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Veleno, Episodio 6 - Trappola per topi (2)

Episodio 6 - Trappola per topi (2)

“Va bene quello che ho detto?”

Il bambino sta cercando l'approvazione della psicologa, come se qualcuno gli avesse insegnato una lezione da ripetere.

Il grosso sospetto di molti è che questi eventi drammatici non solo non siano mai accaduti, ma che siano state proprio le psicologhe a introdurre per prime i racconti degli abusi e dei cimiteri.

I bambini, dopo mesi, se ne sono convinti, e hanno dato alle dottoresse quello che loro si aspettavano.

Live Mazzoni: Diventa alla fine, il resoconto del bambino, una sorta di calderone in cui c'è di tutto e di più, dalle cose più astratte e bizzarre alle cose più favolose, alcuni elementi veri. Ma a quel punto ripulirli da tutto il ciarpame che è stato creato da modalità investigative inadeguate, diventa impossibile.

Live Zappalà: Perché poi il processo non si fa su quello che è successo, ma su quello che si dice sia successo.

Il meccanismo qui è stato: ho un sospetto, ti porto via il figlio anche se non ha mai detto nulla, gli faccio capire che c'è un pericolo, insisto finché lui non comincia a ricordare, e alla fine ti accuserà. E non vorrà più tornare da te.

Gli avvocati delle famiglie e delle altre persone accusate hanno insistito moltissimo su questa manipolazione.

Questo è l'avvocato Marco Ferraresi:

Live avv. Ferraresi: I bambini venivano invitati a dire di più perché poi sarebbero stati meglio: “Tu dì quello che sai, liberati, e vedrai che alla fine starai meglio”. E li si ascoltava con questa attenzione… Era proprio questo che si attendeva da loro, che dicessero delle cose.

E infatti i bambini erano dei fiumi in piena, continuavano a parlare, aggiungevano accuse su accuse, tanto che difendere i genitori diventava praticamente impossibile.

Live avv. Micai: Cioè questo ha inquinato in maniera irreparabile questo processo

Lei è Patrizia Micai, l'avvocato che ha difeso Lorena e la famiglia Giacco.

Live avv. Micai: Questo è un processo diabolico, dovevi portare la prova diabolica, cioè dovevi portare la prova che tu non l'avevi fatto.

Io sono innocente, sei tu che devi provare che io sono colpevole. Perché in questo processo è esattamente il contrario? La prova diabolica, devo provare che non l'ho fatto… sfido chiunque!

Quello che ci ha lasciati molto perplessi, è che i bambini di queste famiglie siano stati allontanati senza che nemmeno gli inquirenti fossero sicuri della minaccia da cui avrebbero dovuto difenderli. Lo spiega bene questa bambina interrogata dal giudice Alberto Ziroldi.

Live video

Live bambina: Subito mi han detto “sei protetta, adesso dobbiamo capire bene da che cosa” perché io non avevo ancora raccontato.

Live giudice: Ecco... tu ti sei chiesta “ma da chi devo essere protetta?” “perché devo essere protetta?” Te lo sei chiesto? L'hai chiesto a qualcuno?

Live bambina: Me lo chiedevo tra me, ma cioè è come se io non riuscissi a trovare la risposta.

L'abbiamo iniziato a capire io e la Valeria quando (Live giudice: Tu e la Valeria?) ho iniziato a raccontare

“L'abbiamo iniziato a capire io e la Valeria quando ho iniziato a raccontare”. La “Valeria” di cui parla è ancora una volta Valeria Donati, la prima ad aver avuto il sospetto che Dario - e poi tutti gli altri bambini - fossero stati abusati.

Ma quale metodo ha usato la dottoressa Donati per aiutare i bambini a ricordare? Se lo sono chiesto in molti.

La dottoressa Donati era sempre tra le prime a parlare con i bambini, ma dei suoi colloqui, fondamentali per capire come dal nulla si fosse arrivati a quei racconti, non c'è nessun video, e nessuna trascrizione.

