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Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 7 (VI)

7 (VI)

La tavola era stata preparata con solennità e raffinatezza; argento e cristalli, tutto il migliore vasellame della famiglia scintillava sulla tovaglia bianca, nel giorno bianco della sala da pranzo; la madre sedette a capotavola, e, benché i posti fossero gli stessi della sera avanti, li ridistribuì: "Merumeci, qui, là Carla... là Michele" non si sa se per far risaltare l'importanza della festa o per una antica abitudine di invitare in tali occasioni più numerosi commensali.

"Avrei voluto" ella disse cominciando a mangiare, "fare per questo giorno di Carla un pranzo come lo intendo io, con tutte le specialità, insomma un pranzo in regola... ma come si fa? Oggigiorno tutto questo non è possibile... ho una cuoca che senza essere cattiva non arriva ad essere buona... si ha un bel dirle... fate così e così... la passione manca... Ora quando la passione non c'è tutto manca."

"Hai ragione" approvò Michele con gravità ironica, "proprio così... senza passione non si fa nulla... io per esempio, per quanto mi sia sforzato di dare uno schiaffo a Leo, non ci sono riuscito... mi manca la passione."

"Che c'entra questo?" interruppe la madre facendosi rossa per la stizza; "che c'entra Leo?... si parla della cuoca... ah, Michele, tu sei sempre uguale a te stesso... anche in un giorno come questo, nel giorno in cui è nata tua sorella, quando si dovrebbe dimenticare tutto e rallegrarci sinceramente, tu invece parli di schiaffi, di litigi... non ti correggerai dunque mai?"

"Lo lasci dire, cara signora," profferì Leo senza alzare gli occhi dal piatto; "tanto per me fa lo stesso... non lo sento."

"Mi tacerò, madre, mi tacerò" esclamò Michele che aveva capito a tempo di aver toccato un tasto falso; "non dubitare... sarò muto come un pesce, non turberò più questa festa..."

Tornò il silenzio; la cameriera entrò e tolse i piatti; poi la madre, che non aveva cessato di fissare con quei suoi occhi indagatori l'amante, si voltò: "S'è divertito ieri sera, Merumeci?"

Leo diede un'occhiata alla fanciulla come per dirle: "Ecco, ci siamo"; ma Carla non gli rispose; udì l'uomo domandare: "Dove? Quando?" e sentì nello stesso istante un piede premere il suo, là sotto la tavola; si morse le labbra: questa meschina doppiezza le dava un senso di grande oscurità, avrebbe voluto alzarsi, gridare la verità.

"Dove?" rispondeva la madre, "con Lisa... diamine!"

"Mah... se lei trova che ci sia qualche cosa di divertente nell'accompagnare una persona a casa sua."

"Io no" protestò la madre con un riso malizioso; "io in certe compagnie mi ci annoio francamente... ma lei sì, lei quelle compagnie le cerca, vuol dire che le piacciono."

Leo stava già per rispondere quando, con la sua consueta inopportunità, Michele intervenne: "Ah madre" esclamò parodiando le parole che Mariagrazia aveva profferito prima; "tu sei sempre uguale a te stessa... anche in un giorno come questo, nel giorno in cui è nata tua sorella, no scusa, tua figlia, quando si dovrebbe dimenticar tutto e rallegrarci sinceramente, tu invece parli di Lisa, di accompagnamenti... non ti correggerai dunque mai?"

Questa buffoneria fece sorridere contro voglia Carla e ridere francamente Leo. "Bene, Michele" gridò quest'ultimo; ma la madre si offese: "Cosa c'entri tu?" disse volgendosi al figlio; "io posso parlare quanto mi pare di cose mie a Merumeci, senza che per questo tu debba metter bocca."

"Ma in un giorno come questo?"

"Cosa c'entra?" La madre alzò con furore le spalle. "Io non ho fatto che accennare... e del resto" ella soggiunse, "parliamo pure d'altro... solamente lei Merumeci è avvertito d'ora in poi di scegliere qualche altro luogo per incontrare le sue amanti... io non tengo una casa di appuntamenti... ha capito?"

Era la prima volta che Mariagrazia si abbandonava a tali violenze; allora avvenne un fatto impreveduto; Carla che durante queste scene si era sempre taciuta protestò: "Io vorrei sapere una cosa" incominciò; le parole e il tono si sforzavano di parer calmi, ma le contrazioni del volto puerile, un certo rossore, e la durezza inconsueta degli occhi rivelavano un'ira profonda; "vorrei sapere, mamma, se tu ti accorgi di quello che dici... questo solo vorrei sapere."

La madre la guardò come si guarda un fenomeno vivente: "Ah questa è nuova!... ora non sarò più neppur libera di parlare."

"Vorrei sapere" insistette Carla, e la voce era già più alta, vibrava, un tremito era su quelle labbra; "se tutto questo dovrebbe essere permesso..." chinò un poco la grossa testa e fissò la madre negli occhi, stranamente, di sotto in su.

Per un istante ci fu silenzio; quei tre si guardavano involto, stupiti e incomprensivi; forse soltanto Leo ebbe in quel momento una vaga percezione dello stato d'animo di Carla; per guardar meglio la madre ella si era messa un po' di fianco alla tavola, stava come rannicchiata nella sedia dallo schienale troppo alto, le spalle magre parevano più strette, la testa più grossa... sembrava che si preparasse a saltare. "Una piccola furia," egli pensò osservandola: "ora si slancia contro Mariagrazia e le lacera la faccia con le unghie." Ma queste catastrofiche previsioni non dovevano avverarsi; Carla non fece che alzare la testa; "Questo vorrei sapere" ripetè, "e se sia possibile continuare così, tutti i giorni, con questa noia, e non cambiare mai e non lasciar mai queste miserie e compiacerci di tutte le stupidità che ci passano per la testa, e discutere e litigarci sempre per le stesse ragioni e non staccarci mai da terra, neppure di tanto" ella alzò la palma della mano sulla tavola, gli occhi adirati le si empivano di lagrime, tremava; "ora" ella soggiunse raddrizzandosi del tutto, "vorrei sapere da te se tutto questo è bello... tu non te ne accorgi... ma dovresti vederti in uno specchio mentre parli, mentre discuti, allora ti vergogneresti di te stessa e capiresti fino a che punto si possa arrivare con la noia e con la stanchezza e quanto si possa desiderare una nuova vita completamente differente da questa..." tacque e un po' rossa in volto e lacrimosa, senza neppure sapere quel che facesse si servì dal piatto che la cameriera le porgeva.

