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Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 9 (VII)

9 (VII)

"Che brutta giornata" pensò Leo avviandosi a sua volta; "che stupida giornata." Ora pioveva con tranquillità dal cielo alto, il giardino era già tutto bagnato, il fruscio umido e ininterrotto dell'acqua aboliva ogni altro rumore. Leo se ne andava malcontento; non soltanto la festa di Carla gli era costata tra fiori e regalo un mezzo migliaio di lire, ma anche, in grazia di quel vino traditore, l'avventura era finita in un modo non si sapeva se più ridicolo o più disgustoso: "Carla non desidera altro" pensava rabbiosamente: "non c'era neppure bisogno di ubriacarla... ora invece tutto è da ricominciare." Fu soltanto quando si trovò in strada e guardò da che parte dovesse dirigersi che si ricordò che Lisa, la sera avanti l'aveva invitato ad andare quel giorno in casa sua.

Dapprima l'idea di tornare dall'antica amante gli parve assurda; non gli piaceva di rifare le strade già percorse, quella visita gli pareva una "minestra riscaldata"; ma d'altra parte la libidine che Carla gli aveva messo in corpo andava soddisfatta.

"Se oggi non mi sfogo" pensava andandosene sotto la pioggia, per quelle strade larghe e vuote del sobborgo ricco, "scoppio". L'immagine di Carla nuda e piangente gli stava davanti agli occhi, e così insistente che fece con la mano un gesto come per scacciarla: "Ma sì, andiamoci" pensò alfine; "dopo tutto anche Lisa è una donna."

Questa decisione gli mise le ali ai piedi; chiamò un taxi: "Via Boezio" ordinò buttandosi a sedere; l'automobile partì; Leo accese una sigaretta: "Sarà il più bel giorno della sua vita" pensò; e immaginava che appena l'avrebbe visto Lisa gli sarebbe saltata al collo; "ieri sera ha fatto un po' di commedia, ha voluto mettermi una pulce nelle orecchie, si capisce, anche lei ha il suo orgoglio di donna... ma oggi... oggi non si farà tanto pregare"; l'automobile in corsa lo scuoteva di qua e di là; gli pareva con questa sua visita a Lisa di essere generoso, di fare nel tempo stesso il proprio vantaggio ed una buona azione; "Sarà il più bel giorno della sua vita" si ripeteva; "io le concederò quel che non ha mai osato sperare e nel contempo passerò alla meno peggio questa stupida giornata." Gettò la sigaretta fuori dal finestrino; ora con un morbido slittamento delle ruote sull'asfalto bagnato, l'automobile entrava in una strada deserta fiancheggiata da platani; il denaro in mano; il taxi si fermò; Leo discese, curvo sotto la pioggia pagò, poi disparve in fretta nel portone.

Salì lentamente la scala ricordando con una compiacenza senza malinconia quante volte l'aveva percorsa dieci anni prima.

"Non c'è che dire" si ripetè senza neppure tentare di spiegarsi il significato di questo suo pensiero; "dieci anni sono dieci anni." Suonò, gli venne aperto; ritrovò tutto come un tempo, così che per un istante ebbe l'impressione di non esser più quello di ora ma quello di una volta; ogni cosa stava al suo posto, gli armadi nel corridoio oscuro, in fondo al corridoio la sonante porta a vetri del boudoir, e poi, ecco, la stessa tenda abbassata, gli stessi tappeti... Allora sedette in una di quelle scricchiolanti poltrone e accese una sigaretta.

Dopo un istante Lisa entrò: "Oh! sei tu" disse sbadatamente; sedette e guardò l'uomo come per domandargli la ragione della sua visita.

"Non mi aspettavi?" disse Leo, stupito, ché era convinto invece di essere stato atteso con ansietà: "eppure ieri sera mi hai fatto credere tutto l'opposto."

"Si dicono tante cose" ella cominciò abbassando la gonna sopra le ginocchia; "soprattutto di notte, quando non ci si vede."

"È furba" pensò Leo, "vuol farsi pregare"; avvicinò la propria poltrona a quella di Lisa, poi, curvandosi: "E io invece sono convinto che tu parlavi seriamente."

"E se avessi cambiato idea?" ella domandò con vivacità: ora quella sua debolezza della sera avanti le appariva come era veramente: non ritorno d'amore per Leo ma momentaneo smarrimento e ignoranza del proprio sentimento verso Michele: "Tante cose" soggiunse con serietà "possono essere successe da ieri ad oggi."

