XII puntata
Da Mosca La Voce della Russia!
Vogliate ascoltare la XII puntata del ciclo "1812.
La bufera napoleonica" a cura di Dmitrij Mincenok. Nella storiografia russa quasi nessuno ha fatto caso alle affinità e alle differenze esistenti nella partenza dei due imperatori, avvenuta praticamente nello stesso periodo di tempo, ad una distanza di mille chilometri, conclusasi con l'arrivo di Alessandro I Vilnus e di Napoleone a Dresda.
Due eventi che segnarono una svolta nella storia con con seguenze di grande respiro.
Alla vigilia della guerra l'imperatore russo arrivò a Vilnus, capitale della Lituania, quasi in incognito, proprio mentre l'imperatore francese entrava della capitale della Sassonia con tutto lo splendore possibile.
Napoleone uscì da Parigi fra i fuochi d'artificio, premonitori di vittoria, mentre Alessandro si congedava in silenzio nella Cattedrale di Sant Isacco.
Il sovrano era pallido come una statua. E la folla mormorava: "Va incontro al sacrificio! Alla partenza Napoleone aveva esclamato all'ambasciatore Kurakin: "I miei marescialli sono invincibili.
Soltanto con loro posso conquistare mezzo mondo, con la mia Guardia il mondo intero". Nel commiatarsi dall'ambasciatore Colancour Alessandro gli aveva detto: "Mi rendo perfettamente conto di non avere generali come i vostri, e che io non sono un condottiero e un amministratore come Napoleone".
A confronto due diverse concezioni della guerra che però avrebbero portato alla Battaglia di Borodino.
Ma nel maggio del 1812 nessuno lo sapeva. Tutti pensavano che l'esito dello scontro fosse scontato. E certamente lo era. Alessandro stesso lo riconosceva, ma aggiungeva: "Se necessario il mio popolo è pronto a morire per me.
Chi è più pronto a morire, il russo o il francese? Penso che sia il russo. A parte me, nessuno conosce il mio popolo! Gli avvenimenti avrebbero dimostrato che quella era la verità.
L'ambasciatore Colenncour aveva scritto: "Fra tutti i popoli soltanto i russi sono pronti a sacrificarsi per una idea, qualunque essa sia, l'importante che vi credino e allora sono in grado di dar prova di un coraggio e di una forza d'animo che hanno dell'incredibile!
Ma a Dresda nessuno pensava a queste cose.
Ai presenti, coronati e no, tedeschi e non tedeschi, che facevano parte del suo seguito, Napoleone guardava come a dei servi, degli schiavi, paurosi di lui. E non credeva nella loro sincerità. A Dresda la corte e il seguito davano a vedere una ferma convinzione nella vittoria sulla Russia.
Allora quella certezza aleggiava ovunque nell'aria, in Europa e in America, nelle reggie e negli uffici dei grandi industriali e nelle botteghe.
Soltanto l'Inghilterra e la Spagna non erano presenti alle cerimonie di Dresda, a quella straordinaria fiera della vanità, del servaggio e della paura.
Su chi invece poteva contare Alessandro?
La Pace di Tilsit che lo aveva trasformato in alleato dell'odiato corso, aveva spaccato la nobiltà russa. Metà delle grandi famiglie artistocratiche aveva con l'Inghilterra se non legami di sangue, almeno di simpatia. A corte, più di ogni altro, l'Imperatrice Madre Maria Fedorovna rappresentava il partito dell'odio per Napoleone e della simpatia per la corte di San Giorgio cui era stretta da legami di sangue.
Era il leader di tutta l'opposizione aristocratica con cui Alessandro toccava scontrarsi. I contemporanei scrissero dell'Imperatrice Madre che " invece di sostenere e difendere gli interessi del figlio, si comportava da capo di un partito di opposizione.... Tutti gli scontenti, ed erano tanti, si stringevano intorno a Lei tessendone le lodi.... Non riesco ad esprimere tutta la nostra irritazione". Per la verità, in tutto il suo regno, fino al 1813 il suo trono non fu mai solido e sicuro.