I VHS che abbiamo sentito finora sono stati registrati mesi dopo, da altre psicologhe, chiamate dai giudici del Tribunale quando il processo era già iniziato.

E quando ormai, dicono i genitori e i loro avvocati, la manipolazione era già avvenuta.

Però quei primissimi colloqui, che nessuno ha potuto ascoltare, li ha descritti la stessa Donati, nel corso delle sue testimonianze.

Vi abbiamo già detto di come tutto sia partito da Dario, il nostro bambino zero, che inizialmente aveva parlato anche di altri bambini, ma senza ricordarne i nomi.

Tra questi la Donati era riuscita a identificare la piccola Elisa Scotta, di 3 anni, con i capelli scuri e gli occhi leggermente allungati.

Ma il metodo che ha usato è abbastanza singolare. Sentite cosa ha dichiarato a processo:

“Dario durante un colloquio, aveva chiesto o a me o alla madre affidataria “ e i cinesi hanno la pelle gialla” : tale domanda l'aveva fatta mentre disegnava dei calciatori bambini. Ho collegato tutti questi fatti, e debbo ora riferire, che la piccola Elisa che io conosco, è una bambina dagli evidenti tratti somatici asiatici (la mamma è thailandese) ed ha la particolarità di avere gli occhi a mandorla e insieme verdi.”

Quindi è bastato che il bambino chiedesse se i cinesi avessero la pelle gialla, perché lei subito leggesse tra le righe di quella domanda innocua un riferimento alle altre vittime del network dei pedofili: la piccola Elisa dagli occhi a mandorla, che oltretutto difficilmente Dario poteva conoscere, dato che lei abitava a Mirandola, a 20 km da Massa Finalese.

L'abitudine della psicologa di cercare indizi su questa organizzazione criminale nei racconti, all'apparenza insignificanti, di un bambino di sette anni, compare anche in altre occasioni.

Dario veniva spesso accompagnato ai colloqui con la Donati dalla sua mamma affidataria, la signora Tonini, che era stata la prima a sospettare degli abusi commessi dal padre e dal fratello naturale.

La Tonini, questo traspare molto nei verbali, era una donna ansiosa, e osservava Dario 24 ore su 24, per captare qualsiasi suo segno di malessere. Era in rapporti molto stretti con la Donati, le raccontava tutto ciò che riguardava il bambino, e si confrontava con lei sulle domande da fargli.

Un giorno, sempre all'inizio di questa storia, Dario a casa le aveva raccontato che quando era con la sua famiglia naturale aveva partecipato a un funerale. La psicologa ne era subito stata informata.

Quando poi, durante un incontro, Dario le aveva rivelato la sua “paura di bruciare all'inferno”, la Donati aveva immediatamente messo insieme le due cose.

Ecco il suo verbale:

“Io gli ho chiesto se questa cosa aveva collegamenti con un suo vecchio racconto fattomi, secondo cui Dario era stato accompagnato ad un funerale, durante il quale aveva visto una donna portare una cassa e lui si era molto spaventato. Dario ha risposto: “hai proprio ragione tu”.

La storia dei riti satanici della Bassa Modenese parte tutta da qui.

Un bambino di 7 anni che racconta le proprie paure e una psicologa che gli chiede se per caso abbiano a che fare con un funerale.

E chi era il capo della ‘banda dei diavoli'? Dario l'aveva detto: era ‘Giorgio il sindaco', che però forse era un medico. E questo medico secondo il bambino aveva una tunica.

Ma sei sicuro che non fosse un prete? “Eh già” aveva risposto Dario. Da qui ad arrivare a Don Giorgio Govoni la strada è breve.

Dario però inizialmente dice di non conoscerlo, ma qualche tempo dopo cambia versione e lo accusa. Farà lo stesso con altre persone: prima non sa chi siano, oppure non conosce il loro nome, oppure le confonde con altri. Poi all'improvviso nella sua testa tutto diventa estremamente chiaro.