[...] Bruscamente Leo si alzò, si chinò su di lei, le rovesciò indietro la testa per i capelli e tentò di baciarla; Lisa fece appena in tempo a mettersi una mano davanti alla bocca. "Su, non esser cattiva" comandò Leo, e vi erano nei suoi occhi, nel modo col quale tentava di rimuover l'ostacolo della mano una tale sicurezza di trionfare alla fine, un tale scetticismo sulla serietà delle sue ripulse, che Lisa si sentì ad un tratto invadere da una collera cieca; tolse la mano davanti la bocca: "Lasciami, ti dico" intimò con voce caparbia ed occhi adirati; ma l'uomo se ne avvantaggiò per impossessarsi delle sue labbra ripugnanti; per un istante ella subì il bacio torcendosi e sforzandosi invano di liberarsi, poi alfine, con uno strappone, riuscì ad alzarsi in piedi; l'urto fu tale che Leo perse l'equilibrio e cadde a rovescio dentro la sua poltrona.

Si alzò e ravviando nervosamente la giacca scomposta: "Lisa, non facciamo scherzi... non abbiamo deciso di tornare amici?... che modi sono questi?"

Ella indicò teatralmente la porta con la mano:

"Vattene" ordinò.

"Ma come?" cominciò Leo imbestialito.

"Non ti amo, non ti ho mai amato..." gridò Lisa chinandosi e sibilandogli in volto le parole; "te l'ho lasciato credere oggi, per un istante, per prendermi il gusto di sentire tutte le frottole che mi avresti detto... e ora vattene."

L'uomo restò per un istante immobile, meravigliato; poi, improvvisamente, passò da questo stupore di pietra ad una collera vendicativa e caparbia:

"Ah sì" gridò, "è così... debbo andarmene eh!... dopo averti fatto il burattino... ebbene non me ne andrò...": egli esitò cercando invano nel suo furore una espiazione degna della colpa di Lisa: sfasciarle qualche mobile o qualche porcellana? schiaffeggiarla?

"Non me ne andrò se non dopo averti baciata." Buttò da parte la sedia, fece per afferrare Lisa fra le sue braccia, nella sua rabbia quel bacio diveniva addirittura la possessione, pensava confusamente di gettar la donna in terra e di prenderla là, sul tappeto; ma Lisa gli sfuggì e si rifugiò dietro una poltrona; per un istante stettero faccia a faccia, curvi, attaccati alla poltrona, spiandosi a vicenda e sforzandosi ciascuno di indovinare i movimenti dell'altro. "Vattene" ella disse finalmente, ansante, scapigliata, spaventata dalla brutalità che gonfiava la faccia dell'uomo, là davanti a lei... Allora, con una grossolana astuzia, bruscamente, la mano di Leo l'afferrò per i capelli, egli scansò con una spinta la poltrona e strinse la donna tra le sue braccia.

Lottarono per qualche secondo: Leo tentava di spezzare i gesti di Lisa, la donna si sforzava di sfuggire a quell'abbraccio; vi riuscì alfine e si rifugiò contro la porta:

"Vattene" ordinò ancora con voce interrotta; "vattene o chiamo." Era rossa, scarmigliata, ansante, il vestito le si era sbottonato sopra una spalla, teneva le mani aderenti alla porta, il petto sussultante in fuori; "vattene" ripetè; ma qualcheduno dal corridoio spingeva ora l'uscio e tentava di entrare:

"Non importa, Maria" ella gridò senza voltarsi; " non ho bisogno di voi..."

"Apri" comandò allora chi spingeva, con voce maschile; "non sono Maria... apri." Macchinalmente Lisa si fece da parte; l'uscio si aprì e Michele entrò.

Teneva il cappello in mano e indossava un impermeabile verde tutto bagnato; guardò Lisa ansante e discinta, Leo rosso; subito la verità della scena che gli stava sotto gli occhi gli si ricostruì nella mente: "Leo è venuto" pensò, "per riallacciare gli antichi legami... e Lisa l'ha respinto...", ma non agì secondo questi pensieri; gli parve confusamente che doveva approfittare di questa occasione per rompere definitivamente con Lisa; e poi non era questo l'atteggiamento obbligato in simili circostanze?

"Scusate," disse con una voce atona che si sforzava di parere ironica; "la colpa è tutta mia... avevo deciso di non venire mai più e sono venuto... vi ho disturbati... scusate"; fece un inchino ridicolo e rigido, girò su se stesso e sparì; la porta si chiuse.

Quel diavolo senza molla scaturito dall'ombra del corridoio e poi subito rientratovi aveva calmato Leo; egli sorrise: "È quello il tuo amore, Lisa?" domandò.

Assorta nel suo stupore ella accennò di sì con la testa, cupamente; poi, improvvisamente, come se il pensiero di Michele partito senza salutarla, forse per sempre, le fosse riuscito intollerabile, corse alla finestra e la spalancò.

