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Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 6 (V-VI)

6 (V-VI)

Michele alzò la testa, si drizzò a sedere stropicciandosi gli occhi abbagliati:

"Sarà ora che io vada" disse; "e questo tuo parente quando viene?"

"Vado a telefonargli" disse Lisa che evidentemente non si aspettava questa domanda; e uscì.

Egli restò solo: si alzò, andò alla parete, guardò distrattamente uno di quegli acquerelli; poi come sovrappensiero si avvicinò alla porta, l'aprì un poco; il telefono era là, inchiodato alla parete, in fondo al corridoio oscuro, ma Lisa non c'era; quella uscita era stata una finzione; quel parente non esisteva; pur di attirare il ragazzo in casa sua, la donna aveva mentito.

"Fingere" egli pensò richiudendo con precauzione la porta; "è giusto fingere"; tornò alla parete e riprese a contemplare l'acquerello che raffigurava una casa colonica e dei pagliai; un leggero, fastidioso disgusto lo opprimeva; come quando si sente ingrossare il vomito e si vorrebbe trattenerlo; ma questo pensiero: "in fin dei conti, ella è come me," servì a piegarlo alfine a un po' di compassione per quella figura mentitrice senza bisogno. "Siamo tutti uguali" pensò: "fra le mille maniere di fare un'azione, scegliamo sempre istintivamente la peggiore."

Dopo un istante la porta si aprì e Lisa entrò: "Mi dispiace tanto" ella disse, "quel mio parente è occupato... non può venire... ma dice domani... se puoi domani nel pomeriggio." Si guardarono; il disgusto e la compassione di Michele aumentavano. "Questo è troppo" pensò; "questo è menarmi per il naso; e domani sarà la stessa storia: torna domani." Gli parve che se avesse finto di non aver capito ci sarebbe stato come una complicità tra di loro, un malinteso ruffiano che avrebbe loro permesso, in attesa del parente inesistente, di intendersela senza troppi scrupoli su tutti gli altri punti.

"No" disse, "domani non torno."

"Ma egli verrà" insistette la donna con una certa sfrontatezza; e se tu non ci sei..."

Michele le posò una mano sulla spalla e la guardò: "Tutto questo è ridicolo... egli non verrà... perché non dire la verità?" La vide turbarsi e, quel che fu peggio, per sfuggire ai suoi sguardi, arrischiare un sorriso impudico, svergognato, come di chi non è troppo dispiacente di essere colto in fallo.

"Quale verità?" ella ripetè senza guardarlo, senza lasciare quel suo sorriso; "non ti capisco... salvo imprevisti, egli verrà certamente..."

"Ho guardato nel corridoio" spiegò Michele con calma; "tu non hai telefonato... e questo parente non esiste."

Un istante di silenzio; poi Lisa scelse l'atteggiamento più facile; sorrise ancora, alzò un poco le spalle: "E se hai guardato nel corridoio, perché mi fai tante domande?"

Michele la osservava. "È mai possibile" pensava, "che ella non senta che si può essere meglio di così?" Volle fare ancora uno sforzo: "No" insistette, "non prenderla su questo tono... è una cosa molto seria...: perché invece di far quella commedia non hai detto piuttosto 'toma domani... si prenderà il tè insieme'?"

"Avrei dovuto dirlo, lo so...": ella parlava senza umiltà, con una specie d'impazienza; "vuol dire che tu verrai lo stesso, non è vero?... E poi non aver paura, al mio parente se non gli ho parlato, parlerò certamente, il più presto possibile."

"Ecco" pensò il ragazzo, "ella crede che questo mio rimprovero sia dovuto al mio disappunto di non aver trovato quel suo maledetto parente." Il suo volto si indurì: "No, non verrò," disse, "e non parlare a nessuno." Lasciò la donna e uscì nel corridoio.

Un odore di cucina empiva quell'ombra angusta. "Allora è proprio vero che non verrai?" ella domandò tra supplichevole e incredula porgendogli il cappello; egli la guardò, esitò; tutto era stato in definitiva inutile: disgusto, pietà, la donna restava dove era, nel suo errore; questo senso di vanità dei suoi sforzi gli faceva male, dalla noia disperata e angosciosa che l'opprimeva avrebbe voluto gridare. "A che cosa servirebbe venire?" domandò.

"Come, a che cosa servirebbe?"

"Non servirebbe a nulla;" egli scosse la testa; "a nulla... tu sei così... nulla da fare... siete tutti così."

"Come così?" ella insistette arrossendo suo malgrado.

"Meschini, gretti... l'amore per andare a letto... il tuo parente in cima ai miei pensieri" avrebbe voluto rispondere Michele; invece rispose. "Va bene... verrò lo stesso"; un istante di silenzio. "Ma prima che io me ne vada" soggiunse "spiegami una cosa...: poiché ormai sei sicura che io... ti amo e perciò che io tornerò, perché hai continuato a usare quel sotterfugio del tuo parente invece di dirmi la verità?"

"Mi dispiaceva" ella spiegò non senza esitazione, "di rivelarti che la prima volta avevo inventato questa storia per farti venire."

"Ma neppure la prima volta era necessaria" disse Michele guardandola attentamente.

"Sì," ella ammise con umiltà; "hai ragione... ma chi è senza peccati?... e poi quel mio parente esiste veramente, è molto ricco... soltanto non lo vedo da molto tempo."

"Basta così" disse Michele; le prese la mano: "Allora a domani" incominciò; ma si accorse ad un tratto che Lisa lo guardava in modo strano e sorrideva tra timida e lusingatrice; capì; "E sia," pensò; si chinò, strinse la donna al petto e la baciò sulla bocca; poi la lasciò ed uscì; sulla soglia si voltò per salutare: vide allora che, come una bimba al primo amore, Lisa vergognosa si nascondeva pudicamente dietro un mantello appeso all'attaccapanni, là, nell'ombra del vestibolo, e con due dita posate sulle labbra gli mandava un ultimo bacio.

"Indegna commedia" pensò; e senza voltarsi indietro si avviò giù per la scala.

