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Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 4 (III)

4 (III)

Tutti capirono che la faccenda era diventata seria e che quel riso non era stato che il lampo livido che precede lo scoppio del fulmine.

"Merumeci ha assolutamente ragione" disse la madre con volto duro e con voce imperiosa, e provava contro il figliolo una crudele irritazione perché temeva che l'amante cogliesse questa occasione per rompere i loro rapporti: "la tua condotta è disgustosa... ti ordino di fargli delle scuse..."

"Ma... non capisco... perché Merumeci è un mascalzone?" domandava Lisa con l'evidente desiderio di complicare le cose; soltanto Carla non si moveva né parlava: un disgusto meschino e fastidioso l'opprimeva; aveva l'impressione che la marea angosciosa dei piccoli avvenimenti di quella giornata stesse per traboccare e per sommergere la sua pazienza; socchiudeva gli occhi e tra le ciglia spiava con sofferenza le facce stupide e irritate degli altri quattro.

"Oh, oh," fece Michele ironico, senza muoversi; "me lo ordini?... e se io non obbedissi?"

"Allora" rispose Mariagrazia non senza una certa patetica e teatrale dignità "daresti un dispiacere a tua madre."

Per un istante, senza parlare, egli la guardò: "daresti un dispiacere a tua madre," si ripeteva, e la frase gli pareva a un tempo ridicola e profonda. "Ecco" egli pensò con un disgusto superficiale; "si tratta di Leo... del suo amante... eppure ella non esita a tirare in ballo la sua qualità di madre." Ma la frase era quella: "daresti un dispiacere a tua madre," ripugnante e inconfutabile; distolse gli occhi da quella faccia sentimentale; dimenticò ad un tratto tutti i suoi propositi di sincerità e di collera: "E in fin dei conti" pensò "tutto mi è indifferente... perché non far delle scuse e risparmiarle questo famoso dispiacere?..." Alzò la testa; ma voleva dire la verità, mostrare tutta la propria ingiuriosa indifferenza:

"E voi credete" cominciò "che io non sia capace di far delle scuse a Leo?... ma se sapeste quanto tutto questo mi sia indifferente." "Belle cose a dirsi" interruppe la madre.

"Quanto tutto questo m'importi poco" continuò Michele esaltandosi, "non ve lo potete immaginare... così non aver paura mamma... se vuoi non solamente gli faccio le scuse ma gli bacio anche i piedi a Leo."

"No, non scusarti" osservò a questo punto Lisa che aveva seguito la scena con la più grande attenzione; tutti la guardarono: "Ti ringrazio tanto, Lisa" continuò la madre offesa e teatrale; "proprio tanto di aizzarmi contro mio figlio."

"Chi ti aizza tuo figlio?" rispose Lisa tranquillamente; "ma mi pare che non valga la pena..."

Leo la guardò di traverso: "Non mi piace di esser chiamato a quel modo da un ragazzo" disse con voce dura; "ho domandato delle scuse e le avrò."

"Non sarebbe meglio dimenticar tutto e riconciliarsi?" parlò Carla sporgendo quel suo volto tra attonito e candido.

"No," rispose la madre "Merumeci ha ragione: bisogna che Michele gli faccia delle scuse." Michele si alzò in piedi: "Gliele faccio, non dubitare...: dunque Leo," disse rivolgendosi verso l'uomo "ti faccio tutte le mie scuse per averti ingiuriato" egli si fermò un istante; come facilmente gli erano uscite di bocca le parole umilianti! "E ti prometto che non lo farò più" concluse con la voce tranquilla e l'indifferenza di un bimbo di sei anni.

"Va bene, va bene," disse Leo senza guardarlo. "Imbecille," avrebbe voluto gridargli Michele nel vederlo così sicuro e investito nella sua parte; ma più di tutti, la madre, illusa, era contenta: "Michele è un buon figlio" disse guardando con improvvisa tenerezza il ragazzo; "Michele ha obbedito a sua madre."

La fiamma della vergogna e dell'umiliazione che non aveva bruciato le guance di Michele mentre porgeva le sue scuse a Leo, lo scottò improvvisamente di fronte a questa incomprensione: "Ho fatto quel che avete voluto," disse bruscamente "e ora permettete che vada a dormire perché sono stanco." Girò su se stesso come una marionetta e senza salutare nessuno uscì nel corridoio.

Ma nel momento in cui passava nell'atrio s'accorse che qualcheduno gli era corso dietro; si voltò; era Lisa: "Ero venuta apposta" ella disse ansante, guardandolo con un curioso e appassionato sguardo, "per dirti che quando vuoi ti posso presentare a quel mio parente... e lui potrà trovarti qualche cosa da fare... nella sua ditta o altrove."

