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Bartebly, lo Scrivano - Herman Melville, Bartleby (6)

Bartleby (6)

Sono convinto che avrei persistito in questa saggia e beata disposizione, se non fosse stato per le osservazioni gratuite e impietose lanciatemi dai colleghi che venivano nel mio studio. Spesso accade che la contiguità con animi poco liberali finisca con il logorare i migliori propositi degli animi generosi. Riflettendoci tuttavia, non era strano, a ben pensarci, che quanti entravano nel mio ufficio, colpiti dall'aspetto peculiare dell'inesplicabile Bartleby, fossero tentati di buttare lì qualche commento perfido su di lui. A volte veniva nello studio questo o quel procuratore, che aveva affari con me, e, non trovando nessuno tranne lo scrivano, si adoperava per ottenere da lui qualche indicazione su dove io fossi, ma Bartleby, indifferente a quelle vane chiacchiere, se ne rimaneva immobile, in piedi in mezzo alla stanza. E il procuratore, dopo averlo contemplato in quella posizione per qualche tempo, se ne andava senza aver saputo nulla.

Oppure, quando si svolgeva un arbitrato, con l'ufficio gremito di avvocati e testimoni, mentre il lavoro urgeva, qualche legale presente, immerso nelle sue occupazioni, vedendo Bartleby che non faceva assolutamente nulla, gli chiedeva di andare di corsa nel suo ufficio (del legale) a prendergli qualche documento. Al che Bartleby tranquillamente rifiutava, restandosene con le mani in mano come prima. Il legale, a questo punto, sgranando gli occhi, si volgeva verso di me. Che cosa potevo dire? Alla fine mi resi conto che nella cerchia delle mie conoscenze professionali circolavano sussurri di sorpresa per la strana creatura che tenevo nello studio. Questo mi preoccupò molto. E mentre si faceva strada il pensiero che potesse magari essere un uomo longevo e continuare a occupare i miei locali, a rifiutare la mia autorità, a mettere in imbarazzo i miei visitatori, a screditare la mia reputazione professionale, a gettare un'ombra sinistra sull'ufficio, tenendo l'anima stretta coi denti fino all'ultimo centesimo dei suoi risparmi (non c'era dubbio, infatti, che spendesse al massimo cinque centesimi al giorno), e finisse con il sopravvivermi, avanzando pretese sulla proprietà degli uffici per usucapione con la sua occupazione perpetua; mentre tutti questi cupi presagi mi si affollavano in mente sempre più pressanti, e mentre i miei amici, irriducibili, di continuo mi imponevano le loro osservazioni sul fantasma dell'ufficio, un grande mutamento si operò in me. Decisi di raccogliere tutte le mie energie e liberarmi, una volta per tutte, di quell'intollerabile incubo.

Prima di elaborare un piano complicato adatto allo scopo, mi limitai a suggerire a Bartleby l'opportunità di una sua partenza definitiva. In tono calmo e grave gli sottoposi l'idea, invitandolo a valutarla con matura ponderazione. Ma, dopo essere stato tre giorni a meditarvi, mi comunicò che rimaneva invariata la sua originaria decisione; in breve, preferiva ancora alloggiare da me.

"Che cosa farò? ", mi dissi abbottonandomi la giacca fino all'ultimo bottone. "Che cosa farò? Che cosa dovrei fare? Che cosa in coscienza sarei tenuto a fare di quest'uomo, anzi di questo fantasma? Sbarazzarmene, dovevo; andarsene, dovrà. Ma come? Non lo butterai fuori, quel pover'uomo, pallido, passivo - non butterai fuori una creatura tanto inerme? Non ti disonorerai commettendo una tale crudeltà? No, non lo farò, non posso farlo. Lo lascio piuttosto vivere e morire qui, per murare poi le sue spoglie nella parete. Che cosa farai allora? Puoi blandirlo, ma non lo smuoverai. I soldi che gli dai per convincerlo li lascia sotto il fermacarte sul tuo tavolo. E evidente, insomma, che preferisce aggrapparsi a te.