Secondo l'ambasciatore svedese Steding "il malcontento cresce continuamente nei suoi confronti... l'imperatore è circondato da pericoli.
I suoi amici sono disperati. Il sovrano è testardo ed ignora lo stato reale delle cose... In società si parla apertamente di un cambio di gestione e della necessità di seguire una linea dinastica femminile e di portare sul trono la Gran Duchessa Caterina...", la sorella dinanzi alla quale si inchinava lo stesso Alessandro. Secondo l'ambasciatore svedese i sudditi avrebbero voltato le spalle al loro sovrano.
A suo fianco c'era soltanto l'esercito, benché al suo interno non mancassero i motivi di malcontento, di cui in qualche modo bisognava pur tener conto. L'esercito non condivideva le scelte del suo comandante in capo Beninghesen e lo annunciava apertamente.
Le preferenze accordate agli stranieri, per niente giustificate da particolari talenti e virtù, accrescevano i risentimenti. Fra gli ufficiali stranieri molti non conoscevano il russo il che non li rendeva popolari fra i soldati.
Questa era la situazione alla corte e nel paese.
Ma a cosa pensasse Alessandro entrando a Vilnus nessuno lo sa. Però, nei limiti del possibile, Alessandro fu accolto con una certa solennità.
Gli andò incontro il comandante in capo Barklai De Tolli. Cento salve di cannone e le campane a distesa salutarono il suo ingresso. Il sovrano entrò a cavallo, dal sobborgo di Antokol. "Le cime dei colli che sormontavano la strada, le torri, i tetti erano pieni di gente.
Il magistrato della città guidava la deputazione.
I capi delle corporazioni con le bandiere spiegate che fra il rullio dei tamburi abbassavano al suo passaggio per rendergli onore. La Comunità giudaica si era presentata con i rotoli della Torà e con il pane. Gli ecclesiastici cattolici in nero erano sulle porte dei monasteri, il Capitolo ortodosso al gran completo con le vesti bianche della liturgia salutarono il monarca sul sagrato della Cattedrale". E di colpo Vilnus si trasformo in centro della politica russa.
A fine marzo erano arrivati il cancelliere di stato Rumanzev, il presidente del Consiglio di stato conte Kuciubei, il Maresciallo di corte conte Tolstoi, che per distinguirsi dagli altri cadde ai piedi dell'imperatore tanto che alcuni pensarono che fosse ebbro. Poi fecero la loro apparizione il generale Arakceev, il ministro di polizia Balascev responsabile delle informazioni sui movimenti di Napoleone, l'ammiraglio Ciciagov che avrebbe dovuto difendere i confini meridioniali dell'Impero dagli austriaci.
Arrivarono pure i principi di Oldenburg che legati ad Alessandro da vincoli di parentela erano stati privati del loro principato da Napoleone: il cognato Gheorghi sposato a sua sorella Caterina e August.
Parecchi anni più tardi, i loro nipoti trasformarono in prosperi centri balneari Gagra e Soci, sul Mar Nero.
Penultimo ad arrivare fu il fratello Costantino e il 27 aprile chiuse la fila il generale di fanteria Rimski-Korsakov, ascendente alla lontana del futuro compositore, allora appena nominato governatore militare di Lituania al posto del comandante in capo Beninghesen, cui era stato ordinato di stare a fianco del Sovrano.
Subito dopo il suo arrivo il ministro di polizia Balascev annunciò ad Alessandro che la città era piena di "spioni francesi vogliosi di danneggiarlo".
L'imperatore ordinò di arrestarli e di portarli al suo cospetto, ma non volle abolire nessuno dei programmi di festa già programmati.
Ai primi di maggio egli volle passare in rassegna le truppe e ne fu soddisfatto. E si recò al ballo di Beninghesen. All'inizio della Grande Guerra patriottica mancavano meno di 50 giorni.
Avete ascoltato la XII puntata del ciclo "1812.
La bufera napoleonica" a cura di Dmitrij Mincenok.