Il Burlone - Massimo Gorki
- Vi ricordate di Vàrienka, la figliuola del pittore di stanze? Ora è moglie dello stampatore Sciapòscnikof. È diventata una gran dama - si ha quasi paura di passarle accanto... ed era allora una fanciulletta gracile e malaticcia... Vi ricordate che una volta era sparita e che noialtri, tutti i monelli della strada, andammo a cercarla per i campi e nei burroni. Fu ritrovata nell'accampamento militare, fuori la città, e fu ricondotta in casa attraverso i campi... Quanto se ne parlò allora!... Suo padre ci offrì del pan pepato, e Varka, appena vide la madre, le disse: «Sono stata dalla moglie dell'ufficiale, la quale mi ha invitato di diventare sua figlia!» Eh! eh! altro che sua figlia!.. Che bella ragazzetta era allora!
Suoni indistinti salivano dal fiume, come il sospiro di qualche petto gigantesco che soffrisse. Passava un vapore ed il rumore dell'acqua agitata dalle ruote vibrava nell'aria. Il cielo era roseo, mentre che intorno a Gvosdef ed al redattore, le tenebre incominciavano a farsi più dense. La notte primaverile veniva lentamente. Il silenzio diventava più completo, più profondo, e, come soggiogato dalla quiete, Gvosdef abbassò la voce.... Il redattore l'ascoltava senza parlare, evocando nella sua memoria le scene del passato da lungo tempo svanito. Sì, tutto ciò era stato - e tutto ciò era stato migliore di quel che era allora. È nella sola infanzia che è possibile avere l'anima libera, scevra dal peso delle catene che si chiamano le condizioni della vita. Le dolorose congestioni della coscienza sono sconosciute all'infanzia com'è pure ignota la menzogna, salvo quella menzogna infantile, così inocua. Quante cose sono ignote all'infanzia, e quant'è bella quell'ignoranza! Intanto si vive - e la comprensione della vita si allarga mano mano... Perchè si allarga se si muore senza aver capito nulla?
- E così, Mitri Pàvlovitsc, vedete dunque che siamo uccelli dello stesso nido... Sicuro!.. Ma i nostri voli sono stati differenti.. E quando penso che l'unica differenza che c'è fra me ed i miei compagni d'infanzia consiste unicamente nel fatto che non sono andato a ficcarmi il naso nei libri in qualche ginnasio - allora mi sento un'amarezza ed una nausea... Forse che, tutto l'uomo è lì dentro? Forse è la sola istruzione che fa l'uomo? L'uomo è nell'anima, nei sentimenti pel prossimo - e che valore ho io ai vostri occhi? Nessuno! È forse giusto?
- È giusto! disse il redattore con tono distratto, ma sincero.
Ma Gvosdef si mise a ridere, e riprese:
- Un momento!.. Permettete! Che cosa è precisamente giusta?.... È forse giusto che io, per voi, sia una cosa vuota?... Che io esista o no, è tutt'uno per voi - ve ne curate come d'un fico secco! Che bisogno avete della mia anima? Sono solo al mondo, e tutte le persone ch'io conosco sono seccate a morte di me - perchè ho un'indole cattiva e che mi piace fare degli scherzi alla gente. Però anch'io ho sentimenti ed intelligenza... Mi sento offeso della posizione che occupo nella vita.... In che cosa sono inferiore a voi?.. Solo a causa del mio mestiere....
- Sì... è così! disse il redattore, con la fronte corrugata. Fece una pausa, e continuò con un tono di voce, nel quale c'era una nota conciliante: Ma, vedete, qui bisogna applicare un altro punto di vista... - Mitri Pàvlovitsc! A che serve un punto di vista? Non è mica d'un punto di vista che l'uomo deve dar prova di simpatia pel suo simile, no! ma per impulso del cuore! Cosa significa un punto di vista? Io parlo dell'ingiustizia della vita. Si può forse illudermi con un punto di vista?... Mi sento oppresso nella vita - sono impedito nei miei movimenti... Perchè non sono un dotto? Ma se voialtri, dotti, ragionaste, non di punti di vista, ma di qualche altro modo, non dovreste dimenticarvi di me, frutto dello stesso vostro campo, ma trarmi a voi, in alto, fuori dall'ignoranza nella quale marcisco, e fuori dall'amarezza dei miei sentimenti. E con i vostri punti di vista, dite, non dovete farlo?