"Allora è necessario prendere misure drastiche, straordinarie. Cosa! Non vorrai farlo ammanettare da un poliziotto, affidando a un carcere comune la sua esangue innocenza? E poi per quali motivi potresti ottenere una cosa simile? è un vagabondo? Come! Un vagabondo, uno senza fissa dimora, lui che si rifiuta di muoversi? è proprio perché non è un vagabondo che cerchi di farlo passare per vagabondo. Troppo assurdo. Nessun mezzo di sostentamento evidente: ecco che l'ho in pugno. No, sbagliato di nuovo: ha di che vivere; senza dubbio, l'essere vivi è l'unica prova inconfutabile che si ha di che vivere. Niente da fare, allora. Poiché non sarà lui a lasciare me, sarò io a lasciare lui. Cambierò ufficio; andrò altrove; lo avvertirò nei dovuti modi che, se mai lo troverò nei nuovi locali, procederò contro di lui per violazione di domicilio".

Il giorno successivo, agendo di conseguenza, così mi rivolsi a lui: "Trovo che questo ufficio sia troppo lontano dal municipio, senza contare che l'aria non è buona. Insomma ho intenzione di traslocare la prossima settimana e non avrò più bisogno dei suoi servigi. Glielo dico oggi perché possa trovarsi un altro posto".

Non rispose nulla, e null'altro fu detto.

Nel giorno fissato, noleggiati carri e uomini, andai in ufficio e, avendo soltanto pochi mobili, in poche ore fu portata via ogni cosa. Per tutto il tempo lo scrivano se ne rimase in piedi dietro il paravento che ordinai di portar via per ultimo. Fu tolto e, piegato come un enorme foglio, lo lasciò inquilino immobile di una stanza spoglia. Mi fermai sulla soglia guardandolo per un momento, mentre dentro di me qualcosa mi rimordeva.

Ritornai indietro con la mano in tasca e il cuore in gola.

"Addio, Bartleby, me ne vado… addio e Dio la protegga in qualche modo. Prenda", facendogli scivolare qualcosa in mano. Ma finì a terra e allora - strano a dirsi - dovetti fare uno sforzo per strapparmi da lui, e sì che avevo tanto desiderato sbarazzarmene.

Nel mio nuovo studio, per un giorno o due, tenni la porta chiusa a chiave, trasalendo a ogni rumor di passi nel corridoio. Ritornando in ufficio, dopo un'assenza anche brevissima, indugiavo sulla soglia per un attimo, tendendo l'orecchio con attenzione, prima di infilare la chiave. Ma erano paure superflue. Bartleby non venne mai da me.

Pensavo che tutto andasse per il meglio, quando venne a trovarmi uno sconosciuto dall'aria sconvolta, chiedendomi se fossi io la persona che ultimamente aveva occupato i locali al n.- di Wall Street.

In preda a cupi presentimenti risposi di sì.

"Allora, signore", disse lo sconosciuto che risultò essere un avvocato, "lei è responsabile dell'uomo che si è lasciato dietro. Rifiuta di copiare, rifiuta di fare qualsiasi cosa; dice che preferisce di no, rifiuta di lasciare i locali".

"Ne sono desolato, signore", risposi fingendomi calmo, sebbene tremassi dentro di me, "ma l'uomo cui lei allude non è niente per me - non è un mio parente, non è neppure un apprendista per il quale lei potrebbe ritenermi responsabile".

"In nome del cielo, chi è?"

"Non sono in grado di dirglielo. Non so nulla di lui. In passato lo assunsi come copista, ma da un po' di tempo non fa niente per me".

"Lo sistemerò io, allora… buon giorno, signore".

Trascorsero parecchi giorni, e non ne seppi più nulla. Se anche a volte mi sentivo spinto da un impulso caritatevole ad andare a trovare il povero Bartleby, tuttavia mi tratteneva una certa ripugnanza per chissà che cosa.

"Ormai è sistemato", pensai alla fine, quando, per tutta la successiva settimana, non ebbi altre notizie di lui. Ma, arrivando nello studio il giorno dopo, trovai, in attesa davanti alla mia porta, varie persone agitatissime.

"Eccolo… arriva", gridò il portavoce che riconobbi come l'avvocato venuto da me in precedenza.

