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Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 21 (XV-XVI)

21 (XV-XVI)

"Una nuova vita?" Scoraggiata Carla si avvicinò alla finestra; le prime gocce di pioggia rigavano i vetri polverosi; guardò per un istante trasognata. Una nuova vita? dunque nulla era davvero mutato? quella sua sudicia avventura restava una sudicia avventura e nulla più? le parve di soffocare.

"No" disse con voce chiara senza voltarsi. "Non credo che una nuova vita sia possibile."

"Sono andata con lui," ella indicò con un gesto goffo l'amante immobile, là, presso la sua sedia; "ho fatto questo, capisci? per questa nuova vita... Ora mi accorgo invece che nulla è cambiato...: meglio allora non far più tentativi... restar così."

"Ma no, ma no" incominciò Michele con voce indifferente; ora, costretto a scendere dal proprio commosso sentimento al caso particolare della sorella, si accorgeva con paura che anche quel po' di fede lo lasciava; "ma no... nulla è cambiato perché tu non ami Leo... è stato un errore inutile... bisogna, per vivere e cambiare, agire sinceramente...:" gli parve d'improvviso straordinario e stupido che tutti i casi convergessero nel suo come per quei malati che attribuiscono a tutti la loro stessa malattia; ebbe paura di essere egoista, di non veder che se stesso, di non capir Carla: "Almeno io credo che sia così" soggiunse scoraggiato; "credo che tu debba separarti da quest'uomo che non ami... venderemo la villa, lo pagheremo, se ci resterà qualche cosa tanto meglio... lasceremo tutte queste feste, questa gente, quest'ambiente, tutta questa roba che ci è venuta a noia... andremo a vivere in poche stanze... sarà una nuova vita." Ma gli mancavano, lo capiva, il calore, la voce forte, la mano sulla spalla, il tono sicuro e cordiale; si sentiva indifferente e stanco.

Carla distolse gli sguardi da quegli occhi senza fede e senza illusione e li fissò verso la finestra: "È impossibile" disse alfine come parlando a se stessa. Silenzio; il discorso del ragazzo aveva agghiacciato Leo nel bel mezzo della sua acre e calda ironia: "Vender la villa... quello è pazzo," pensò; già, se vendevano la villa l'affare sfumava, se la vendevano l'avrebbero fatta stimare: allora sarebbe venuto fuori il vero valore di questa ampia dimora, situata nel centro del miglior quartiere della città, circondata da quel vasto parco la cui area poteva vantaggiosamente esser venduta a lotti, per nuove costruzioni... allora l'affare sarebbe andato a monte. Guardava Carla, Michele: "È una rovina," pensava, "altro che nuova vita;" e ad un tratto un'idea gli venne, e, come quei mendicanti disperati che non vanno discussi, decise subito di applicarla:

"Un momento" gridò "un momento... ci sono anch'io." Si alzò, scostò Michele con un gesto, prese l'amante per un braccio, la costrinse a sedere: "Siediti qui." La fanciulla obbedì con una docilità che parve orribile a Michele: "Non se ne farà mai nulla" pensò disperato; a sua volta Leo si era seduto di fronte a Carla.

"Certamente" cominciò con quella risolutezza e quella precisione che metteva in tutti i suoi affari, "certamente abbiamo fatto male.. abbiamo commesso degli errori., ci ho pensato mentre voi parlavate, ci ho pensato Carla... Ora, che cosa diresti se ti proponessi una riparazione... se ti proponessi di sposarci?" Un sorriso tra trionfante e persuasivo fioriva sulle sue labbra carnose, era sicuro di convincerla: "Che ne diresti, eh?" ripetè prendendole una mano sopra la tavola.

La mano di Carla tentò di svincolarsi ma non ci riuscì: "Sposarci?" ella ripetè con un sorriso deluso; "noi due sposarci?"

"Già" insistette Leo "noi due sposarci... cosa ci sarebbe di strano?"

La fanciulla scosse la testa: le ripugnava l'idea di questo matrimonio, con la madre per casa, amante e gelosa di suo marito, e poi era troppo tardi, non sapeva perché, troppo tardi per sposarsi; si conoscevano ormai troppo bene per divenire marito e moglie... meglio andar via... separarsi... oppure, chissà?... oppure restare così... amanti... Nel suo primo impulso di disgusto, nel suo primo istintivo movimento di difesa di quella pura e lontana idea del matrimonio, ogni più vile e penosa situazione le pareva preferibile alle nozze; pensava ma non sapeva parlare, come affascinata dal sorriso e dagli sguardi dell'amante; poi sentì due mani posarsi sulle sue spalle, le mani di Michele. "No" egli le mormorò, "digli di no," ma con voce non abbastanza bassa perché Leo non udisse.

Questi lasciò la mano di Carla e si alzò in piedi: "Vuoi farmi il piacere di lasciare una buona volta in pace tua sorella?..." gridò irritato. " È lei che deve sposarsi, non te... lasciala pensare... lasciala rispondere secondo il suo interesse... Anzi sarebbe quasi meglio che tu te ne andassi per un momento di là e ci lasciassi soli, me e Carla, poi ti si chiamerebbe quando si fosse finito."