"Grazie tanto" disse Michele fissandola a sua volta.

"Ma bisogna per questo che tu venga a casa mia... e così potrete incontrarvi."

"Va bene": a misura che Lisa si impacciava, il ragazzo pareva diventare più calmo e attento: "Quando?"

"Domani" disse Lisa. "Vieni domani mattina, vieni presto...: lui arriverà verso mezzogiorno... ma non importa... si parlerà un poco non è vero?" Tacquero ambedue guardandosi: "E perché hai fatto quelle scuse a Leo?" domandò ad un tratto la donna arditamente; "non avresti dovuto fargliele."

"Perché?" egli domandò; "ah, era a questo" pensò " che volevi venire."

"Il perché sarebbe troppo lungo a dirtelo ora... e quei di là potrebbero pensare..." spiegò Lisa diventando ad un tratto molto misteriosa; "ma se vieni domani te lo dirò."

"Va bene, allora... a domani", e strettale la mano, egli si avviò per la scala.

Lisa tornò nel salotto; quei tre sedevano là, nell'angolo, intorno alla lampada; la madre che stava con tutti i suoi colori in piena luce, parlava di Michele: "È evidente" spiegava all'amante che rovesciato nella sua poltrona l'ascoltava con espressione del tutto abbruttita, senza batter ciglio; "che gli è costato molto far quelle scuse... Non è uno di quelli che si piegano facilmente... è fiero..." ella soggiunse con aria di sfida; "ha un'anima fiera e dritta come la mia."

"Non ne dubito," disse Leo sollevando le palpebre in un lungo sguardo verso Carla; "ma questa volta ha fatto bene a piegarsi." Tacquero tutti e tre; l'incidente era esaurito; e a passi silenziosi, con l'aspetto meno affaccendato di questo mondo, Lisa si avvicinò:

"Ha l'automobile Merumeci?" ella domandò.

I tre si voltarono: "L'automobile" ripetè l'uomo scrollandosi, "sicuro... ho l'automobile."

"Allora mi accompagnerà" disse Lisa "sempre che non la disturbi." "Si figuri, il piacere è tutto mio." Leo si alzò, si abbottonò la giacca: "Bisognerà andare" cominciò, e dentro di sé si rodeva; non solamente non era riuscito a far nulla con Carla, ma ora, ecco, gli toccava anche accompagnare Lisa.

Ma la gelosia incomprensiva della madre lo salvò; tra quei due, Leo e Lisa, c'era stata una relazione, un amore, molti anni prima, anzi dovevano sposarsi, poi era venuta lei, già vedova e aveva rubato alla sua migliore amica il promesso sposo; era una storia molto vecchia, ma... e se a quei due fosse venuto in mente di ricominciare? Si voltò verso Lisa: "No, tu non te ne vai subito..." disse: "ho da parlarti..."

"Sì, va bene," Lisa la guardò con un falso imbarazzo: "ma poi non ho più Merumeci che mi accompagna a casa."

"Oh per questo non si preoccupi..." e questa volta il piacere era veramente tutto di Leo; "io posso aspettare nel corridoio o qui... lei parli pure con la signora... io l'aspetterò... Carla" soggiunse guardando la fanciulla "mi terrà compagnia."

Indolentemente Carla si alzò e scuotendo la grossa testa si avvicinò. "Ecco" pensava "se ora resto con lui tutto è finito..."; Leo la guardava, le parve, maliziosamente, e questa complicità anticipata le sembrò odiosa; ma a cosa sarebbe servito resistere? Una dolorosa impazienza la possedeva: "Finirla" si ripeteva guardando quel salotto oscuro dove tanti giorni di fuoco si erano consumati in cenere, e il gruppo solenne e ridicolo che essi formavano intorno alla lampada: "finirla con tutto questo", e si sentiva cadere in questo suo esitante abbandono come una piuma in una tromba di scale. Per questo non protestò, non parlò.

"Ma lei non sa" si opponeva la madre, "quanto io tratterrò Lisa... Vada, vada pure... a Lisa faremo chiamare un taxi." Voce insinuante, voce di gelosia: Leo fu gentile, ma inflessibile: "Aspetterò... che importa?... un minuto più, un minuto meno... aspetterò volentieri..."