"Deve portarselo via immediatamente, signore", gridò avvicinandosi a me un signore distinto, che sapevo essere il proprietario dello stabile al n. - di Wall Street. "Questi signori, miei inquilini, non lo tollerano più. Il signor B. ", indicando l'avvocato, "l'ha messo fuori del suo ufficio, e lui adesso si ostina a funestare l'intera casa, sedendosi sulla ringhiera delle scale di giorno e dormendo nell'ingresso di notte. Ne sono tutti preoccupati; i clienti se ne vanno; serpeggia la paura di una sommossa. Bisogna intervenire e senza perdere tempo".

Atterrito da quel torrente di parole, indietreggiai e sarei stato contento di chiudermi a chiave nel mio nuovo studio. Invano continuai a insistere che Bartleby non era niente per me - non più di chiunque altro. Invano: risultavo essere io l'ultima persona che aveva avuto a che fare con lui e dovevo rendere conto della terribile situazione. Timoroso dunque di finire sui giornali (come minacciò oscuramente uno dei presenti), considerai la faccenda e, dopo un po', dissi che, se l'avvocato mi avesse concesso di parlare allo scrivano in privato nel suo ufficio (dell'avvocato), quel pomeriggio mi sarei adoperato al massimo per liberarlo del fastidio all'origine delle sue recriminazioni.

Salendo le scale verso la mia vecchia tana, ecco Bartleby che in silenzio se ne stava seduto sulla ringhiera del pianerottolo.

"Che cosa fa qui, Bartleby? ", chiesi.

"Sto seduto sulla ringhiera", rispose mitemente.

Gli feci cenno di entrare nell'ufficio dell'avvocato che subito se ne andò.

"Bartleby", dissi, "si rende conto che mi fa tribolare ostinandosi a occupare l'ingresso, dopo essere stato licenziato dall'ufficio?"

Nessuna risposta.

"Ora una delle due: o lei fa qualcosa, oppure qualcosa va fatto a lei. In che lavoro le piacerebbe impegnarsi? Vorrebbe riprendere a copiare per qualcuno?"

"No, preferirei non fare cambiamenti".

"Vorrebbe fare il contabile in una drogheria?"

"Si sta troppo al chiuso. No, non mi va di fare il contabile, ma non faccio il difficile".

"Troppo al chiuso? ", esclamai. "Ma se lei se ne sta sempre rinchiuso!"

"Preferirei non fare il contabile", aggiunse come a sistemare subito quella piccola questione.

"Le andrebbe di lavorare in un bar? In quel mestiere non si sforza gli occhi".

"Non mi piacerebbe affatto, anche se, come ho già detto, non faccio il difficile".

L'insolita loquacità mi diede un'ispirazione. Ritornai alla carica.

"Le piacerebbe allora viaggiare per tutto il paese a riscuotere crediti per i commercianti? Le farebbe bene alla salute".

"No, preferirei fare qualcos'altro".

"Che ne direbbe di andare in Europa al seguito di qualche giovane gentiluomo per intrattenerlo con la sua conversazione… Le andrebbe?"

"Per niente. Non mi pare che ci sia niente di stabile. Mi piace stare fermo in un posto. Ma non faccio il difficile".

"E fermo in un posto allora se ne starà", esclamai perdendo la pazienza e sbottando di rabbia per la prima volta nella storia dei miei esasperanti rapporti con lo scrivano. "Se lei non se ne va da questo stabile prima di sera, sarò costretto – anzi sono costretto - a… a… ad andarmene io stesso! ", conclusi in modo piuttosto incongruo, non sapendo con quale minaccia spaventarlo per scuoterlo da quella sua immobilità, inducendolo a obbedire. Disperando nell'esito di altri sforzi, stavo per lasciarlo precipitosamente, quando mi venne un ultimo pensiero… un'idea che non avevo mai del tutto accantonato in precedenza.

"Bartleby", dissi con il tono più gentile che in tutta quella concitazione mi riuscì di assumere, "vuole venire con me - non nel mio ufficio, ma nel mio appartamento - e restare lì finché non avremo trovato con comodo una sistemazione conveniente? Su, andiamoci adesso, subito".

"No, per il momento preferirei non cambiare nulla".

