×

We use cookies to help make LingQ better. By visiting the site, you agree to our cookie policy.


image

Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 22 (XVI)

22 (XVI)

La corsa dell'automobile volgeva alla fine; le strade si allargavano, si spopolavano; non più case, ma ville chiare e cupi giardini fradici di pioggia; scarsi i fanali, larghi e deserti i marciapiedi. Carla seguiva attentamente la corsa e con quella stessa velocità i pensieri turbinavano nella sua mente eccitata e stanca; l'automobile era la sua vita, lanciata ciecamente nell'oscurità. Avrebbe sposato Leo... vita in comune, dormire insieme, mangiare insieme, uscire insieme, viaggi, sofferenze, gioie... avrebbero avuto una bella casa, un bell'appartamento in un quartiere elegante della città... qualcheduno entra nel salotto arredato con lusso e buon gusto, è una signora sua amica, ella le viene incontro... prendono il tè insieme, poi escono; la sua macchina le aspetta alla porta; salgono; partono... Ella si sarebbe chiamata signora, signora Merumeci, strano, signora Merumeci... Le pareva di vedersi, un po' più alta, più grande, le gambe ingrossate, i fianchi più larghi, il matrimonio ingrassa, dei gioielli al collo e sulle dita, ai polsi; più dura, più fredda, splendida ma fredda, come se avesse avuto, là, dietro quei suoi occhi rigidi, un segreto, e per conservarlo nascosto, avesse ucciso nella sua anima ogni sentimento. Così atteggiata, vestita elegantemente, eccola entrare nella sala affollata di un albergo; suo marito la segue, Leo, un po' più calvo, un po' più grasso, ma non molto cambiato; si seggono, prendono il tè, ballano, molti la guardano e pensano: "Bella, donna bella ma cattiva... non sorride mai... ha gli occhi duri... sembra una statua... chissà a che cosa pensa." Altri in piedi, laggiù presso le colonne della sala, mormorano tra di loro: "Ha sposato l'amico di sua madre... un uomo più vecchio di lei... non lo ama e certamente deve avere un amante." Tutti mormorano, pensano, la guardano; ella sta seduta accanto a quel suo marito, tiene le ginocchia accavalciate, fuma... effetto di gambe, il vestito è succinto, la scollatura è profonda... tutti l'osservano con bramosia come se volessero morderla; ella risponde loro con sguardi pieni d'indifferenza... Una camera... ecco: la signora Merumeci, in ritardo per qualche visita di obbligo, corre incontro al suo amante; tra quelle braccia perde quella sua durezza di statua, queste donne rigide sono sempre le più ardenti, ridiventa fanciulla, piange, ride, balbetta, è come una prigioniera liberata che rivede alfine la luce... la sua gioia è bianca, tutta la stanza è bianca, ella è senza macchia tra le braccia dell'amante... la purezza è ritrovata. Poi, quando vien l'ora, stanca e felice, torna alla casa coniugale e ricompone sul suo volto l'abituale freddezza... La sua vita continua così per degli anni... molti la invidiano... ella è ricca, si diverte, viaggia, ha un amante, che più? tutto quel che può avere una donna lo ha...

L'automobile si fermò; discesero; non pioveva più; l'aria era fredda e nebbiosa; un vento umido agitava senza posa il fogliame cupo dei giardini. Carla saltò agilmente la larga pozza che si frapponeva fra il marciapiede e la via, e dritta, in piedi sotto un fanale, aspettò che il fratello avesse pagato; allora osservò, arenata sull'orlo della strada, come un cetaceo lasciato lì dall'alluvione, una forma nera e lunga, una grande automobile; il cofano brillava; col berretto calato sugli occhi, incastrato sul suo sedile, il conduttore dormiva. "La macchina dei Berardi" ella pensò stupita, e ad un tratto si ricordò di quell'invito per il ballo mascherato.

"Michele" disse al fratello che le veniva incontro scavalcando con precauzione le pozze del fossato; "la macchina dei Berardi."

"Già" egli osservò con una rapida occhiata all'automobile: "saranno venuti a prenderci."