Gvosdef ammiccò coll'occhio, e, trionfante, guardò il suo interlocutore in faccia. Si sentiva ben disposto quella sera e dava sfogo a tutta la sua filosofia, frutto di lunghi anni di lavoro incoerente od improduttivo. Il redattore era confuso davanti a quell'attacco e si sforzava di determinare fra sè cosa fosse quell'uomo e che cosa si potesse opporre ai suoi discorsi. E Gvosdef, come ubbriacato dalle sue stesse parole, continuava:
- Siete uomini intelligenti e mi farete cento risposte, e tutto sarà: No, non dobbiamo! Ed io, invece, vi dico: Dovete!... Perchè? Perchè io e voi, siamo gente della stessa strada, della medesima provenienza... Voi non siete i veri signori della vita, non siete i nobili... Con costoro, il nostro conto è fatto subito: ci diranno: «Vattene al diavolo!» e ci andremo. Perchè costoro sono aristocratici fin dall'antichità, mentre voialtri siete aristocratici perchè sapete la grammatica, ed il resto... Ma voialtri, siete dei nostri, e posso pretendere da voi che mi mostriate il cammino della vita. Appartengo alla piccola borghesia, e Krulef pure, ed anche voi, che siete figlio d'un diacono... - Ma, permettete, disse il redattore in tono quasi supplichevole; vi nego forse il dritto di pretendere?
Ma interessava ben poco Gvosdef di sapere ciò che negava od ammetteva il redattore; sentiva il bisogno di dirgli quello che aveva da dire, e si sentiva capace, in quel momento, di dire tutto ciò che l'aveva preoccupato e tormentato. - No, permettete! riprese egli, e, questa volta in un mormorio misterioso, chinandosi verso il redattore, con gli occhi animati e scintillanti. Pensate forse che è piacevole per me di lavorare ora per i compagni ai quali davo pugni in faccia in altri tempi? Mi è forse piacevole di ricevere dal signor giudice istruttore Krulef, in casa di cui ho riparato i cessi, ora sarà un anno, di ricevere -dico - quaranta copeck di mancia?... da lui, che è un uomo dello stesso grado mio?... che si chiamava Miscka lo zuccheraio... che ha ancora i denti guasti, come li aveva anche allora?...
Qualche cosa di soffocante gli salì in gola, tacque per un momento; poi, di botto, gli sfuggì di bocca una bestemmia così oscena e così cinica che il redattore trasalì e si fece indietro. Dopo quel grido, Gvosdef si avallò, per così dire, di un tratto, come se il fuoco si fosse spento in lui. Stette un momento così, interrogandosi, e non sentì più in fondo al cuore nulla da dire.
- Non c'è altro! disse con voce sorda.
In lui si fece ad un tratto il vuoto, e la sensazione di quel vuoto gli arrecava una specie di snervamento.