Capitolo VI

Quel giorno la madre finì assai tardi di vestirsi; era mezzodì e stava ancora seduta davanti la teletta passandosi con molte smorfie e grandissima cura il pennellino del nero sulle palpebre gonfie; appena desta, le immagini della gelosia l'avevano messa di cattivo umore, ma poi improvvisamente, si era ricordata che appunto quel giorno Carla compiva gli anni, ventiquattro di numero, e un brusco isterico fiotto di amor materno aveva inondato la sua anima: "La mia Carlotta, la mia povera Carlottina" aveva pensato quasi lacrimando dalla tenerezza; "ecco, non c'è che lei al mondo che mi voglia bene." Si era levata, si era vestita con questo pensiero di Carla, che compiva gli anni; le pareva questa una cosa pietosa, un fatto patetico da piangerci sopra, e non aveva cessato per tutto quel tempo di immaginare i regali e le soddisfazioni che avrebbe elargito alla fanciulla. "Ha pochi vestiti... gliene farò... gliene farò quattro o cinque... le farò anche la pelliccia... è tanto tempo che la desidera..." Dove poi avrebbe pescato i quattrini per questa beneficenza la madre non ci pensava neppure. "E che trovi un marito" pensò ancora; "dopo non avrò più desideri." Le venne di riflesso, pensando alla sua figliola ventiquattrenne eppure ancora nubile, una rabbia ingiuriosa contro gli uomini: "Tutti questi cretini di giovinotti... Non vogliono che divertirsi e perdere il loro tempo, mentre dovrebbero pensare a farsi una famiglia." Ma Carla si sarebbe certamente sposata: "È bella" ella si disse contando sulle dita le doti della figlia; "anzi direi bellissima... È buona, di una bontà angelica... e poi è intelligente, colta... ha avuto una eccellente educazione... cosa si può voler di più?" I denari, ecco, i denari mancavano; Carla sarebbe andata in casa di suo marito come era venuta al mondo, tutta nuda, ricca soltanto delle sue virtù, su questo non c'era dubbio; ma era poi così vero che oggigiorno non si sposano che le fanciulle ricche? oh non c'erano stati ultimamente casi di ragazze maritate benissimo e senza un soldo di dote?... Un po' rinfrancata, la madre passò dalla camera da letto nell'anticamera.

Un mazzo di magnifiche rose e una scatola stavano posati sulla tavola centrale; un biglietto era tra i fiori; la madre lo prese, lacerò la busta e lesse: "A Carla, alla mia quasi figlia, coi più affettuosi auguri, Leo." Ripose il biglietto tra le rose: "Com'è delicato" pensò contenta; "un altro al suo posto non saprebbe come comportarsi coi figli della sua amica... invece lui toglie ogni ragione di sospetto... è come un padre." Dalla gioia avrebbe voluto battere le mani, se Leo fosse stato presente l'avrebbe abbracciato; poi aprì la scatola; conteneva questa una borsa di seta ricamata con la cerniera di pietra azzurra; la gioia della madre fu al colmo.

Prese la scatola e il mazzo e corse nella stanza di Carla: "Cento di questi giorni" le gridò; "guarda cosa è arrivato per te." Carla era seduta alla tavola con un libro in mano; si alzò e senza dir parola lesse il biglietto; quell'impudenza, quella compiacenza di Leo che la chiamava "sua quasi figlia" le ricondussero in mente, per contrasto e così bruscamente che ne fremette, il senso angoscioso e in un certo modo incestuoso di questo suo intrigo; alzò gli occhi; quelli della madre brillavano di gioia, ella sorrideva commossa stringendo al petto, non senza ridicolaggine, il fascio di fiori: "Molto gentile da parte sua" disse freddamente; "e in quella scatola cosa c'è?"

"Una borsa" rispose la madre con entusiasmo; "una elegantissima borsa da sera che avrà pagato per lo meno cinquecento lire... guarda..." Aprì la scatola, mostrò il dono alla figlia: "Non è vero che è bella?" soggiunse.

"Bellissima" rispose Carla; posò l'oggetto sulla tavola, si guardarono:

"E così" disse improvvisamente la madre con voce commossa; "la mia figliola compie oggi ventiquattro anni... eppure mi sembra ieri che era una bimba."

"Sì, mamma, anche a me" rispose Carla senza ombra d'ironia; ma avrebbe voluto soggiungere: "da oggi non lo sarò più."

"Giocavi con le bambole" continuò la madre; "le cullavi facendomi cenno di non parlare, dicendomi che dormivano." Ella si fermò a metà di queste sue patetiche evocazioni e fissò Carla: "Speriamo che possa farlo un giorno con le bambole di carne e ossa."

"Sì, mamma, speriamo" rispose la fanciulla tra impacciata e pietosa.

"Veramente Carla" insistette la madre come se avesse voluto convincerla di una grande e profonda verità; "veramente non ho che un solo desiderio... che tu ti sposi... poi sarò felice..."

Carla sorrise: "Tu... ma io sarei felice?" pensò; "Sì, va bene" rispose abbassando la testa; "ma per sposarmi bisogna essere in due... io e lui."

"Lui verrà" esclamò la madre fiduciosissima; "anzi... guarda... ti sembrerà ridicolo... ma ho come un presentimento che in questo tuo nuovo anno, ti sposerai... o per lo meno ti fidanzerai... ho questa idea... chi sa perché, sono di quelle cose che non si spiegano... e vedrai che si realizzerà."

"Qualche altra cosa si realizzerà" avrebbe voluto rispondere Carla; e pensava alla sua decisione di darsi a Leo quel giorno stesso; l'incomprensione della madre le dava il senso doloroso di una cecità e di una oscurità nella quale essi tutti si trovavano avvolti senza speranza di liberazione; sorrise e fermamente rispose: "Certo, qualche cosa dovrà pur succedere."

Tacquero un istante ambedue; silenzio; immobilità; poi laggiù nel primo piano, dal fondo del corridoio, arrivò il tonfo della porta di casa chiusa con forza: "Dev'essere Merumeci" disse la madre alzandosi; "ricevilo tu... io vengo subito."

Il cuore di Carla batté più in fretta; discese la scala gradino per gradino come chi si sente mancare e va piano per non cadere; entrò nel salotto e come la madre aveva immaginato, Leo era là, in piedi presso la finestra e le volgeva le spalle.

"Oh eccoti qui:" la prese per un braccio e la fece sedere sopra il divano: "Grazie per il regalo" ella disse subito; "ma perché quel biglietto?"

"Quale biglietto?"

"Quasi mia figlia" ella disse guardandolo fissamente.

"Ah" esclamò Leo come se l'avesse dimenticato; "già... così ho scritto... quasi mia figlia... verissimo."