Alfine la madre si riebbe dal suo stupore: "Ah bene, è il colmo" esclamò, "sarà dunque a mia figlia che dovrò da oggi rivolgermi per avere il permesso di parlare?... io ti stavo a sentire ma mi pareva di sognare... è il colmo."

"A me pare" disse tranquillamente Michele "che Carla abbia appena sfiorato la verità... tutto questo è più che noioso, è schifoso... ma protestare non serve a nulla, meglio farci l'abitudine."

"Non esageriamo" disse Leo conciliante, "Carla non ha voluto dire questo."

"Vada là" gli rispose la madre, "conosco i miei polli... sa cosa sono tanto Carla che Michele? degli egoisti... ecco la verità... degli egoisti che, se lo potessero fare, se ne andrebbero, mi lascerebbero sola."

La sua voce tremava, le sue labbra tremavano: tutti se ne sarebbero andati, Leo e gli altri; ella sarebbe restata veramente sola. Carla la guardò, ora si pentiva di aver parlato; tanto a che cosa poteva servire? non si asciuga il mare con un bicchiere, la madre sarebbe restata così com'era, incomprensiva, ridicola, perduta nell'oscurità, non si sarebbe cambiata neppure per un miracolo; nulla da guadagnare a cozzare contro di lei; meglio agire. "Davvero andarsene" ella pensò guardando la faccia rossa e tranquilla di Leo, "oggi stesso, ora, e non tornare mai più"; ma soffocando questo suo disgusto si accinse alla riconciliazione: "Vediamo, mamma, non ho voluto offenderti" disse con mansuetudine, "ma solamente domandarti, poiché oggi è il mio anniversario, tu stessa l'hai detto, di lasciar da parte qualsiasi discussione e... e..." "E di rallegrarci sinceramente" finì Michele con una smorfia. "Appunto" approvò Carla con serietà: "rallegrarci" ma a vedere la faccia stupida, malcontenta, e incerta della madre avrebbe voluto gridare: "Rallegrarci di che? di essere così come siamo?" Tacque per un istante: "Allora mamma" soggiunse, "non ti sei mica offesa, non è vero?"

"Io non mi offendo mai" rispose la madre con dignità "soltanto non mi pareva che fosse quella la maniera con la quale una figlia rispettosa deve parlare a sua madre."

"Hai mille volte ragione, mamma" insistette Carla sempre più mansueta, "mille volte ragione... ma ora bisogna dimenticar tutto, almeno per oggi, e pensare a cose più allegre."

"Sei furba tu" disse la madre con un mezzo sorriso; "e sia, dimentichiamo pure, giusto perché oggi è la tua festa... se no, sarebbe andata altrimenti."

"Benissimo" approvò Carla senza lasciare quel suo tono di volonterosa serenità; "ti ringrazio, mamma... e ora voi due, Leo e Michele, raccontateci qualche cosa di allegro così che si possa ridere."

"Così su due piedi" disse Leo posando la forchetta, "non saprei davvero cosa raccontare."

"Io" incominciò Michele "avrei una storia veramente bella... volete che ve la dica?"

"Sentiamo" incoraggiò la madre.

"Ecco qui." Michele alzò la testa e incominciò a recitare: "Era la sera del venerdì santo, i briganti calabresi stavano riuniti intorno al fuoco; ed ecco uno di essi disse: 'Tu Beppe, che ne sai tante, dicci una bella storia' e Beppe con voce cavernosa cominciò: 'Era la sera del venerdì santo, i briganti calabresi stavano riuniti intorno al fuoco; ed ecco uno di essi disse: 'Tu Beppe, che ne sai tante, dicci una bella storia' e Beppe con voce cavernosa incominciò: 'Era la sera del venerdì santo...'"

"Basta, basta" interruppe la madre ridendo, "per carità... non finisce più... abbiamo capito."

"Il serpente che si morde la coda" sentenziò Leo.

Dopo di che tornò il silenzio; la cameriera cambiò i piatti e portò la frutta. "E così Carla" disse Leo, mondando con molta attenzione una mela, "da oggi dovrebbe cominciare per te una nuova vita, non è vero?"

"Speriamo" rispose Carla con un mezzo sospiro; una idea la tormentava: quando si sarebbe data a Leo, quella sera o un altro giorno?

"Nuova in che senso?" domandò la madre.

"In tutti i sensi, mamma."

"Non ti capisco mia cara" disse Mariagrazia; "spiegati, dammi un esempio."

"Nuova... cioè meno stupida, meno superficiale, meno inutile, più profonda... di quella che faccio ora..."; la fanciulla la guardò; "nuova nel senso di cambiare completamente."

"Carla ha ragione" affermò Leo. "Ogni tanto fa bene cambiare."

"Lei stia zitto" soggiunse la madre inquieta; "non capisco... come cambiar vita? Una bella mattina ti alzi e dici: 'Oggi voglio cambiar vita': com'è possibile tutto questo?"

"Si può fare qualche azione" disse Carla senza alzare gli occhi e stringendo i denti per la rabbia, "che trasformi in tutto e per tutto il modo di esistenza."

"Ma, mia cara" rispose la madre con durezza, "non vedo come una signorina per bene possa cambiar vita se non sposandosi... Allora la vita cambia davvero... si hanno le responsabilità di una casa, bisogna badare al marito... poi educare i figli, se ce ne sono... tutto un complesso di cose che trasforma radicalmente le nostre abitudini. Ora io te lo auguro di tutto cuore, ma mi pare poco probabile che tra oggi e domani tu ti possa sposare... e così non vedo come la vita possa, improvvisamente soltanto perché lo si vuole, cambiare..."