Non replicai ma, scansando tutti con una fuga subitanea e rapida, mi precipitai fuori da quello stabile, risalii di corsa Wall Street verso Broadway e, saltando sul primo omnibus, mi trovai presto al sicuro dagli inseguimenti. Non appena fui di nuovo calmo, capii distintamente di aver fatto tutto il possibile sia per venire incontro alle esigenze del padrone di casa e degli inquilini, sia per appagare il mio desiderio e obbligo morale di aiutare Bartleby e proteggerlo da una dura persecuzione. Mi sforzai allora di scrollarmi di dosso ogni ansia e di mettermi tranquillo; la coscienza approvava quel tentativo, sebbene non proprio come avrei voluto. Ero così timoroso di essere stanato dall'esasperato proprietario e dagli adirati inquilini che, affidando l'ufficio a Pince-Nez per qualche giorno, mi diressi in carrozza verso la parte alta della città, attraversando i sobborghi, arrivai a Jersey City e Hoboken, al di là del fiume, visitai in gran fretta Manhattanville e Astoria. Insomma vissi quasi tutto il tempo in carrozza.


Bartleby (6) Bartleby (6) Bartleby (6) Bartleby (6)

Sono convinto che avrei persistito in questa saggia e beata disposizione, se non fosse stato per le osservazioni gratuite e impietose lanciatemi dai colleghi che venivano nel mio studio. Spesso accade che la contiguità con animi poco liberali finisca con il logorare i migliori propositi degli animi generosi. It often happens that contiguity with unliberal spirits ends up wearing down the best intentions of generous spirits. Riflettendoci tuttavia, non era strano, a ben pensarci, che quanti entravano nel mio ufficio, colpiti dall'aspetto peculiare dell'inesplicabile Bartleby, fossero tentati di buttare lì qualche commento perfido su di lui. On reflection, however, it was not strange, come to think of it, that those who entered my office, struck by the peculiar appearance of the inexplicable Bartleby, were tempted to throw in some wicked comment about him. A volte veniva nello studio questo o quel procuratore, che aveva affari con me, e, non trovando nessuno tranne lo scrivano, si adoperava per ottenere da lui qualche indicazione su dove io fossi, ma Bartleby, indifferente a quelle vane chiacchiere, se ne rimaneva immobile, in piedi in mezzo alla stanza. Sometimes this or that prosecutor, who had business with me, would come to the study, and, finding no one but the scribe, would endeavor to get some indication from him as to my whereabouts, but Bartleby, indifferent to that vain chatter, would stand still, standing in the middle of the room. E il procuratore, dopo averlo contemplato in quella posizione per qualche tempo, se ne andava senza aver saputo nulla.

Oppure, quando si svolgeva un arbitrato, con l'ufficio gremito di avvocati e testimoni, mentre il lavoro urgeva, qualche legale presente, immerso nelle sue occupazioni, vedendo Bartleby che non faceva assolutamente nulla, gli chiedeva di andare di corsa nel suo ufficio (del legale) a prendergli qualche documento. Or, when an arbitration was taking place, with the office packed with lawyers and witnesses, as the work was pressing, some attorney present, immersed in his or her occupations, seeing Bartleby doing absolutely nothing, would ask him to rush to his (the attorney's) office to get him some papers. Al che Bartleby tranquillamente rifiutava, restandosene con le mani in mano come prima. Il legale, a questo punto, sgranando gli occhi, si volgeva verso di me. Che cosa potevo dire? Alla fine mi resi conto che nella cerchia delle mie conoscenze professionali circolavano sussurri di sorpresa per la strana creatura che tenevo nello studio. Questo mi preoccupò molto. E mentre si faceva strada il pensiero che potesse magari essere un uomo longevo e continuare a occupare i miei locali, a rifiutare la mia autorità, a mettere in imbarazzo i miei visitatori, a screditare la mia reputazione professionale, a gettare un'ombra sinistra sull'ufficio, tenendo l'anima stretta coi denti fino all'ultimo centesimo dei suoi risparmi (non c'era dubbio, infatti, che spendesse al massimo cinque centesimi al giorno), e finisse con il sopravvivermi, avanzando pretese sulla proprietà degli uffici per usucapione con la sua occupazione perpetua; mentre tutti questi cupi presagi mi si affollavano in mente sempre più pressanti, e mentre i miei amici, irriducibili, di continuo mi imponevano le loro osservazioni sul fantasma dell'ufficio, un grande mutamento si operò in me. And as the thought dawned that he might perhaps be a long-lived man and continue to occupy my premises, to reject my authority, to embarrass my visitors, to discredit my professional reputation, to cast a sinister shadow over the office, holding his soul tightly with his teeth to the last penny of his savings (there was no doubt, in fact, that he spent at most five cents a day), and end up outliving me, making claims on the office property by usucaption by his perpetual occupation; while all these gloomy forebodings were crowding into my mind more and more pressing, and while my friends, die-hards, were continually imposing their remarks on me about the ghost of the office, a great change took place in me. Decisi di raccogliere tutte le mie energie e liberarmi, una volta per tutte, di quell'intollerabile incubo. I decided to gather all my energy and rid myself, once and for all, of that intolerable nightmare.