"E perché l'hai scritto?"

Un sorriso tra compiaciuto e inverecondo illuminò il volto dell'uomo: "Prima di tutto per un riguardo a tua madre... e poi perchè mi piace immaginare che tu sia mia figlia.

Ella lo guardava: "Che vergogna" pensava, "che sconfinata vergogna." Ma il desiderio di distruzione era più forte del disgusto: "Io tua figlia..." disse con un mezzo sorriso; "a questo in verità non avevo mai pensato... come ti è venuto in mente?"

"L'altra sera" rispose Leo tranquillamente, "mentre stavamo dietro la tenda... in quel momento mi ricordai, chi sa perché, che ti avevo veduta bimba, alta così, con le gambe nude, e le trecce sulle spalle e pensai: 'Ecco potrei esserle padre e ciò nonostante..."'

"Ciò nonostante ci amiamo non è vero?" finì Carla, e, guardandolo negli occhi: "Ma non ti pare che queste due cose siano, come dire? inconciliabili?"

"Perché?" rispose Leo senza cessare di sorridere, passandosi una mano sulla fronte; "forse in linea generale... ma nei casi singoli ciascuno fa secondo i propri sentimenti."

"Ma è contro natura!"

Leo rise davanti al volto serio e inquieto della fanciulla: "Sì, ma poiché tu non sei mia figlia il pensiero non conta." Si guardarono.

"A proposito" egli soggiunse, "prima che me ne dimentichi... dopo pranzo con un pretesto qualsiasi scendi in giardino... dalla parte del boschetto... io ti raggiungerò subito... siamo intesi?" Ella accennò di sì con la testa; soddisfatto Leo incrociò le braccia e guardò verso il soffitto; non voleva toccarla, perché aspettava da un momento all'altro l'arrivo indiscreto della madre: "Piuttosto che restarmene con l'eccitamento e col desiderio" pensava, "meglio rimandare tutto a più tardi, quando non ci sarà nessuno, e ne avrò il tempo." Ma se guardava Carla, la faccia gli si infiammava come una lanterna: avrebbe voluto afferrarla, abbracciarla, prenderla su quel divano, in quel momento stesso.

Questi appetiti di riflesso aumentavano il suo risentimento contro l'amante; si ricordò della scena di gelosia che Mariagrazia gli aveva fatto la sera avanti, e gli venne una stizza senza pietà. "Tua madre" disse bruscamente a Carla, "è un'oca di prima forza."

La fanciulla si voltò, stava per rispondergli, ma ne fu impedita da un rumore di porte; e quasi trascinando Michele per mano, la madre entrò: "Buon giorno Merumeci" gridò all'amante; poi, senza transizione additando il figliolo: "Ecco qui Michele," gridò, "dice che se invece di cederle la villa la vendiamo all'asta, possiamo pagar lei e in più serbarci qualche decina di migliaia di lire... è vero questo?"

La faccia di Leo si rabbuiò: "È una sciocchezza" egli disse senza muoversi; "nessuno mai potrà offrire per la vostra villa più di quello che io ve ne do."

"Ma in fin dei conti" disse Michele avanzandosi, "tu non ci dai nulla... ci fai andar via... ecco tutto."

"Vi ho già dato" rispose l'altro irritato e annoiato, guardando la finestra piena di cielo bianco; "e, del resto," soggiunse con voce risentita, "fate quel che volete... vendete la villa, regalatela, quel che volete... ma vi avverto che io non vi aiuterò in nulla... e che il giorno della scadenza quella somma deve essere qui nelle mie mani."

Leo sapeva a quale rischio andava incontro con queste parole; e se quelli avessero venduto la villa all'asta? In tal caso il vero valore si sarebbe rivelato e l'affare sarebbe svanito; ma la madre che non sapeva di aste e di vendite, che aveva l'impressione che affare fosse sinonimo d'imbroglio, e soprattutto temeva un abbandono da parte dell'amante, e tutto avrebbe fatto per ingraziarselo, lo rassicurò.

"No" ella intervenne, "all'asta magari no...: ma lei Merumeci potrebbe farci delle migliori condizioni... si potrebbe venire tra noi a un compromesso.

"Quale?" domandò l'uomo senza guardarla.

"Per esempio" disse la madre con eccelsa stupidità, "lasciarci l'usufrutto della villa finché Michele non guadagnerà, non lavorerà, e Carla non sarà sposata."

Una risata alta, forzata, sprezzante accolse questa proposta: "Allora aspetterei un pezzo" disse alfine Leo appena questa sua falsa ilarità si fu chetata; "un bel pezzetto..." Guardò Carla e in quegli occhi tra tristi e rassegnati lesse il suo pensiero: "Poi chi vorrà sposarmi? "; ma il sentimento che gliene derivò fu differente, nessuna pietà o malinconia, soltanto una vanità, un orgoglio di essere la vivente fatalità di quella vita.

"Come?" domandò la madre offesa; "cosa vuol dire?"

"Non vorrei essere frainteso" spiegò Leo; "non dubito che Carla si sposi prestissimo e glielo auguro di tutto cuore... ma in quanto a Michele, non credo che possa guadagnare prima di molti anni né che sia sulla buona strada per guadagnare... su questo punto, cara signora, ho i miei riveriti dubbi."

Finora Michele, che si era a malincuore lasciato trascinare dalla madre in questa discussione, aveva taciuto; ma ora, nel sentirsi così palesemente accusato di poltroneria e di incapacità capì che contro ogni indifferenza doveva agire: "È il momento di sdegnarsi" pensò; avanzò di un passo. "Io" disse con un tono assolutamente falso, "non sono quello che tu credi... dimostrerò coi fatti che so lavorare e guadagnare come chiunque altro... vedrai" soggiunse ammirando dentro di sé la faccia della madre piena di approvazione e di fierezza "che anche senza il tuo aiuto riuscirò a sostenere la mia famiglia e me stesso.

"Giustissimo" esclamò Mariagrazia; passò con orgoglio una mano sulla testa del figlio che ne sorrise di pietà; "Michele lavorerà e diventerà ricco" disse esaltata, "non abbiamo bisogno di nessuno noi."

Ma Leo non era così stupido; alzò con furore le spalle: "Delle sciocchezze" gridò; "con Michele non si sa mai se si scherza o se si parla sul serio...; sei un buffoncello, proprio così, nient'altro che un buffoncello." La sua indignazione era al colmo, se c'era una cosa su cui non ammetteva facezie, erano proprio gli affari; avrebbe voluto lasciarli tutti lì e andarsene.

