#69 – Bologna, capitale del basket
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 25 giugno 2022.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
Il rumore delle scarpe da ginnastica sul parquet è qualcosa di familiare per tutti e allo stesso tempo difficile da descrivere.
Sembra simile allo squittio di tanti topolini che corrono di qua e di là senza apparente logica.
Ironico, visto che è il suono tipico di una partita di basket. Un suono prodotto da persone mediamente più alte del normale e che sanno perfettamente dove devono andare, altro che topi!
E c'è quell'altro suono, allo stesso tempo secco e morbido, del pallone che cade dritto dentro il canestro. Come un soffio delicato, ma capace di scatenare grandi emozioni.
In Italia il basket non è uno sport amato da tutti in lungo e in largo, perlopiù si diffonde a macchia di leopardo in città che lo hanno scoperto in passato e continuano ad amarlo generazione dopo generazione.
Una di queste città è piuttosto inaspettata. Perché è un posto che si associa al buon cibo, al buon vino, alla vita tranquilla e bonaria. Non certo al tifo appassionato dalle tribune e alle grandi rivalità.
Eppure è una città che respira basket, mastica basket e parla di basket dalla mattina alla sera.
E che divide il suo cuore tra due squadre. Due grandi rivali che si spartiscono l'affetto e il tifo dei cittadini.
Una più antica, l'altra più giovane. Una più vincente, l'altra più combattiva.
Entrambe con un nome latino e un cuore emiliano.
Sono la Virtus e la Fortitudo.
Benvenuti a Bologna, benvenuti a basket city.
Il basket è arrivato a Bologna prima della guerra, naturalmente dagli Stati Uniti. Ed è stato amore a prima vista.
Non si sa bene perché. Forse per un motivo pratico. Era uno sport facile da praticare al chiuso, e senza attrezzature costose.
Persino il fascismo, che non amava nulla di ciò che arrivava dall'America, dopo averlo osteggiato, alla fine lo ha accolto. Dopotutto era uno sport, e il fascismo amava lo sport con l'idea di trasformare gli italiani da un popolo di mollaccioni a uno di grandi combattenti.
Per chiudere un occhio sulle sue origini americane, si è trovata una soluzione di comodo. Anziché chiamarlo basket-ball, un nome più autarchico: pallacanestro.
È così che una società sportiva di Bologna, nel 1927, apre la sua sezione di pallacanestro. Ha un nome che significa virtù, e usa la lettera V come simbolo sulle sue maglie bianche e nere. È la Virtus.
All'inizio è poco più di un gruppo di dilettanti, ragazzi che giocano a basket tanto per divertirsi. E sul momento, basta e avanza. Perché sono anni duri, in mezzo c'è la guerra, e per divertirsi non ci sono molte occasioni.
Quando torna la pace, torna anche il basket a Bologna, anche grazie ai tanti soldati americani arrivati in città.
Gli appassionati organizzano le partite nella Sala Borsa, che oggi è una splendida biblioteca del centro di Bologna.
All'epoca però era una sala borsa, per l'appunto, un posto dove le persone si incontravano per trattative e negoziazioni. Di giorno. Mentre di sera, andavano a giocarci a pallacanestro.
È lì, sul pavimento in piastrelle di una sala del centro dove oggi sarebbe da pazzi giocare a basket, che nasce la leggenda della Virtus Bologna, quattro volte di fila campione d'Italia tra il 1946 e il 1949.
Questa squadra di Bologna che vince titoli nazionali fa appassionare molte persone che hanno voglia anche loro di provare a tirare la palla dentro il canestro. E così, attorno alla Virtus, nascono in città altre società.
Tra queste, c'è una squadra emergente. Una che esiste già da tanto tempo, nata negli ambienti cattolici della città e povera in canna, ma trascinata con grande entusiasmo dai suoi tifosi. Ha come simbolo un'aquila e la lettera F.
La F di Fortitudo Bologna.
Questa nuova squadra arriva nel basket che conta grazie a una scappatoia. Comprando il titolo sportivo di un'altra compagine, la Sant'Agostino, che è decisa a chiudere i battenti.