La madre capì che aveva perduto e che le sarebbe stato impossibile dividere quei due, Leo e Lisa; "è evidente... vuole aspettarla" pensò scrutando quei due volti, "per poi andare insieme a casa sua." Questa idea le parve atroce; diventò ancor più pallida e la gelosia brillò francamente nei suoi occhi. "E va bene," disse alfine "vada... vada ad aspettare di fuori... gliela rendo subito la sua Lisa, non tema, subitissimo..." Faceva con la mano un gesto di minaccia, un riso amaro e cattivo tremava su quelle sue labbra dipinte; Leo la guardò fissamente poi alzò le spalle e senza parlare, seguito da Carla, uscì.

Nel corridoio, senza parer di nulla, egli passò un braccio intorno alla vita della fanciulla; ella se ne accorse ma resistette alla tentazione di svincolarsi: "è la fine," pensò "la fine della mia vecchia vita." Gli specchi che brillavano nell'ombra riflessero al passaggio le loro due figure allacciate.

"Hai visto" ella disse ad alta voce; "mamma è gelosa a causa di Lisa..." Nessuna risposta se non una pressione del braccio che la fece aderire col fianco al fianco duro dell'uomo; entrarono così uniti nel vestibolo; mura alte, bianche, stanzetta cubica dal pavimento a losanghe.

"E chi sa," ella soggiunse con un umiliante senso di futilità, "chi sa che non sia vero." Questa volta l'uomo si fermò e senza lasciarla le si mostrò di faccia.

"E invece" disse con un sorriso goffo, stupido, ed eccitato, "sai di chi dovrebbe essere gelosa? di te... sì, proprio di te..."

"Ci siamo" ella pensò; "di me... perché?" domandò con voce chiara. Si guardarono: "Verrai da me?" chiese Leo quasi paternamente; la vide abbassare la testa senza rispondere né sì né no; "è il buon momento" pensò; e già l'attirava e già stava per chinarsi e baciarla quando un rumore di voci, là nel corridoio, l'avvertì che la madre arrivava; dalla rabbia quasi soffocò; era la seconda volta nella giornata che l'amante veniva a guastargli ogni cosa nell'istante più delicato. "Che il diavolo se la trascini" pensò; si sentiva la donna parlare, discutere nel corridoio con Lisa, e benché non accennasse a comparire, Carla ormai inquieta fece il gesto di svincolarsi: "Lasciami, ecco mamma." Furioso, Leo guardava la porta, si guardava intorno senza tuttavia decidersi a lasciare quella cintola flessibile; ed ecco, gli occhi gli caddero sopra una tenda che a destra del vestibolo dissimulava un uscio; stese un braccio, spense la luce: "Vieni" mormorò nell'oscurità tentando di trascinar Carla in quel nascondiglio; "vieni là dietro... facciamo uno scherzo a tua madre." Ella non capiva, resistette, i suoi occhi brillavano nell'ombra: "Perché... ma perché?" ripeteva; però alla fine cedette; entrarono dietro la cortina, s'appiattarono nel vano della porta; Leo rigirò il braccio intorno alla cintola della fanciulla. "Ora vedrai" le mormorò, ma Carla non vedeva nulla; dritta, rigida, chiudeva gli occhi in quella notte della tenda piena di ondeggiamenti odoranti di polvere, e lasciava che la mano di Leo errasse sulle sue guance, sul collo: "Ora vedrai" egli bisbigliò; la tenda fremette da cima a fondo, ella sentì le labbra dell'uomo posarsi sul petto, strisciare goffamente fino al mento, fermarsi alfine sulla bocca; bacio profondo ma di poca durata. Le voci si avvicinarono, Leo si drizzò di nuovo: "Eccola" egli mormorò nel buio, e quel suo braccio strinse Carla con una forza confidenziale e intima, con una sicurezza che gli erano mancate prima.

L'uscio a vetri si aprì; Carla allargò un po' la tenda e guardò: nel quadro luminoso della porta aperta, la figura della madre, piena di ombre e di rilievi, esprimeva lo stupore e l'incomprensione:

"Ma non ci sono" esclamò la voce familiare; e Lisa, invisibile, dal corridoio chiese: "E dove saranno andati?"

Domanda senza risposta; la testa della madre si tese, si affacciò come per esplorare il vestibolo; l'ombra le scavava i tratti e faceva di quella faccia molle e dipinta una maschera pietrificata in un'espressione di patetico smarrimento; ogni ruga, e la bocca semiaperta e nera di belletto, e gli occhi sbarrati, e il volto intero parevano gridare..."Leo non c'è più... Leo mi ha abbandonata... Leo è partito." Carla la guardava tra curiosa e compassionevole, intuiva la paura che tremava dietro quella maschera e le pareva di vedere il volto stesso dei giorni avvenire quando la madre avrebbe saputo del tradimento dell'amante e di sua figlia; questo spettacolo durò un istante; poi la testa si ritrasse. "È strano," si udì parlar la voce "il soprabito di Merumeci è ancora là e loro non ci sono."