L'appartamento era al piano nobile, le finestre erano molto basse; ella si affacciò, guardò: l'aria era fredda, la strada vuota e bagnata, pioveva, un grande platano senza foglie piantato là davanti ostruiva la vista del cielo; ma qualche metro più a sinistra qualcheduno che indossava un impermeabile verde stretto alla cintura, se ne andava tranquillamente, contro i muri: "Michele," ella chiamò sporgendosi; "Michele!" Lo vide voltarsi un poco, guardarla curiosamente e continuare il suo cammino. "Michele!" gridò con più forza; questa volta, il ragazzo fece con la mano, senza voltarsi, senza fermarsi, un gesto di saluto; ora stava già a qualche distanza, laggiù, sul marciapiede lustro, camminava di buon passo, presto avrebbe girato; Lisa capì che era inutile insistere, e si voltò verso il salotto.

"Tornerà, non temere" disse con falsa bonarietà Leo, dritto nel mezzo della stanza; "lo conosco... non è di quelli che fanno le cose sul serio... tornerà, puoi star sicura."

Quella voce provocava, oltraggiava, insultava sanguinosamente; dignitosissima Lisa si mosse e andò a premere un bottone sulla parete opposta, passò un istante, apparve la cameriera:

"Maria, accompagnate il signore alla porta." Era la fine, banalissima e ridicola fine; dal salotto alla porta c'erano due passi. Il signore se ne andava ignobilmente borbottando "Me ne vado Lisa... me ne vado... salutami Michele." La cameriera non capiva e guardava stupidamente ora l'uomo, ora Lisa; ma Leo non aspettò che gli s'indicasse la strada, e presi il cappello e il pastrano uscì da solo.

La pioggia gli rinfrescò l'anima, aprì l'ombrello e camminò quasi senza alcun pensiero: "Poteva andare e non andare" si consolò ad un certo momento; "e non è andata"; e poi ancora, serenamente: "oggi l'ho bell'e capito, quel tasto là è meglio che non lo tocchi"; dopo di che non pensò più a nulla, accese una sigaretta, e badando a non bagnarsi i piedi nelle pozze, camminò col suo passo abituale, né piano né in fretta.

Arrivò in fondo alla strada, sbucò in una vasta piazza piovosa, senza monumenti e senza giardini, all'angolo, sotto l'antenna del segnale di fermata, un gruppetto di persone aspettava il tram; si avvicinò, riconobbe, appoggiato all'antenna, Michele: "Toh! sei ancora qui" gli disse senz'ombra di rancore.

"Già" rispose il ragazzo alzando verso di lui i suoi occhi annoiati; "aspetto." Un istante di silenzio.

"Ma allora" disse Leo, "poiché vado a casa mia ti offro il passaggio sul taxi... taxi!"

Michele accettò: "Ma perché tutto questo?" pensò buttandosi a sedere sull'automobile a fianco dell'uomo.

Per un minuto non parlarono: "Si può sapere" domandò finalmente l'uomo, "perché te ne sei andato?... Non avevi dunque capito che quella non desiderava altro che tu restassi?"

Michele non rispose subito; guardava attraverso il finestrino le facciate bagnate delle case "Lo so" rispose alfine.

"O allora... perché non sei restato?"

"Ma... perché non la amo."

Questa risposta fece sorridere Leo: "Ma, vediamo" incominciò, "credi tu forse che si debba andare con una donna soltanto quando la si ama?"

"Io credo questo" rispose Michele senza voltarsi, in tono serio.

"O allora..." mormorò Leo un po' sconcertato; "ma io per esempio" soggiunse tranquillamente, "troppe donne ho avuto che non ho mai amato... la stessa Lisa l'ho presa senza amarla... e ciò nonostante non ho mai avuto a pentirmene...: mi son divertito quanto chicchessia."

"Non ne dubito" disse Michele a denti stretti; "Che Dio ti maledica" avrebbe voluto rispondergli: "Credi tu che tutti al mondo siano come te?"

"E poi, lasciamo andare" continuò Leo; "quando vedo un ragazzo come te, senza grandi conoscenze, senza grandi risorse, fare lo sdegnoso con una donna come Lisa, che sarà quel che sarà, ma certo non è da disprezzarsi., ecco mi sembra che il mondo sia capovolto."

"Lascia che si capovolga" mormorò Michele, ma l'uomo non lo udì".

"Bah! per me fate quel che volete" concluse Leo; accese una sigaretta e si ravvolse nel suo pastrano.

Michele lo guardava: "Dunque secondo te" domandò "non dovrei rinunziare a Lisa..."