La maggior parte dei bambini coinvolti si comporterà in questo modo: prima diranno di non sapere, o di non ricordare, e poi, come per magia, ecco i volti e i nomi di persone che si troveranno la polizia in casa.

L'esempio più significativo di questo meccanismo è quello di una bambina che parla del capo della setta.

E' la piccola che abbiamo sentito durante il sopralluogo al cimitero di Finale. In macchina con lei, lo ricordiamo, ci sono il PM Andrea Claudiani e Valeria Donati. Alla bambina viene chiesto chi fossero gli adulti presenti ai riti, e lei parla dei genitori. Ma non erano i soli. Con loro c'era un prete. Fate molta attenzione a quello che sta per dire:

Live cassetta

Live bambina: Giulio… Don Giulio... Live Claudiani: Chi?

Live poliziotto: Gio...

Live bambina: Ehhh… Don… aspetta… Don Giorgio!

Se non vi è chiaro, vi leggo la trascrizione della conversazione. La bambina prima dice “Giulio”, poi specifica “Don Giulio”.

“Chi?” le chiede Claudiani.

E subito una voce la corregge: “Gio…” La piccola esita, e poi…

Live bambina: Ehhh… Don… aspetta… Don Giorgio!

Non era la prima volta che lo chiamava Giulio. Perché correggerla?

E che cosa scopre la polizia quando va a casa di Don Giorgio? Gli stivaletti di cui parlavano i bambini. Peccato che fossero di ben due misure più piccoli rispetto al piede del prete, che era solito raccogliere vestiti e scarpe per i poveri della comunità.

Però trovano anche un computer con una cronologia ambigua. Tre parole cercate in momenti differenti: ‘bimba', ‘hard', ‘amici dei bambini'.

La perizia richiesta dal PM Claudiani, però, dimostra che non sono legate alla pedopornografia.

‘Hard', per esempio, poteva voler dire anche solo “Hard Disk”.

‘Amici dei Bambini' non è un parola chiave per collegarsi ad un sito clandestino di pedofilia, ma il nome per esteso dell'Ai.Bi., un'associazione che si occupa di adozioni dal 1983.

E il famoso bar malfamato della zona in cui Don Giorgio si incontrava con le prostitute? Il gestore dichiarerà di non averlo mai visto.

Vi potremmo citare altre decine di contraddizioni simili che abbiamo trovato in questa storia.

Le testimonianze dei bambini sono piene di versioni contrastanti, ripensamenti, e resoconti che sfidano ogni logica.

Rituali satanici fatti di pomeriggio, anzi no, di notte.

Abusi commessi in luoghi affollati, che nessuno però ha mai visto.

Live fratello Lorena: Io prelevavo mia nipote all'uscita della scuola, la violentavo con una frasca lunga un metro, poi ritornavo a Finale Emilia sul posto di lavoro e riprendevo il lavoro normalmente. Praticamente avrei fatto 160 km in 42 minuti.

E che dire dei video pedopornografici mai trovati, e dei cadaveri di decine di persone mai nemmeno scomparse?

Chiara Brillanti:

Live Brillanti: Questi psicologi non conoscevano la dinamica della mente. Parliamo di giovanissimi psicologi appena laureati, non ancora specializzati, che non avevano tecniche di interviste né giuridiche, né cliniche, che hanno interpretato personalisticamente, in termini personali gli avvenimenti.

La spiegazione che lei dà a quei racconti è totalmente diversa:

Live Brillanti: Allontanare un bambino dalla famiglia in modo traumatico, e dicendo a lui “i tuoi genitori fanno delle brutte cose”, significa mettere in testa ai bambini che i genitori fanno delle brutte cose. Non si doveva pensare che quello che raccontavano i bambini fosse la verità.

Abbiamo cercato le due dottoresse che compaiono nei video, la dottoressa Roccia e la dottoressa Farci.

