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Novecento, Un Monologo - Alessandro Baricco, Parte (6)

Parte (6)

Girava così male che ogni tanto chiudevo gli occhi e tornavo là sopra, in terza classe a sentire gli emigranti che cantavano l'Opera e Novecento che suonava chissà che musica, le sue mani, la sua faccia, l'Oceano intorno. Andavo di fantasia e di ricordi, è quello che ti rimane da fare, alle volte, per salvarti, non c'è più nient'altro. Un trucco da poveri, ma funziona sempre.

Insomma, era una storia finita, quella. Che sembrava proprio finita. Poi un giorno mi arrivò una lettera, me l'aveva scritta Neil O'Connor, quell'irlandese che scherzava in continuazione. Quella volta, però, era una lettera seria. Diceva che il Virginian se n'era tornato a pezzi, dalla guerra, l'avevano usato come ospedale viaggiante, e alla fine era così mal ridotto che avevano deciso di buttarlo a fondo.

Avevano sbarcato a Plymouth il poco equipaggio rimasto, l'avevano riempita di dinamite e prima o poi l'avrebbero portata al largo per farla finita: bum, e via. Poi c'era un poscritto: e diceva: "Ce l'hai cento dollari? Giuro che te li restituisco". E sotto, un altro poscritto: e diceva: "Novecento, lui, mica è sceso". Solo quello: "Novecento, lui, mica è sceso".

Io mi rigirai la lettera in mano per dei giorni. Poi presi il treno che andava a Plymouth, andai al porto, cercai il Virginian, lo trovai, diedi un po' di soldi alle guardie che stavano lì, salii sulla nave, la girai da cima a fondo, scesi alla sala macchine, mi sedetti su una cassa che aveva l'aria di essere piena di dinamite, mi tolsi il cappello, io posai per terra, e rimasi lì, in silenzio, senza sapere cosa dire/

...Fermo lì a guardarlo, fermo lì a guardarmi/

Dinamite anche sotto il suo culo, dinamite dappertutto /

Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento/

Avresti detto che lo sapeva che sarei arrivato, come sapeva sempre le note che avresti suonato e... /

Con quella faccia invecchiata, ma in un modo bello, senza stanchezza/ 16

Niente luce, sulla nave, c'era solo quella che filtrava da fuori, chissà la notte, com'era/

Le mani bianche, la giacca ben abbottonata, le scarpe lucide/

Mica era sceso, lui/

Nella penombra, sembrava un principe/

Mica era sceso, sarebbe saltato insieme a tutto il resto, in mezzo al mare/

Gran finale, con tutti a guardare, dal molo, e da riva, il grande fuoco d'artificio, adieu, giù il sipario, fumo e fiamme, un'onda grande, alla fine/

Danny Boodmann T.D. Lemon/

Novecento/

In quella nave ingoiata dal buio, l'ultimo ricordo di lui è una voce, quasi soltanto, adagio, a parlare/ / / / / /

(L'attore si trasforma in Novecento)

/ / / /

Tutta quella città... non se ne vedeva la fine... /

La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? / E il rumore / Su quella maledettissima scaletta... era molto bello, tutto... e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c'era problema/

Col mio cappello blu/

Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino/

Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino/

Primo gradino, secondo/

Non è quel che vidi che mi fermò/

È quel che non vidi/

Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi... lo cercai ma non c'era, in tutta quella sterminata città c'era tutto tranne/

C'era tutto/

Ma non c'era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo/

Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu/ Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me/

Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi/

Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita/

Se quella tastiera è infinita, allora/

Su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio/ Cristo, ma le vedevi le strade? / Anche solo le strade, ce n'era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una/ A scegliere una donna/

Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire/

Tutto quel mondo/

Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce/

E quanto ce n'è/

Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A viverla... /

Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n'erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.

Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro.

Perfavore/

/ / / / /

Adesso cerca di capire, fratello. Cerca di capire, se puoi/

Tutto quel mondo negli occhi/

Terribile ma bello /

Troppo bello/

E la paura che mi riportava indietro/

La nave, di nuovo e per sempre/

Piccola nave/

Quel mondo negli occhi, tutte le notti, di nuovo/

Fantasmi/

Ci puoi morire se li lasci fare/

La voglia di scendere/

La paura di farlo/ Diventi matto, così /

Matto /

Qualcosa devi farlo e io l'ho fatto/

Prima l'ho immaginato/

Poi l'ho fatto/

Ogni giorno per anni/

Dodici anni/

Miliardi di momenti/

Un gesto invisibile e lentissimo. / Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.

Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c'entra la pazzia. È genio, quello. È geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l'anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito.

Allora li ho incantati.

E a uno a uno li ho lasciati dietro di me. Geometria. Un lavoro perfetto. Tutte le donne del mondo le ho incantate suonando una notte intera per una donna, una, la pelle trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, ondeggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo, mai, una notte intera, quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita, furono tutte le donne del mondo. Il padre che non sarò mai l'ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo bellissimo, volevo essere l'ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto. La terra che era la mia terra, da qualche parte nel mondo, l'ho incantata sentendo cantare un uomo che veniva dal nord, e tu lo ascoltavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno, il fiume che adagio scendeva, la neve d'inverno, i lupi la notte, quando quell'uomo finì di cantare finì la mia terra, per sempre, ovunque essa sia. Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando per te e con te quella sera, nella faccia che avevi, negli occhi, io li ho visti, tutti, miei amici amati, quando te ne sei andato, sono venuti via con te. Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli immani iceberg del mare del Nord crollare vinti dal caldo, ho detto addio ai miracoli quando ho visto ridere gli uomini che la guerra aveva fatto a pezzi, ho detto addio alla rabbia quando ho visto riempire questa nave di dinamite, ho detto addio alla musica, alla mia musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia, incantandola, quando ti ho visto entrare qui. Non è pazzia, fratello. Geometria. È un lavoro di cesello. Ho disarmato l'infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri. Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l'altro, incantati, immobili, fermati lì per sempre a segnare la rotta di questo viaggio strano che a nessuno mai ho raccontato se non a te/

/ /

(Novecento si allontana verso le quinte) /

/ /

(Si ferma, si volta)

Già me la vedo la scena, arrivato lassù, quello che cerca il mio nome nella lista e non lo trova.

"Come ha detto che si chiama?"

"Novecento."

"Nosjinskij, Notarbartolo, Novalis, Nozza..."

"È che son nato su una nave."

"Prego?"

"Son nato su una nave e ci sono anche morto non so se risulta lì sopra..."

"Naufragio?"

"No. Esploso. Sei quintali e mezzo di dinamite. Bum."

"Ah. Tutto bene adesso?"

"Sì, sì, benissimo... cioè... c'è solo 'sta faccenda del braccio... si è perso un braccio... ma mi hanno assicurato..."

"Manca un braccio?"

"Sì. Sa, nell'esplosione..."

"Dovrebbero essercene un paio di là... qual è che le manca?"

"Il sinistro."

"Ahia. "

"Sarebbe?"

"Ho paura che siano due destri, sa?"

"Due bracci destri?"

"Già. Nel caso, lei avrebbe problemi a..."

"A cosa?"

"Voglio dire, se prendesse un braccio destro..."

"Un braccio destro al posto del sinistro?"

"Sì."

"Mah... no, in linea di massima... meglio un destro che niente..."

"È quel che penso anch'io. Aspetti un attimo glielo vado a prendere."

"Se mai ripasso fra qualche giorno, le fosse arrivato un sinistro..."

"Senta, ne ho uno bianco e uno negro..."

"No, no, tinta unita... niente contro i negri eh, è solo questione di..." Sfiga. Tutt'un'eternità, in Paradiso, con due mani destre. (Con voce nasale) E adesso facciamo un bel segno di croce! (Parte per farlo ma si blocca. Si guarda le mani) Non sai mai quale usare. (Esita un attimo, poi si fa un veloce segno di croce con tutte e due le mani) Tutta un'eternità, milioni di anni, a fare la figura dello scemo. (Si rifà il segno di croce a due mani) Un inferno. In Paradiso. C'è niente da ridere.

(Si volta, va verso le quinte, si ferma un passo prima di uscire, si gira di nuovo verso il pubblico: gli brillano gli occhi)

Certo... sai che musica però... con quelle mani, due, destre... se solo c'è un pianoforte... (Ridiventa serio)

È dinamite quella che hai sotto il culo, fratello. Alzati da lì e vattene. È finita. Questa volta è finita davvero.

