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Anna Karenina, Parte Terza: Capitolo XX

Parte Terza: Capitolo XX

La vita di Vronskij era così particolarmente serena perché egli si era fatto un codice di regole che definiva in modo sicuro quello che si doveva e quello che non si doveva fare.

Questo codice abbracciava una cerchia di casi molto limitata, ma in compenso queste norme erano sicure e Vronskij, non uscendo mai da quella cerchia, non aveva mai tentennamenti nelle sue azioni. Queste norme stabilivano in modo non dubbio che un baro lo si dovesse pagare, ma che non era necessario pagare il sarto; che non si dovesse mentire agli uomini, ma alle donne sì; che non si dovesse ingannare nessuno, ma che un marito lo si poteva ingannare senz'altro; che si dovessero perdonare le offese, ma che si poteva offendere, e via di seguito. Regole, queste, che potevano essere assurde, cattive, ma che erano sicure; adempiendole, Vronskij si sentiva tranquillo e poteva andare a testa alta. Negli ultimi tempi, però, in seguito alla sua relazione con Anna, Vronskij aveva cominciato a rendersi conto che il codice delle sue norme non contemplava proprio tutti i casi e che in futuro si sarebbero presentati dubbi e difficoltà nei quali egli già non trovava il filo conduttore. Gli attuali rapporti suoi con Anna e il marito erano per lui semplici e chiari.

Essi erano chiaramente ed esattamente definiti nel codice di regole dalle quali egli si faceva guidare. Ella era una donna per bene che gli aveva dato il proprio amore, ed egli l'amava, perciò ella era per lui una donna degna dello stesso, e anche maggiore, rispetto che una moglie legittima.

Si sarebbe fatto tagliare una mano prima di offenderla con una parola, con un'allusione, o di non mostrarle tutta la considerazione sulla quale può contare una donna. I rapporti con la società erano chiari anch'essi.

Tutti potevano sapere, sospettare, ma nessuno doveva osare di parlare della sua relazione. In caso contrario era pronto a far tacere quelli che avrebbero parlato e a far rispettare l'onore, non più esistente, della donna che egli amava. I rapporti col marito erano i più chiari di tutti.

Sin dal momento in cui Anna si era innamorata di lui, egli riteneva di avere su di lei, egli solo, un suo proprio diritto indiscutibile. Il marito era solo un personaggio superfluo e fastidioso. Senza dubbio ci faceva una figura pietosa, ma che farci? Un solo diritto aveva il marito: quello di pretendere soddisfazione con l'arma alla mano, e a questa eventualità Vronskij era stato pronto fin dal primo momento. Ma recentemente erano apparsi dei rapporti nuovi, intimi tra lui e lei, che avevano sconvolto Vronskij per la loro indeterminatezza.

Appena ieri, ella gli aveva detto di essere incinta. Ed egli aveva sentito che questa notizia e la risposta ch'ella si aspettava da lui esigevano qualcosa che non rientrava nel codice delle norme che dirigevano la sua vita. Infatti era stato preso alla sprovvista, e al primo momento, quando ella gli aveva detto la cosa, il cuore gli aveva suggerito di pretendere che lasciasse il marito. Lo aveva subito detto, ma ora, riflettendo, vedeva chiaro che sarebbe stato meglio farne a meno; e intanto, dicendosi questo, temeva che ciò fosse riprovevole. «Se ho detto di lasciare il marito, questo significa unirsi con me.

Sono io pronto a questo? Come la porterò via adesso, se non ho denari? Ammettiamo che a questo potrei provvedere.... ma come portarla via se sono tuttora in servizio? Ma se l'ho detto, è necessario che io sia pronto a farlo, debbo cioè avere del denaro e debbo dare le dimissioni». E rifletteva.

La questione di dare o no le dimissioni lo aveva portato a meditare su un altro suo intimo interesse, noto a lui solo, ma essenziale, anche se nascosto, per la sua vita. Il successo era una vecchia ambizione della sua infanzia e della sua giovinezza; sogno ch'egli non confessava neppure a se stesso, ma che era così forte che anche ora questa passione lottava col suo amore.

