Apologia 19 - 20
XIX.
Ma parrà strano che io dia consigli in privato andando attorno e affaccendandomi; e non ardisca montar su e in pubblico dare consigli alla città, in cospetto del popolo. La cagione l'avete da me udita molte volte: cioè, ch'ei m'avviene un che divino e demoniaco, come disse nella querela anche Meleto, pigliandosene gioco. Ed è una cotale voce, che, sino da fanciullo, sento io dentro. E tutte le volte che io la sento, mi svolge da quello che son per fare: sospingere, non sospinge mai. Ella mi si oppone che non metta mano nelle cose della città; e mi par che a ragione. Perché, Ateniesi, sappiate bene che se da un pezzo ci avessi messo mano, da un pezzo sarei morto, e non avrei niente giovato né a me né a voi. Non mi andate in collera, se dico il vero; ché uomo non si salva, chiunque sia, a voi o ad alcun'altra moltitudine generosamente contrastando e impedendo che cose ingiuste siano fatte nella città, e contrarie alle leggi; ed è necessità a chi combatte per la giustizia che non viva egli in pubblico, se pur vuole salvarsi per picciol tempo, ma sí privatamente. XX.
E di ciò vi arrecherò grandi prove io medesimo: parole no, ma sí ciò che apprezzate voi, fatti. Udite dunque quel che m'avvenne, acciocché sappiate che io né cederei a nessuno contro giustizia, per paura di morte, né se morire dovessi subitamente per non cedere. Vi dirò cose giudiziali; dolorose, ma vere. Io non ebbi mai, Ateniesi, alcun maestrato in città; sí fui un del Consiglio. E avvenne che quei della mia tribú Antiochide facessero da Pritani quando voi i dieci capitani che non recuperarono i naufraghi e i morti della battaglia navale voleste giudicare tutti insieme, contro legge, come, passando tempo, vi foste accorti voi medesimi. Allora io solo dei Pritani mi fui opposto a voi acciocché nulla fosse fatto contro le leggi; e votai contro. E già gli oratori lesti a interdirmi, menarmi in carcere; incorandoli, gridando voi: ma io pensai meglio mettermi in pericolo con la legge e con la giustizia, che con voi starmene deliberanti la ingiustizia, per paura di catene e di morte. E questo fu, reggentesi tuttavia la città a popolo. Venuta la oligarchia, un dí i Trenta, alla loro volta, mandarono chiamando certuni, e me, quinto, nella sala del Tolo; e comandarono che dovessimo menare via da Salamina Leonte il Salaminio, affinché morisse: e scelleratezze simili ne ordinaron molte e a molti, volendo quelli riempiere di colpe quanti piú potessero. E allora non a parole mostrai, ma sí a fatti (parrò rozzo), che non cale a me nulla della morte, proprio nulla; ma di non far cosa niuna ingiusta né empia, di questo mi cale bene assai. Perocché sí non mi spaventò quella signoria, contuttoché violenta, che cosa niuna ingiusta facessi: ché, usciti di quella sala, i quattro s'avviarono per Salamina e menarono Leonte; e io mi avviai a casa. E forse io era morto, se quella signoria non la cacciavan giú presto: e di questo che dico, eccovi molti testimoni.