Entrarono nel parco; l'attraversarono in silenzio, guardando con cautela dove mettevano i piedi; rumore della ghiaia calpestata; umidità, ombre cupe e fantastiche contro il cielo nebbioso; vasto fruscio oceanico dei grandi alberi; senso di tregua; non pioveva più.

Nel vestibolo caldo e illuminato Michele si tolse il pastrano e il cappello:

"Carla" disse alfine alla sorella che sulla soglia della porta lo aspettava: "quando parlerai a mamma di questo matrimonio?" Ella lo guardò: "Domani" rispose tranquillamente.

Passarono nel corridoio; un rumore di voci e di risa arrivava dal salotto, la fanciulla si avvicinò alle tende che nascondevano quella porta, le allargò con precauzione, spiò per un istante:

"Sono tutti là", disse voltandosi; "tutt'e tre... Pippo, Mary e Fanny."

Salirono la scala; nell'anticamera vennero loro incontro la madre e Lisa; la madre si era già travestita da spagnuola: aveva la faccia molle e patetica tutta impiastricciata di un lussureggiante belletto, guance accese e punteggiate di nèi, labbra vermiglie, occhi affogati in una languida tintura nera; il costume da spagnuola, lungo e tutto nero, le ondeggiava intorno ad ogni dondolìo dei fianchi, con una molle abbondanza di pieghe; un sontuoso velo ricamato a giorno le ricadeva dal largo pettine di tartaruga sulle spalle grasse, sulle braccia larghe, tremule e nude; teneva tra le mani un ventaglio di piume di struzzo, sorrideva stupidamente e come paurosa di turbare con qualche movimento l'equilibrio della sua acconciatura, camminava con la testa dritta e rigida; al suo fianco, come il giorno accanto alla notte, stava Lisa, biondiccia, di una bianchezza farinosa, tutta vestita di chiaro.

Appena vide Carla e Michele la madre venne loro incontro: "È tardi" gridò prima ancora che avessero finito di salire. "I Berardi aspettano già da un quarto d'ora."

Era soddisfatta, contenta: Lisa aveva passato tutto il pomeriggio con lei: di conseguenza l'amante le aveva detto la verità e non la tradiva; dalla gioia si era mostrata affabilissima con l'amica, le aveva fatto mille confidenze, e per un istante aveva anche pensato d'invitarla al ballo di quella sera; ma vi aveva rinunziato un poco per un parsimonioso egoismo, un poco perché i Berardi conoscevano pochissimo Lisa e avrebbero potuto offendersi di questa sua libertà. "Presto... presto" ripeteva a Carla che immobile la contemplava; "presto, vatti a mascherare..."

"Devo mascherarmi?" domandò la fanciulla con voce dubitosa e profonda, senza alzare gli occhi da terra.

La madre rise: "Svegliati Carla," disse agitandosi con quel suo ondeggiante velo spagnuolo; "a che cosa pensi... non vorrai mica andare al ballo senza mascherarti?" Prese la figlia per un braccio: "Andiamo" soggiunse "andiamo... se no facciamo tardi."

Con un gesto meccanico Carla si tolse di testa il cappello e scuotendo la grossa testa indolente e arruffata seguì la madre; il velo spagnuolo ondeggiava con eleganza dalle due sporgenze fasciate delle natiche; Carla la guardava e le pareva, vedendola così eguale a se stessa, così immutabile, che nulla in quel pomeriggio fosse avvenuto: "Eppure" pensava "bisognerà informarla di questo matrimonio." Così, l'una trascinando l'altra, uscirono dall'anticamera.

Restarono soli Lisa e Michele; fin dal primo momento la donna aveva osservato dal suo angolo, con una curiosità avida e turbata, quei due, fratello e sorella, che arrivavano insieme: ora, dopo avere invano aspettato che il ragazzo parlasse per il primo, gli si avvicinò:

"Ebbene" domandò senza nascondere questo suo indiscreto interessamento; "dimmi... com'è andata?"

Egli si voltò, la guardò: "Com'è andata" ripetè lentamente; "com'è andata?... male è andata... gli ho sparato addosso."