Live Farci: Io non rilascio dichiarazioni... perché la materia è assolutamente delicata… Se lei mi vuole mandare una richiesta scritta le lascio la mia mail e io nel frattempo valuterò...

Questa era la dottoressa Farci, le abbiamo mandato una mail ma ha ribadito che non vuole parlarne.

Live Pablo: Buongiorno parlo con la dottoressa Roccia? Live Roccia: Sì sono io, buongiorno.

Live Pablo: Buongiorno dottoressa, sono Pablo Trincia...

Le spieghiamo perché la stiamo chiamando.

Live Roccia: No guardi, io di parlare di quella storia lì non ne ho voglia, perché sono stata denunciata, ho avuto interrogazioni parlamentari, sinceramente sono proprio stufa di quella storia. Perciò se lei vuole

scrivere delle cose negative su di me o dirle, le può dire, cioè tanto ne hanno dette tante, una in più o una in meno, mi cambia poco.

La Roccia si riferisce al fatto che mentre svolgeva le consulenze per il tribunale di Modena, era stata denunciata per esercizio abusivo della professione, perché non ancora registrata all'albo degli psicologi. Lei nega categoricamente che fosse vero. Ma molte delle audizioni e degli incidenti probatori in nostro possesso sono stati girati mesi prima della sua iscrizione, avvenuta il 12 maggio 1999.

Tre anni prima, inoltre, la dottoressa Roccia era stata coinvolta in un caso molto controverso, in cui 4 adulti di una stessa famiglia di Biella si erano suicidati per le accuse di abusi fatte da due cuginetti. Uno dei piccoli, dopo diversi colloqui, aveva raccontato di una botola segreta sotto il letto dei genitori che portava in una stanza degli orrori. Né la botola, né la stanza degli orrori sono mai esistiti.


Episodio 6 - Trappola per topi (2) Episode 6 - Mausefalle (2) Episode 6 - Mousetrap (2) Episodio 6 - Ratonera (2) Épisode 6 - La souricière (2) 第6話「ネズミ捕り」 (2) Aflevering 6 - Muizenval (2) Episódio 6 - Mousetrap (2)

“Va bene quello che ho detto?”

Il bambino sta cercando l'approvazione della psicologa, come se qualcuno gli avesse insegnato una lezione da ripetere.

Il grosso sospetto di molti è che questi eventi drammatici non solo non siano mai accaduti, ma che siano state proprio le psicologhe a introdurre per prime i racconti degli abusi e dei cimiteri.

I bambini, dopo mesi, se ne sono convinti, e hanno dato alle dottoresse quello che loro si aspettavano.

__Live Mazzoni: Diventa alla fine, il resoconto del bambino, una sorta di calderone in cui c'è di tutto e di più, dalle cose più astratte e bizzarre alle cose più favolose, alcuni elementi veri. Ma a quel punto ripulirli da tutto il ciarpame che è stato creato da modalità investigative inadeguate, diventa impossibile.__

__Live Zappalà: Perché poi il processo non si fa su quello che è successo, ma su quello che si dice sia successo.__

Il meccanismo qui è stato: ho un sospetto, ti porto via il figlio anche se non ha mai detto nulla, gli faccio capire che c'è un pericolo, insisto finché lui non comincia a ricordare, e alla fine ti accuserà. E non vorrà più tornare da te.

Gli avvocati delle famiglie e delle altre persone accusate hanno insistito moltissimo su questa manipolazione.

Questo è l'avvocato Marco Ferraresi:

__Live avv. Ferraresi: I bambini venivano invitati a dire di più perché poi sarebbero stati meglio: “Tu dì quello che sai, liberati, e vedrai che alla fine starai meglio”. E li si ascoltava con questa attenzione… Era proprio questo che si attendeva da loro, che dicessero delle cose.__

E infatti i bambini erano dei fiumi in piena, continuavano a parlare, aggiungevano accuse su accuse, tanto che difendere i genitori diventava praticamente impossibile.