Prima di elaborare un piano complicato adatto allo scopo, mi limitai a suggerire a Bartleby l'opportunità di una sua partenza definitiva. Before devising a complicated plan suitable for the purpose, I merely suggested to Bartleby the opportunity for his permanent departure. In tono calmo e grave gli sottoposi l'idea, invitandolo a valutarla con matura ponderazione. In a calm and grave tone I submitted the idea to him, inviting him to consider it with mature thoughtfulness. Ma, dopo essere stato tre giorni a meditarvi, mi comunicò che rimaneva invariata la sua originaria decisione; in breve, preferiva ancora alloggiare da me. But after spending three days meditating on it, he informed me that his original decision remained unchanged; in short, he still preferred to stay with me.

"Che cosa farò? ", mi dissi abbottonandomi la giacca fino all'ultimo bottone. "Che cosa farò? Che cosa dovrei fare? Che cosa in coscienza sarei tenuto a fare di quest'uomo, anzi di questo fantasma? What in conscience would I be bound to do with this man, indeed this ghost? Sbarazzarmene, dovevo; andarsene, dovrà. Get rid of it, had to; leave, will have to. Ma come? Non lo butterai fuori, quel pover'uomo, pallido, passivo - non butterai fuori una creatura tanto inerme? Will you not throw him out, that poor man, pale, passive - will you not throw out such a helpless creature? Non ti disonorerai commettendo una tale crudeltà? No, non lo farò, non posso farlo. Lo lascio piuttosto vivere e morire qui, per murare poi le sue spoglie nella parete. Che cosa farai allora? Puoi blandirlo, ma non lo smuoverai. You can flatter him, but you will not move him. I soldi che gli dai per convincerlo li lascia sotto il fermacarte sul tuo tavolo. The money you give him to convince him leaves it under the paperweight on your table. E evidente, insomma, che preferisce aggrapparsi a te. And evident, in short, that he prefers to cling to you.

"Allora è necessario prendere misure drastiche, straordinarie. Cosa! Non vorrai farlo ammanettare da un poliziotto, affidando a un carcere comune la sua esangue innocenza? You don't want to have him handcuffed by a policeman, entrusting his bloodless innocence to a common jail? E poi per quali motivi potresti ottenere una cosa simile? And then for what reasons could you achieve such a thing? è un vagabondo? Come! Un vagabondo, uno senza fissa dimora, lui che si rifiuta di muoversi? è proprio perché non è un vagabondo che cerchi di farlo passare per vagabondo. it is precisely because he is not a vagrant that you try to make him out to be a vagrant. Troppo assurdo. Nessun mezzo di sostentamento evidente: ecco che l'ho in pugno. No obvious means of livelihood: there I have it. No, sbagliato di nuovo: ha di che vivere; senza dubbio, l'essere vivi è l'unica prova inconfutabile che si ha di che vivere. No, wrong again: he has something to live for; without a doubt, being alive is the only irrefutable proof that one has something to live for. Niente da fare, allora. Poiché non sarà lui a lasciare me, sarò io a lasciare lui. Cambierò ufficio; andrò altrove; lo avvertirò nei dovuti modi che, se mai lo troverò nei nuovi locali, procederò contro di lui per violazione di domicilio".

Il giorno successivo, agendo di conseguenza, così mi rivolsi a lui: "Trovo che questo ufficio sia troppo lontano dal municipio, senza contare che l'aria non è buona. The next day, acting accordingly, so I addressed him, "I find this office too far from City Hall, not to mention that the air is not good. Insomma ho intenzione di traslocare la prossima settimana e non avrò più bisogno dei suoi servigi. Glielo dico oggi perché possa trovarsi un altro posto".