"Misericordia!" esclamò Lisa con un terrore esagerato, guardandolo vivamente "e l'hai ferito?"

"Neppure toccato."

"Vieni qui." Eccitata ella lo attirò sul divano e gli sedette accanto:

"Siediti qui... raccontami..."

Ma Michele ebbe un gesto stanco e impaziente: "Ora no... più tardi." Osservava quella carne rosea e bionda, quel petto florido... un desiderio insaziabile lo invadeva di dimenticare anche per un solo istante la sua miseria... "Vai al ballo?" domandò alfine poiché ebbe cessato di esaminarla.

"No."

"Allora;" egli esitò: "allora, poiché neppure io ci vado, vengo a cena da te... e così... ti racconterò tutto."

La vide assentire con entusiasmo. "Va bene, benissimo... ceneremo insieme." E sorrise con amarezza. " Questa volta" pensò irritato e compiaciuto "non aver paura, non temere, non ti respingerò."

Un disgusto opaco l'opprimeva; i suoi pensieri non erano che aridità, deserto; nessuna fede, nessuna speranza alla cui ombra riposare e rinfrescarsi; la falsità e l'abbiezione di cui aveva pieno l'animo egli le vedeva negli altri, sempre, impossibile strapparsi dagli occhi quello sguardo scoraggiato, impuro che si frapponeva tra lui e la vita; un po' di sincerità, si ripeteva riaggrappandosi alla sua vecchia idea fissa, "un po' di fede... e avrei ucciso Leo... ma ora sarei limpido come una goccia d'acqua."

Si sentiva soffocare; guardò Lisa, pareva contenta: "Come vivi?" avrebbe voluto gridarle: "sinceramente? con fede? dimmi come riesci a vivere." I suoi pensieri erano confusi, contraddittori: "E ancora" pensava con un brusco, disperato ritorno alla realtà, "forse questo dipende soltanto dai miei nervi scossi... forse non è che una questione di denaro o di tempo o di circostanze." Ma quanto più si sforzava di ridurre, di semplificare il suo problema, tanto più questo gli appariva difficile, spaventoso. "È impossibile andare avanti così." Avrebbe voluto piangere; la foresta della vita lo circondava da tutte le parti, intricata, cieca; nessun lume splendeva nella lontananza: "impossibile."

Tornarono la madre e Carla, travestita quest'ultima da Pierrot; aveva il volto nascosto da una mascherina di raso nero, portava un enorme collare oscillante intorno al collo, giubbetto, pantaloni, scarpine di seta bianca con grandi bottoni neri; camminava sulle punte dei piedi, col tricorno un po' di traverso, e sorrideva misteriosamente:

"Come vi sembriamo?" domandò la madre.

"Molto bene... molto bene" ripetè Lisa: "divertitevi."

"È quel che faremo" disse la fanciulla con uno scoppio di risa; così travestita si sentiva un'altra, più gaia, più leggera... Si avvicinò al fratello, gli diede sulla spalla un colpetto col ventaglio. "E con te domani parleremo" disse a bassa voce; la confessione nell'automobile le aveva lasciato una penosa impressione; le pareva che Michele si stesse rovinando la vita; "e invece tutto è così semplice," aveva pensato infilandosi davanti allo specchio i pantaloni da Pierrot: "lo prova il fatto che nonostante quel che è avvenuto io mi travesto e vado al ballo." Avrebbe voluto gridarglielo a Michele: "tutto è così semplice," e già pensava di fargli trovar del lavoro, un posto, un'occupazione qualsiasi, da Leo, appena si sarebbero sposati... Ma, la madre la trascinava:

"Andiamo" ripeteva "andiamo... i Berardi aspettano."

Discesero la scala, l'uno accanto all'altra, il Pierrot bianco e la spagnuola nera; sul pianerottolo la madre fermò la figlia:

"Ricordati" le mormorò in un orecchio " di essere... come dire?... gentile con Pippo... Ci ho ripensato... forse ti ama... è un buon partito." "Non aver paura" rispose Carla seriamente.

Discesero la seconda rampa. Ora la madre sorrideva soddisfatta: pensava che anche l'amante sarebbe venuto al ballo, e pregustava una piacevole serata.