Così, i nuovi arrivati si trovano di punto in bianco in serie A. A giocarsela con le squadre più forti d'Italia.
I cugini della Virtus all'inizio non fanno molto caso ai nuovi arrivati della Fortitudo. Li guardano dall'alto in basso.
Pian piano però cominciano a sentire un certo fastidio. Perché i virtussini sono abituati a rappresentare il basket a Bologna. Sono la squadra forte, che vince i campionati e ha tanti tifosi.
Tifare Virtus è una cosa legata alla tradizione. Dato che la squadra gioca le sue partite in uno stadio molto piccolo, i biglietti sono difficili da trovare e gli abbonamenti sono vere e proprie rarità. Così l'abbonamento diventa una cosa che si eredita. Quando qualcuno è troppo vecchio per andare allo stadio, o muore, passa il suo abbonamento a qualcun altro. In una specie di rito chiuso da nobiltà medievale. Essere un virtussino è un privilegio.
E cosa resta da fare a chi non ha questo privilegio? Aspettare, o ribellarsi. Chi si ribella, decide di tifare Fortitudo. Che per questo motivo diventa la squadra degli esclusi, degli alternativi, dei ribelli.
Anche l'atteggiamento sportivo è diverso. I tifosi della Virtus sono abituati a vincere e vivono male le sconfitte. Quelli della Fortitudo invece sono abituati a prenderle e quindi le sconfitte non gli fanno né caldo né freddo. Sono contenti di essere lì a tifare, e questo basta.
Questo duello tra tradizione e ribellione, tra vincenti e perdenti, va avanti per decenni. E si allarga anche al di fuori del campo da basket.
Un esempio? Nel 1991, lo sponsor della Virtus Bologna è l'azienda Knorr, famosa in particolare per il suo dado concentrato per fare il brodo.
In quell'occasione, un tifoso della Fortitudo ha un'idea semplice, ma non banale. Inventa lo slogan “odio il brodo” da stampare sulle magliette. E diventa famosissimo. Perché coglie il senso profondo di quella rivalità. Il brodo è un elemento fondamentale della cucina tradizionale di Bologna. È il simbolo della vita lenta, discreta, di chi ama la tranquillità e non sopporta i cambiamenti. Odiare il brodo significa odiare la tradizione, e quindi un po' anche odiare la Virtus.
Lo slogan è talmente un successo che ispira anche una canzone del gruppo bolognese degli Skiantos, famosi per la loro musica dissacrante e alternativa, contro la tradizione. E contro il brodo.
La musica cambia a partire dalla metà degli anni Novanta. Sulle poltrone di presidente di Virtus e Fortitudo siedono due ricchissimi e abilissimi uomini d'affari. Persone che hanno capito che questa passione viscerale dei bolognesi per il basket può diventare un veicolo di successo.
È in quegli anni che Bologna diventa, davvero, Basket City.
All'inizio, sembra che nulla sia cambiato. La Virtus vince gli scudetti e la Fortitudo a bocca asciutta. La differenza è che adesso la Fortitudo non è una squadra da mezza classifica, ma lotta per vincere il titolo.
Perde una volta in finale, contro Milano. Un'altra volta contro Treviso, fino al 1998 quando la sfida per decidere chi saranno i campioni d'Italia è proprio tra le due squadre di Bologna. Virtus contro Fortitudo.
Succede nel 1998. Quell'anno, entrambe le squadre hanno fame di vittoria.
La Virtus è in crisi d'astinenza dopo che l'ultimo scudetto risale a quattro anni prima. Per loro, praticamente preistoria.
La Fortitudo, che uno scudetto non l'ha mai ancora vinto, ma l'ha sfiorato per due volte, non vede l'ora di festeggiare per la prima volta. Le cose ora sono cambiate, i fortitudini hanno una società ricca quanto e anche più di quella della Virtus. Non vogliono più sentirsi Cenerentola che si imbuca al grande ballo. Vogliono il posto d'onore al centro della sala.