I suoi primi passi nella società e nella carriera erano stati fortunati, ma due anni addietro aveva commesso un grosso errore. Per dar prova della propria indipendenza e di voler progredire, aveva rifiutato una posizione offertagli, sperando che questo rifiuto potesse conferirgli maggior prestigio; accadde invece che fu giudicato troppo temerario, e fu lasciato stare; e ora, volente o nolente, acquistatasi questa fama di uomo libero, cercava di sostenerla, comportandosi con finezza e intelligenza, in modo da parere che non avesse rancore contro nessuno, che non si considerasse offeso da nessuno, e che volesse solo starsene in pace, perché contento di sé. Ma, in fondo, fin dall'anno scorso, quando era andato a Mosca, aveva cessato di esserlo. Sentiva che questa condizione di uomo indipendente, che può tutto e non vuole nulla, cominciava a diventar piatta; già molti cominciavano a pensare ch'egli non avrebbe potuto nulla, fuorché essere un onesto e bravo ragazzo. La sua relazione con la Karenina, che aveva fatto tanto scalpore, e che aveva attirato l'attenzione generale, dandogli nuovo prestigio, aveva calmato per un certo tempo in lui il tarlo dell'ambizione; ma da una settimana in qua questo tarlo s'era ridestato con rinnovata energia. Un amico d'infanzia, della stessa cerchia, dello stesso ambiente, e suo compagno al corpo dei paggi, Serpuchovskoj, licenziatosi con lui e suo rivale in classe e in ginnastica, in birbonate e in sogni ambiziosi, era tornato in quei giorni dall'Asia centrale, dopo aver ricevuto due promozioni e una ricompensa che era data di rado a generali così giovani. Appena giunto a Pietroburgo, si era parlato di lui come di un astro di prima grandezza che sorgeva.

Coetaneo di Vronskij e compagno suo di collegio, egli era generale e aspettava una nomina che poteva avere influenza sul corso degli affari di stato, mentre lui, Vronskij, sebbene indipendente e brillante e amato da una donna deliziosa, era un semplice capitano al quale si lasciava la libertà di essere indipendente quanto e come voleva. «S'intende, io non invidio e non posso invidiare Serpuchovskoj, ma il suo successo mi dimostra che basta aspettare il momento buono, e la carriera di un uomo come me può essere fatta ben presto. Tre anni fa egli era nella stessa condizione nella quale mi trovo io ora. Dando le dimissioni, brucerei le mie navi. Rimanendo in servizio non perdo nulla. Ella stessa ha detto che non vuole cambiare lo stato delle cose. E io che posseggo il suo amore, non posso invidiare Serpuchovskoj». E, arricciandosi con un movimento lento i baffi, si alzò dalla tavola e fece un giro per la stanza. I suoi occhi splendevano in modo particolarmente chiaro ed egli sentiva quella disposizione d'animo ferma, tranquilla e gioiosa che lo prendeva sempre quando aveva chiarito la propria posizione. Tutto era così netto e preciso come dopo i conti che aveva sistemato poco prima. Si rase la barba, s'immerse in un bagno freddo e uscì.


Parte Terza: Capitolo XX Part Three: Chapter XX Część trzecia: Rozdział XX

La vita di Vronskij era così particolarmente serena perché egli si era fatto un codice di regole che definiva in modo sicuro quello che si doveva e quello che non si doveva fare.

Questo codice abbracciava una cerchia di casi molto limitata, ma in compenso queste norme erano sicure e Vronskij, non uscendo mai da quella cerchia, non aveva mai tentennamenti nelle sue azioni. Queste norme stabilivano in modo non dubbio che un baro lo si dovesse pagare, ma che non era necessario pagare il sarto; che non si dovesse mentire agli uomini, ma alle donne sì; che non si dovesse ingannare nessuno, ma che un marito lo si poteva ingannare senz’altro; che si dovessero perdonare le offese, ma che si poteva offendere, e via di seguito. Regole, queste, che potevano essere assurde, cattive, ma che erano sicure; adempiendole, Vronskij si sentiva tranquillo e poteva andare a testa alta. Negli ultimi tempi, però, in seguito alla sua relazione con Anna, Vronskij aveva cominciato a rendersi conto che il codice delle sue norme non contemplava proprio tutti i casi e che in futuro si sarebbero presentati dubbi e difficoltà nei quali egli già non trovava il filo conduttore. Gli attuali rapporti suoi con Anna e il marito erano per lui semplici e chiari.

Essi erano chiaramente ed esattamente definiti nel codice di regole dalle quali egli si faceva guidare. Ella era una donna per bene che gli aveva dato il proprio amore, ed egli l’amava, perciò ella era per lui una donna degna dello stesso, e anche maggiore, rispetto che una moglie legittima.

Si sarebbe fatto tagliare una mano prima di offenderla con una parola, con un’allusione, o di non mostrarle tutta la considerazione sulla quale può contare una donna. I rapporti con la società erano chiari anch’essi.

Tutti potevano sapere, sospettare, ma nessuno doveva osare di parlare della sua relazione. In caso contrario era pronto a far tacere quelli che avrebbero parlato e a far rispettare l’onore, non più esistente, della donna che egli amava. I rapporti col marito erano i più chiari di tutti.