(Esce)

FINE 20


Parte (6) Part (6) Parte (6) Deel (6) Parte (6)

Girava così male che ogni tanto chiudevo gli occhi e tornavo là sopra, in terza classe a sentire gli emigranti che cantavano l'Opera e Novecento che suonava chissà che musica, le sue mani, la sua faccia, l'Oceano intorno. Andavo di fantasia e di ricordi, è quello che ti rimane da fare, alle volte, per salvarti, non c'è più nient'altro. Un trucco da poveri, ma funziona sempre.

Insomma, era una storia finita, quella. Che sembrava proprio finita. Poi un giorno mi arrivò una lettera, me l'aveva scritta Neil O'Connor, quell'irlandese che scherzava in continuazione. Quella volta, però, era una lettera seria. Diceva che il Virginian se n'era tornato a pezzi, dalla guerra, l'avevano usato come ospedale viaggiante, e alla fine era così mal ridotto che avevano deciso di buttarlo a fondo.

Avevano sbarcato a Plymouth il poco equipaggio rimasto, l'avevano riempita di dinamite e prima o poi l'avrebbero portata al largo per farla finita: bum, e via. Poi c'era un poscritto: e diceva: "Ce l'hai cento dollari? Giuro che te li restituisco". E sotto, un altro poscritto: e diceva: "Novecento, lui, mica è sceso". Solo quello: "Novecento, lui, mica è sceso".

Io mi rigirai la lettera in mano per dei giorni. Poi presi il treno che andava a Plymouth, andai al porto, cercai il Virginian, lo trovai, diedi un po' di soldi alle guardie che stavano lì, salii sulla nave, la girai da cima a fondo, scesi alla sala macchine, mi sedetti su una cassa che aveva l'aria di essere piena di dinamite, mi tolsi il cappello, io posai per terra, e rimasi lì, in silenzio, senza sapere cosa dire/

...Fermo lì a guardarlo, fermo lì a guardarmi/

Dinamite anche sotto il suo culo, dinamite dappertutto /

Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento/

Avresti detto che lo sapeva che sarei arrivato, come sapeva sempre le note che avresti suonato e... /

Con quella faccia invecchiata, ma in un modo bello, senza stanchezza/ 16

Niente luce, sulla nave, c'era solo quella che filtrava da fuori, chissà la notte, com'era/

Le mani bianche, la giacca ben abbottonata, le scarpe lucide/

Mica era sceso, lui/

Nella penombra, sembrava un principe/

Mica era sceso, sarebbe saltato insieme a tutto il resto, in mezzo al mare/

Gran finale, con tutti a guardare, dal molo, e da riva, il grande fuoco d'artificio, adieu, giù il sipario, fumo e fiamme, un'onda grande, alla fine/

Danny Boodmann T.D. Lemon/

Novecento/

In quella nave ingoiata dal buio, l'ultimo ricordo di lui è una voce, quasi soltanto, adagio, a parlare/ / / / / /

(L'attore si trasforma in Novecento)

/ / / /

Tutta quella città... non se ne vedeva la fine... /

La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? / E il rumore / Su quella maledettissima scaletta... era molto bello, tutto... e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c'era problema/

Col mio cappello blu/

Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino/

Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino/

Primo gradino, secondo/

Non è quel che vidi che mi fermò/

È quel che non vidi/

Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi... lo cercai ma non c'era, in tutta quella sterminata città c'era tutto tranne/

C'era tutto/

Ma non c'era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo/

Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu/ Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me/

Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi/

Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita/

Se quella tastiera è infinita, allora/

Su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio/ Cristo, ma le vedevi le strade? / Anche solo le strade, ce n'era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una/ A scegliere una donna/

Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire/

Tutto quel mondo/

Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce/

E quanto ce n'è/

Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A viverla... /

Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n'erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.

Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro.

Perfavore/

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Adesso cerca di capire, fratello. Cerca di capire, se puoi/

Tutto quel mondo negli occhi/

Terribile ma bello /

Troppo bello/

E la paura che mi riportava indietro/

La nave, di nuovo e per sempre/

Piccola nave/

Quel mondo negli occhi, tutte le notti, di nuovo/

Fantasmi/

Ci puoi morire se li lasci fare/

La voglia di scendere/

La paura di farlo/ Diventi matto, così /

Matto /

Qualcosa devi farlo e io l'ho fatto/

Prima l'ho immaginato/

Poi l'ho fatto/

Ogni giorno per anni/

Dodici anni/

Miliardi di momenti/

Un gesto invisibile e lentissimo. / Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.

Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c'entra la pazzia. È genio, quello. È geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l'anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito.

Allora li ho incantati.

E a uno a uno li ho lasciati dietro di me. Geometria. Un lavoro perfetto. Tutte le donne del mondo le ho incantate suonando una notte intera per una donna, una, la pelle trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, ondeggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo, mai, una notte intera, quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita, furono tutte le donne del mondo. Il padre che non sarò mai l'ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo bellissimo, volevo essere l'ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto. La terra che era la mia terra, da qualche parte nel mondo, l'ho incantata sentendo cantare un uomo che veniva dal nord, e tu lo ascoltavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno, il fiume che adagio scendeva, la neve d'inverno, i lupi la notte, quando quell'uomo finì di cantare finì la mia terra, per sempre, ovunque essa sia. Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando per te e con te quella sera, nella faccia che avevi, negli occhi, io li ho visti, tutti, miei amici amati, quando te ne sei andato, sono venuti via con te. Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli immani iceberg del mare del Nord crollare vinti dal caldo, ho detto addio ai miracoli quando ho visto ridere gli uomini che la guerra aveva fatto a pezzi, ho detto addio alla rabbia quando ho visto riempire questa nave di dinamite, ho detto addio alla musica, alla mia musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia, incantandola, quando ti ho visto entrare qui. Non è pazzia, fratello. Geometria. È un lavoro di cesello. Ho disarmato l'infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri. Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l'altro, incantati, immobili, fermati lì per sempre a segnare la rotta di questo viaggio strano che a nessuno mai ho raccontato se non a te/

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(Novecento si allontana verso le quinte) /

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(Si ferma, si volta)

Già me la vedo la scena, arrivato lassù, quello che cerca il mio nome nella lista e non lo trova.

"Come ha detto che si chiama?"

"Novecento."

"Nosjinskij, Notarbartolo, Novalis, Nozza..."

"È che son nato su una nave."

"Prego?"

"Son nato su una nave e ci sono anche morto non so se risulta lì sopra..."

"Naufragio?"

"No. Esploso. Sei quintali e mezzo di dinamite. Bum."

"Ah. Tutto bene adesso?"

"Sì, sì, benissimo... cioè... c'è solo 'sta faccenda del braccio... si è perso un braccio... ma mi hanno assicurato..."

"Manca un braccio?"

"Sì. Sa, nell'esplosione..."

"Dovrebbero essercene un paio di là... qual è che le manca?"

"Il sinistro."

"Ahia. "

"Sarebbe?"

"Ho paura che siano due destri, sa?"

"Due bracci destri?"

"Già. Nel caso, lei avrebbe problemi a..."

"A cosa?"

"Voglio dire, se prendesse un braccio destro..."

"Un braccio destro al posto del sinistro?"

"Sì."

"Mah... no, in linea di massima... meglio un destro che niente..."

"È quel che penso anch'io. Aspetti un attimo glielo vado a prendere."

"Se mai ripasso fra qualche giorno, le fosse arrivato un sinistro..."

"Senta, ne ho uno bianco e uno negro..."

"No, no, tinta unita... niente contro i negri eh, è solo questione di..." Sfiga. Tutt'un'eternità, in Paradiso, con due mani destre. (Con voce nasale) E adesso facciamo un bel segno di croce! (Parte per farlo ma si blocca. Si guarda le mani) Non sai mai quale usare. (Esita un attimo, poi si fa un veloce segno di croce con tutte e due le mani) Tutta un'eternità, milioni di anni, a fare la figura dello scemo. (Si rifà il segno di croce a due mani) Un inferno. In Paradiso. C'è niente da ridere.

(Si volta, va verso le quinte, si ferma un passo prima di uscire, si gira di nuovo verso il pubblico: gli brillano gli occhi)

Certo... sai che musica però... con quelle mani, due, destre... se solo c'è un pianoforte... (Ridiventa serio)

È dinamite quella che hai sotto il culo, fratello. Alzati da lì e vattene. È finita. Questa volta è finita davvero.

(Esce)

FINE 20