Michele fece ancora un passo avanti: "buffoncello?" Era o non era una grave ingiuria ledente il suo onore e la sua reputazione questo "buffoncello"? A giudicare dalla propria indifferente calma, no; se invece si pensava al significato della parola e al poco amichevole sentimento che l'aveva ispirata, sì certamente. "Agire" egli pensò con una specie di ebbrezza; "per esempio schiaffeggiarlo." Non c'era un minuto da perdere, Leo era là, a un passo di distanza, appoggiato nel vano della finestra, contro la tenda di velluto, quella guancia che egli doveva colpire era in piena luce, larga, sanguigna, ben nutrita, ben rasata, tutta la mano ci sarebbe entrata, non c'era da temere di non cogliere nel segno... dunque...

"Ah, io sono un buffoncello" disse con voce incolore avvicinandosi ancor di più; "e non credi che potrei offendermene?"

"Per me offenditi pure" rispose Leo con un sorriso noncurante ma guardandolo attentamente.

"Allora prenditi questo"; Michele alzò la mano... ma per il polso, con una sorprendente rapidità, il gesto venne afferrato, rintuzzato; senza neppure capire come fosse avvenuto, egli si trovò schiacciato nell'angolo della finestra; Leo lo stringeva per i polsi; dietro di lui, costernate, erano accorse le due donne.

"Ah tu volevi schiaffeggiarmi" disse alfine l'uomo con una specie di tranquillo sarcasmo; "ma ti sbagli... non è ancora nato quello che ci riuscirà..." Parlava con calma ma stringendo i denti. Alle sue spalle: "Che è? perché?" esclamava la madre. In quanto a Michele, nonostante la propria incomoda posizione, fu soprattutto colpito dall'eleganza forte e sicura dell'uomo: una giacca doppio petto di panno marrone gli stringeva il dorso, la camicia era bianca e fresca, il colletto inamidato di un lino brillante e candido sosteneva a meraviglia la gola rasata, una cravatta avana filettata di giallo, sobriamente annodata, si inseriva nella spaccatura del panciotto; tutto questo egli osservò in pochi secondi; poi alzò gli occhi e disse semplicemente: "Lasciami!"

"No, mio caro" gli rispose l'altro, "no... non ti lascio, ho ancora da parlarti per mezz'ora..." intanto la madre e Carla si erano fatte in mezzo: "Lo lasci, Merumeci" disse la fanciulla posando una mano sulla spalla del fratello, e guardando l'amante; "può anche parlargli senza tenerlo in quel modo, non le pare?"

Quei due si separarono: "Non ho nient'altro da dirgli" pronunziò l'uomo seccamente, "se non che sarebbe ora di finirla... e a parte il fatto che tutto questo è inammissibile, non mi sembra che questo sia il miglior modo per venire a un compromesso."

"Lei ha mille volte ragione" disse la madre con una fretta adulativa "ma non pensi a Michele... non sa quello che fa..."

"E tu lo sai!" pensò il ragazzo guardandola: "Ma allora perché mi hai tirato in ballo?" domandò avanzandosi.

"E per questo" continuò la madre senza occuparsi dell'interruzione del figlio, "se vuole parlare di questo affare si rivolga a me.

"Alllora è così?" disse Leo guardando intorno quei volti dubitosi.

"Ebbene, una volta per tutte dirò le mie ultime condizioni: vi lascerò la villa finché non avrete trovato un'altra abitazione... e poi... in più... vi darò una certa somma... vediamo... per esempio trentamila lire.

"Trentamila lire?" ripetè la madre allargando gli occhi; "come?"

"Mi spiego" disse Leo; "lei afferma che il valore della villa supera l'ammontare dell'ipoteca... io dico di no, ma per dimostrarle che le sono veramente amico, le do trentamila lire supplementari... che rappresentano... non so... i lavori che possono essere stati eseguiti negli ultimi tempi... e comunque le migliorie arrecate dopo l'ipoteca..."

"Ma la villa vale di più, Merumeci" insistette la madre quasi dolorosamente; "vale di più..."

"E allora, sa cosa le dico?" rispose Leo con calma "la venda a qualchedun altro... e vedrà che nonché le trentamila lire non riesce neppure a pagar me... prima di tutto con la crisi che c'è, è un brutto momento, nessuno compera e tutti vogliono vendere, basta guardare la quarta pagina di un giornale per accorgersene... e poi, siccome la villa resta fuori della città, è difficile trovare qualcuno che voglia venire ad abitare quassù... ma faccia come vuole... per nulla al mondo vorrei avere il rimorso di averla mal consigliata".

"Io accetterei le condizioni di Merumeci, mamma" disse Carla; "per me non vedo l'ora di lasciare questa nostra villa e di andare altrove, magari povera."

La madre ebbe un gesto esasperato: "Stai zitta tu." Dopo di che seguì un costernato silenzio; Mariagrazia vedeva la miseria, Carla la distruzione della vecchia vita, Michele non vedeva nulla ed era il più disperato dei tre.

"Ad ogni modo" soggiunse l'uomo, "si può riparlarne... venga... venga dopodomani nel mio studio, signora... e così si potrà discutere più a lungo."

La madre assentì con una specie di avido e doloroso entusiasmo:

"Dopodomani... dopodomani nel pomeriggio?"

"Nel pomeriggio."

Per qualche istante non parlarono; poi, dopo una frase d'invito di Mariagrazia, passarono tutti e quattro dal salotto nella sala da pranzo.


6 (V-VI) 6 (V-VI) 6 (V-VI) 6 (V-VI) 6 (V-VI) 6(五至六)

Michele alzò la testa, si drizzò a sedere stropicciandosi gli occhi abbagliati: Микеле поднял голову, сел, протирая ослепленные глаза:

"Sarà ora che io vada" disse; "e questo tuo parente quando viene?"

"Vado a telefonargli" disse Lisa che evidentemente non si aspettava questa domanda; e uscì.

Egli restò solo: si alzò, andò alla parete, guardò distrattamente uno di quegli acquerelli; poi come sovrappensiero si avvicinò alla porta, l'aprì un poco; il telefono era là, inchiodato alla parete, in fondo al corridoio oscuro, ma Lisa non c'era; quella uscita era stata una finzione; quel parente non esisteva; pur di attirare il ragazzo in casa sua, la donna aveva mentito.