"Ma mamma" arrischiò Carla stringendo nervosamente il manico del coltello che teneva in mano; "ci sono altre cose oltre il matrimonio, che possono introdurre dei mutamenti nell'esistenza di una persona."

"E cioè" interrogò Mariagrazia freddissima, tagliando uno spicchio della sua mela.

Carla la guardò quasi con odio: "E cioè diventare l'amante di Leo" avrebbe voluto rispondere; e immaginava con un triste, avido piacere lo stupore, l'indignazione, la paura che avrebbero destato queste parole, ma invece seppe essere rassegnatamente ironica: "Per esempio" spiegò in tono sfiduciato, "se oggi incontrassi il direttore di una casa cinematografica americana, e questi colpito dalla mia bellezza mi proponesse di far l'attrice... ecco, la mia vita cambierebbe subito..."

La madre storse la bocca: "Ragioni come una bambina... con te non si può parlare..."

"Tutto è possibile" disse Leo a cui premeva di ingraziarsi la fanciulla.

"Come?" disse la madre, "che mia figlia oggi stesso diventi un'attrice? Lei, Merumeci, non sa quello che dice."

"Ma, lasciando da parte gli scherzi," insistette Carla, "a quanto pare, tra poco abbandoneremo la villa e andremo ad abitare altrove... e anche si tenterà di fare meno spese... e allora non dovrà cambiare per forza la vita?"

"Chi ha detto che ce ne andremo?" asserì Mariagrazia con una specie di disperata impudenza, guardando negli occhi l'amante; "finché tu non avrai trovato marito, noi resteremo qui."

Leo la guardò, dalla collera diventò rosso, e represse a stento una violenta alzata di spalle: "Un corno resterete" avrebbe voluto gridarle; "ve ne andrete, ve ne andrete a passo di corsa."

"Resteremo" ripetè la madre con un sorriso malsicuro; "non è vero Merumeci che resteremo?"

Tutti guardarono l'uomo: "Che il diavolo se la porti" egli pensò; ma rispose "sì, sì, resterete" desideroso soprattutto di non suscitare scene e di non guastare le cose con Carla.

"Vedete"' esclamò la madre trionfante; "ho la parola di Merumeci...

Per ora nulla cambierà."

"Per un'ora... sì" mormorò l'uomo, ma con voce così bassa che nessuno lo udì. Fu in questo momento che Carla ebbe il suo secondo irrefrenabile scatto; quei tre la videro farsi tutta rossa in volto, e improvvisamente battere un pugno sulla tavola: "lo... io non credo a tutto questo" disse con voce così alta da parere stridula; "tu mamma vuoi vedermi soffocare... Io preferisco la rovina, sì, capisci? la rovina... a tutte queste cose, preferisco andare fino in fondo, giù, lo dicevo proprio l'altro giorno a Leo, non faccio che pensarci giorno e notte, e anche stamane, appena mi sono alzata e mi sono guardata nello specchio, mi sono detta: 'Comincia per me un nuovo anno che deve essere assolutamente diverso da quello passato; perché è impossibile andare avanti così... è impossibile.'" Bruscamente da rossa diventò pallida, chinò la testa e incominciò a piangere; tutti si guardarono in volto, imbarazzati, anzi la madre si alzò, quel pianto evidentemente doveva parerle abbastanza sincero per togliere ogni importanza alle accuse che l'avevano preceduto, e si avvicinò alla fanciulla: "Che ragione c'è di mettersi a piangere, così, senza fondamento... su... oggi è la tua festa... non bisogna piangere..."

Carla non alzò la testa, dei singhiozzi la scuotevano; ma c'era nelle parole blandamente consolatrici della madre un'eco così limpida dei tempi della sua infanzia, coi loro puerili dispiaceri e i loro materni conforti, che una riluttante commozione s'insinuò nel suo dolore arido; le parve di rivedersi com'era allora, bimba, la punse un rammarico improvviso di aver perduto quell'innocenza e quell'irresponsabilità, figure e avvenimenti di quegli anni le passarono davanti agli occhi attraverso il velo delle lacrime; fu un attimo; poi udì Leo incoraggiarla a sua volta: "Su... allegra... perché piangere?" E rialzò la testa.

"Avete ragione" disse con voce ferma, asciugandosi gli occhi; "oggi è la mia festa..." avrebbe voluto soggiungere qualcos'altro ancora, ma si trattenne. "Che diamine" esclamava intanto Leo, "piangere a tavola." La madre sorrideva stupidamente; tutto era a un tempo dolce e amaro.

Soltanto Michele non si mosse né parlò: "Isterismi" aveva pensato nel vedere la sorella scoppiare in lacrime; "se un giovane della sua età la amasse ed ella lo amasse, sarebbe calma e felice." Non metteva alcuna differenza tra la sorella e gli altri due, tutti e tre gli parevano intollerabilmente falsi e lontani; li guardava: "È mai possibile" si domandava angosciato, "che questo solamente sia il mio mondo, la mia gente?" Più li ascoltava, più gli parevano ridicoli e incomprensivi nelle loro solitarie sincerità: "Ridere," pensava, "bisogna che io rida"; ma non capiva perché, non sapeva se fosse disgusto o pietà, a vederli là, Leo, la madre, Carla, per la millesima volta, immutabili, eppur così difettosi, seduti intorno a quella tavola, il volto gli si rabbuiava, gli occhi gli si chiudevano per la stanchezza: "C'è un errore" si ripeteva; "ci dev'essere un errore"; e abbassava la testa per nascondere le palpebre bagnate.

Nessuno vide, nessuno capì; le frutta erano state mangiate, ciascuno aveva davanti al suo piatto un calice, e Leo, attentissimo, leggeva i cartellini di due bottiglie di vino francese che la cameriera aveva portato in quel momento: "Questo è buono" disse finalmente da conoscitore; "e questo è buonissimo."

"L'una prima, e l'altra dopo" disse la madre saggiamente; "le stappi lei, Merumeci."

