Solo di fronte a se stesso
È giunto il momento di capire un po' meglio che genere di arte marziale avesse in mente e praticasse Bruce Lee. L'approccio filosofico di Bruce al kung fu era predominante, specie se paragonato agli altri maestri presenti in America, ma questo non significa che non si allenasse in una maniera quasi insostenibile per la gran parte della gente comune.
La sua disciplina rasentava il masochismo, ed era stata capace di costruire un fisico perfetto sebbene da adolescente Bruce fosse stato un ragazzo molto magro, anzi non addirittura rachitico. 170 centimetri di altezza per 61 chilogrammi di peso, praticamente di sola massa magra, un corpo che suscitava entusiasmo in chiunque lo vedesse (e stiamo parlando anche di gente come Arnold Schwarzenegger e Chuck Norris, non esattamente dei dilettanti), un fisico che sembrava – per dirla con le parole di una sua fan – fatto di “marmo caldo”. Tutto in lui era perfetta sostanza: possedeva solo la forza necessaria, non c'era un solo grammo di muscolo che fosse superfluo o pompato unicamente per far bella mostra di sé o che non fosse pienamente funzionale. Il suo approccio alla cultura fisica era scientifico, metodico, e si basava da un lato su una ricerca molto seria in merito alla fisiologia umana, dall'altro su una sorta di folle ispirazione, per cui tra i doveri di un essere umano c'è quello di tentare costantemente di superare i propri limiti.
Per aumentare la propria forza Bruce utilizzava esercizi con i pesi oppure esercizi isometrici. È molto probabile che sia stata la conoscenza di Allen Joe, uno dei suoi migliori allievi e amico entusiasta, a introdurlo all'uso sistematico dei pesi, dal momento che Joe praticava il culturismo da anni.
Bruce faceva largo uso di manubri e bilancieri, e anche di macchine progettate personalmente e costruite da George Lee, un suo grande amico e allievo (ma non un parente, a dispetto del nome), che realizzò gran parte delle attrezzature necessarie per l'allenamento, compresi degli splendidi “uomini di legno” fatti su misura e pannelli portatili su cui assestare i potentissimi calci e pugni.
George Lee aveva anche un notevole talento artistico, e lo aiutò a realizzare manifesti, locandine e rappresentazioni grafiche del suo credo filosofico, che vennero utilizzati come arredamento per i suoi dojo. Dal momento che Lee era fanatico anche del rafforzamento delle estremità, specialmente delle dita, George gli realizzò appositamente un recipiente in argento – decorato esternamente, neanche a dirlo, da un superbo drago – in cui venivano messi legumi secchi o sabbia, utili per rendere le mani forti e resistenti.
Bruce però aveva moltissime cose da fare e ci teneva a ottimizzare i tempi. Così, oltre a compiere a volte esercizi mentre leggeva o mangiava o guidava l'auto, dedicava all'incremento specifico della forza con i pesi non più di 30 minuti a seduta, per tre sedute alla settimana in media, in modo da avere dei tempi di recupero accettabili. Gli esercizi isometrici duravano invece soltanto pochi minuti, in genere meno di cinque.
Alla base del suo allenamento vi era il principio di progresso e di crescita, sempre. Non migliorare era qualcosa di inammissibile. Ma questa forza sempre crescente, a volte esibita in esercizi in pubblico, non era il punto d'arrivo. Essa veniva concepita infatti in funzione della velocità, cioè dando come risultato finale la potenza. La potenza è data in fisica proprio dal prodotto di forza per velocità. Il suo corpo era potenza pura e, come riferisce Chuck Norris, Bruce era in relazione al suo peso uno degli uomini più forti al mondo.
Tutto, in questa corsa spietata per costruire se stesso, veniva registrato e annotato. I miglioramenti trovavano posto nel suo taccuino in termini di cifre che parlano da sole. Dal 27 maggio al 10 luglio 1965 (cioè in 44 giorni di allenamento intenso, realizzato però in sole 14 sedute), Bruce aveva ristretto il girovita di 1,2 centimetri, aumentato la circonferenza delle cosce di 3,5 centimetri e allargato il torace allo stato di rilassamento di ben 6,3 centimetri.