22 (XVI) 22 (XVI) 22 (XVI) 22 (XVI)

La corsa dell'automobile volgeva alla fine; le strade si allargavano, si spopolavano; non più case, ma ville chiare e cupi giardini fradici di pioggia; scarsi i fanali, larghi e deserti i marciapiedi. Carla seguiva attentamente la corsa e con quella stessa velocità i pensieri turbinavano nella sua mente eccitata e stanca; l'automobile era la sua vita, lanciata ciecamente nell'oscurità. Avrebbe sposato Leo... vita in comune, dormire insieme, mangiare insieme, uscire insieme, viaggi, sofferenze, gioie... avrebbero avuto una bella casa, un bell'appartamento in un quartiere elegante della città... qualcheduno entra nel salotto arredato con lusso e buon gusto, è una signora sua amica, ella le viene incontro... prendono il tè insieme, poi escono; la sua macchina le aspetta alla porta; salgono; partono... Ella si sarebbe chiamata signora, signora Merumeci, strano, signora Merumeci... Le pareva di vedersi, un po' più alta, più grande, le gambe ingrossate, i fianchi più larghi, il matrimonio ingrassa, dei gioielli al collo e sulle dita, ai polsi; più dura, più fredda, splendida ma fredda, come se avesse avuto, là, dietro quei suoi occhi rigidi, un segreto, e per conservarlo nascosto, avesse ucciso nella sua anima ogni sentimento. Così atteggiata, vestita elegantemente, eccola entrare nella sala affollata di un albergo; suo marito la segue, Leo, un po' più calvo, un po' più grasso, ma non molto cambiato; si seggono, prendono il tè, ballano, molti la guardano e pensano: "Bella, donna bella ma cattiva... non sorride mai... ha gli occhi duri... sembra una statua... chissà a che cosa pensa." Altri in piedi, laggiù presso le colonne della sala, mormorano tra di loro: "Ha sposato l'amico di sua madre... un uomo più vecchio di lei... non lo ama e certamente deve avere un amante." Tutti mormorano, pensano, la guardano; ella sta seduta accanto a quel suo marito, tiene le ginocchia accavalciate, fuma... effetto di gambe, il vestito è succinto, la scollatura è profonda... tutti l'osservano con bramosia come se volessero morderla; ella risponde loro con sguardi pieni d'indifferenza... Una camera... ecco: la signora Merumeci, in ritardo per qualche visita di obbligo, corre incontro al suo amante; tra quelle braccia perde quella sua durezza di statua, queste donne rigide sono sempre le più ardenti, ridiventa fanciulla, piange, ride, balbetta, è come una prigioniera liberata che rivede alfine la luce... la sua gioia è bianca, tutta la stanza è bianca, ella è senza macchia tra le braccia dell'amante... la purezza è ritrovata. Poi, quando vien l'ora, stanca e felice, torna alla casa coniugale e ricompone sul suo volto l'abituale freddezza... La sua vita continua così per degli anni... molti la invidiano... ella è ricca, si diverte, viaggia, ha un amante, che più? tutto quel che può avere una donna lo ha...

L'automobile si fermò; discesero; non pioveva più; l'aria era fredda e nebbiosa; un vento umido agitava senza posa il fogliame cupo dei giardini. Carla saltò agilmente la larga pozza che si frapponeva fra il marciapiede e la via, e dritta, in piedi sotto un fanale, aspettò che il fratello avesse pagato; allora osservò, arenata sull'orlo della strada, come un cetaceo lasciato lì dall'alluvione, una forma nera e lunga, una grande automobile; il cofano brillava; col berretto calato sugli occhi, incastrato sul suo sedile, il conduttore dormiva. "La macchina dei Berardi" ella pensò stupita, e ad un tratto si ricordò di quell'invito per il ballo mascherato.

"Michele" disse al fratello che le veniva incontro scavalcando con precauzione le pozze del fossato; "la macchina dei Berardi."

"Già" egli osservò con una rapida occhiata all'automobile: "saranno venuti a prenderci."