"Fingere" egli pensò richiudendo con precauzione la porta; "è giusto fingere"; tornò alla parete e riprese a contemplare l'acquerello che raffigurava una casa colonica e dei pagliai; un leggero, fastidioso disgusto lo opprimeva; come quando si sente ingrossare il vomito e si vorrebbe trattenerlo; ma questo pensiero: "in fin dei conti, ella è come me," servì a piegarlo alfine a un po' di compassione per quella figura mentitrice senza bisogno. "Pretending," he thought, carefully closing the door; "it's okay to pretend"; he returned to the wall and resumed his contemplation of the watercolor depicting a farmhouse and haystacks; a slight, nagging disgust oppressed him; like when you feel vomiting and want to hold it back; but this thought: "after all, she is like me," served to bend him finally to a little pity for that needlessly lying figure. "Siamo tutti uguali" pensò: "fra le mille maniere di fare un'azione, scegliamo sempre istintivamente la peggiore."

Dopo un istante la porta si aprì e Lisa entrò: "Mi dispiace tanto" ella disse, "quel mio parente è occupato... non può venire... ma dice domani... se puoi domani nel pomeriggio." Si guardarono; il disgusto e la compassione di Michele aumentavano. "Questo è troppo" pensò; "questo è menarmi per il naso; e domani sarà la stessa storia: torna domani." Gli parve che se avesse finto di non aver capito ci sarebbe stato come una complicità tra di loro, un malinteso ruffiano che avrebbe loro permesso, in attesa del parente inesistente, di intendersela senza troppi scrupoli su tutti gli altri punti.

"No" disse, "domani non torno."

"Ma egli verrà" insistette la donna con una certa sfrontatezza; e se tu non ci sei..."

Michele le posò una mano sulla spalla e la guardò: "Tutto questo è ridicolo... egli non verrà... perché non dire la verità?" La vide turbarsi e, quel che fu peggio, per sfuggire ai suoi sguardi, arrischiare un sorriso impudico, svergognato, come di chi non è troppo dispiacente di essere colto in fallo. Er sah, wie sie sich aufregte und, was noch schlimmer war, ein unbescheidenes, schamloses Lächeln riskierte, um seinem Blick zu entgehen, wie einer, dem es nicht allzu leid tut, auf frischer Tat ertappt zu werden.

"Quale verità?" ella ripetè senza guardarlo, senza lasciare quel suo sorriso; "non ti capisco... salvo imprevisti, egli verrà certamente..."

"Ho guardato nel corridoio" spiegò Michele con calma; "tu non hai telefonato... e questo parente non esiste."

Un istante di silenzio; poi Lisa scelse l'atteggiamento più facile; sorrise ancora, alzò un poco le spalle: "E se hai guardato nel corridoio, perché mi fai tante domande?"

Michele la osservava. "È mai possibile" pensava, "che ella non senta che si può essere meglio di così?" Volle fare ancora uno sforzo: "No" insistette, "non prenderla su questo tono... è una cosa molto seria...: perché invece di far quella commedia non hai detto piuttosto 'toma domani... si prenderà il tè insieme'?"

"Avrei dovuto dirlo, lo so...": ella parlava senza umiltà, con una specie d'impazienza; "vuol dire che tu verrai lo stesso, non è vero?... E poi non aver paura, al mio parente se non gli ho parlato, parlerò certamente, il più presto possibile."

"Ecco" pensò il ragazzo, "ella crede che questo mio rimprovero sia dovuto al mio disappunto di non aver trovato quel suo maledetto parente." Il suo volto si indurì: "No, non verrò," disse, "e non parlare a nessuno." Lasciò la donna e uscì nel corridoio.

Un odore di cucina empiva quell'ombra angusta. "Allora è proprio vero che non verrai?" ella domandò tra supplichevole e incredula porgendogli il cappello; egli la guardò, esitò; tutto era stato in definitiva inutile: disgusto, pietà, la donna restava dove era, nel suo errore; questo senso di vanità dei suoi sforzi gli faceva male, dalla noia disperata e angosciosa che l'opprimeva avrebbe voluto gridare. "A che cosa servirebbe venire?" domandò.

"Come, a che cosa servirebbe?"

"Non servirebbe a nulla;" egli scosse la testa; "a nulla... tu sei così... nulla da fare... siete tutti così."

"Come così?" ella insistette arrossendo suo malgrado.

"Meschini, gretti... l'amore per andare a letto... il tuo parente in cima ai miei pensieri" avrebbe voluto rispondere Michele; invece rispose. "Va bene... verrò lo stesso"; un istante di silenzio. "Ma prima che io me ne vada" soggiunse "spiegami una cosa...: poiché ormai sei sicura che io... ti amo e perciò che io tornerò, perché hai continuato a usare quel sotterfugio del tuo parente invece di dirmi la verità?"

"Mi dispiaceva" ella spiegò non senza esitazione, "di rivelarti che la prima volta avevo inventato questa storia per farti venire."

"Ma neppure la prima volta era necessaria" disse Michele guardandola attentamente.

"Sì," ella ammise con umiltà; "hai ragione... ma chi è senza peccati?... e poi quel mio parente esiste veramente, è molto ricco... soltanto non lo vedo da molto tempo."

"Basta così" disse Michele; le prese la mano: "Allora a domani" incominciò; ma si accorse ad un tratto che Lisa lo guardava in modo strano e sorrideva tra timida e lusingatrice; capì; "E sia," pensò; si chinò, strinse la donna al petto e la baciò sulla bocca; poi la lasciò ed uscì; sulla soglia si voltò per salutare: vide allora che, come una bimba al primo amore, Lisa vergognosa si nascondeva pudicamente dietro un mantello appeso all'attaccapanni, là, nell'ombra del vestibolo, e con due dita posate sulle labbra gli mandava un ultimo bacio.

"Indegna commedia" pensò; e senza voltarsi indietro si avviò giù per la scala.