"Ma già..., sicuro" approvò Leo togliendosi di bocca la sigaretta; "prima di tutto perché Lisa non è davvero da buttarsi via; oggi appunto la guardavo., è grassa ma soda...: ha un petto" egli soggiunse con una strizzatina dell'occhio all'indirizzo di Michele disgustato "e dei fianchi... e poi caro mio, quella è una donna che può dare molte maggiori soddisfazioni che non una delle solite signorine all'acqua di rose... è piena di temperamento... una vera femmina... e in secondo luogo dove la trovi oggi una amante che ti riceva in casa? Questo, per te che non puoi pagarti la camera o l'appartamentino, è una grande comodità; vai, vieni, entri, esci, nessuno ti dice nulla, sei come in casa tua; te ne infischi; invece, soprattutto alla tua età, si finisce sempre per portar l'innamorata in certi brutti posti, ristoranti, alberghi, ecc. che tolgono l'appetito soltanto a pensarci... se a tutto questo aggiungi che Lisa non ti costerà un soldo, dico un soldo... ecco io non so cosa si possa desiderare di più..."

"E già" si ripetè il ragazzo un po' tristemente; "che cosa si può desiderare di più?" Non parlava, stava un po' curvo, guardando ora l'uomo ora la strada; era già il crepuscolo, i fanali non erano ancora accesi... un'ombra umida invadeva la via affollata così che non se ne vedeva il fondo, e uomini, ombrelli, veicoli, ogni cosa a qualche distanza si confondeva in una sola lontananza piovosa in cui, isolati e rapidi, si vedevano scendere e salire i lumi gialli dei tram e quelli delle automobili: "E ora cosa farò?" si domandava il ragazzo; ogni volta che osservava la mobilità e la continua agitazione della vita, la propria inerzia gli incuteva spavento.

"Vai là, mio caro," sentì dire da Leo; "non starci a pensar tanto... la cosa è molto più semplice di quello che credi... Lisa non aspetta che te...: tornaci stasera e ti accoglierà a braccia aperte..."

Si voltò: "Dunque dovrei fingere di amarla" incominciò.

"Macché fingere" interruppe Leo; "chi te lo fa fare?... non stare ad approfondire tanto... l'essenziale è che quella è pronta ad andare a letto con te... accetta e contentati."

Pensoso Michele era tornato a guardare la strada: "Fa fermare in piazza" avvertì, "che scendo." Un istante di silenzio: "E da' il caso" soggiunse, "che qualcheduno ti abbia offeso in qualche modo...; a te il tipo in questione non ti è antipatico, anzi, nonostante l'offesa, non sai odiarlo...; fingi allora di sdegnarti e lo prendi a schiaffi o no?"

"Dipende dall'offesa" rispose Leo.

"La più grande che ci sia."

"Ma allora" ribatté l'uomo, "è impossibile che mi resti simpatico e che non me ne importi nulla."

"Ma da' questo caso..."

"Ebbene, lo prenderei a schiaffi" rispose Leo senza esitare. In piazza l'automobile si fermò; ma prima che Michele fosse disceso Leo lo tirò per la manica. "E mi raccomando" disse con un ammiccamento e un gesto espressivo della mano; "Lisa...: fatti sotto": dopo di che rovesciatosi daccapo sul cuscino gridò il suo indirizzo e l'automobile ripartì.

Dopo cinque minuti era a casa sua; passò nel suo studio, una stanza pressoché nuda, con un alto zoccolo di legno marrone, scaffali e scrivania americana, e sedette; l'ombra del crepuscolo piovoso dava a quei mobili banali, a quegli oggetti utili, un intollerabile aspetto di noia e di precarietà; era l'ora peggiore, non era più il pomeriggio bianco, e non era ancora la notte nera, la luce del giorno era troppo fioca per permettere di vedere e quella di una lampada troppo forte per quella bigia penombra; ma Leo vinse facilmente questo disagio, accese un lume, lesse una lettera d'affari, e si accinse a scrivere la risposta; fu in questo momento che il campanello del telefono suonò.

Senza lasciar la penna egli staccò il ricevitore e lo appoggiò all'orecchio: "Con chi parlo?" domandò una voce femminile. "La voce di Mariagrazia" pensò Leo: "Trentuno, quattro, nove, sei" rispose. "Parlo col signor Merumeci?" insistette la voce. "Sì". "Allora parli con Mariagrazia... Carla propone di andare a ballare al Ritz... vuoi venire con noi...?" "Va bene... fra un'oretta" disse l'uomo. "A proposito" continuò la madre; "quando vogliamo vederci?" Ma Leo aveva riconosciuto il principio di uno dei soliti interminabili discorsi. "Vedremo" rispose, e riattaccò bruscamente il ricevitore.