Entrarono nel parco; l'attraversarono in silenzio, guardando con cautela dove mettevano i piedi; rumore della ghiaia calpestata; umidità, ombre cupe e fantastiche contro il cielo nebbioso; vasto fruscio oceanico dei grandi alberi; senso di tregua; non pioveva più.

Nel vestibolo caldo e illuminato Michele si tolse il pastrano e il cappello:

"Carla" disse alfine alla sorella che sulla soglia della porta lo aspettava: "quando parlerai a mamma di questo matrimonio?" Ella lo guardò: "Domani" rispose tranquillamente.

Passarono nel corridoio; un rumore di voci e di risa arrivava dal salotto, la fanciulla si avvicinò alle tende che nascondevano quella porta, le allargò con precauzione, spiò per un istante:

"Sono tutti là", disse voltandosi; "tutt'e tre... Pippo, Mary e Fanny."

Salirono la scala; nell'anticamera vennero loro incontro la madre e Lisa; la madre si era già travestita da spagnuola: aveva la faccia molle e patetica tutta impiastricciata di un lussureggiante belletto, guance accese e punteggiate di nèi, labbra vermiglie, occhi affogati in una languida tintura nera; il costume da spagnuola, lungo e tutto nero, le ondeggiava intorno ad ogni dondolìo dei fianchi, con una molle abbondanza di pieghe; un sontuoso velo ricamato a giorno le ricadeva dal largo pettine di tartaruga sulle spalle grasse, sulle braccia larghe, tremule e nude; teneva tra le mani un ventaglio di piume di struzzo, sorrideva stupidamente e come paurosa di turbare con qualche movimento l'equilibrio della sua acconciatura, camminava con la testa dritta e rigida; al suo fianco, come il giorno accanto alla notte, stava Lisa, biondiccia, di una bianchezza farinosa, tutta vestita di chiaro.

Appena vide Carla e Michele la madre venne loro incontro: "È tardi" gridò prima ancora che avessero finito di salire. "I Berardi aspettano già da un quarto d'ora."

Era soddisfatta, contenta: Lisa aveva passato tutto il pomeriggio con lei: di conseguenza l'amante le aveva detto la verità e non la tradiva; dalla gioia si era mostrata affabilissima con l'amica, le aveva fatto mille confidenze, e per un istante aveva anche pensato d'invitarla al ballo di quella sera; ma vi aveva rinunziato un poco per un parsimonioso egoismo, un poco perché i Berardi conoscevano pochissimo Lisa e avrebbero potuto offendersi di questa sua libertà. "Presto... presto" ripeteva a Carla che immobile la contemplava; "presto, vatti a mascherare..."

"Devo mascherarmi?" domandò la fanciulla con voce dubitosa e profonda, senza alzare gli occhi da terra.

La madre rise: "Svegliati Carla," disse agitandosi con quel suo ondeggiante velo spagnuolo; "a che cosa pensi... non vorrai mica andare al ballo senza mascherarti?" Prese la figlia per un braccio: "Andiamo" soggiunse "andiamo... se no facciamo tardi."

Con un gesto meccanico Carla si tolse di testa il cappello e scuotendo la grossa testa indolente e arruffata seguì la madre; il velo spagnuolo ondeggiava con eleganza dalle due sporgenze fasciate delle natiche; Carla la guardava e le pareva, vedendola così eguale a se stessa, così immutabile, che nulla in quel pomeriggio fosse avvenuto: "Eppure" pensava "bisognerà informarla di questo matrimonio." Così, l'una trascinando l'altra, uscirono dall'anticamera.

Restarono soli Lisa e Michele; fin dal primo momento la donna aveva osservato dal suo angolo, con una curiosità avida e turbata, quei due, fratello e sorella, che arrivavano insieme: ora, dopo avere invano aspettato che il ragazzo parlasse per il primo, gli si avvicinò:

"Ebbene" domandò senza nascondere questo suo indiscreto interessamento; "dimmi... com'è andata?"

Egli si voltò, la guardò: "Com'è andata" ripetè lentamente; "com'è andata?... male è andata... gli ho sparato addosso."

"Misericordia!" esclamò Lisa con un terrore esagerato, guardandolo vivamente "e l'hai ferito?"