Se inizialmente gli esercizi erano numerosi, poco a poco Bruce applicò il principio di economia che ispirava i fondamenti del suo nuovo modo di intendere il kung fu anche all'allenamento. Arrivò a dedicare ai pesi non più di 20 minuti a seduta, per tre sedute settimanali, in modo da dare la possibilità al suo corpo di riposare e di crescere adeguatamente. Si trattava sostanzialmente di esercizi complessi, che mobilitavano molte articolazioni e masse muscolari, come lo squat, il pull over con il bilanciere o il good morning, eseguiti sempre in 2 serie da 6 o 8 ripetizioni, concentrandosi al massimo livello su ogni ripetizione.
Quello con i pesi era solo una piccola parte (almeno in termini di tempo) dell'allenamento complessivo, in cui trovavano ampio spazio l'allenamento cardiovascolare e lo stretching, oltre naturalmente agli esercizi specifici del kung fu. Il suo era uno stato di “allenamento continuo”, e alla fine degli anni Sessanta non era improbabile vederlo stirarsi o compiere esercizi persino sul set, nelle pause tra un ciak e l'altro.
In fatto di cultura fisica le osservazioni di Bruce Lee sono sempre taglienti, per esempio quando rileva che c'è un'enorme differenza tra l'esercizio fisico praticato in Oriente e la “cultura del corpo” occidentale. In Cina, per esempio, gli esercizi sono governati da un ritmo interiore, mentre in Occidente l'attività fisica è correlata allo sforzo, alla tensione e a un dinamismo che tende all'esasperazione. Il primo modo di approcciarsi rispecchia la natura, seguendone le leggi supreme, il secondo tende a dominare la natura, corpo compreso. Infine per i cinesi praticare esercizio fisico è un modo per disciplinare la mente e il corpo, mentre in Occidente uno sport è tendenzialmente solo uno sport, privo di correlati filosofici, mentali, spirituali. Mi sento ancora oggi di sottoscrivere interamente queste affermazioni: l'Occidente in quarant'anni è cambiato pochissimo.
Anche l'alimentazione svolgeva un ruolo fondamentale. In genere Bruce non beveva alcolici, non fumava e assumeva meno farmaci possibile. Integrava l'alimentazione, preferibilmente di tipo cinese tradizionale, con vitamine e soprattutto proteine assunte per mezzo dei famosi “beveroni” che lui stesso si preparava. La ricetta prevedeva latte in polvere, uova intere con i gusci, burro di arachidi, lecitina, banane e altro.
In casa Lee il frullatore non smetteva mai di funzionare, e produceva succhi di frutta e di verdure a ritmo costante. Bruce non beveva caffè, ma abbondava con il tè, che naturalmente è la bevanda cinese per eccellenza. Inoltre conosceva piuttosto bene l'uso di erbe e medicamenti tradizionali dell'Oriente. Pappa reale e ginseng contribuivano alla sua spettacolare forma, specie prima degli incontri.
Forte di questa “batteria” di strategie e metodi, di tentativi e sperimentazioni, Bruce Lee costruiva, insieme al proprio fisico statuario, una forza di volontà che pochi altri hanno mai avuto. Il segreto di tanta forza ci viene rivelato da una sua lettera, spedita nel 1962: “Sono solo me stesso, perché nella mia mente non c'è né dubbio né paura”.
Egli ambiva a essere come l'acqua, l'elemento più fluido e flessibile che esista, e allo stesso tempo il solo capace di penetrare nelle cose più dure. “L'acqua è incorporea, capace di entrare ovunque, persino dove non c'è spazio. La sua rarefazione naturale la rende impossibile da afferrare con la mano. Chiunque voglia colpirla non le inferirà alcun danno. Il pugnale non la ferisce.”
Bruce era convinto inoltre che la massima abilità avesse modo di agire ed esprimersi solo a livello subconscio, e che allenarsi a questi ritmi frenetici fosse il solo modo per “liberarsi del corpo e del sé”, e attingere alle energie più recondite e potenti.