9 (VII) 9 (VII) 9 (VII)

"Che brutta giornata" pensò Leo avviandosi a sua volta; "che stupida giornata." Ora pioveva con tranquillità dal cielo alto, il giardino era già tutto bagnato, il fruscio umido e ininterrotto dell'acqua aboliva ogni altro rumore. Leo se ne andava malcontento; non soltanto la festa di Carla gli era costata tra fiori e regalo un mezzo migliaio di lire, ma anche, in grazia di quel vino traditore, l'avventura era finita in un modo non si sapeva se più ridicolo o più disgustoso: "Carla non desidera altro" pensava rabbiosamente: "non c'era neppure bisogno di ubriacarla... ora invece tutto è da ricominciare." Fu soltanto quando si trovò in strada e guardò da che parte dovesse dirigersi che si ricordò che Lisa, la sera avanti l'aveva invitato ad andare quel giorno in casa sua.

Dapprima l'idea di tornare dall'antica amante gli parve assurda; non gli piaceva di rifare le strade già percorse, quella visita gli pareva una "minestra riscaldata"; ma d'altra parte la libidine che Carla gli aveva messo in corpo andava soddisfatta.

"Se oggi non mi sfogo" pensava andandosene sotto la pioggia, per quelle strade larghe e vuote del sobborgo ricco, "scoppio". L'immagine di Carla nuda e piangente gli stava davanti agli occhi, e così insistente che fece con la mano un gesto come per scacciarla: "Ma sì, andiamoci" pensò alfine; "dopo tutto anche Lisa è una donna."

Questa decisione gli mise le ali ai piedi; chiamò un taxi: "Via Boezio" ordinò buttandosi a sedere; l'automobile partì; Leo accese una sigaretta: "Sarà il più bel giorno della sua vita" pensò; e immaginava che appena l'avrebbe visto Lisa gli sarebbe saltata al collo; "ieri sera ha fatto un po' di commedia, ha voluto mettermi una pulce nelle orecchie, si capisce, anche lei ha il suo orgoglio di donna... ma oggi... oggi non si farà tanto pregare"; l'automobile in corsa lo scuoteva di qua e di là; gli pareva con questa sua visita a Lisa di essere generoso, di fare nel tempo stesso il proprio vantaggio ed una buona azione; "Sarà il più bel giorno della sua vita" si ripeteva; "io le concederò quel che non ha mai osato sperare e nel contempo passerò alla meno peggio questa stupida giornata." Gettò la sigaretta fuori dal finestrino; ora con un morbido slittamento delle ruote sull'asfalto bagnato, l'automobile entrava in una strada deserta fiancheggiata da platani; il denaro in mano; il taxi si fermò; Leo discese, curvo sotto la pioggia pagò, poi disparve in fretta nel portone.

Salì lentamente la scala ricordando con una compiacenza senza malinconia quante volte l'aveva percorsa dieci anni prima.

"Non c'è che dire" si ripetè senza neppure tentare di spiegarsi il significato di questo suo pensiero; "dieci anni sono dieci anni." Suonò, gli venne aperto; ritrovò tutto come un tempo, così che per un istante ebbe l'impressione di non esser più quello di ora ma quello di una volta; ogni cosa stava al suo posto, gli armadi nel corridoio oscuro, in fondo al corridoio la sonante porta a vetri del boudoir, e poi, ecco, la stessa tenda abbassata, gli stessi tappeti... Allora sedette in una di quelle scricchiolanti poltrone e accese una sigaretta.

Dopo un istante Lisa entrò: "Oh! sei tu" disse sbadatamente; sedette e guardò l'uomo come per domandargli la ragione della sua visita.

"Non mi aspettavi?" disse Leo, stupito, ché era convinto invece di essere stato atteso con ansietà: "eppure ieri sera mi hai fatto credere tutto l'opposto."

"Si dicono tante cose" ella cominciò abbassando la gonna sopra le ginocchia; "soprattutto di notte, quando non ci si vede."

"È furba" pensò Leo, "vuol farsi pregare"; avvicinò la propria poltrona a quella di Lisa, poi, curvandosi: "E io invece sono convinto che tu parlavi seriamente."

"E se avessi cambiato idea?" ella domandò con vivacità: ora quella sua debolezza della sera avanti le appariva come era veramente: non ritorno d'amore per Leo ma momentaneo smarrimento e ignoranza del proprio sentimento verso Michele: "Tante cose" soggiunse con serietà "possono essere successe da ieri ad oggi."

[...] Bruscamente Leo si alzò, si chinò su di lei, le rovesciò indietro la testa per i capelli e tentò di baciarla; Lisa fece appena in tempo a mettersi una mano davanti alla bocca. "Su, non esser cattiva" comandò Leo, e vi erano nei suoi occhi, nel modo col quale tentava di rimuover l'ostacolo della mano una tale sicurezza di trionfare alla fine, un tale scetticismo sulla serietà delle sue ripulse, che Lisa si sentì ad un tratto invadere da una collera cieca; tolse la mano davanti la bocca: "Lasciami, ti dico" intimò con voce caparbia ed occhi adirati; ma l'uomo se ne avvantaggiò per impossessarsi delle sue labbra ripugnanti; per un istante ella subì il bacio torcendosi e sforzandosi invano di liberarsi, poi alfine, con uno strappone, riuscì ad alzarsi in piedi; l'urto fu tale che Leo perse l'equilibrio e cadde a rovescio dentro la sua poltrona.