"Forse sono nell'atrio" rispose Lisa; e così tra supposizioni e meraviglie si allontanarono entrambe.

"Hai visto?" mormorò ancora Leo; si chinò di nuovo e strinse al suo petto la fanciulla; "è la fine," ella ripensò tendendo la bocca; le piaceva quest'oscurità che le impediva di veder l'uomo e le lasciava tutte le sue illusioni, le piaceva questo intrigo; si separarono. "E ora usciamo," ella mormorò allargando con le mani la tenda; "usciamo Leo, che possono accorgersene."

Egli cedette a malincuore e uno dopo l'altro uscirono entrambi, come due ladri, dal loro nascondiglio; la luce brillò; si guardarono: "Sono spettinata?" Carla domandò; egli accennò di no con la testa. "E ora cosa diremo a mamma?" ella soggiunse.

Una grossolana malizia splendette sul volto rosso ed eccitato dell'uomo, egli si diede un colpo sulla coscia e rise: "Ah, ma è stata bella," esclamò "bellissima... cosa diremo loro? che siamo stati qui... naturalmente... che ci siamo stati per tutto il tempo...

"No, Leo," disse Carla dubitosa guardandolo e giungendo le mani sul ventre, "veramente?"

"Veramente" egli ripetè; "ah, eccola."

La porta si aprì, riapparve la madre: "Ma sono qui," esclamò volgendosi verso Lisa; "e noi che li abbiamo cercati per tutta la casa, dove eravate?"

Leo fece un gesto di meraviglia: "Siamo sempre stati qui." La madre lo guardò come si guarda un povero matto: "Non dica sciocchezze... sono stata io poco fa qui e non c'era nessuno ed era tutto buio."

"Allora," rispose l'uomo placidamente, staccando il soprabito dall'attaccapanni, "vuol dire che lei soffre di allucinazioni. Noi siamo sempre stati qui... Non è vero Carla?" egli soggiunse volgendosi verso la fanciulla.

"Verissimo" rispose quella dopo un'esitazione.

Seguì un minaccioso silenzio; la madre aveva l'impressione che tutti si burlassero di lei ma non le riusciva di scoprirne le cause; sospettava fini reconditi e machiavellismi tenebrosi; irresoluta, irritata, intesseva una rete di sguardi scrutatori tra Leo, Carla e Lisa.

"Lei è pazzo" disse finalmente; "cinque minuti fa qui non c'era nessuno... ne è testimone Lisa che era con me" soggiunse additando l'amica.

"È vero, non c'era nessuno" disse questa con calma.

Ancora silenzio: "E Carla è testimone che noi eravamo qui" disse Leo gettando un'occhiata allusiva alla fanciulla; "è la pura verità... non è vero Carla?"

"È vero" ella confessò confusa, colpita per la prima volta da questo fatto: che era incontestabile che quando la madre era venuta essi erano là, dentro il vestibolo.

"E va bene" disse la madre con amarezza, "va benissimo... voi avete ragione, io sono pazza e Lisa anche." Per un istante tacque.

"Che Leo si permetta questi scherzi" proruppe poi volgendosi verso Carla, "è affar suo... ma che tu ti burli di me, di questo dovresti vergognarti... bel rispetto verso tua madre..."

"Ma è la pura verità mamma" protestò Carla; ora lo scherzo le diveniva doloroso, le si affondava come una spina in quell'impazienza che la possedeva; "eravamo nel vestibolo:" avrebbe voluto soggiungere "eravamo dietro la tenda io e Leo, abbracciati"; e immaginava la scena che a queste parole sarebbe scoppiata, ma sarebbe stata l'ultima; poi tutto sarebbe finito.

Intanto Lisa, col volto di chi è annoiata, diceva: "Vogliamo andare Merumeci?..." E l'uomo pronto per uscire tendeva la mano alla madre. "Ci pensi su," egli non potè far a meno di dire sorridendo; "ci pensi tutta la notte." Al che la madre rispose con un'alzata di spalle: "lo la notte dormo." Poi abbracciò Lisa mormorandole: "Allora ricordati di quello che ti ho detto." La fanciulla aprì la porta, una folata d'aria fredda entrò nel vestibolo, e quei due uscirono, disparvero.