__Live avv. Micai: Cioè questo ha inquinato in maniera irreparabile questo processo__

Lei è Patrizia Micai, l'avvocato che ha difeso Lorena e la famiglia Giacco.

__Live avv. Micai: Questo è un processo diabolico, dovevi portare la prova diabolica, cioè dovevi portare la prova che tu non l'avevi fatto.__

Io sono innocente, sei tu che devi provare che io sono colpevole. Perché in questo processo è esattamente il contrario? La prova diabolica, devo provare che non l'ho fatto… sfido chiunque!

Quello che ci ha lasciati molto perplessi, è che i bambini di queste famiglie siano stati allontanati senza che nemmeno gli inquirenti fossero sicuri della minaccia da cui avrebbero dovuto difenderli. Lo spiega bene questa bambina interrogata dal giudice Alberto Ziroldi.

__Live video__

__Live bambina: Subito mi han detto “sei protetta, adesso dobbiamo capire bene da che cosa” perché io non avevo ancora raccontato.__

__Live giudice: Ecco... tu ti sei chiesta “ma da chi devo essere protetta?” “perché devo essere protetta?” Te lo sei chiesto? L'hai chiesto a qualcuno?__

__Live bambina: Me lo chiedevo tra me, ma cioè è come se io non riuscissi a trovare la risposta.__

L'abbiamo iniziato a capire io e la Valeria quando (Live giudice: Tu e la Valeria?) ho iniziato a raccontare

“L'abbiamo iniziato a capire io e la Valeria quando ho iniziato a raccontare”. La “Valeria” di cui parla è ancora una volta Valeria Donati, la prima ad aver avuto il sospetto che Dario - e poi tutti gli altri bambini - fossero stati abusati.

Ma quale metodo ha usato la dottoressa Donati per aiutare i bambini a ricordare? Se lo sono chiesto in molti.

La dottoressa Donati era sempre tra le prime a parlare con i bambini, ma dei suoi colloqui, fondamentali per capire come dal nulla si fosse arrivati a quei racconti, non c'è nessun video, e nessuna trascrizione.

I VHS che abbiamo sentito finora sono stati registrati mesi dopo, da altre psicologhe, chiamate dai giudici del Tribunale quando il processo era già iniziato.

E quando ormai, dicono i genitori e i loro avvocati, la manipolazione era già avvenuta.

Però quei primissimi colloqui, che nessuno ha potuto ascoltare, li ha descritti la stessa Donati, nel corso delle sue testimonianze.

Vi abbiamo già detto di come tutto sia partito da Dario, il nostro bambino zero, che inizialmente aveva parlato anche di altri bambini, ma senza ricordarne i nomi.

Tra questi la Donati era riuscita a identificare la piccola Elisa Scotta, di 3 anni, con i capelli scuri e gli occhi leggermente allungati.

Ma il metodo che ha usato è abbastanza singolare. Sentite cosa ha dichiarato a processo:

“Dario durante un colloquio, aveva chiesto o a me o alla madre affidataria “ e i cinesi hanno la pelle gialla” : tale domanda l'aveva fatta mentre disegnava dei calciatori bambini. Ho collegato tutti questi fatti, e debbo ora riferire, che la piccola Elisa che io conosco, è una bambina dagli evidenti tratti somatici asiatici (la mamma è thailandese) ed ha la particolarità di avere gli occhi a mandorla e insieme verdi.”

Quindi è bastato che il bambino chiedesse se i cinesi avessero la pelle gialla, perché lei subito leggesse tra le righe di quella domanda innocua un riferimento alle altre vittime del network dei pedofili: la piccola Elisa dagli occhi a mandorla, che oltretutto difficilmente Dario poteva conoscere, dato che lei abitava a Mirandola, a 20 km da Massa Finalese.

L'abitudine della psicologa di cercare indizi su questa organizzazione criminale nei racconti, all'apparenza insignificanti, di un bambino di sette anni, compare anche in altre occasioni.

