a rubbà sta mercanzia, sto fijo de na mignotta -. Così Marcello ridiscese al Ferrobedò col fratello, e questa volta portarono via da un vagone copertoni di automobile. Scendeva già la sera e il sole era più caldo che mai: già il Ferrobedò era più affollato d'una fiera, non ci si poteva più muovere. Ogni tanto qualcuno gridava: - Fuggi, fuggi, ce stanno li Tedeschi, - per fare scappare gli altri e rubare tutto da solo.

Il giorno dopo il Riccetto e Marcello, che c'avevano preso gusto, scesero insieme alla Caciara, i Mercati Generali, che erano chiusi. Tutt'intorno girava una gran massa di gente e dei Tedeschi, che camminavano avanti e indietro sparando in aria. Ma più che i Tedeschi a impedire l'entrata e a rompere il c... erano gli Apai. La folla però cresceva sempre più, premeva contro i cancelli, baccajava, urlava, diceva i morti. Cominciò l'attacco e anche quei fetenti degli Italiani lasciarono perdere. Le strade intorno ai Mercati erano nere di gente, i Mercati vuoti come un cimitero, sotto un sole che li sgretolava: appena aperti i cancelli, si riempirono in un momento.

Ai Mercati Generali non c'era niente, manco un torso di cavolo. La folla si mise a girare pei magazzini, sotto le tettoie, negli spacci, ché non si voleva rassegnare a restare a mani vuote. Finalmente un gruppo di giovanotti scoprì una cantina che pareva piena: dalle inferriate si vedevano dei mucchi di copertoni e di tubolari, tele incerate, teloni, e, nelle scansie, delle forme di formaggio. La voce si sparse subito: cinque o seicento persone si scagliarono dietro il gruppo dei primi. La porta fu sfondata, e tutti si buttarono dentro, schiacciandosi. Il Riccetto e Marcello erano in mezzo. Vennero ingoiati per il risucchio della folla, quasi senza toccar terra coi piedi, attraverso la porta. Si scendeva giù per una scala a chiocciola: la folla di dietro spingeva, e delle donne urlavano mezze soffocate. La scaletta a chiocciola straboccava di gente. Una ringhiera di ferro, sottile, cedette, si spaccò, e una donna cadde giù urlando e sbattè la testa in fondo contro uno scalino. Quelli rimasti fuori continuavano a spingere. - E morta, - gridò un uomo in fondo alla cantina. - E morta, - si misero a strillare spaventate delle donne; non era possibile né entrare né uscire Marcello continuava a scendere gli scalini. In fondo fece un salto scavalcando il cadavere, si precipitò dentro la cantina e riempì di copertoni la sporta insieme agli altri giovani che prendevano tutto quello che potevano. Il Riccetto era scomparso, forse era riuscito fuori. La folla si era dispersa. Marcello tornò a scavalcare la donna morta e corse verso casa.

Al Ponte Bianco c'era la milizia. Lo fermarono e gli presero la roba. Ma lui non si allontanò da lì e si mise in disparte avvilito con la sporta vuota. Dalla Caciara poco dopo salì al Ponte Bianco pure il Riccetto. - Mbè? -gli fece. - M'ero preso li copertoni e mo me l'hanno fregati, - rispose Marcello con la faccia nera. - Ma che stanno a fà sti cojoni, ma perché nun se fanno li c... sua! - gridò il Riccetto.

Dietro il Ponte Bianco non c'erano case ma tutta una immensa area da costruzione, in fondo alla quale, attorno al solco del viale dei Quattro Venti, profondo come un torrente, si stendeva calcinante Monteverde. Il Riccetto e Marcello si sedettero sotto il sole su un prato lì presso, nero e spelato, a guardare gli Apai che fregavano la gente. Dopo un po' però giunse al Ponte il gruppo dei giovanotti coi sacchi pieni di formaggi. Gli Apai fecero per fermarli, ma quelli li presero di petto, cominciarono a litigare di brutto con certe facce che gli Apai pensarono ch'era meglio lasciar perdere: lasciarono ai giovanotti la roba loro, e restituirono pure a Marcello e agli altri che s'erano accostati di brutto quello che gli avevano fregato. Saltando dalla soddisfazione e facendo i calcoli di quello che c'avrebbero guadagnato il Riccetto e Marcello presero la strada di Donna Olimpia, e pure tutti gli altri si dispersero. Al Ponte Bianco, con gli Apai, restò solo l'odore della zozzeria riscaldata dal sole.