Si alzò e ravviando nervosamente la giacca scomposta: "Lisa, non facciamo scherzi... non abbiamo deciso di tornare amici?... che modi sono questi?"

Ella indicò teatralmente la porta con la mano:

"Vattene" ordinò.

"Ma come?" cominciò Leo imbestialito.

"Non ti amo, non ti ho mai amato..." gridò Lisa chinandosi e sibilandogli in volto le parole; "te l'ho lasciato credere oggi, per un istante, per prendermi il gusto di sentire tutte le frottole che mi avresti detto... e ora vattene."

L'uomo restò per un istante immobile, meravigliato; poi, improvvisamente, passò da questo stupore di pietra ad una collera vendicativa e caparbia:

"Ah sì" gridò, "è così... debbo andarmene eh!... dopo averti fatto il burattino... ebbene non me ne andrò...": egli esitò cercando invano nel suo furore una espiazione degna della colpa di Lisa: sfasciarle qualche mobile o qualche porcellana? schiaffeggiarla?

"Non me ne andrò se non dopo averti baciata." Buttò da parte la sedia, fece per afferrare Lisa fra le sue braccia, nella sua rabbia quel bacio diveniva addirittura la possessione, pensava confusamente di gettar la donna in terra e di prenderla là, sul tappeto; ma Lisa gli sfuggì e si rifugiò dietro una poltrona; per un istante stettero faccia a faccia, curvi, attaccati alla poltrona, spiandosi a vicenda e sforzandosi ciascuno di indovinare i movimenti dell'altro. "Vattene" ella disse finalmente, ansante, scapigliata, spaventata dalla brutalità che gonfiava la faccia dell'uomo, là davanti a lei... Allora, con una grossolana astuzia, bruscamente, la mano di Leo l'afferrò per i capelli, egli scansò con una spinta la poltrona e strinse la donna tra le sue braccia.

Lottarono per qualche secondo: Leo tentava di spezzare i gesti di Lisa, la donna si sforzava di sfuggire a quell'abbraccio; vi riuscì alfine e si rifugiò contro la porta:

"Vattene" ordinò ancora con voce interrotta; "vattene o chiamo." Era rossa, scarmigliata, ansante, il vestito le si era sbottonato sopra una spalla, teneva le mani aderenti alla porta, il petto sussultante in fuori; "vattene" ripetè; ma qualcheduno dal corridoio spingeva ora l'uscio e tentava di entrare:

"Non importa, Maria" ella gridò senza voltarsi; " non ho bisogno di voi..."

"Apri" comandò allora chi spingeva, con voce maschile; "non sono Maria... apri." Macchinalmente Lisa si fece da parte; l'uscio si aprì e Michele entrò.

Teneva il cappello in mano e indossava un impermeabile verde tutto bagnato; guardò Lisa ansante e discinta, Leo rosso; subito la verità della scena che gli stava sotto gli occhi gli si ricostruì nella mente: "Leo è venuto" pensò, "per riallacciare gli antichi legami... e Lisa l'ha respinto...", ma non agì secondo questi pensieri; gli parve confusamente che doveva approfittare di questa occasione per rompere definitivamente con Lisa; e poi non era questo l'atteggiamento obbligato in simili circostanze? He was holding his hat in his hand and was wearing a wet green raincoat; he looked at Lisa panting and undressed, Leo red; immediately the truth of the scene before his eyes was reconstructed in his mind: "Leo has come" he thought, "to reconnect the old ties... and Lisa rejected him...", but he didn't act according to these thoughts ; it seemed to him confusedly that he should take advantage of this opportunity to break with Lisa definitively; and then wasn't this the obligatory attitude in such circumstances?

"Scusate," disse con una voce atona che si sforzava di parere ironica; "la colpa è tutta mia... avevo deciso di non venire mai più e sono venuto... vi ho disturbati... scusate"; fece un inchino ridicolo e rigido, girò su se stesso e sparì; la porta si chiuse.

Quel diavolo senza molla scaturito dall'ombra del corridoio e poi subito rientratovi aveva calmato Leo; egli sorrise: "È quello il tuo amore, Lisa?" domandò.

Assorta nel suo stupore ella accennò di sì con la testa, cupamente; poi, improvvisamente, come se il pensiero di Michele partito senza salutarla, forse per sempre, le fosse riuscito intollerabile, corse alla finestra e la spalancò.