Leo prese la bottiglia, la liberò dal fil di ferro: "Uno, due e tre" contò teatralmente; al "tre" il tappo esplose e in fretta, per non spargere la schiuma, Leo versò il vino nei calici; si alzarono tutti quattro in piedi sotto il lampadario polveroso.

"Alla tua salute, Carla" disse la madre con voce bassa e intima come se si fosse trattato di qualche segreto; i bicchieri si urtarono, dei richiami amabili, e in un certo modo patetici, s'incrociarono in tutti i sensi: "Mamma", "Michele", "Carla", "signora", "Merumeci"; sopra la tavola in disordine, tra quelle quattro teste curve; il cristallo dei calici tintinnava, tintinnava dolorosamente ad ogni urto; poi tutti bevvero guardandosi al disopra del vino con occhi dubitosi.

"È buono" disse alfine la madre; "si sente che è vecchio."

"È buonissimo," ribadì Leo, "e ora" soggiunse "farò un discorso... un discorso per ciascuno; ma prima di tutto pregherei Michele di non fare quella faccia di condannato a morte: non è cicuta, è champagne."

"Tu hai ragione" pensò Michele, "bisogna ridere," e fece una smorfia stupida, tanto che se ne accorse e ne sorrise.

"Così va bene'" disse Leo molto contento di quella sua allusione a Socrate; alzò il calice: "Alla tua nuova vita, Carla": sorrise e andò a battere il suo contro il bicchiere della fanciulla: "Io so benissimo" continuò guardandola maliziosamente, "quali sono i tuoi grandi desideri, e a che cosa tu pensi giorno e notte... Per questo credo di cogliere nel segno augurandoti un matrimonio felice in tutti i sensi, e cioè con un uomo ricco, bello e intelligente... ho indovinato o no?" Da dietro il suo calice la madre festosa accennò di sì; invece la festeggiata non rispose né sorrise; questa falsità allusiva e ironica dell'uomo le faceva intravedere la rovina a cui andava incontro; ma bisognava lasciarsi cadere fino al fondo della vita; gli fece cogli occhi un freddo cenno di assentimento e non senza disgusto, ché quel vino francese non le era mai piaciuto, vuotò il calice fino all'ultima goccia.

"Alla salute della signora" continuò Leo "e a quanto mi pare di aver capito, poiché tali sono i suoi desideri, auguriamole senz'altro, all'opposto di Carla, che nulla venga mai a cambiare, che tutto resti com'è con le vecchie abitudini e anche" soggiunse con illuminata abilità, "con i vecchi amici." La vide sorridere come se l'avessero solleticata là sotto le ascelle: "Evviva i vecchi amici" ella gridò perdutamente; poi andò a battere il suo calice contro quello dell'amante e bevve con entusiasmo.

"Alla nostra amicizia, Michele" disse finalmente Leo; tracannò d'un sol fiato e avvicinatosi al ragazzo gli tese la mano; Michele guardò in su Leo che sorrideva sicuro e bonario, guardò quella mano squadernatagli là, sotto il naso; lui seduto, Leo in piedi; di questo vedeva il busto ampio, e di sotto in su quel sorriso rosso e paterno che serpeggiava stupidamente tra le guance pesanti; "Rifiutare" pensò, "rifiutare e ridergli in faccia"; e accennò di alzarsi posando il tovagliolo sulla tavola. Allora, guardandosi intorno, si accorse che un profondo silenzio era seguito alle risa, alle parole ed ai brindisi; il lampadario, il vasellame in disordine della tavola non erano più immobili di Carla e della madre; quest'ultima poi lo guardava, con la testa appoggiata sulle mani, ansiosa e imperiosa; due rughe le sbarravano la fronte, non si capiva se supplicava o comandava.

Gli tornò il malessere della compassione; "Non aver paura" avrebbe voluto dire; "nessuno te lo tocca il tuo uomo, mamma, nessuno..." I suoi occhi, tra Leo e la madre, si fissavano, si distraevano in un barbaglio di luce bianca... era un sogno, un incubo di indifferenza.

"Su., su" udì parlar da Leo; "dammi la mano e tutto sia finito." Tese la destra e Leo la strinse; poi, addirittura, con una spontaneità che gli parve inverosimile, egli si trovò tra le braccia dell'uomo; si abbracciarono e si baciarono.

Subito tornò la più grande allegria: "Così va bene" applaudì la madre; "bravo Michele." "Non è ammissibile" gridò Leo contentissimo "che tra due persone per bene come Michele e me ci siano dei disaccordi," e dentro di sé pensava: "E ora che ci siamo abbracciati mi lascerai in pace?" Soltanto il ragazzo, là, in fondo alla tavola, chinava la testa sul piatto, pareva che si vergognasse, che fosse pentito di quell'abbraccio come di una cattiva azione; alfine alzò gli occhi: ora quei tre, superato l'ostacolo del suo odio, già non si occupavano più di lui, stavano raggruppati intorno all'altro capo della tavola, parevano lontani e stranieri come veduti attraverso un vetro, ridevano, bevevano... e lo ignoravano.


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La tavola era stata preparata con solennità e raffinatezza; argento e cristalli, tutto il migliore vasellame della famiglia scintillava sulla tovaglia bianca, nel giorno bianco della sala da pranzo; la madre sedette a capotavola, e, benché i posti fossero gli stessi della sera avanti, li ridistribuì: "Merumeci, qui, là Carla... là Michele" non si sa se per far risaltare l'importanza della festa o per una antica abitudine di invitare in tali occasioni più numerosi commensali.

"Avrei voluto" ella disse cominciando a mangiare, "fare per questo giorno di Carla un pranzo come lo intendo io, con tutte le specialità, insomma un pranzo in regola... ma come si fa? Oggigiorno tutto questo non è possibile... ho una cuoca che senza essere cattiva non arriva ad essere buona... si ha un bel dirle... fate così e così... la passione manca... Ora quando la passione non c'è tutto manca."