4 (III) 4 (III) 4 (III) 4(三)

Tutti capirono che la faccenda era diventata seria e che quel riso non era stato che il lampo livido che precede lo scoppio del fulmine.

"Merumeci ha assolutamente ragione" disse la madre con volto duro e con voce imperiosa, e provava contro il figliolo una crudele irritazione perché temeva che l'amante cogliesse questa occasione per rompere i loro rapporti: "la tua condotta è disgustosa... ti ordino di fargli delle scuse..."

"Ma... non capisco... perché Merumeci è un mascalzone?" domandava Lisa con l'evidente desiderio di complicare le cose; soltanto Carla non si moveva né parlava: un disgusto meschino e fastidioso l'opprimeva; aveva l'impressione che la marea angosciosa dei piccoli avvenimenti di quella giornata stesse per traboccare e per sommergere la sua pazienza; socchiudeva gli occhi e tra le ciglia spiava con sofferenza le facce stupide e irritate degli altri quattro.

"Oh, oh," fece Michele ironico, senza muoversi; "me lo ordini?... e se io non obbedissi?"

"Allora" rispose Mariagrazia non senza una certa patetica e teatrale dignità "daresti un dispiacere a tua madre."

Per un istante, senza parlare, egli la guardò: "daresti un dispiacere a tua madre," si ripeteva, e la frase gli pareva a un tempo ridicola e profonda. "Ecco" egli pensò con un disgusto superficiale; "si tratta di Leo... del suo amante... eppure ella non esita a tirare in ballo la sua qualità di madre." Ma la frase era quella: "daresti un dispiacere a tua madre," ripugnante e inconfutabile; distolse gli occhi da quella faccia sentimentale; dimenticò ad un tratto tutti i suoi propositi di sincerità e di collera: "E in fin dei conti" pensò "tutto mi è indifferente... perché non far delle scuse e risparmiarle questo famoso dispiacere?..." Alzò la testa; ma voleva dire la verità, mostrare tutta la propria ingiuriosa indifferenza:

"E voi credete" cominciò "che io non sia capace di far delle scuse a Leo?... ma se sapeste quanto tutto questo mi sia indifferente." "Belle cose a dirsi" interruppe la madre.

"Quanto tutto questo m'importi poco" continuò Michele esaltandosi, "non ve lo potete immaginare... così non aver paura mamma... se vuoi non solamente gli faccio le scuse ma gli bacio anche i piedi a Leo."

"No, non scusarti" osservò a questo punto Lisa che aveva seguito la scena con la più grande attenzione; tutti la guardarono: "Ti ringrazio tanto, Lisa" continuò la madre offesa e teatrale; "proprio tanto di aizzarmi contro mio figlio."

"Chi ti aizza tuo figlio?" rispose Lisa tranquillamente; "ma mi pare che non valga la pena..."

Leo la guardò di traverso: "Non mi piace di esser chiamato a quel modo da un ragazzo" disse con voce dura; "ho domandato delle scuse e le avrò."

"Non sarebbe meglio dimenticar tutto e riconciliarsi?" parlò Carla sporgendo quel suo volto tra attonito e candido.

"No," rispose la madre "Merumeci ha ragione: bisogna che Michele gli faccia delle scuse." Michele si alzò in piedi: "Gliele faccio, non dubitare...: dunque Leo," disse rivolgendosi verso l'uomo "ti faccio tutte le mie scuse per averti ingiuriato" egli si fermò un istante; come facilmente gli erano uscite di bocca le parole umilianti! "E ti prometto che non lo farò più" concluse con la voce tranquilla e l'indifferenza di un bimbo di sei anni.

"Va bene, va bene," disse Leo senza guardarlo. "Imbecille," avrebbe voluto gridargli Michele nel vederlo così sicuro e investito nella sua parte; ma più di tutti, la madre, illusa, era contenta: "Michele è un buon figlio" disse guardando con improvvisa tenerezza il ragazzo; "Michele ha obbedito a sua madre."

La fiamma della vergogna e dell'umiliazione che non aveva bruciato le guance di Michele mentre porgeva le sue scuse a Leo, lo scottò improvvisamente di fronte a questa incomprensione: "Ho fatto quel che avete voluto," disse bruscamente "e ora permettete che vada a dormire perché sono stanco." Girò su se stesso come una marionetta e senza salutare nessuno uscì nel corridoio.

Ma nel momento in cui passava nell'atrio s'accorse che qualcheduno gli era corso dietro; si voltò; era Lisa: "Ero venuta apposta" ella disse ansante, guardandolo con un curioso e appassionato sguardo, "per dirti che quando vuoi ti posso presentare a quel mio parente... e lui potrà trovarti qualche cosa da fare... nella sua ditta o altrove."