Dario veniva spesso accompagnato ai colloqui con la Donati dalla sua mamma affidataria, la signora Tonini, che era stata la prima a sospettare degli abusi commessi dal padre e dal fratello naturale.

La Tonini, questo traspare molto nei verbali, era una donna ansiosa, e osservava Dario 24 ore su 24, per captare qualsiasi suo segno di malessere. Era in rapporti molto stretti con la Donati, le raccontava tutto ciò che riguardava il bambino, e si confrontava con lei sulle domande da fargli.

Un giorno, sempre all'inizio di questa storia, Dario a casa le aveva raccontato che quando era con la sua famiglia naturale aveva partecipato a un funerale. La psicologa ne era subito stata informata.

Quando poi, durante un incontro, Dario le aveva rivelato la sua “paura di bruciare all'inferno”, la Donati aveva immediatamente messo insieme le due cose.

Ecco il suo verbale:

“Io gli ho chiesto se questa cosa aveva collegamenti con un suo vecchio racconto fattomi, secondo cui Dario era stato accompagnato ad un funerale, durante il quale aveva visto una donna portare una cassa e lui si era molto spaventato. Dario ha risposto: “hai proprio ragione tu”.

La storia dei riti satanici della Bassa Modenese parte tutta da qui.

Un bambino di 7 anni che racconta le proprie paure e una psicologa che gli chiede se per caso abbiano a che fare con un funerale.

E chi era il capo della ‘banda dei diavoli'? Dario l'aveva detto: era ‘Giorgio il sindaco', che però forse era un medico. E questo medico secondo il bambino aveva una tunica.

Ma sei sicuro che non fosse un prete? “Eh già” aveva risposto Dario. Da qui ad arrivare a Don Giorgio Govoni la strada è breve.

Dario però inizialmente dice di non conoscerlo, ma qualche tempo dopo cambia versione e lo accusa. Farà lo stesso con altre persone: prima non sa chi siano, oppure non conosce il loro nome, oppure le confonde con altri. Poi all'improvviso nella sua testa tutto diventa estremamente chiaro.

La maggior parte dei bambini coinvolti si comporterà in questo modo: prima diranno di non sapere, o di non ricordare, e poi, come per magia, ecco i volti e i nomi di persone che si troveranno la polizia in casa.

L'esempio più significativo di questo meccanismo è quello di una bambina che parla del capo della setta.

E' la piccola che abbiamo sentito durante il sopralluogo al cimitero di Finale. In macchina con lei, lo ricordiamo, ci sono il PM Andrea Claudiani e Valeria Donati. Alla bambina viene chiesto chi fossero gli adulti presenti ai riti, e lei parla dei genitori. Ma non erano i soli. Con loro c'era un prete. Fate molta attenzione a quello che sta per dire:

__Live cassetta__

__Live bambina: Giulio… Don Giulio... Live Claudiani: Chi?__

__Live poliziotto: Gio...__

__Live bambina: Ehhh… Don… aspetta… Don Giorgio!__

Se non vi è chiaro, vi leggo la trascrizione della conversazione. La bambina prima dice “Giulio”, poi specifica “Don Giulio”__.__

“Chi?” le chiede Claudiani.

E subito una voce la corregge: “Gio…” La piccola esita, e poi…

__Live bambina: Ehhh… Don… aspetta… Don Giorgio!__

Non era la prima volta che lo chiamava Giulio. Perché correggerla?

E che cosa scopre la polizia quando va a casa di Don Giorgio? Gli stivaletti di cui parlavano i bambini. Peccato che fossero di ben due misure più piccoli rispetto al piede del prete, che era solito raccogliere vestiti e scarpe per i poveri della comunità.

Però trovano anche un computer con una cronologia ambigua. Tre parole cercate in momenti differenti: ‘bimba', ‘hard', ‘amici dei bambini'.

La perizia richiesta dal PM Claudiani, però, dimostra che non sono legate alla pedopornografia.