"Hai ragione" approvò Michele con gravità ironica, "proprio così... senza passione non si fa nulla... io per esempio, per quanto mi sia sforzato di dare uno schiaffo a Leo, non ci sono riuscito... mi manca la passione."

"Che c'entra questo?" interruppe la madre facendosi rossa per la stizza; "che c'entra Leo?... si parla della cuoca... ah, Michele, tu sei sempre uguale a te stesso... anche in un giorno come questo, nel giorno in cui è nata tua sorella, quando si dovrebbe dimenticare tutto e rallegrarci sinceramente, tu invece parli di schiaffi, di litigi... non ti correggerai dunque mai?"

"Lo lasci dire, cara signora," profferì Leo senza alzare gli occhi dal piatto; "tanto per me fa lo stesso... non lo sento."

"Mi tacerò, madre, mi tacerò" esclamò Michele che aveva capito a tempo di aver toccato un tasto falso; "non dubitare... sarò muto come un pesce, non turberò più questa festa..."

Tornò il silenzio; la cameriera entrò e tolse i piatti; poi la madre, che non aveva cessato di fissare con quei suoi occhi indagatori l'amante, si voltò: "S'è divertito ieri sera, Merumeci?"

Leo diede un'occhiata alla fanciulla come per dirle: "Ecco, ci siamo"; ma Carla non gli rispose; udì l'uomo domandare: "Dove? Quando?" e sentì nello stesso istante un piede premere il suo, là sotto la tavola; si morse le labbra: questa meschina doppiezza le dava un senso di grande oscurità, avrebbe voluto alzarsi, gridare la verità.

"Dove?" rispondeva la madre, "con Lisa... diamine!"

"Mah... se lei trova che ci sia qualche cosa di divertente nell'accompagnare una persona a casa sua."

"Io no" protestò la madre con un riso malizioso; "io in certe compagnie mi ci annoio francamente... ma lei sì, lei quelle compagnie le cerca, vuol dire che le piacciono."

Leo stava già per rispondere quando, con la sua consueta inopportunità, Michele intervenne: "Ah madre" esclamò parodiando le parole che Mariagrazia aveva profferito prima; "tu sei sempre uguale a te stessa... anche in un giorno come questo, nel giorno in cui è nata tua sorella, no scusa, tua figlia, quando si dovrebbe dimenticar tutto e rallegrarci sinceramente, tu invece parli di Lisa, di accompagnamenti... non ti correggerai dunque mai?"

Questa buffoneria fece sorridere contro voglia Carla e ridere francamente Leo. "Bene, Michele" gridò quest'ultimo; ma la madre si offese: "Cosa c'entri tu?" disse volgendosi al figlio; "io posso parlare quanto mi pare di cose mie a Merumeci, senza che per questo tu debba metter bocca."

"Ma in un giorno come questo?"

"Cosa c'entra?" La madre alzò con furore le spalle. "Io non ho fatto che accennare... e del resto" ella soggiunse, "parliamo pure d'altro... solamente lei Merumeci è avvertito d'ora in poi di scegliere qualche altro luogo per incontrare le sue amanti... io non tengo una casa di appuntamenti... ha capito?"

Era la prima volta che Mariagrazia si abbandonava a tali violenze; allora avvenne un fatto impreveduto; Carla che durante queste scene si era sempre taciuta protestò: "Io vorrei sapere una cosa" incominciò; le parole e il tono si sforzavano di parer calmi, ma le contrazioni del volto puerile, un certo rossore, e la durezza inconsueta degli occhi rivelavano un'ira profonda; "vorrei sapere, mamma, se tu ti accorgi di quello che dici... questo solo vorrei sapere."

La madre la guardò come si guarda un fenomeno vivente: "Ah questa è nuova!... ora non sarò più neppur libera di parlare."

"Vorrei sapere" insistette Carla, e la voce era già più alta, vibrava, un tremito era su quelle labbra; "se tutto questo dovrebbe essere permesso..." chinò un poco la grossa testa e fissò la madre negli occhi, stranamente, di sotto in su.

Per un istante ci fu silenzio; quei tre si guardavano involto, stupiti e incomprensivi; forse soltanto Leo ebbe in quel momento una vaga percezione dello stato d'animo di Carla; per guardar meglio la madre ella si era messa un po' di fianco alla tavola, stava come rannicchiata nella sedia dallo schienale troppo alto, le spalle magre parevano più strette, la testa più grossa... sembrava che si preparasse a saltare. Even was het stil; die drie keken elkaar verward, verbaasd en onbegrijpelijk aan; misschien had alleen Leo op dat moment een vaag beeld van Carla's gemoedstoestand; om haar moeder beter te kunnen zien had ze zich een beetje aan de kant van de tafel gezet, ze lag als opgerold in de stoel met de te hoge rugleuning, haar dunne schouders leken smaller, haar hoofd groter... ze leek voorbereiden om te springen. "Una piccola furia," egli pensò osservandola: "ora si slancia contro Mariagrazia e le lacera la faccia con le unghie." Ma queste catastrofiche previsioni non dovevano avverarsi; Carla non fece che alzare la testa; "Questo vorrei sapere" ripetè, "e se sia possibile continuare così, tutti i giorni, con questa noia, e non cambiare mai e non lasciar mai queste miserie e compiacerci di tutte le stupidità che ci passano per la testa, e discutere e litigarci sempre per le stesse ragioni e non staccarci mai da terra, neppure di tanto" ella alzò la palma della mano sulla tavola, gli occhi adirati le si empivano di lagrime, tremava; "ora" ella soggiunse raddrizzandosi del tutto, "vorrei sapere da te se tutto questo è bello... tu non te ne accorgi... ma dovresti vederti in uno specchio mentre parli, mentre discuti, allora ti vergogneresti di te stessa e capiresti fino a che punto si possa arrivare con la noia e con la stanchezza e quanto si possa desiderare una nuova vita completamente differente da questa..." tacque e un po' rossa in volto e lacrimosa, senza neppure sapere quel che facesse si servì dal piatto che la cameriera le porgeva. But these catastrophic predictions were not to come true; Carla just raised her head; "This I would like to know," he repeated, "and if it is possible to continue like this, every day, with this boredom, and never change and never leave these miseries and be content with all the stupidities that pass through our heads, and argue and quarrel always for the same reasons and never leave the ground, not even that much" she raised the palm of her hand to the table, her angry eyes filled with tears, she trembled; "Now" she added, straightening up completely, "I would like to know from you if all this is beautiful... you don't notice it... but you should see yourself in a mirror while you are talking, while you are arguing, then you would be ashamed of yourself and you would understand how far one can get with boredom and tiredness and how much one can desire a new life completely different from this one..." she was silent and a little flushed and tearful, without even knowing what she was doing she helped plate that the waitress handed her.