Capitolo VI

Quel giorno la madre finì assai tardi di vestirsi; era mezzodì e stava ancora seduta davanti la teletta passandosi con molte smorfie e grandissima cura il pennellino del nero sulle palpebre gonfie; appena desta, le immagini della gelosia l'avevano messa di cattivo umore, ma poi improvvisamente, si era ricordata che appunto quel giorno Carla compiva gli anni, ventiquattro di numero, e un brusco isterico fiotto di amor materno aveva inondato la sua anima: "La mia Carlotta, la mia povera Carlottina" aveva pensato quasi lacrimando dalla tenerezza; "ecco, non c'è che lei al mondo che mi voglia bene." Si era levata, si era vestita con questo pensiero di Carla, che compiva gli anni; le pareva questa una cosa pietosa, un fatto patetico da piangerci sopra, e non aveva cessato per tutto quel tempo di immaginare i regali e le soddisfazioni che avrebbe elargito alla fanciulla. "Ha pochi vestiti... gliene farò... gliene farò quattro o cinque... le farò anche la pelliccia... è tanto tempo che la desidera..." Dove poi avrebbe pescato i quattrini per questa beneficenza la madre non ci pensava neppure. "E che trovi un marito" pensò ancora; "dopo non avrò più desideri." Le venne di riflesso, pensando alla sua figliola ventiquattrenne eppure ancora nubile, una rabbia ingiuriosa contro gli uomini: "Tutti questi cretini di giovinotti... Non vogliono che divertirsi e perdere il loro tempo, mentre dovrebbero pensare a farsi una famiglia." Ma Carla si sarebbe certamente sposata: "È bella" ella si disse contando sulle dita le doti della figlia; "anzi direi bellissima... È buona, di una bontà angelica... e poi è intelligente, colta... ha avuto una eccellente educazione... cosa si può voler di più?" I denari, ecco, i denari mancavano; Carla sarebbe andata in casa di suo marito come era venuta al mondo, tutta nuda, ricca soltanto delle sue virtù, su questo non c'era dubbio; ma era poi così vero che oggigiorno non si sposano che le fanciulle ricche? oh non c'erano stati ultimamente casi di ragazze maritate benissimo e senza un soldo di dote?... Un po' rinfrancata, la madre passò dalla camera da letto nell'anticamera.

Un mazzo di magnifiche rose e una scatola stavano posati sulla tavola centrale; un biglietto era tra i fiori; la madre lo prese, lacerò la busta e lesse: "A Carla, alla mia quasi figlia, coi più affettuosi auguri, Leo." Ripose il biglietto tra le rose: "Com'è delicato" pensò contenta; "un altro al suo posto non saprebbe come comportarsi coi figli della sua amica... invece lui toglie ogni ragione di sospetto... è come un padre." Dalla gioia avrebbe voluto battere le mani, se Leo fosse stato presente l'avrebbe abbracciato; poi aprì la scatola; conteneva questa una borsa di seta ricamata con la cerniera di pietra azzurra; la gioia della madre fu al colmo.

Prese la scatola e il mazzo e corse nella stanza di Carla: "Cento di questi giorni" le gridò; "guarda cosa è arrivato per te." Carla era seduta alla tavola con un libro in mano; si alzò e senza dir parola lesse il biglietto; quell'impudenza, quella compiacenza di Leo che la chiamava "sua quasi figlia" le ricondussero in mente, per contrasto e così bruscamente che ne fremette, il senso angoscioso e in un certo modo incestuoso di questo suo intrigo; alzò gli occhi; quelli della madre brillavano di gioia, ella sorrideva commossa stringendo al petto, non senza ridicolaggine, il fascio di fiori: "Molto gentile da parte sua" disse freddamente; "e in quella scatola cosa c'è?"

"Una borsa" rispose la madre con entusiasmo; "una elegantissima borsa da sera che avrà pagato per lo meno cinquecento lire... guarda..." Aprì la scatola, mostrò il dono alla figlia: "Non è vero che è bella?" soggiunse.

"Bellissima" rispose Carla; posò l'oggetto sulla tavola, si guardarono:

"E così" disse improvvisamente la madre con voce commossa; "la mia figliola compie oggi ventiquattro anni... eppure mi sembra ieri che era una bimba."

"Sì, mamma, anche a me" rispose Carla senza ombra d'ironia; ma avrebbe voluto soggiungere: "da oggi non lo sarò più."

"Giocavi con le bambole" continuò la madre; "le cullavi facendomi cenno di non parlare, dicendomi che dormivano." Ella si fermò a metà di queste sue patetiche evocazioni e fissò Carla: "Speriamo che possa farlo un giorno con le bambole di carne e ossa."

"Sì, mamma, speriamo" rispose la fanciulla tra impacciata e pietosa.

"Veramente Carla" insistette la madre come se avesse voluto convincerla di una grande e profonda verità; "veramente non ho che un solo desiderio... che tu ti sposi... poi sarò felice..."

Carla sorrise: "Tu... ma io sarei felice?" pensò; "Sì, va bene" rispose abbassando la testa; "ma per sposarmi bisogna essere in due... io e lui."

"Lui verrà" esclamò la madre fiduciosissima; "anzi... guarda... ti sembrerà ridicolo... ma ho come un presentimento che in questo tuo nuovo anno, ti sposerai... o per lo meno ti fidanzerai... ho questa idea... chi sa perché, sono di quelle cose che non si spiegano... e vedrai che si realizzerà."

"Qualche altra cosa si realizzerà" avrebbe voluto rispondere Carla; e pensava alla sua decisione di darsi a Leo quel giorno stesso; l'incomprensione della madre le dava il senso doloroso di una cecità e di una oscurità nella quale essi tutti si trovavano avvolti senza speranza di liberazione; sorrise e fermamente rispose: "Certo, qualche cosa dovrà pur succedere."

Tacquero un istante ambedue; silenzio; immobilità; poi laggiù nel primo piano, dal fondo del corridoio, arrivò il tonfo della porta di casa chiusa con forza: "Dev'essere Merumeci" disse la madre alzandosi; "ricevilo tu... io vengo subito."

Il cuore di Carla batté più in fretta; discese la scala gradino per gradino come chi si sente mancare e va piano per non cadere; entrò nel salotto e come la madre aveva immaginato, Leo era là, in piedi presso la finestra e le volgeva le spalle.

"Oh eccoti qui:" la prese per un braccio e la fece sedere sopra il divano: "Grazie per il regalo" ella disse subito; "ma perché quel biglietto?"

"Quale biglietto?"

"Quasi mia figlia" ella disse guardandolo fissamente.

"Ah" esclamò Leo come se l'avesse dimenticato; "già... così ho scritto... quasi mia figlia... verissimo."

"E perché l'hai scritto?"