Sullo spiazzo di terra battuta sotto il Monte di Splendore, una gobba di due o tre metri che toglieva alla vista Monteverde e il Ferrobedò, e, all'orizzonte, la linea del mare, quando i ragazzini s'erano ormai stufati di giocare, un sabato, alcuni giovanotti più anziani si misero sotto la porta col pallone tra i piedi. Formarono un cerchio e cominciarono a fare del palleggio, colpendo la palla col collo del piede, in modo da farla scorrere raso terra, senza effetto, con dei bei colpetti secchi. Dopo un po' erano tutti bagnati di sudore, ma non si volevano togliere le giacche della festa o i maglioni di lana azzurra con le strisce nere o gialle, a causa dell'aria tutta casuale e scherzosa con cui s'erano messi a giocare. Ma siccome i ragazzini che stavano lì intorno avrebbero forse potuto pensare che facevano i fanatici a giocare sotto quel sole, così vestiti, ridevano e si sfottevano, in modo però da togliere qualsiasi voglia di scherzare agli altri.

Tra i passaggi e gli stop si facevano due chiacchiere. - Ammazzete quanto sei moscio oggi, Alvà! - gridò un moro, coi capelli infracicati di brillantina. - 'E donne, - disse poi, facendo una rovesciata. - Vaffan..., -gli rispose Alvaro, con la sua faccia piena d'ossa, che pareva tutta ammaccata, e un capoccione che se un pidocchio ci avesse voluto fare un giro intorno sarebbe morto di vecchiaia. Cercò di fare una finezza colpendo il pallone di tacco, ma fece un liscio, e il pallone rotolò lontano verso il Riccetto e gli altri che se ne stavano sbragati sull'erba zozza.

Agnolo il roscetto si alzò e senza fretta rilanciò il pallone verso i giovanotti. - Mica se vole sprecà, sa', - gridò Rocco riferendosi a Alvaro,

- stasera ce stanno da incollà li quintali.

- Vanno a tubbature, - disse Agnolo agli altri. In quel momento suonarono al Ferrobedò e alle altre fabbriche lontane, giù verso Testaccio, il Porto, San Paolo, le sirene delle tre. Il Riccetto e Marcello si alzarono e senza dir niente a nessuno se ne andarono giù per via Ozanam, e locchi locchi, sotto il solleone, se la fecero a fette fino al Ponte Bianco, per attaccarsi al 13 o al 28. Avevano cominciato col Ferrobedò, avevano continuato con gli Americani, e adesso andavano a cicche. E vero che il Riccetto per un po' di tempo aveva lavorato: era stato preso a fare il pischello al servizio delle camionette da uno di Monteverde Nuovo. Ma poi aveva rubato al padrone mezzo sacco, e quello l'aveva mandato a spasso. Così passavano i pomeriggi a far niente, a Donna Olimpia, sul Monte di Casadio, con gli altri ragazzi che giocavano nella piccola gobba ingiallita al sole, e più tardi con le donne che venivano a distenderci i panni sull'erba bruciata. Oppure andavano a giocare al pallone lì sullo spiazzo tra i Grattacieli e il Monte di Splendore, tra centinaia di maschi che giocavano sui cortiletti invasi dal sole, sui prati secchi, per via Ozanam o via Donna Olimpia, davanti alle scuole elementari Franceschi piene di sfollati e di sfrattati.

Ponte Garibaldi, quando il Riccetto e Marcello c'arrivarono zompando giù dai respingenti, era tutto vuoto sotto il sole africano: però sotto i suoi piloni, il Ciriola formicolava di bagnanti. Il Riccetto e Marcello, soli in tutto il ponte, con la scucchia sulla spalletta di ferro arroventato, si stettero per un pezzo a guardare i fiumaroli che prendevano il sole sul galleggiante, o giocavano a carte, o facevano il correntino. Poi dopo aver litigato un po' sull'itinerario, si riattaccarono al vecchio tram mezzo vuoto che scricchiolando e raschiando andava verso San Paolo. Alla stazione di Ostia si fermarono camminando a pecorone tra i tavolini dei bar, presso il giornalaio e le bancarelle o tra le passarelle della biglietteria a raccogliere un po' di mozzoni. Ma già s'erano stufati, il caldo faceva mancare il respiro, e guai se non ci fosse stato quel po' d'arietta che veniva dal mare. -A Riccè, - fece mezzo incazzato Marcello, - perché nun s'annamo a fa' er bagno pure noi? - E annamoce, - fece con la bocca storta e alzando le spalle il Riccetto.

Dietro il Parco Paolino e la facciata d'oro di San Paolo, il Tevere scorreva al di là di un grande argine pieno di cartelloni: e era vuoto, senza stabilimenti, senza barche, senza bagnanti, e a destra era tutto irto di gru, antenne e ciminiere, col gasometro enorme contro il cielo, e tutto il quartiere di Monteverde, all'orizzonte, sopra le scarpate putride e bruciate, con le sue vecchie villette come piccole scatole svanite nella luce. Proprio lì sotto c'erano i piloni di un ponte non costruito con intorno l'acqua sporca che formava dei mulinelli, la riva verso San Paolo era piena di canneti e di fratte. Il Riccetto e Marcello vi scesero in mezzo di corsa e arrivarono sotto il primo pilone, sull'acqua. Ma il bagno se lo fecero più a mare, un mezzo chilometro più in giù, dove il Tevere cominciava una lunga curva.