L'appartamento era al piano nobile, le finestre erano molto basse; ella si affacciò, guardò: l'aria era fredda, la strada vuota e bagnata, pioveva, un grande platano senza foglie piantato là davanti ostruiva la vista del cielo; ma qualche metro più a sinistra qualcheduno che indossava un impermeabile verde stretto alla cintura, se ne andava tranquillamente, contro i muri: "Michele," ella chiamò sporgendosi; "Michele!" Lo vide voltarsi un poco, guardarla curiosamente e continuare il suo cammino. "Michele!" gridò con più forza; questa volta, il ragazzo fece con la mano, senza voltarsi, senza fermarsi, un gesto di saluto; ora stava già a qualche distanza, laggiù, sul marciapiede lustro, camminava di buon passo, presto avrebbe girato; Lisa capì che era inutile insistere, e si voltò verso il salotto.

"Tornerà, non temere" disse con falsa bonarietà Leo, dritto nel mezzo della stanza; "lo conosco... non è di quelli che fanno le cose sul serio... tornerà, puoi star sicura."

Quella voce provocava, oltraggiava, insultava sanguinosamente; dignitosissima Lisa si mosse e andò a premere un bottone sulla parete opposta, passò un istante, apparve la cameriera:

"Maria, accompagnate il signore alla porta." Era la fine, banalissima e ridicola fine; dal salotto alla porta c'erano due passi. Il signore se ne andava ignobilmente borbottando "Me ne vado Lisa... me ne vado... salutami Michele." La cameriera non capiva e guardava stupidamente ora l'uomo, ora Lisa; ma Leo non aspettò che gli s'indicasse la strada, e presi il cappello e il pastrano uscì da solo.

La pioggia gli rinfrescò l'anima, aprì l'ombrello e camminò quasi senza alcun pensiero: "Poteva andare e non andare" si consolò ad un certo momento; "e non è andata"; e poi ancora, serenamente: "oggi l'ho bell'e capito, quel tasto là è meglio che non lo tocchi"; dopo di che non pensò più a nulla, accese una sigaretta, e badando a non bagnarsi i piedi nelle pozze, camminò col suo passo abituale, né piano né in fretta.

Arrivò in fondo alla strada, sbucò in una vasta piazza piovosa, senza monumenti e senza giardini, all'angolo, sotto l'antenna del segnale di fermata, un gruppetto di persone aspettava il tram; si avvicinò, riconobbe, appoggiato all'antenna, Michele: "Toh! sei ancora qui" gli disse senz'ombra di rancore.

"Già" rispose il ragazzo alzando verso di lui i suoi occhi annoiati; "aspetto." Un istante di silenzio.

"Ma allora" disse Leo, "poiché vado a casa mia ti offro il passaggio sul taxi... taxi!"

Michele accettò: "Ma perché tutto questo?" pensò buttandosi a sedere sull'automobile a fianco dell'uomo.

Per un minuto non parlarono: "Si può sapere" domandò finalmente l'uomo, "perché te ne sei andato?... Non avevi dunque capito che quella non desiderava altro che tu restassi?"

Michele non rispose subito; guardava attraverso il finestrino le facciate bagnate delle case "Lo so" rispose alfine.

"O allora... perché non sei restato?"

"Ma... perché non la amo."

Questa risposta fece sorridere Leo: "Ma, vediamo" incominciò, "credi tu forse che si debba andare con una donna soltanto quando la si ama?"

"Io credo questo" rispose Michele senza voltarsi, in tono serio.

"O allora..." mormorò Leo un po' sconcertato; "ma io per esempio" soggiunse tranquillamente, "troppe donne ho avuto che non ho mai amato... la stessa Lisa l'ho presa senza amarla... e ciò nonostante non ho mai avuto a pentirmene...: mi son divertito quanto chicchessia."

"Non ne dubito" disse Michele a denti stretti; "Che Dio ti maledica" avrebbe voluto rispondergli: "Credi tu che tutti al mondo siano come te?"

"E poi, lasciamo andare" continuò Leo; "quando vedo un ragazzo come te, senza grandi conoscenze, senza grandi risorse, fare lo sdegnoso con una donna come Lisa, che sarà quel che sarà, ma certo non è da disprezzarsi., ecco mi sembra che il mondo sia capovolto."

"Lascia che si capovolga" mormorò Michele, ma l'uomo non lo udì".

"Bah! per me fate quel che volete" concluse Leo; accese una sigaretta e si ravvolse nel suo pastrano.

Michele lo guardava: "Dunque secondo te" domandò "non dovrei rinunziare a Lisa..."