Un sorriso tra compiaciuto e inverecondo illuminò il volto dell'uomo: "Prima di tutto per un riguardo a tua madre... e poi perchè mi piace immaginare che tu sia mia figlia.

Ella lo guardava: "Che vergogna" pensava, "che sconfinata vergogna." Ma il desiderio di distruzione era più forte del disgusto: "Io tua figlia..." disse con un mezzo sorriso; "a questo in verità non avevo mai pensato... come ti è venuto in mente?"

"L'altra sera" rispose Leo tranquillamente, "mentre stavamo dietro la tenda... in quel momento mi ricordai, chi sa perché, che ti avevo veduta bimba, alta così, con le gambe nude, e le trecce sulle spalle e pensai: 'Ecco potrei esserle padre e ciò nonostante..."'

"Ciò nonostante ci amiamo non è vero?" finì Carla, e, guardandolo negli occhi: "Ma non ti pare che queste due cose siano, come dire? inconciliabili?"

"Perché?" rispose Leo senza cessare di sorridere, passandosi una mano sulla fronte; "forse in linea generale... ma nei casi singoli ciascuno fa secondo i propri sentimenti."

"Ma è contro natura!"

Leo rise davanti al volto serio e inquieto della fanciulla: "Sì, ma poiché tu non sei mia figlia il pensiero non conta." Si guardarono.

"A proposito" egli soggiunse, "prima che me ne dimentichi... dopo pranzo con un pretesto qualsiasi scendi in giardino... dalla parte del boschetto... io ti raggiungerò subito... siamo intesi?" Ella accennò di sì con la testa; soddisfatto Leo incrociò le braccia e guardò verso il soffitto; non voleva toccarla, perché aspettava da un momento all'altro l'arrivo indiscreto della madre: "Piuttosto che restarmene con l'eccitamento e col desiderio" pensava, "meglio rimandare tutto a più tardi, quando non ci sarà nessuno, e ne avrò il tempo." Ma se guardava Carla, la faccia gli si infiammava come una lanterna: avrebbe voluto afferrarla, abbracciarla, prenderla su quel divano, in quel momento stesso.

Questi appetiti di riflesso aumentavano il suo risentimento contro l'amante; si ricordò della scena di gelosia che Mariagrazia gli aveva fatto la sera avanti, e gli venne una stizza senza pietà. Deze begeerten versterkten reflexmatig haar wrok tegen haar minnaar; hij herinnerde zich het tafereel van jaloezie dat Mariagrazia hem de vorige avond had aangedaan, en hij was genadeloos boos. "Tua madre" disse bruscamente a Carla, "è un'oca di prima forza."

La fanciulla si voltò, stava per rispondergli, ma ne fu impedita da un rumore di porte; e quasi trascinando Michele per mano, la madre entrò: "Buon giorno Merumeci" gridò all'amante; poi, senza transizione additando il figliolo: "Ecco qui Michele," gridò, "dice che se invece di cederle la villa la vendiamo all'asta, possiamo pagar lei e in più serbarci qualche decina di migliaia di lire... è vero questo?"

La faccia di Leo si rabbuiò: "È una sciocchezza" egli disse senza muoversi; "nessuno mai potrà offrire per la vostra villa più di quello che io ve ne do."

"Ma in fin dei conti" disse Michele avanzandosi, "tu non ci dai nulla... ci fai andar via... ecco tutto."

"Vi ho già dato" rispose l'altro irritato e annoiato, guardando la finestra piena di cielo bianco; "e, del resto," soggiunse con voce risentita, "fate quel che volete... vendete la villa, regalatela, quel che volete... ma vi avverto che io non vi aiuterò in nulla... e che il giorno della scadenza quella somma deve essere qui nelle mie mani."

Leo sapeva a quale rischio andava incontro con queste parole; e se quelli avessero venduto la villa all'asta? In tal caso il vero valore si sarebbe rivelato e l'affare sarebbe svanito; ma la madre che non sapeva di aste e di vendite, che aveva l'impressione che affare fosse sinonimo d'imbroglio, e soprattutto temeva un abbandono da parte dell'amante, e tutto avrebbe fatto per ingraziarselo, lo rassicurò.

"No" ella intervenne, "all'asta magari no...: ma lei Merumeci potrebbe farci delle migliori condizioni... si potrebbe venire tra noi a un compromesso.

"Quale?" domandò l'uomo senza guardarla.

"Per esempio" disse la madre con eccelsa stupidità, "lasciarci l'usufrutto della villa finché Michele non guadagnerà, non lavorerà, e Carla non sarà sposata."

Una risata alta, forzata, sprezzante accolse questa proposta: "Allora aspetterei un pezzo" disse alfine Leo appena questa sua falsa ilarità si fu chetata; "un bel pezzetto..." Guardò Carla e in quegli occhi tra tristi e rassegnati lesse il suo pensiero: "Poi chi vorrà sposarmi? "; ma il sentimento che gliene derivò fu differente, nessuna pietà o malinconia, soltanto una vanità, un orgoglio di essere la vivente fatalità di quella vita.

"Come?" domandò la madre offesa; "cosa vuol dire?"

"Non vorrei essere frainteso" spiegò Leo; "non dubito che Carla si sposi prestissimo e glielo auguro di tutto cuore... ma in quanto a Michele, non credo che possa guadagnare prima di molti anni né che sia sulla buona strada per guadagnare... su questo punto, cara signora, ho i miei riveriti dubbi."

Finora Michele, che si era a malincuore lasciato trascinare dalla madre in questa discussione, aveva taciuto; ma ora, nel sentirsi così palesemente accusato di poltroneria e di incapacità capì che contro ogni indifferenza doveva agire: "È il momento di sdegnarsi" pensò; avanzò di un passo. "Io" disse con un tono assolutamente falso, "non sono quello che tu credi... dimostrerò coi fatti che so lavorare e guadagnare come chiunque altro... vedrai" soggiunse ammirando dentro di sé la faccia della madre piena di approvazione e di fierezza "che anche senza il tuo aiuto riuscirò a sostenere la mia famiglia e me stesso.

"Giustissimo" esclamò Mariagrazia; passò con orgoglio una mano sulla testa del figlio che ne sorrise di pietà; "Michele lavorerà e diventerà ricco" disse esaltata, "non abbiamo bisogno di nessuno noi."