"Neppure toccato."

"Vieni qui." Eccitata ella lo attirò sul divano e gli sedette accanto:

"Siediti qui... raccontami..."

Ma Michele ebbe un gesto stanco e impaziente: "Ora no... più tardi." Osservava quella carne rosea e bionda, quel petto florido... un desiderio insaziabile lo invadeva di dimenticare anche per un solo istante la sua miseria... "Vai al ballo?" domandò alfine poiché ebbe cessato di esaminarla.

"No."

"Allora;" egli esitò: "allora, poiché neppure io ci vado, vengo a cena da te... e così... ti racconterò tutto."

La vide assentire con entusiasmo. "Va bene, benissimo... ceneremo insieme." E sorrise con amarezza. " Questa volta" pensò irritato e compiaciuto "non aver paura, non temere, non ti respingerò."

Un disgusto opaco l'opprimeva; i suoi pensieri non erano che aridità, deserto; nessuna fede, nessuna speranza alla cui ombra riposare e rinfrescarsi; la falsità e l'abbiezione di cui aveva pieno l'animo egli le vedeva negli altri, sempre, impossibile strapparsi dagli occhi quello sguardo scoraggiato, impuro che si frapponeva tra lui e la vita; un po' di sincerità, si ripeteva riaggrappandosi alla sua vecchia idea fissa, "un po' di fede... e avrei ucciso Leo... ma ora sarei limpido come una goccia d'acqua."

Si sentiva soffocare; guardò Lisa, pareva contenta: "Come vivi?" avrebbe voluto gridarle: "sinceramente? con fede? dimmi come riesci a vivere." I suoi pensieri erano confusi, contraddittori: "E ancora" pensava con un brusco, disperato ritorno alla realtà, "forse questo dipende soltanto dai miei nervi scossi... forse non è che una questione di denaro o di tempo o di circostanze." Ma quanto più si sforzava di ridurre, di semplificare il suo problema, tanto più questo gli appariva difficile, spaventoso. "È impossibile andare avanti così." Avrebbe voluto piangere; la foresta della vita lo circondava da tutte le parti, intricata, cieca; nessun lume splendeva nella lontananza: "impossibile."

Tornarono la madre e Carla, travestita quest'ultima da Pierrot; aveva il volto nascosto da una mascherina di raso nero, portava un enorme collare oscillante intorno al collo, giubbetto, pantaloni, scarpine di seta bianca con grandi bottoni neri; camminava sulle punte dei piedi, col tricorno un po' di traverso, e sorrideva misteriosamente:

"Come vi sembriamo?" domandò la madre.

"Molto bene... molto bene" ripetè Lisa: "divertitevi."

"È quel che faremo" disse la fanciulla con uno scoppio di risa; così travestita si sentiva un'altra, più gaia, più leggera... Si avvicinò al fratello, gli diede sulla spalla un colpetto col ventaglio. "E con te domani parleremo" disse a bassa voce; la confessione nell'automobile le aveva lasciato una penosa impressione; le pareva che Michele si stesse rovinando la vita; "e invece tutto è così semplice," aveva pensato infilandosi davanti allo specchio i pantaloni da Pierrot: "lo prova il fatto che nonostante quel che è avvenuto io mi travesto e vado al ballo." Avrebbe voluto gridarglielo a Michele: "tutto è così semplice," e già pensava di fargli trovar del lavoro, un posto, un'occupazione qualsiasi, da Leo, appena si sarebbero sposati... Ma, la madre la trascinava:

"Andiamo" ripeteva "andiamo... i Berardi aspettano."

Discesero la scala, l'uno accanto all'altra, il Pierrot bianco e la spagnuola nera; sul pianerottolo la madre fermò la figlia:

"Ricordati" le mormorò in un orecchio " di essere... come dire?... gentile con Pippo... Ci ho ripensato... forse ti ama... è un buon partito." "Non aver paura" rispose Carla seriamente.

Discesero la seconda rampa. Ora la madre sorrideva soddisfatta: pensava che anche l'amante sarebbe venuto al ballo, e pregustava una piacevole serata.