"Grazie tanto" disse Michele fissandola a sua volta.

"Ma bisogna per questo che tu venga a casa mia... e così potrete incontrarvi."

"Va bene": a misura che Lisa si impacciava, il ragazzo pareva diventare più calmo e attento: "Quando?"

"Domani" disse Lisa. "Vieni domani mattina, vieni presto...: lui arriverà verso mezzogiorno... ma non importa... si parlerà un poco non è vero?" Tacquero ambedue guardandosi: "E perché hai fatto quelle scuse a Leo?" domandò ad un tratto la donna arditamente; "non avresti dovuto fargliele."

"Perché?" egli domandò; "ah, era a questo" pensò " che volevi venire."

"Il perché sarebbe troppo lungo a dirtelo ora... e quei di là potrebbero pensare..." spiegò Lisa diventando ad un tratto molto misteriosa; "ma se vieni domani te lo dirò."

"Va bene, allora... a domani", e strettale la mano, egli si avviò per la scala.

Lisa tornò nel salotto; quei tre sedevano là, nell'angolo, intorno alla lampada; la madre che stava con tutti i suoi colori in piena luce, parlava di Michele: "È evidente" spiegava all'amante che rovesciato nella sua poltrona l'ascoltava con espressione del tutto abbruttita, senza batter ciglio; "che gli è costato molto far quelle scuse... Non è uno di quelli che si piegano facilmente... è fiero..." ella soggiunse con aria di sfida; "ha un'anima fiera e dritta come la mia."

"Non ne dubito," disse Leo sollevando le palpebre in un lungo sguardo verso Carla; "ma questa volta ha fatto bene a piegarsi." Tacquero tutti e tre; l'incidente era esaurito; e a passi silenziosi, con l'aspetto meno affaccendato di questo mondo, Lisa si avvicinò:

"Ha l'automobile Merumeci?" ella domandò.

I tre si voltarono: "L'automobile" ripetè l'uomo scrollandosi, "sicuro... ho l'automobile."

"Allora mi accompagnerà" disse Lisa "sempre che non la disturbi." "Si figuri, il piacere è tutto mio." Leo si alzò, si abbottonò la giacca: "Bisognerà andare" cominciò, e dentro di sé si rodeva; non solamente non era riuscito a far nulla con Carla, ma ora, ecco, gli toccava anche accompagnare Lisa.

Ma la gelosia incomprensiva della madre lo salvò; tra quei due, Leo e Lisa, c'era stata una relazione, un amore, molti anni prima, anzi dovevano sposarsi, poi era venuta lei, già vedova e aveva rubato alla sua migliore amica il promesso sposo; era una storia molto vecchia, ma... e se a quei due fosse venuto in mente di ricominciare? Si voltò verso Lisa: "No, tu non te ne vai subito..." disse: "ho da parlarti..."

"Sì, va bene," Lisa la guardò con un falso imbarazzo: "ma poi non ho più Merumeci che mi accompagna a casa."

"Oh per questo non si preoccupi..." e questa volta il piacere era veramente tutto di Leo; "io posso aspettare nel corridoio o qui... lei parli pure con la signora... io l'aspetterò... Carla" soggiunse guardando la fanciulla "mi terrà compagnia."

Indolentemente Carla si alzò e scuotendo la grossa testa si avvicinò. "Ecco" pensava "se ora resto con lui tutto è finito..."; Leo la guardava, le parve, maliziosamente, e questa complicità anticipata le sembrò odiosa; ma a cosa sarebbe servito resistere? Una dolorosa impazienza la possedeva: "Finirla" si ripeteva guardando quel salotto oscuro dove tanti giorni di fuoco si erano consumati in cenere, e il gruppo solenne e ridicolo che essi formavano intorno alla lampada: "finirla con tutto questo", e si sentiva cadere in questo suo esitante abbandono come una piuma in una tromba di scale. Per questo non protestò, non parlò.

"Ma lei non sa" si opponeva la madre, "quanto io tratterrò Lisa... Vada, vada pure... a Lisa faremo chiamare un taxi." Voce insinuante, voce di gelosia: Leo fu gentile, ma inflessibile: "Aspetterò... che importa?... un minuto più, un minuto meno... aspetterò volentieri..."

