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Apologia di Socrate, Apologia 9 - 10

Apologia 9 - 10

IX.

Or da questi esami mi son nate molte inimicizie, o Ateniesi, e molto aspre e fierissime, dalle quali sono nate molte calunnie, fra l'altre questa: ch'ei mi chiamano sapiente. Imperocché ogni volta che argomento contro gli altri, mostrando che non sono sapienti, quelli che stanno lí credono che sapiente sia io. No, cittadini, quel che pare è questo: sapiente davvero essere Iddio, e volere Egli dire per quell'oracolo che la umana sapienza vale poco o nulla: ed è chiaro che non intende Socrate, e che usa del mio nome a fine di porre me a esempio, come se dicesse: - Colui tra voi, o uomini, è sapientissimo, il quale come Socrate conosciuto ha ch'ei non vale nulla in sapienza -. Onde anche ora vo guardando intorno, e cerco tra i cittadini e forestieri chi io creda essere sapiente; e, secondo l'Iddio, lo esamino; e se poi non mi pare tale, aiutando io l'Iddio, gli mostro che non è sapiente. E per questa occupazione non ho tempo di far cosa niuna degna che si dica, né per la città né per la casa, e sono in povertà grande, per servigio dell'Iddio. X.

Oltre a ciò, i giovani che s'accompagnano meco (e vengon da sé), figliuoli dei piú ricchi, che hanno gran tempo, udendo esaminar gli uomini, godono, e molte volte fra loro provano d'imitare me, e poi si mettono a esaminare gli altri. E sí che ne trovano in abbondanza, penso io, uomini che si credon sapere qualche cosa, sapendo poco o nulla. E ne viene che gli esaminati da loro se la pigliano con me; con loro, no: e dicono che ci è un certo Socrate, scelleratissimo uomo, che guasta i giovani. E se alcuno dimanda: - Per guastarli che fa? e che insegna? - non han da risponder nulla, ché non sanno; ma, per non parere impacciati, dicono quel che si è soliti a dire contro tutti i filosofi: che insegna le cose del cielo e le cose di sotto terra, e a non credere negl'Iddii, e a fare diritto il torto. Perocché la verità credo non la vorrebbero dire, che si sono palesati persone che presumono di sapere, non sapendo nulla. E siccome ambiziosi e furiosi, e molti, e concordemente e persuasivamente e da un pezzo diffamanti, sí di loro gravi calunnie vi ebbero riempiuti gli orecchi. Tra costoro Meleto mi si è levato contro, e Anito e Licone; Meleto in collera per ragion dei poeti; Anito, per gli artefici e i politici; e Licone, per gli oratori. Onde, come diceva dal principio, mi maraviglierei se questa calunnia, fattasi cosí molta, da voi potessi io dissipare in sí poco tempo. Ma la verità è questa, e ve la ho detta tutta, non nascondendo né scemando nulla; sebbene sono quasi certo che perciò mi odiano. Il che è prova ch'io dico vero, e ch'ella è una calunnia, e che la cagione della calunnia è questa. E cercate ora o poi, voi troverete che è cosí.

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