Alfine la madre si riebbe dal suo stupore: "Ah bene, è il colmo" esclamò, "sarà dunque a mia figlia che dovrò da oggi rivolgermi per avere il permesso di parlare?... io ti stavo a sentire ma mi pareva di sognare... è il colmo."

"A me pare" disse tranquillamente Michele "che Carla abbia appena sfiorato la verità... tutto questo è più che noioso, è schifoso... ma protestare non serve a nulla, meglio farci l'abitudine."

"Non esageriamo" disse Leo conciliante, "Carla non ha voluto dire questo."

"Vada là" gli rispose la madre, "conosco i miei polli... sa cosa sono tanto Carla che Michele? "Ga daarheen," antwoordde zijn moeder, "ik ken mijn kippen ... weet je wat zowel Carla als Michele zijn? degli egoisti... ecco la verità... degli egoisti che, se lo potessero fare, se ne andrebbero, mi lascerebbero sola."

La sua voce tremava, le sue labbra tremavano: tutti se ne sarebbero andati, Leo e gli altri; ella sarebbe restata veramente sola. Carla la guardò, ora si pentiva di aver parlato; tanto a che cosa poteva servire? non si asciuga il mare con un bicchiere, la madre sarebbe restata così com'era, incomprensiva, ridicola, perduta nell'oscurità, non si sarebbe cambiata neppure per un miracolo; nulla da guadagnare a cozzare contro di lei; meglio agire. "Davvero andarsene" ella pensò guardando la faccia rossa e tranquilla di Leo, "oggi stesso, ora, e non tornare mai più"; ma soffocando questo suo disgusto si accinse alla riconciliazione: "Vediamo, mamma, non ho voluto offenderti" disse con mansuetudine, "ma solamente domandarti, poiché oggi è il mio anniversario, tu stessa l'hai detto, di lasciar da parte qualsiasi discussione e... e..." "E di rallegrarci sinceramente" finì Michele con una smorfia. "Appunto" approvò Carla con serietà: "rallegrarci" ma a vedere la faccia stupida, malcontenta, e incerta della madre avrebbe voluto gridare: "Rallegrarci di che? di essere così come siamo?" Tacque per un istante: "Allora mamma" soggiunse, "non ti sei mica offesa, non è vero?"

"Io non mi offendo mai" rispose la madre con dignità "soltanto non mi pareva che fosse quella la maniera con la quale una figlia rispettosa deve parlare a sua madre."

"Hai mille volte ragione, mamma" insistette Carla sempre più mansueta, "mille volte ragione... ma ora bisogna dimenticar tutto, almeno per oggi, e pensare a cose più allegre."

"Sei furba tu" disse la madre con un mezzo sorriso; "e sia, dimentichiamo pure, giusto perché oggi è la tua festa... se no, sarebbe andata altrimenti."

"Benissimo" approvò Carla senza lasciare quel suo tono di volonterosa serenità; "ti ringrazio, mamma... e ora voi due, Leo e Michele, raccontateci qualche cosa di allegro così che si possa ridere."

"Così su due piedi" disse Leo posando la forchetta, "non saprei davvero cosa raccontare."

"Io" incominciò Michele "avrei una storia veramente bella... volete che ve la dica?"

"Sentiamo" incoraggiò la madre.

"Ecco qui." Michele alzò la testa e incominciò a recitare: "Era la sera del venerdì santo, i briganti calabresi stavano riuniti intorno al fuoco; ed ecco uno di essi disse: 'Tu Beppe, che ne sai tante, dicci una bella storia' e Beppe con voce cavernosa cominciò: 'Era la sera del venerdì santo, i briganti calabresi stavano riuniti intorno al fuoco; ed ecco uno di essi disse: 'Tu Beppe, che ne sai tante, dicci una bella storia' e Beppe con voce cavernosa incominciò: 'Era la sera del venerdì santo...'"

"Basta, basta" interruppe la madre ridendo, "per carità... non finisce più... abbiamo capito."

"Il serpente che si morde la coda" sentenziò Leo.

Dopo di che tornò il silenzio; la cameriera cambiò i piatti e portò la frutta. "E così Carla" disse Leo, mondando con molta attenzione una mela, "da oggi dovrebbe cominciare per te una nuova vita, non è vero?"

"Speriamo" rispose Carla con un mezzo sospiro; una idea la tormentava: quando si sarebbe data a Leo, quella sera o un altro giorno?

"Nuova in che senso?" domandò la madre.

"In tutti i sensi, mamma."

"Non ti capisco mia cara" disse Mariagrazia; "spiegati, dammi un esempio."

"Nuova... cioè meno stupida, meno superficiale, meno inutile, più profonda... di quella che faccio ora..."; la fanciulla la guardò; "nuova nel senso di cambiare completamente."

"Carla ha ragione" affermò Leo. "Ogni tanto fa bene cambiare."

"Lei stia zitto" soggiunse la madre inquieta; "non capisco... come cambiar vita? Una bella mattina ti alzi e dici: 'Oggi voglio cambiar vita': com'è possibile tutto questo?"

"Si può fare qualche azione" disse Carla senza alzare gli occhi e stringendo i denti per la rabbia, "che trasformi in tutto e per tutto il modo di esistenza."