Il redattore lo osservava di soppiatto e cercava frattanto quel che avrebbe potuto dirgli. Bisognava dire qualche cosa di buono, di vero, di sincero; ma, in quel momento, non trovò in sè, nè in testa nè in cuore, quello che gli sarebbe abbisognato. Era già da un pezzo che tutte le conversazioni sulle idee «alte» destavano in lui una sensazione di noia e di stanchezza. Quella sera era uscito per ripararsi, e, per aver pace, aveva, a bella posta, evitato qualunque incontro coi suoi conoscenti, - ed ecco, che era venuto quell'uomo, coi suoi discorsi! Certo, in quei discorsi, come in tutto ciò che dicono gli uomini, c'era una particella di verità, - quei discorsi non erano privi di un certo interesse e potevano fare il soggetto di un articolo di giornale... Ma bisognava pure dirgli qualche cosa: - Tutto ciò che avete detto or ora, non son cose nuove, incominciò Dmitri Pàvlovitsc, son anni ed anni che si parla dell'ingiustizia dell'uomo verso il suo prossimo... Ma, forse, i vostri discorsi sembrano una novità, perchè, finora, erano uomini d'un'altra condizione che parlavano così... Formulate le vostre idee in un modo alquanto unilaterale e falso... ma... - Ancora il vostro punto di vista! interruppe Gvosdef, con una risatina ironica. Ah! signori, signori miei! Avete intelligenza, sì! ma il cuore, a quanto pare... Orsù! ditemi qualche cosa che convenga appunto al male di cui soffro, ecco!
Pronunciò queste parole con la testa abbassata, e rimase così in attesa di una risposta; l'angoscia cominciava di nuovo a stringergli il cuore. Il redattore lo guardò nuovamente con la fronte corrugata: aveva una grande voglia di andarsene. Gli sembrava che l'ubbriachezza invadesse sempre più Gvosdef e che era per questa ragione che si era così accasciato dopo i suoi discorsi esaltati. Guardò il berretto bianco, che gli era caduto sulla nuca, le gote butterate ed i brividi provocanti di Gvosdef, misurò cogli occhi tutta la sua persona robusta e nervosa, e pensò fra sè che era l'operaio tipico, e che se... - Ebbene? domandò Gvosdef.
- Ebbene! cosa posso dirvi? A dirvi francamente, non mi sono ancora fatto un'idea netta e precisa di quello che avreste voluto sentire. - È precisamente così... Non potete dirmi nulla! replicò Gvosdef, con la solita sua risatina.
Il redattore sospirò con un certo sollievo, supponendo con ragione che la conversazione fosse finita e che Gvosdef non lo importunerebbe più con domande imbarazzanti. Poi, gli venne ad un tratto questo pensiero:
- E se, per caso, mi battesse?... È così cattivo!
L'espressione del volto di Gvosdef durante la scena che si era svolta nella sala di redazione gli tornò alla memoria, e lo guardò di sbieco con occhio sospettoso. Era già notte. Il silenzio era interrotto da canti lontani che venivano dalla direzione del fiume. Si cantava in coro e le voci di tenore arrivavano indistinte. A traverso il fogliame degli alberi si vedevano le stelle. Ogni tanto, un ramo si agitava e si sentiva un leggiero fremito di foglie.
- Ora verrà la rugiada... disse il redattore con tono prudente. Gvosdef trasalì e si voltò verso di lui.
- Che cosa avete detto?
- Dico che verrà la rugiada, - ed è poco sano.
- Ah! ah!
Ci fu un silenzio. Un grido risuonò sul fiume:
- Eh! dalla barca!
- Me ne vado, disse il redattore. A rivederci!
- E se bevessimo un po' di birra? propose bruscamente Gvosdef. Poi aggiunse con una risatina: Fatemi quest'onore! - Scusatemi... non posso a quest'ora. E poi, è tempo, sapete... Gvosdef si alzò e guardò il compagno con aria di cattivo umore. Dmitri Pàvlovitsc si alzò pure e gli tese la mano.
- Dunque, non volete bere un po' di birra con me?.. Ebbene, che il diavolo vi porti!... terminò Gvosdef, rimettendosi il berretto in testa con un gesto assai brusco. - L'aristocrazia! Due per un copek! Ebbene, mi ubbriacherò da solo!...
Il redattore gli voltò bravamente le spalle, e si mise a risalire il suo sentiero, senza dir una sola parola. Quando gli passò davanti, ritirò la testa fra le spalle, come se si fosse aspettato di ricevere una mazzata. Gvosdef camminò a gran passi nella direzione opposta.
- Eh! là... dalla barca!... Diavoli!... Venite dunque!...
E l'eco spandendosi mollemente fra gli alberi ripetè: - Unque!