Sin dal momento in cui Anna si era innamorata di lui, egli riteneva di avere su di lei, egli solo, un suo proprio diritto indiscutibile. Il marito era solo un personaggio superfluo e fastidioso. Senza dubbio ci faceva una figura pietosa, ma che farci? Un solo diritto aveva il marito: quello di pretendere soddisfazione con l’arma alla mano, e a questa eventualità Vronskij era stato pronto fin dal primo momento. Ma recentemente erano apparsi dei rapporti nuovi, intimi tra lui e lei, che avevano sconvolto Vronskij per la loro indeterminatezza.

Appena ieri, ella gli aveva detto di essere incinta. Ed egli aveva sentito che questa notizia e la risposta ch’ella si aspettava da lui esigevano qualcosa che non rientrava nel codice delle norme che dirigevano la sua vita. Infatti era stato preso alla sprovvista, e al primo momento, quando ella gli aveva detto la cosa, il cuore gli aveva suggerito di pretendere che lasciasse il marito. Lo aveva subito detto, ma ora, riflettendo, vedeva chiaro che sarebbe stato meglio farne a meno; e intanto, dicendosi questo, temeva che ciò fosse riprovevole. «Se ho detto di lasciare il marito, questo significa unirsi con me.

Sono io pronto a questo? Come la porterò via adesso, se non ho denari? Ammettiamo che a questo potrei provvedere.... ma come portarla via se sono tuttora in servizio? Ma se l’ho detto, è necessario che io sia pronto a farlo, debbo cioè avere del denaro e debbo dare le dimissioni». E rifletteva.

La questione di dare o no le dimissioni lo aveva portato a meditare su un altro suo intimo interesse, noto a lui solo, ma essenziale, anche se nascosto, per la sua vita. Il successo era una vecchia ambizione della sua infanzia e della sua giovinezza; sogno ch’egli non confessava neppure a se stesso, ma che era così forte che anche ora questa passione lottava col suo amore.

I suoi primi passi nella società e nella carriera erano stati fortunati, ma due anni addietro aveva commesso un grosso errore. Per dar prova della propria indipendenza e di voler progredire, aveva rifiutato una posizione offertagli, sperando che questo rifiuto potesse conferirgli maggior prestigio; accadde invece che fu giudicato troppo temerario, e fu lasciato stare; e ora, volente o nolente, acquistatasi questa fama di uomo libero, cercava di sostenerla, comportandosi con finezza e intelligenza, in modo da parere che non avesse rancore contro nessuno, che non si considerasse offeso da nessuno, e che volesse solo starsene in pace, perché contento di sé. Ma, in fondo, fin dall’anno scorso, quando era andato a Mosca, aveva cessato di esserlo. Sentiva che questa condizione di uomo indipendente, che può tutto e non vuole nulla, cominciava a diventar piatta; già molti cominciavano a pensare ch’egli non avrebbe potuto nulla, fuorché essere un onesto e bravo ragazzo. La sua relazione con la Karenina, che aveva fatto tanto scalpore, e che aveva attirato l’attenzione generale, dandogli nuovo prestigio, aveva calmato per un certo tempo in lui il tarlo dell’ambizione; ma da una settimana in qua questo tarlo s’era ridestato con rinnovata energia. Un amico d’infanzia, della stessa cerchia, dello stesso ambiente, e suo compagno al corpo dei paggi, Serpuchovskoj, licenziatosi con lui e suo rivale in classe e in ginnastica, in birbonate e in sogni ambiziosi, era tornato in quei giorni dall’Asia centrale, dopo aver ricevuto due promozioni e una ricompensa che era data di rado a generali così giovani. Appena giunto a Pietroburgo, si era parlato di lui come di un astro di prima grandezza che sorgeva.

Coetaneo di Vronskij e compagno suo di collegio, egli era generale e aspettava una nomina che poteva avere influenza sul corso degli affari di stato, mentre lui, Vronskij, sebbene indipendente e brillante e amato da una donna deliziosa, era un semplice capitano al quale si lasciava la libertà di essere indipendente quanto e come voleva. «S’intende, io non invidio e non posso invidiare Serpuchovskoj, ma il suo successo mi dimostra che basta aspettare il momento buono, e la carriera di un uomo come me può essere fatta ben presto. Tre anni fa egli era nella stessa condizione nella quale mi trovo io ora. Dando le dimissioni, brucerei le mie navi. Rimanendo in servizio non perdo nulla. Ella stessa ha detto che non vuole cambiare lo stato delle cose. E io che posseggo il suo amore, non posso invidiare Serpuchovskoj». E, arricciandosi con un movimento lento i baffi, si alzò dalla tavola e fece un giro per la stanza. I suoi occhi splendevano in modo particolarmente chiaro ed egli sentiva quella disposizione d’animo ferma, tranquilla e gioiosa che lo prendeva sempre quando aveva chiarito la propria posizione. Tutto era così netto e preciso come dopo i conti che aveva sistemato poco prima. Si rase la barba, s’immerse in un bagno freddo e uscì.