"Ma, mia cara" rispose la madre con durezza, "non vedo come una signorina per bene possa cambiar vita se non sposandosi... Allora la vita cambia davvero... si hanno le responsabilità di una casa, bisogna badare al marito... poi educare i figli, se ce ne sono... tutto un complesso di cose che trasforma radicalmente le nostre abitudini. Ora io te lo auguro di tutto cuore, ma mi pare poco probabile che tra oggi e domani tu ti possa sposare... e così non vedo come la vita possa, improvvisamente soltanto perché lo si vuole, cambiare..."

"Ma mamma" arrischiò Carla stringendo nervosamente il manico del coltello che teneva in mano; "ci sono altre cose oltre il matrimonio, che possono introdurre dei mutamenti nell'esistenza di una persona."

"E cioè" interrogò Mariagrazia freddissima, tagliando uno spicchio della sua mela.

Carla la guardò quasi con odio: "E cioè diventare l'amante di Leo" avrebbe voluto rispondere; e immaginava con un triste, avido piacere lo stupore, l'indignazione, la paura che avrebbero destato queste parole, ma invece seppe essere rassegnatamente ironica: "Per esempio" spiegò in tono sfiduciato, "se oggi incontrassi il direttore di una casa cinematografica americana, e questi colpito dalla mia bellezza mi proponesse di far l'attrice... ecco, la mia vita cambierebbe subito..."

La madre storse la bocca: "Ragioni come una bambina... con te non si può parlare..."

"Tutto è possibile" disse Leo a cui premeva di ingraziarsi la fanciulla.

"Come?" disse la madre, "che mia figlia oggi stesso diventi un'attrice? Lei, Merumeci, non sa quello che dice."

"Ma, lasciando da parte gli scherzi," insistette Carla, "a quanto pare, tra poco abbandoneremo la villa e andremo ad abitare altrove... e anche si tenterà di fare meno spese... e allora non dovrà cambiare per forza la vita?"

"Chi ha detto che ce ne andremo?" asserì Mariagrazia con una specie di disperata impudenza, guardando negli occhi l'amante; "finché tu non avrai trovato marito, noi resteremo qui." beweerde Mariagrazia met een soort wanhopige onbeschaamdheid, terwijl ze haar minnaar in de ogen keek; 'Tot je een man vindt, blijven we hier.'

Leo la guardò, dalla collera diventò rosso, e represse a stento una violenta alzata di spalle: "Un corno resterete" avrebbe voluto gridarle; "ve ne andrete, ve ne andrete a passo di corsa."

"Resteremo" ripetè la madre con un sorriso malsicuro; "non è vero Merumeci che resteremo?"

Tutti guardarono l'uomo: "Che il diavolo se la porti" egli pensò; ma rispose "sì, sì, resterete" desideroso soprattutto di non suscitare scene e di non guastare le cose con Carla.

"Vedete"' esclamò la madre trionfante; "ho la parola di Merumeci...

Per ora nulla cambierà."

"Per un'ora... sì" mormorò l'uomo, ma con voce così bassa che nessuno lo udì. Fu in questo momento che Carla ebbe il suo secondo irrefrenabile scatto; quei tre la videro farsi tutta rossa in volto, e improvvisamente battere un pugno sulla tavola: "lo... io non credo a tutto questo" disse con voce così alta da parere stridula; "tu mamma vuoi vedermi soffocare... Io preferisco la rovina, sì, capisci? la rovina... a tutte queste cose, preferisco andare fino in fondo, giù, lo dicevo proprio l'altro giorno a Leo, non faccio che pensarci giorno e notte, e anche stamane, appena mi sono alzata e mi sono guardata nello specchio, mi sono detta: 'Comincia per me un nuovo anno che deve essere assolutamente diverso da quello passato; perché è impossibile andare avanti così... è impossibile.'" Bruscamente da rossa diventò pallida, chinò la testa e incominciò a piangere; tutti si guardarono in volto, imbarazzati, anzi la madre si alzò, quel pianto evidentemente doveva parerle abbastanza sincero per togliere ogni importanza alle accuse che l'avevano preceduto, e si avvicinò alla fanciulla: "Che ragione c'è di mettersi a piangere, così, senza fondamento... su... oggi è la tua festa... non bisogna piangere..."

Carla non alzò la testa, dei singhiozzi la scuotevano; ma c'era nelle parole blandamente consolatrici della madre un'eco così limpida dei tempi della sua infanzia, coi loro puerili dispiaceri e i loro materni conforti, che una riluttante commozione s'insinuò nel suo dolore arido; le parve di rivedersi com'era allora, bimba, la punse un rammarico improvviso di aver perduto quell'innocenza e quell'irresponsabilità, figure e avvenimenti di quegli anni le passarono davanti agli occhi attraverso il velo delle lacrime; fu un attimo; poi udì Leo incoraggiarla a sua volta: "Su... allegra... perché piangere?" E rialzò la testa.

"Avete ragione" disse con voce ferma, asciugandosi gli occhi; "oggi è la mia festa..." avrebbe voluto soggiungere qualcos'altro ancora, ma si trattenne. "Che diamine" esclamava intanto Leo, "piangere a tavola." La madre sorrideva stupidamente; tutto era a un tempo dolce e amaro.

Soltanto Michele non si mosse né parlò: "Isterismi" aveva pensato nel vedere la sorella scoppiare in lacrime; "se un giovane della sua età la amasse ed ella lo amasse, sarebbe calma e felice." Non metteva alcuna differenza tra la sorella e gli altri due, tutti e tre gli parevano intollerabilmente falsi e lontani; li guardava: "È mai possibile" si domandava angosciato, "che questo solamente sia il mio mondo, la mia gente?" Più li ascoltava, più gli parevano ridicoli e incomprensivi nelle loro solitarie sincerità: "Ridere," pensava, "bisogna che io rida"; ma non capiva perché, non sapeva se fosse disgusto o pietà, a vederli là, Leo, la madre, Carla, per la millesima volta, immutabili, eppur così difettosi, seduti intorno a quella tavola, il volto gli si rabbuiava, gli occhi gli si chiudevano per la stanchezza: "C'è un errore" si ripeteva; "ci dev'essere un errore"; e abbassava la testa per nascondere le palpebre bagnate.