Non rispose nulla, e null'altro fu detto.

Nel giorno fissato, noleggiati carri e uomini, andai in ufficio e, avendo soltanto pochi mobili, in poche ore fu portata via ogni cosa. Per tutto il tempo lo scrivano se ne rimase in piedi dietro il paravento che ordinai di portar via per ultimo. Fu tolto e, piegato come un enorme foglio, lo lasciò inquilino immobile di una stanza spoglia. Mi fermai sulla soglia guardandolo per un momento, mentre dentro di me qualcosa mi rimordeva.

Ritornai indietro con la mano in tasca e il cuore in gola.

"Addio, Bartleby, me ne vado… addio e Dio la protegga in qualche modo. Prenda", facendogli scivolare qualcosa in mano. Ma finì a terra e allora - strano a dirsi - dovetti fare uno sforzo per strapparmi da lui, e sì che avevo tanto desiderato sbarazzarmene.

Nel mio nuovo studio, per un giorno o due, tenni la porta chiusa a chiave, trasalendo a ogni rumor di passi nel corridoio. Ritornando in ufficio, dopo un'assenza anche brevissima, indugiavo sulla soglia per un attimo, tendendo l'orecchio con attenzione, prima di infilare la chiave. Ma erano paure superflue. Bartleby non venne mai da me.

Pensavo che tutto andasse per il meglio, quando venne a trovarmi uno sconosciuto dall'aria sconvolta, chiedendomi se fossi io la persona che ultimamente aveva occupato i locali al n.- di Wall Street.

In preda a cupi presentimenti risposi di sì.

"Allora, signore", disse lo sconosciuto che risultò essere un avvocato, "lei è responsabile dell'uomo che si è lasciato dietro. Rifiuta di copiare, rifiuta di fare qualsiasi cosa; dice che preferisce di no, rifiuta di lasciare i locali".

"Ne sono desolato, signore", risposi fingendomi calmo, sebbene tremassi dentro di me, "ma l'uomo cui lei allude non è niente per me - non è un mio parente, non è neppure un apprendista per il quale lei potrebbe ritenermi responsabile".

"In nome del cielo, chi è?"

"Non sono in grado di dirglielo. Non so nulla di lui. In passato lo assunsi come copista, ma da un po' di tempo non fa niente per me".

"Lo sistemerò io, allora… buon giorno, signore".

Trascorsero parecchi giorni, e non ne seppi più nulla. Se anche a volte mi sentivo spinto da un impulso caritatevole ad andare a trovare il povero Bartleby, tuttavia mi tratteneva una certa ripugnanza per chissà che cosa.

"Ormai è sistemato", pensai alla fine, quando, per tutta la successiva settimana, non ebbi altre notizie di lui. Ma, arrivando nello studio il giorno dopo, trovai, in attesa davanti alla mia porta, varie persone agitatissime.

"Eccolo… arriva", gridò il portavoce che riconobbi come l'avvocato venuto da me in precedenza.

"Deve portarselo via immediatamente, signore", gridò avvicinandosi a me un signore distinto, che sapevo essere il proprietario dello stabile al n. - di Wall Street. "Questi signori, miei inquilini, non lo tollerano più. Il signor B. ", indicando l'avvocato, "l'ha messo fuori del suo ufficio, e lui adesso si ostina a funestare l'intera casa, sedendosi sulla ringhiera delle scale di giorno e dormendo nell'ingresso di notte. Ne sono tutti preoccupati; i clienti se ne vanno; serpeggia la paura di una sommossa. Bisogna intervenire e senza perdere tempo".

Atterrito da quel torrente di parole, indietreggiai e sarei stato contento di chiudermi a chiave nel mio nuovo studio. Invano continuai a insistere che Bartleby non era niente per me - non più di chiunque altro. Invano: risultavo essere io l'ultima persona che aveva avuto a che fare con lui e dovevo rendere conto della terribile situazione. Timoroso dunque di finire sui giornali (come minacciò oscuramente uno dei presenti), considerai la faccenda e, dopo un po', dissi che, se l'avvocato mi avesse concesso di parlare allo scrivano in privato nel suo ufficio (dell'avvocato), quel pomeriggio mi sarei adoperato al massimo per liberarlo del fastidio all'origine delle sue recriminazioni.