Liberarsi del sé, cioè della maschera che tutti noi scambiamo grossolanamente per noi stessi, era dunque il suo obiettivo. Quiete, purezza, bellezza, vuoto sono alcune tra le parole più ricorrenti nelle sue lettere e nei suoi appunti personali.
Vi era una tale sincerità di approccio in tutto quanto compiva che, specialmente se si trattava di allenamento, egli si trovava ogni volta solo di fronte a se stesso: una condizione di onestà ideale cui dovremmo tutti guardare con rispetto e ammirazione.
La splendente forma fisica di Bruce e la sua attenzione meticolosa per l'allenamento non gli impedirono tuttavia di riportare numerosi infortuni. La schiena lo tormentava, e nel 1970, in aprile, ebbe problemi così gravi da non riuscire quasi a lavorare. Questo costrinse la moglie Linda a trovare un lavoro serale, cosa che gettò Bruce nel più puro sconforto. Eppure, in una sua lettera proprio di quel periodo leggiamo: “Mai sprecare energia in preoccupazioni e pensieri negativi. Pensa, chi fa un lavoro più precario del mio? Cosa ho per vivere? È grazie alla fiducia nelle mie capacità che posso andare avanti. Certo la schiena ha mandato all'aria i progetti di un intero anno, ma insieme a ogni avversità giunge una benedizione, perché un trauma si comporta come un ammonimento, dicendoci che non dobbiamo consumarci nell'abitudine. Osserva un temporale: appena se n'è andato, tutto comincia a crescere!”. Lettera firmata significativamente “Un praticante di arti marziali che ha la schiena bloccata, ma che ha scoperto un nuovo e potente calcio”.
Bruce aveva dovuto imparare a convivere con i problemi di schiena dal 1964, ma una mattina di agosto del 1970 accadde qualcosa di cruciale. Lee era alle prese con uno dei suoi esercizi preferiti, il good morning, consistente in un'estensione del tronco a gambe tese con un bilanciere che pesava 60 kg, e cioè il suo peso corporeo all'epoca. Benché fosse un atleta esperto – uno dei più esperti al mondo – non aveva effettuato un riscaldamento adeguato, e nel realizzare l'esercizio danneggiò il quarto nervo sacrale. Per alcuni giorni tentò di arginare il dolore con metodi fai-da-te, ma presto fu costretto a un consulto medico.
Il responso degli specialisti fu angosciante, perché decretò l'impossibilità di tornare a una forma fisica integra, e soprattutto di sferrare calci. Persino camminare senza ausili per la deambulazione sembrava una cosa molto difficile da realizzare. Cosa poteva accadergli di peggio? Per circa sei mesi Bruce fu costretto in una condizione di quasi totale immobilità, ma superato un primo iniziale sconforto, la disgrazia divenne occasione di rinascita.
Egli impiegò quel tempo per accrescere enormemente la sua cultura e la sua competenza filosofica e nel campo delle arti marziali. Aumentò ancora di più la consapevolezza interiore e la lucidità mentale. Arrivò persino a progettare un letto che riuscì ad alleviare buona parte del suo disagio.
Si può dire che quello fu il combattimento più duro che vinse e che fu veramente un trionfo. Quando riuscì a rimettersi in piedi aveva nuove energie, e soprattutto una coscienza nuova, mai così matura. Da quel momento, per girare le scene più acrobatiche fu costretto a utilizzare controfigure, ma la sua efficienza fisica tornò a livelli accettabili grazie alla sua leggendaria forza di carattere. Poteva ancora essere Bruce Lee, e riprendere il discorso interrotto.
In uno dei momenti di massimo sconforto Bruce aveva scritto alcuni versi, che poi aveva incorniciato e appeso a una parete del suo ufficio, affinché gli dessero conforto durante le difficoltà. Alcuni di questi versi recitavano: “Il successo comincia con la volontà dell'individuo /T utto dipende dallo stato mentale” e “Presto o tardi / Colui che vince è l'uomo / Che pensa di potercela fare”.
Il dolore e la sofferenza fecero di lui un artista marziale ancora migliore.
Anzi, una leggenda.