‘Hard', per esempio, poteva voler dire anche solo “Hard Disk”.

‘Amici dei Bambini' non è un parola chiave per collegarsi ad un sito clandestino di pedofilia, ma il nome per esteso dell'Ai.Bi., un'associazione che si occupa di adozioni dal 1983.

E il famoso bar malfamato della zona in cui Don Giorgio si incontrava con le prostitute? Il gestore dichiarerà di non averlo mai visto.

Vi potremmo citare altre decine di contraddizioni simili che abbiamo trovato in questa storia.

Le testimonianze dei bambini sono piene di versioni contrastanti, ripensamenti, e resoconti che sfidano ogni logica.

Rituali satanici fatti di pomeriggio, anzi no, di notte.

Abusi commessi in luoghi affollati, che nessuno però ha mai visto. Abuses committed in crowded places, which no one ever saw, however.

Live fratello Lorena: Io prelevavo mia nipote all'uscita della scuola, la violentavo con una frasca lunga un metro, poi ritornavo a Finale Emilia sul posto di lavoro e riprendevo il lavoro normalmente. Praticamente avrei fatto 160 km in 42 minuti.

E che dire dei video pedopornografici mai trovati, e dei cadaveri di decine di persone mai nemmeno scomparse?

Chiara Brillanti:

__Live Brillanti: Questi psicologi non conoscevano la dinamica della mente. Parliamo di giovanissimi psicologi appena laureati, non ancora specializzati, che non avevano tecniche di interviste né giuridiche, né cliniche, che hanno interpretato personalisticamente, in termini personali gli avvenimenti.__

La spiegazione che lei dà a quei racconti è totalmente diversa:

__Live Brillanti: Allontanare un bambino dalla famiglia in modo traumatico, e dicendo a lui “i tuoi genitori fanno delle brutte cose”, significa mettere in testa ai bambini che i genitori fanno delle brutte cose. Non si doveva pensare che quello che raccontavano i bambini fosse la verità.__

Abbiamo cercato le due dottoresse che compaiono nei video, la dottoressa Roccia e la dottoressa Farci.

__Live Farci: Io non rilascio dichiarazioni... perché la materia è assolutamente delicata… Se lei mi vuole mandare una richiesta scritta le lascio la mia mail e io nel frattempo valuterò...__

Questa era la dottoressa Farci, le abbiamo mandato una mail ma ha ribadito che non vuole parlarne.

__Live Pablo: Buongiorno parlo con la dottoressa Roccia? Live Roccia: Sì sono io, buongiorno.__

__Live Pablo: Buongiorno dottoressa, sono Pablo Trincia...__

Le spieghiamo perché la stiamo chiamando.

__Live Roccia: No guardi, io di parlare di quella storia lì non ne ho voglia, perché sono stata denunciata, ho avuto interrogazioni parlamentari, sinceramente sono proprio stufa di quella storia. Perciò se lei vuole__

scrivere delle cose negative su di me o dirle, le può dire, cioè tanto ne hanno dette tante, una in più o una in meno, mi cambia poco.

La Roccia si riferisce al fatto che mentre svolgeva le consulenze per il tribunale di Modena, era stata denunciata per esercizio abusivo della professione, perché non ancora registrata all'albo degli psicologi. Lei nega categoricamente che fosse vero. Ma molte delle audizioni e degli incidenti probatori in nostro possesso sono stati girati mesi prima della sua iscrizione, avvenuta il 12 maggio 1999.

Tre anni prima, inoltre, la dottoressa Roccia era stata coinvolta in un caso molto controverso, in cui 4 adulti di una stessa famiglia di Biella si erano suicidati per le accuse di abusi fatte da due cuginetti. Uno dei piccoli, dopo diversi colloqui, aveva raccontato di una botola segreta sotto il letto dei genitori che portava in una stanza degli orrori. Né la botola, né la stanza degli orrori sono mai esistiti.