Apologia 15 - 16
XV.
Guardate con me: ch'ei si contraddice cosí, è chiaro. Tu rispondi a noi, o Meleto: e voi ricordatevi di quello che vi ho pregato in principio, di non mi far rumore se io ragiono nel modo solito. - Ci è alcun uomo, o Meleto, il quale creda esserci cose umane sí, ma uomini no?... (che risponda, o Giudici, e non si dimeni, non ischiamazzi) - c'è alcuno che non creda esserci cavalli, e cose cavalline sí? che non creda esserci sonatori di flauto, e sonate di flauto sí?... Non c'è: o il piú buon uomo, se non vuoi rispondere tu, rispondo io a te e a questi altri. Ma a questo déi rispondere tu: c'è alcuno il quale creda esserci cose demoniache, e demoni no? - Non c'è. - Che bene mi hai fatto! che alla fine tu m'hai risposto un poco: ma sforzato. Ora tu affermi che io credo e insegno esserci demoniache cose, nuove o vecchie che siano? dunque a cose demoniache credo, secondo che di' tu; e giurato l'hai nella tua querela. Ma se io credo in cose demoniache è ben di necessità che io creda anche nei demoni: non è cosí?... Cosí; dacché non rispondi, suppongo che tu consenta. E i demoni non crediamo noi essere Iddii o figli d'Iddii? sí o no? - Eh sí! - Dunque se io credo in demoni come tu affermi, e se i demoni son cotali Iddii, ecco che dico io, tu fai un enimma, per fare il grazioso, affermando che negli Iddii io non ci credo e ci credo. E se poi i demoni son cotai figli spurii d'Iddii, partoriti o da ninfe o da altre che dicono, qual uomo crederebbe esserci figli d'Iddii, e Iddii no? sarebbe tal strana cosa, quale se alcun credesse esserci figli di cavalli e di asini, i muli, e non credesse esserci cavalli e asini. Ma, o Meleto, una delle due: o m'hai scritto l'accusa per pigliarti giuoco di me e mettermi a prova, o per non trovar niuna vera colpa che tu imputare mi potessi; ma che ti venga fatto di persuadere alcuno, anche se di piccola mente, che uno medesimo creda esserci cose demoniache e divine, e demoni e Iddii ed eroi no, non ci è modo né verso. XVI.
Ma, o Ateniesi, che non sono io reo di quello che mi accusa Meleto di molta difesa mi pare che non ci sia alcun bisogno; queste ragioni bastano. Ma ciò che detto ho dianzi, che io mi sono tirato addosso molto odio e di molti, sapete che è vero. E quest'odio mi perderà, se pur mi può perdere: non Meleto né Anito, sí quest'odio o invidia che perdette e, credo, perderà altri molti e buoni uomini; perché non è a temere per nulla, che in me si arresti. Dirà alcuno: - Non ti vergogni, Socrate, che a tale esercitazione ti sei dato, per la quale stai nel pericolo, presentemente, di morire? - Ma io giustamente risponderei a lui: - Tu non di' bene, o uomo, se credi che uno, valendo pur poco, abbia a ragionare il pericolo della vita o la morte, quando fa alcuna cosa; e non considerare solo se cosa giusta fa o ingiusta, se opera fa di buono o di malvagio uomo. Se no tutti da poco, secondo il tuo discorso, sarebbero quei Semidei morti a Troia; tra gli altri il figlio di Tetide, il quale tanto sprezzò il pericolo per non sostenere vergogna, che, a lui deliberato di uccidere Ettore, dicendo cosí, come penso io, la madre ch'era Dea: «Se tu, o figliuolo, vendicherai la morte di Patroclo, il tuo amico, e ucciderai Ettore, morirai; Dopo quello d'Ettor pronto è il tuo fato»; egli, a udire questo, facendo picciol conto della morte e del pericolo, e temendo la vile vita se gli amici non vendicava, cosí rispose: «Muoia pure io tosto dopo data la pena al reo, acciocché io qua non rimanga a ludibrio presso alle curve navi, peso alla terra». O credi che siasi angustiato per la morte o il pericolo? - In verità è cosí, o Ateniesi: dove si pone alcuno da sé medesimo, giudicando essere il suo meglio; o dove posto è da colui che comanda; ivi, ancoraché in pericolo, deve stare; non badando niente né a morte né a null'altro, ma sí alla vergogna.