Nessuno vide, nessuno capì; le frutta erano state mangiate, ciascuno aveva davanti al suo piatto un calice, e Leo, attentissimo, leggeva i cartellini di due bottiglie di vino francese che la cameriera aveva portato in quel momento: "Questo è buono" disse finalmente da conoscitore; "e questo è buonissimo."

"L'una prima, e l'altra dopo" disse la madre saggiamente; "le stappi lei, Merumeci."

Leo prese la bottiglia, la liberò dal fil di ferro: "Uno, due e tre" contò teatralmente; al "tre" il tappo esplose e in fretta, per non spargere la schiuma, Leo versò il vino nei calici; si alzarono tutti quattro in piedi sotto il lampadario polveroso.

"Alla tua salute, Carla" disse la madre con voce bassa e intima come se si fosse trattato di qualche segreto; i bicchieri si urtarono, dei richiami amabili, e in un certo modo patetici, s'incrociarono in tutti i sensi: "Mamma", "Michele", "Carla", "signora", "Merumeci"; sopra la tavola in disordine, tra quelle quattro teste curve; il cristallo dei calici tintinnava, tintinnava dolorosamente ad ogni urto; poi tutti bevvero guardandosi al disopra del vino con occhi dubitosi. "To your health, Carla," said her mother in a low, intimate voice as if it were some secret; the glasses collided, amiable and in a certain way pathetic calls crossed each other in every sense: "Mamma", "Michele", "Carla", "signora", "Merumeci"; above the messy table, among those four bent heads; the crystal of the goblets tinkled, tinkled painfully at every impact; then they all drank, looking over the wine at each other with doubtful eyes.

"È buono" disse alfine la madre; "si sente che è vecchio."

"È buonissimo," ribadì Leo, "e ora" soggiunse "farò un discorso... un discorso per ciascuno; ma prima di tutto pregherei Michele di non fare quella faccia di condannato a morte: non è cicuta, è champagne."

"Tu hai ragione" pensò Michele, "bisogna ridere," e fece una smorfia stupida, tanto che se ne accorse e ne sorrise.

"Così va bene'" disse Leo molto contento di quella sua allusione a Socrate; alzò il calice: "Alla tua nuova vita, Carla": sorrise e andò a battere il suo contro il bicchiere della fanciulla: "Io so benissimo" continuò guardandola maliziosamente, "quali sono i tuoi grandi desideri, e a che cosa tu pensi giorno e notte... Per questo credo di cogliere nel segno augurandoti un matrimonio felice in tutti i sensi, e cioè con un uomo ricco, bello e intelligente... ho indovinato o no?" Da dietro il suo calice la madre festosa accennò di sì; invece la festeggiata non rispose né sorrise; questa falsità allusiva e ironica dell'uomo le faceva intravedere la rovina a cui andava incontro; ma bisognava lasciarsi cadere fino al fondo della vita; gli fece cogli occhi un freddo cenno di assentimento e non senza disgusto, ché quel vino francese non le era mai piaciuto, vuotò il calice fino all'ultima goccia.

"Alla salute della signora" continuò Leo "e a quanto mi pare di aver capito, poiché tali sono i suoi desideri, auguriamole senz'altro, all'opposto di Carla, che nulla venga mai a cambiare, che tutto resti com'è con le vecchie abitudini e anche" soggiunse con illuminata abilità, "con i vecchi amici." La vide sorridere come se l'avessero solleticata là sotto le ascelle: "Evviva i vecchi amici" ella gridò perdutamente; poi andò a battere il suo calice contro quello dell'amante e bevve con entusiasmo.

"Alla nostra amicizia, Michele" disse finalmente Leo; tracannò d'un sol fiato e avvicinatosi al ragazzo gli tese la mano; Michele guardò in su Leo che sorrideva sicuro e bonario, guardò quella mano squadernatagli là, sotto il naso; lui seduto, Leo in piedi; di questo vedeva il busto ampio, e di sotto in su quel sorriso rosso e paterno che serpeggiava stupidamente tra le guance pesanti; "Rifiutare" pensò, "rifiutare e ridergli in faccia"; e accennò di alzarsi posando il tovagliolo sulla tavola. Allora, guardandosi intorno, si accorse che un profondo silenzio era seguito alle risa, alle parole ed ai brindisi; il lampadario, il vasellame in disordine della tavola non erano più immobili di Carla e della madre; quest'ultima poi lo guardava, con la testa appoggiata sulle mani, ansiosa e imperiosa; due rughe le sbarravano la fronte, non si capiva se supplicava o comandava.

Gli tornò il malessere della compassione; "Non aver paura" avrebbe voluto dire; "nessuno te lo tocca il tuo uomo, mamma, nessuno..." I suoi occhi, tra Leo e la madre, si fissavano, si distraevano in un barbaglio di luce bianca... era un sogno, un incubo di indifferenza.

"Su., su" udì parlar da Leo; "dammi la mano e tutto sia finito." Tese la destra e Leo la strinse; poi, addirittura, con una spontaneità che gli parve inverosimile, egli si trovò tra le braccia dell'uomo; si abbracciarono e si baciarono.

Subito tornò la più grande allegria: "Così va bene" applaudì la madre; "bravo Michele." "Non è ammissibile" gridò Leo contentissimo "che tra due persone per bene come Michele e me ci siano dei disaccordi," e dentro di sé pensava: "E ora che ci siamo abbracciati mi lascerai in pace?" Soltanto il ragazzo, là, in fondo alla tavola, chinava la testa sul piatto, pareva che si vergognasse, che fosse pentito di quell'abbraccio come di una cattiva azione; alfine alzò gli occhi: ora quei tre, superato l'ostacolo del suo odio, già non si occupavano più di lui, stavano raggruppati intorno all'altro capo della tavola, parevano lontani e stranieri come veduti attraverso un vetro, ridevano, bevevano... e lo ignoravano.