Salendo le scale verso la mia vecchia tana, ecco Bartleby che in silenzio se ne stava seduto sulla ringhiera del pianerottolo.

"Che cosa fa qui, Bartleby? ", chiesi.

"Sto seduto sulla ringhiera", rispose mitemente.

Gli feci cenno di entrare nell'ufficio dell'avvocato che subito se ne andò.

"Bartleby", dissi, "si rende conto che mi fa tribolare ostinandosi a occupare l'ingresso, dopo essere stato licenziato dall'ufficio?"

Nessuna risposta.

"Ora una delle due: o lei fa qualcosa, oppure qualcosa va fatto a lei. In che lavoro le piacerebbe impegnarsi? Vorrebbe riprendere a copiare per qualcuno?"

"No, preferirei non fare cambiamenti".

"Vorrebbe fare il contabile in una drogheria?"

"Si sta troppo al chiuso. No, non mi va di fare il contabile, ma non faccio il difficile".

"Troppo al chiuso? ", esclamai. "Ma se lei se ne sta sempre rinchiuso!"

"Preferirei non fare il contabile", aggiunse come a sistemare subito quella piccola questione.

"Le andrebbe di lavorare in un bar? In quel mestiere non si sforza gli occhi".

"Non mi piacerebbe affatto, anche se, come ho già detto, non faccio il difficile".

L'insolita loquacità mi diede un'ispirazione. Ritornai alla carica.

"Le piacerebbe allora viaggiare per tutto il paese a riscuotere crediti per i commercianti? Le farebbe bene alla salute".

"No, preferirei fare qualcos'altro".

"Che ne direbbe di andare in Europa al seguito di qualche giovane gentiluomo per intrattenerlo con la sua conversazione… Le andrebbe?"

"Per niente. Non mi pare che ci sia niente di stabile. Mi piace stare fermo in un posto. Ma non faccio il difficile".

"E fermo in un posto allora se ne starà", esclamai perdendo la pazienza e sbottando di rabbia per la prima volta nella storia dei miei esasperanti rapporti con lo scrivano. "Se lei non se ne va da questo stabile prima di sera, sarò costretto – anzi sono costretto - a… a… ad andarmene io stesso! ", conclusi in modo piuttosto incongruo, non sapendo con quale minaccia spaventarlo per scuoterlo da quella sua immobilità, inducendolo a obbedire. Disperando nell'esito di altri sforzi, stavo per lasciarlo precipitosamente, quando mi venne un ultimo pensiero… un'idea che non avevo mai del tutto accantonato in precedenza.

"Bartleby", dissi con il tono più gentile che in tutta quella concitazione mi riuscì di assumere, "vuole venire con me - non nel mio ufficio, ma nel mio appartamento - e restare lì finché non avremo trovato con comodo una sistemazione conveniente? Su, andiamoci adesso, subito".

"No, per il momento preferirei non cambiare nulla".

Non replicai ma, scansando tutti con una fuga subitanea e rapida, mi precipitai fuori da quello stabile, risalii di corsa Wall Street verso Broadway e, saltando sul primo omnibus, mi trovai presto al sicuro dagli inseguimenti. Non appena fui di nuovo calmo, capii distintamente di aver fatto tutto il possibile sia per venire incontro alle esigenze del padrone di casa e degli inquilini, sia per appagare il mio desiderio e obbligo morale di aiutare Bartleby e proteggerlo da una dura persecuzione. Mi sforzai allora di scrollarmi di dosso ogni ansia e di mettermi tranquillo; la coscienza approvava quel tentativo, sebbene non proprio come avrei voluto. Ero così timoroso di essere stanato dall'esasperato proprietario e dagli adirati inquilini che, affidando l'ufficio a Pince-Nez per qualche giorno, mi diressi in carrozza verso la parte alta della città, attraversando i sobborghi, arrivai a Jersey City e Hoboken, al di là del fiume, visitai in gran fretta Manhattanville e Astoria. Insomma vissi quasi tutto il tempo in carrozza.