Ma Leo non era così stupido; alzò con furore le spalle: "Delle sciocchezze" gridò; "con Michele non si sa mai se si scherza o se si parla sul serio...; sei un buffoncello, proprio così, nient'altro che un buffoncello." La sua indignazione era al colmo, se c'era una cosa su cui non ammetteva facezie, erano proprio gli affari; avrebbe voluto lasciarli tutti lì e andarsene.

Michele fece ancora un passo avanti: "buffoncello?" Era o non era una grave ingiuria ledente il suo onore e la sua reputazione questo "buffoncello"? A giudicare dalla propria indifferente calma, no; se invece si pensava al significato della parola e al poco amichevole sentimento che l'aveva ispirata, sì certamente. "Agire" egli pensò con una specie di ebbrezza; "per esempio schiaffeggiarlo." Non c'era un minuto da perdere, Leo era là, a un passo di distanza, appoggiato nel vano della finestra, contro la tenda di velluto, quella guancia che egli doveva colpire era in piena luce, larga, sanguigna, ben nutrita, ben rasata, tutta la mano ci sarebbe entrata, non c'era da temere di non cogliere nel segno... dunque... Er was geen minuut te verliezen, Leo was daar, een stap verwijderd, leunend in de raamopening, tegen het fluwelen gordijn, die wang die hij moest toeslaan was in het volle licht, breed, optimistisch, goed gevoed, goed gevoed. de hele hand zou zijn binnengekomen, er was geen reden om bang te zijn om het doel niet te raken ... dus ...

"Ah, io sono un buffoncello" disse con voce incolore avvicinandosi ancor di più; "e non credi che potrei offendermene?"

"Per me offenditi pure" rispose Leo con un sorriso noncurante ma guardandolo attentamente.

"Allora prenditi questo"; Michele alzò la mano... ma per il polso, con una sorprendente rapidità, il gesto venne afferrato, rintuzzato; senza neppure capire come fosse avvenuto, egli si trovò schiacciato nell'angolo della finestra; Leo lo stringeva per i polsi; dietro di lui, costernate, erano accorse le due donne.

"Ah tu volevi schiaffeggiarmi" disse alfine l'uomo con una specie di tranquillo sarcasmo; "ma ti sbagli... non è ancora nato quello che ci riuscirà..." Parlava con calma ma stringendo i denti. 'Ah, je wilde me een klap geven,' zei de man uiteindelijk met een soort stil sarcasme; 'maar je hebt het mis... degene die zal slagen is nog niet geboren...' Hij sprak kalm maar knarsetandend. Alle sue spalle: "Che è? perché?" esclamava la madre. In quanto a Michele, nonostante la propria incomoda posizione, fu soprattutto colpito dall'eleganza forte e sicura dell'uomo: una giacca doppio petto di panno marrone gli stringeva il dorso, la camicia era bianca e fresca, il colletto inamidato di un lino brillante e candido sosteneva a meraviglia la gola rasata, una cravatta avana filettata di giallo, sobriamente annodata, si inseriva nella spaccatura del panciotto; tutto questo egli osservò in pochi secondi; poi alzò gli occhi e disse semplicemente: "Lasciami!"

"No, mio caro" gli rispose l'altro, "no... non ti lascio, ho ancora da parlarti per mezz'ora..." intanto la madre e Carla si erano fatte in mezzo: "Lo lasci, Merumeci" disse la fanciulla posando una mano sulla spalla del fratello, e guardando l'amante; "può anche parlargli senza tenerlo in quel modo, non le pare?"

Quei due si separarono: "Non ho nient'altro da dirgli" pronunziò l'uomo seccamente, "se non che sarebbe ora di finirla... e a parte il fatto che tutto questo è inammissibile, non mi sembra che questo sia il miglior modo per venire a un compromesso."

"Lei ha mille volte ragione" disse la madre con una fretta adulativa "ma non pensi a Michele... non sa quello che fa..."

"E tu lo sai!" pensò il ragazzo guardandola: "Ma allora perché mi hai tirato in ballo?" domandò avanzandosi.

"E per questo" continuò la madre senza occuparsi dell'interruzione del figlio, "se vuole parlare di questo affare si rivolga a me.

"Alllora è così?" disse Leo guardando intorno quei volti dubitosi.

"Ebbene, una volta per tutte dirò le mie ultime condizioni: vi lascerò la villa finché non avrete trovato un'altra abitazione... e poi... in più... vi darò una certa somma... vediamo... per esempio trentamila lire.

"Trentamila lire?" ripetè la madre allargando gli occhi; "come?"

"Mi spiego" disse Leo; "lei afferma che il valore della villa supera l'ammontare dell'ipoteca... io dico di no, ma per dimostrarle che le sono veramente amico, le do trentamila lire supplementari... che rappresentano... non so... i lavori che possono essere stati eseguiti negli ultimi tempi... e comunque le migliorie arrecate dopo l'ipoteca..."

"Ma la villa vale di più, Merumeci" insistette la madre quasi dolorosamente; "vale di più..."

"E allora, sa cosa le dico?" rispose Leo con calma "la venda a qualchedun altro... e vedrà che nonché le trentamila lire non riesce neppure a pagar me... prima di tutto con la crisi che c'è, è un brutto momento, nessuno compera e tutti vogliono vendere, basta guardare la quarta pagina di un giornale per accorgersene... e poi, siccome la villa resta fuori della città, è difficile trovare qualcuno che voglia venire ad abitare quassù... ma faccia come vuole... per nulla al mondo vorrei avere il rimorso di averla mal consigliata".

"Io accetterei le condizioni di Merumeci, mamma" disse Carla; "per me non vedo l'ora di lasciare questa nostra villa e di andare altrove, magari povera."

La madre ebbe un gesto esasperato: "Stai zitta tu." Dopo di che seguì un costernato silenzio; Mariagrazia vedeva la miseria, Carla la distruzione della vecchia vita, Michele non vedeva nulla ed era il più disperato dei tre.

"Ad ogni modo" soggiunse l'uomo, "si può riparlarne... venga... venga dopodomani nel mio studio, signora... e così si potrà discutere più a lungo."

La madre assentì con una specie di avido e doloroso entusiasmo:

"Dopodomani... dopodomani nel pomeriggio?"

"Nel pomeriggio."

Per qualche istante non parlarono; poi, dopo una frase d'invito di Mariagrazia, passarono tutti e quattro dal salotto nella sala da pranzo.