Apologia 3 - 4
III. Dunque ripigliamo da principio: che è l'accusa, dalla quale m'è nata la calunnia, e alla quale prestando fede scrisse la querela sua Meleto?
e che mai dicendo mi calunniarono i calunniatori? Via, essendo accusatori essi, la lor querela giurata conviene che la legga. Eccola: «Socrate fa rea opera, e temeraria, cercando le cose sotto terra e quelle su in cielo, e le piú deboli ragioni facendo piú forti, e questo insegnando agli altri». - Su per giú cosí ella dice, come avete veduto voi stessi, là, nella comedia di Aristofane: un Socrate sé girante per aria, e di camminare per aria gloriantesi, e predicante altre molte ciancie; delle quali non so nulla io né punto né poco: e non dico cosí come dispregiando questa cotal scienza, se mai alcuno l'avesse: oh non ci vorrebbe altro che da parte di Meleto mi tirassi addosso anche cotesta accusa. Ma, o Ateniesi, io non ne so nulla: e invoco a testimoni i piú di voi, e voglio che vi contiate l'un l'altro quanti mi avete mai udito ragionare, e ce n'è molti; vi contiate l'un l'altro se mi ha udito mai alcuno o poco o molto ragionare di cose simili: e conoscerete che il medesimo valore hanno le altre accuse, le quali contro me dicono. IV. Sí non ci è nulla di vero: e se avete mai udito che io mi provo a educare uomini e fo danari, né anche questo è vero.
Certo mi parrebbe bello se ci fosse alcuno, atto a educare uomini, come Gorgia il Leontino, o Prodico di Ceo, o Ippia di Elide: a ciascun dei quali, andando di città in città, vien fatto, o Ateniesi, di persuadere i giovani, che pur potrebbero conversare con qualunque volessero dei lor cittadini, e senza paga; persuaderli, lasciata la conversazione di quelli, a conversare con essi, dando danari e col cuore ringraziando. E ci è altro sapiente uomo, che so essere venuto qua fra noi, un di Paro. So questo perché è m'avvenne d'accostare un che con i sofisti ha speso danaro piú che tutti gli altri, Callia il figliuolo d'Ipponico. Lui che ha due figliuoli, interrogai io: - O Callia, se i tuoi due figliuoli fossero puledri o vitelli, non avremmo a prendere noi a paga un sovrastante, il quale, della virtú a loro convenevole, far li dovesse buoni e belli e sarebbe un cavallerizzo o un che s'intende di campi? Ma, dacché sono uomini, chi hai in mente di prender loro come sovrastante? Chi è intendente della virtú, della umana e civile? Credo che tu ci abbi pensato, dacché hai dè figliuoli. C'è alcuno, - dissi io, - o no? - Oh sí, - rispose. - Chi, - dimandai io, - e di dove è, e per insegnare quanto vuole? - Rispose: - Eveno, o Socrate; di Paro; cinque mine. - Beato Eveno, - diss'io, - s'egli ha questa virtú e sa insegnare cosí bene -. Mi glorierei anch'io ed inorgoglirei, se sapessi; ma io non so, Ateniesi.