"Ma già..., sicuro" approvò Leo togliendosi di bocca la sigaretta; "prima di tutto perché Lisa non è davvero da buttarsi via; oggi appunto la guardavo., è grassa ma soda...: ha un petto" egli soggiunse con una strizzatina dell'occhio all'indirizzo di Michele disgustato "e dei fianchi... e poi caro mio, quella è una donna che può dare molte maggiori soddisfazioni che non una delle solite signorine all'acqua di rose... è piena di temperamento... una vera femmina... e in secondo luogo dove la trovi oggi una amante che ti riceva in casa? Questo, per te che non puoi pagarti la camera o l'appartamentino, è una grande comodità; vai, vieni, entri, esci, nessuno ti dice nulla, sei come in casa tua; te ne infischi; invece, soprattutto alla tua età, si finisce sempre per portar l'innamorata in certi brutti posti, ristoranti, alberghi, ecc. che tolgono l'appetito soltanto a pensarci... se a tutto questo aggiungi che Lisa non ti costerà un soldo, dico un soldo... ecco io non so cosa si possa desiderare di più..."

"E già" si ripetè il ragazzo un po' tristemente; "che cosa si può desiderare di più?" Non parlava, stava un po' curvo, guardando ora l'uomo ora la strada; era già il crepuscolo, i fanali non erano ancora accesi... un'ombra umida invadeva la via affollata così che non se ne vedeva il fondo, e uomini, ombrelli, veicoli, ogni cosa a qualche distanza si confondeva in una sola lontananza piovosa in cui, isolati e rapidi, si vedevano scendere e salire i lumi gialli dei tram e quelli delle automobili: "E ora cosa farò?" si domandava il ragazzo; ogni volta che osservava la mobilità e la continua agitazione della vita, la propria inerzia gli incuteva spavento.

"Vai là, mio caro," sentì dire da Leo; "non starci a pensar tanto... la cosa è molto più semplice di quello che credi... Lisa non aspetta che te...: tornaci stasera e ti accoglierà a braccia aperte..."

Si voltò: "Dunque dovrei fingere di amarla" incominciò.

"Macché fingere" interruppe Leo; "chi te lo fa fare?... non stare ad approfondire tanto... l'essenziale è che quella è pronta ad andare a letto con te... accetta e contentati."

Pensoso Michele era tornato a guardare la strada: "Fa fermare in piazza" avvertì, "che scendo." Un istante di silenzio: "E da' il caso" soggiunse, "che qualcheduno ti abbia offeso in qualche modo...; a te il tipo in questione non ti è antipatico, anzi, nonostante l'offesa, non sai odiarlo...; fingi allora di sdegnarti e lo prendi a schiaffi o no?" A moment's silence: "And it so happens," he added, "that someone has offended you in some way...; you don't dislike the guy in question, on the contrary, despite the offense, you don't know how to hate him.. .; then pretend to be indignant and slap him or not?"

"Dipende dall'offesa" rispose Leo.

"La più grande che ci sia."

"Ma allora" ribatté l'uomo, "è impossibile che mi resti simpatico e che non me ne importi nulla."

"Ma da' questo caso..." "But give this case..."

"Ebbene, lo prenderei a schiaffi" rispose Leo senza esitare. In piazza l'automobile si fermò; ma prima che Michele fosse disceso Leo lo tirò per la manica. "E mi raccomando" disse con un ammiccamento e un gesto espressivo della mano; "Lisa...: fatti sotto": dopo di che rovesciatosi daccapo sul cuscino gridò il suo indirizzo e l'automobile ripartì.

Dopo cinque minuti era a casa sua; passò nel suo studio, una stanza pressoché nuda, con un alto zoccolo di legno marrone, scaffali e scrivania americana, e sedette; l'ombra del crepuscolo piovoso dava a quei mobili banali, a quegli oggetti utili, un intollerabile aspetto di noia e di precarietà; era l'ora peggiore, non era più il pomeriggio bianco, e non era ancora la notte nera, la luce del giorno era troppo fioca per permettere di vedere e quella di una lampada troppo forte per quella bigia penombra; ma Leo vinse facilmente questo disagio, accese un lume, lesse una lettera d'affari, e si accinse a scrivere la risposta; fu in questo momento che il campanello del telefono suonò.

Senza lasciar la penna egli staccò il ricevitore e lo appoggiò all'orecchio: "Con chi parlo?" domandò una voce femminile. "La voce di Mariagrazia" pensò Leo: "Trentuno, quattro, nove, sei" rispose. "Parlo col signor Merumeci?" insistette la voce. "Sì". "Allora parli con Mariagrazia... Carla propone di andare a ballare al Ritz... vuoi venire con noi...?" "Va bene... fra un'oretta" disse l'uomo. "A proposito" continuò la madre; "quando vogliamo vederci?" Ma Leo aveva riconosciuto il principio di uno dei soliti interminabili discorsi. "Vedremo" rispose, e riattaccò bruscamente il ricevitore.