I protagonisti più attesi della sfida sono ovviamente due giocatori. La stella dei bianconeri è Sasa Danilovič , figliol prodigo, che aveva giocato nella Virtus, poi era andato in NBA e alla fine era tornato a Bologna.
Il giocatore di punta della Fortitudo è Carlton Myers, stella del basket italiano anni '90 e futuro campione d'Europa con la nazionale.
La finale si gioca al meglio delle cinque gare. E, come da copione, Virtus e Fortitudo si dividono le prime quattro sfide. Sarà la quinta a decidere chi vincerà lo scudetto. Provate a immaginare l'atmosfera in città in quei giorni.
La sfida finale si mette subito sui binari giusti per la Fortitudo. Quando mancano 27 secondi alla fine, il punteggio dice Fortitudo 72 – Virtus 68.
Ma 27 secondi, nella pallacanestro, sono un'eternità.
Nell'ultima azione della partita, la Virtus attacca disperatamente. La palla va a Danilovič che fa un canestro da fuori area. Di quelli che nel basket valgono tre punti. Preziosi, ma non bastano perché per pareggiare ne manca ancora uno.
Il fatto è che, quando Danilovič ha tirato, l'arbitro ha fischiato un fallo di un giocatore fortitudino contro di lui.
Così Danilovič, che ha appena fatto tre punti, ha un tiro libero preziosissimo per fare il quarto, pareggiare e andare ai supplementari. Ci riesce, naturalmente, con il sangue freddo dei campioni veri. E i tifosi della Virtus impazziscono di gioia.
Ancora oggi i virtussini lo ricordano, quel momento incredibile. Lo chiamano:
Il tiro da quattro di Danilovič .
Alla fine succede quello che tutti si aspettavano. Nei supplementari, la Virtus è carica e motivata, mentre i giocatori della Fortitudo sono ammutoliti e non riescono a fare niente. Ancora una volta, come sempre, ad esultare sono i virtussini.
Nonostante i miliardi spesi, nonostante i campioni ingaggiati, la storia si ripete. La Virtus festeggia e la Fortitudo resta con un pugno di mosche in mano. Riusciranno a vincere finalmente il loro primo campionato due anni dopo, nel 2000. Con una festa che a Bologna ricordano ancora oggi.
Gli anni successivi, che si avvicinano ai nostri, raccontano anche alcune pagine amare e ironicamente simili per due società che hanno passato gli anni a cercare di dimostrare quanto fossero diverse.
Dopo un decennio di spendi e spandi, a un certo punto il giocattolo si rompe.
Nel 2003, dopo una stagione mediocre, la Virtus chiude al 14 posto, ma il risultato sportivo non è la cosa peggiore. La società è nei debiti fino al collo, e la federazione la esclude dal campionato. L'anno dopo, per la prima volta dal 1935, non c'è la Virtus Bologna nel basket italiano.
I tifosi della Fortitudo sul momento ridono sotto i baffi, ma la ruota sta per girare e toccherà anche a loro. Nel 2009, arriva la bancarotta e la necessità di ricominciare da zero.
Nell'ultima stagione, conclusasi da poche settimane, Virtus e Fortitudo sono finalmente tornate insieme a giocare in serie A. Riportando in città l'entusiasmo per le sfide degli anni '90. Anche se poi alla fine del campionato, la Fortitudo è tornata in A2 e la Virtus ha perso la finale scudetto contro Milano.
L'esperienza ci insegna che la storia del basket a Bologna non finisce qui. Non è possibile togliere a una città la sua passione così radicata.
Io ci ho provato a spiegarvi come funziona la passione dei bolognesi per il basket. Com'è possibile che una città relativamente piccola e tranquilla sia diventata la casa di non una, ma ben due grandi squadre.
Il resto d'Italia, me compreso, guarda all'eccezionalità di Bologna con un misto di sorpresa e curiosità.
Ma essere virtussino o fortitudino è una scelta di campo, che si fa nell'infanzia e non si cambia più. Si può scegliere di viverla con leggerezza o con passione, con ironia o con enfasi, ma di sicuro non si può non scegliere. È impossibile.
Ricordatelo, prima di andare a Bologna, prima di entrare a Basket City.