La madre capì che aveva perduto e che le sarebbe stato impossibile dividere quei due, Leo e Lisa; "è evidente... vuole aspettarla" pensò scrutando quei due volti, "per poi andare insieme a casa sua." Questa idea le parve atroce; diventò ancor più pallida e la gelosia brillò francamente nei suoi occhi. "E va bene," disse alfine "vada... vada ad aspettare di fuori... gliela rendo subito la sua Lisa, non tema, subitissimo..." Faceva con la mano un gesto di minaccia, un riso amaro e cattivo tremava su quelle sue labbra dipinte; Leo la guardò fissamente poi alzò le spalle e senza parlare, seguito da Carla, uscì.

Nel corridoio, senza parer di nulla, egli passò un braccio intorno alla vita della fanciulla; ella se ne accorse ma resistette alla tentazione di svincolarsi: "è la fine," pensò "la fine della mia vecchia vita." Gli specchi che brillavano nell'ombra riflessero al passaggio le loro due figure allacciate.

"Hai visto" ella disse ad alta voce; "mamma è gelosa a causa di Lisa..." Nessuna risposta se non una pressione del braccio che la fece aderire col fianco al fianco duro dell'uomo; entrarono così uniti nel vestibolo; mura alte, bianche, stanzetta cubica dal pavimento a losanghe.

"E chi sa," ella soggiunse con un umiliante senso di futilità, "chi sa che non sia vero." Questa volta l'uomo si fermò e senza lasciarla le si mostrò di faccia.

"E invece" disse con un sorriso goffo, stupido, ed eccitato, "sai di chi dovrebbe essere gelosa? di te... sì, proprio di te..."

"Ci siamo" ella pensò; "di me... perché?" domandò con voce chiara. Si guardarono: "Verrai da me?" chiese Leo quasi paternamente; la vide abbassare la testa senza rispondere né sì né no; "è il buon momento" pensò; e già l'attirava e già stava per chinarsi e baciarla quando un rumore di voci, là nel corridoio, l'avvertì che la madre arrivava; dalla rabbia quasi soffocò; era la seconda volta nella giornata che l'amante veniva a guastargli ogni cosa nell'istante più delicato. "Che il diavolo se la trascini" pensò; si sentiva la donna parlare, discutere nel corridoio con Lisa, e benché non accennasse a comparire, Carla ormai inquieta fece il gesto di svincolarsi: "Lasciami, ecco mamma." Furioso, Leo guardava la porta, si guardava intorno senza tuttavia decidersi a lasciare quella cintola flessibile; ed ecco, gli occhi gli caddero sopra una tenda che a destra del vestibolo dissimulava un uscio; stese un braccio, spense la luce: "Vieni" mormorò nell'oscurità tentando di trascinar Carla in quel nascondiglio; "vieni là dietro... facciamo uno scherzo a tua madre." Ella non capiva, resistette, i suoi occhi brillavano nell'ombra: "Perché... ma perché?" ripeteva; però alla fine cedette; entrarono dietro la cortina, s'appiattarono nel vano della porta; Leo rigirò il braccio intorno alla cintola della fanciulla. "Ora vedrai" le mormorò, ma Carla non vedeva nulla; dritta, rigida, chiudeva gli occhi in quella notte della tenda piena di ondeggiamenti odoranti di polvere, e lasciava che la mano di Leo errasse sulle sue guance, sul collo: "Ora vedrai" egli bisbigliò; la tenda fremette da cima a fondo, ella sentì le labbra dell'uomo posarsi sul petto, strisciare goffamente fino al mento, fermarsi alfine sulla bocca; bacio profondo ma di poca durata. Le voci si avvicinarono, Leo si drizzò di nuovo: "Eccola" egli mormorò nel buio, e quel suo braccio strinse Carla con una forza confidenziale e intima, con una sicurezza che gli erano mancate prima.

L'uscio a vetri si aprì; Carla allargò un po' la tenda e guardò: nel quadro luminoso della porta aperta, la figura della madre, piena di ombre e di rilievi, esprimeva lo stupore e l'incomprensione:

"Ma non ci sono" esclamò la voce familiare; e Lisa, invisibile, dal corridoio chiese: "E dove saranno andati?" "But I'm not there," the familiar voice exclaimed; and Lisa, invisible, from the corridor asked: "And where did they go?"

Domanda senza risposta; la testa della madre si tese, si affacciò come per esplorare il vestibolo; l'ombra le scavava i tratti e faceva di quella faccia molle e dipinta una maschera pietrificata in un'espressione di patetico smarrimento; ogni ruga, e la bocca semiaperta e nera di belletto, e gli occhi sbarrati, e il volto intero parevano gridare..."Leo non c'è più... Leo mi ha abbandonata... Leo è partito." Carla la guardava tra curiosa e compassionevole, intuiva la paura che tremava dietro quella maschera e le pareva di vedere il volto stesso dei giorni avvenire quando la madre avrebbe saputo del tradimento dell'amante e di sua figlia; questo spettacolo durò un istante; poi la testa si ritrasse. "È strano," si udì parlar la voce "il soprabito di Merumeci è ancora là e loro non ci sono."

"Forse sono nell'atrio" rispose Lisa; e così tra supposizioni e meraviglie si allontanarono entrambe.

"Hai visto?" mormorò ancora Leo; si chinò di nuovo e strinse al suo petto la fanciulla; "è la fine," ella ripensò tendendo la bocca; le piaceva quest'oscurità che le impediva di veder l'uomo e le lasciava tutte le sue illusioni, le piaceva questo intrigo; si separarono. "E ora usciamo," ella mormorò allargando con le mani la tenda; "usciamo Leo, che possono accorgersene."

Egli cedette a malincuore e uno dopo l'altro uscirono entrambi, come due ladri, dal loro nascondiglio; la luce brillò; si guardarono: "Sono spettinata?" Carla domandò; egli accennò di no con la testa. "E ora cosa diremo a mamma?" ella soggiunse.

Una grossolana malizia splendette sul volto rosso ed eccitato dell'uomo, egli si diede un colpo sulla coscia e rise: "Ah, ma è stata bella," esclamò "bellissima... cosa diremo loro? che siamo stati qui... naturalmente... che ci siamo stati per tutto il tempo...

"No, Leo," disse Carla dubitosa guardandolo e giungendo le mani sul ventre, "veramente?"

"Veramente" egli ripetè; "ah, eccola."

La porta si aprì, riapparve la madre: "Ma sono qui," esclamò volgendosi verso Lisa; "e noi che li abbiamo cercati per tutta la casa, dove eravate?"

Leo fece un gesto di meraviglia: "Siamo sempre stati qui." La madre lo guardò come si guarda un povero matto: "Non dica sciocchezze... sono stata io poco fa qui e non c'era nessuno ed era tutto buio."

"Allora," rispose l'uomo placidamente, staccando il soprabito dall'attaccapanni, "vuol dire che lei soffre di allucinazioni. Noi siamo sempre stati qui... Non è vero Carla?" egli soggiunse volgendosi verso la fanciulla.

"Verissimo" rispose quella dopo un'esitazione.

Seguì un minaccioso silenzio; la madre aveva l'impressione che tutti si burlassero di lei ma non le riusciva di scoprirne le cause; sospettava fini reconditi e machiavellismi tenebrosi; irresoluta, irritata, intesseva una rete di sguardi scrutatori tra Leo, Carla e Lisa.

"Lei è pazzo" disse finalmente; "cinque minuti fa qui non c'era nessuno... ne è testimone Lisa che era con me" soggiunse additando l'amica.

"È vero, non c'era nessuno" disse questa con calma.

Ancora silenzio: "E Carla è testimone che noi eravamo qui" disse Leo gettando un'occhiata allusiva alla fanciulla; "è la pura verità... non è vero Carla?"

"È vero" ella confessò confusa, colpita per la prima volta da questo fatto: che era incontestabile che quando la madre era venuta essi erano là, dentro il vestibolo.

"E va bene" disse la madre con amarezza, "va benissimo... voi avete ragione, io sono pazza e Lisa anche." Per un istante tacque.

"Che Leo si permetta questi scherzi" proruppe poi volgendosi verso Carla, "è affar suo... ma che tu ti burli di me, di questo dovresti vergognarti... bel rispetto verso tua madre..."

"Ma è la pura verità mamma" protestò Carla; ora lo scherzo le diveniva doloroso, le si affondava come una spina in quell'impazienza che la possedeva; "eravamo nel vestibolo:" avrebbe voluto soggiungere "eravamo dietro la tenda io e Leo, abbracciati"; e immaginava la scena che a queste parole sarebbe scoppiata, ma sarebbe stata l'ultima; poi tutto sarebbe finito.

Intanto Lisa, col volto di chi è annoiata, diceva: "Vogliamo andare Merumeci?..." E l'uomo pronto per uscire tendeva la mano alla madre. "Ci pensi su," egli non potè far a meno di dire sorridendo; "ci pensi tutta la notte." Al che la madre rispose con un'alzata di spalle: "lo la notte dormo." Poi abbracciò Lisa mormorandole: "Allora ricordati di quello che ti ho detto." La fanciulla aprì la porta, una folata d'aria fredda entrò nel vestibolo, e quei due uscirono, disparvero.