"Calmati... io resto qui" rispose Michele in tono di sfida; l'altro fece un gesto impaziente ma non rispose:

"Allora" disse risedendosi "pensaci." Strinse di nuovo la mano di Carla: "Pensaci... non sono un partito disprezzabile... ho un capitale, una posizione solida, sono conosciuto e stimato... pensaci..." Tacque per un istante: "E poi" soggiunse "come vorresti trovare marito in queste tue condizioni?"

"Come... in queste tue condizioni?" ella ripetè guardandolo.

"Così" Leo storse la bocca: "Sei senza un quattrino... e occorre dirtelo? assai screditata."

"Come screditata" ella interruppe di nuovo con una voce esile.

"Screditata" ripetè Leo. "Tutti questi tuoi amici non ti considerano come una ragazza seria... mi spiego... abuserebbero di te ma non ti sposerebbero... finché si tratta di divertirsi son tutti buoni..."

Silenzio; si guardarono: "È per colpa vostra, di te e di mamma che sono così" ella avrebbe voluto gridare; ma si trattenne e abbassò la testa:

"Invece io" continuò Leo "metterei tutto in regola... non solamente te ma anche la tua famiglia... si prenderebbe tua madre in casa, Michele lavorerebbe... magari gli farei fare io qualche cosa, gli troverei un posto." Ad ogni nuova promessa guardava attentamente Carla, come il legnaiuolo che ad ogni colpo di accetta osserva il tronco intaccato dell'albero per veder se cade; ma Carla contemplava la finestra sulla quale ora la pioggia silenziosa lacrimava violentemente, e non rispondeva.

[...] Alfine ella si scosse e si voltò verso l'amante: "E così, Leo," domandò con una sforzata civetteria "tu vuoi che ci sposiamo?" "Sicuro" egli rispose con veemenza.

"E non hai paura che vada male?" ella insistette. "Io, per esempio" soggiunse tranquillamente, "sono convinta che tu mi tradirai."

"Sei tu che mi tradirai, sgualdrinella mia" pensò Leo, fissando quella testa florida divorata dall'ombra; avrebbe voluto darle un colpetto, là, sui grossi seni, un colpetto di scanzonata e beffarda allegria, ché ogni tanto gli pareva di rivederla come era stata pochi minuti prima, nuda e bianca, con quei movimenti di bestia goffa che dà l'inesperienza. "Mi sposo una sgualdrina si ripetè; tese una mano:

"Ti giuro" disse con solennità "che ti sarò sempre fedele."

"Carla" insistette Michele "digli di no." Le si avvicinò, le mise una mano sulla spalla. "Digli di no... la ragione c'è... la saprai dopo."

Carla taceva guardando la finestra; la grossa testa sferica pareva sproporzionata per quelle sue spalle esili; era ormai notte; un resto di luce, una specie di incerta fosforescenza si ritraeva dai vetri bagnati; pioveva; l'oscurità della casa li aveva raggiunti: non si vedevano che le facce scavate, divorate, e le mani posate sulla tavola.

"È tempo di andare" ella disse finalmente; si alzò.

"E la risposta?" domandò Leo; si alzò anche lui, andò a tastoni alla parete, accese la luce, per un istante in quella chiarità si guardarono con occhi abbagliati, come stupiti di vedersi, Carla e Michele, l'uno a fianco all'altra presso la finestra, Leo presso la porta.

Allora, per la prima volta, l'uomo osservò una certa somiglianza fra il fratello e la sorella: stessa espressione indecisa, stesso gesto timoroso delle braccia; ma il volto di Carla non era che stanco, ecco, ella si passava una mano su quei suoi occhi violati, mentre su quella di Michele era riconoscibile una tristezza tra nervosa e fantastica; stavano l'uno accanto all'altro, nel vano della finestra e parevano paurosi di lui.

"La risposta?" ripetè la fanciulla dopo un istante. "Domani, Leo, domani...: ho da parlare alla mamma." Si voltò verso suo fratello, gli mise una mano sul petto: "Michele, aspettami qui," soggiunse guardandolo attentamente: "vado a mettermi il cappello e vengo." Passò tra il ragazzo e la tavola, con una frivola e disinvolta agilità, passò davanti all'amante, aprì la porta a destra; non la chiuse; poi quella stanza s'illuminò; Michele vide un armadio con lo specchio, un tappeto, una sedia sulla quale era stata gettata una camicia maschile; una manica pendeva; davanti a quello specchio, Carla andava e veniva; prima, da persona pratica del luogo accese la lampada sull'armadio e accuratamente si pettinò; poi uscì, tornò con la giacca e il cappellino, indossò l'uno e l'altro non senza civetteria, scomparve di nuovo, tornò con la borsetta, s'incipriò... Durante questi preparativi i due uomini non si mossero né parlarono; Leo restò presso la porta, in quella sua veste da camera, stretta alla cintola, corta e abbondante in pieghe, con le gambe larghe, il petto nudo, e gli occhi e la testa rivolti in basso come se avesse profondamente meditato; sulla sua fronte calva i capelli arruffati e fini avevano l'aspetto di una piccola nube livida; teneva le mani riunite sul dorso e ogni tanto, senza alzar la testa, si sollevava sulle punte dei piedi e ricadeva pesantemente sui calcagni; Michele non si staccò dalla finestra, donde con occhi trasognati, osservò i movimenti familiari e frivoli della sorella davanti allo specchio. Gli pareva che un'atmosfera pesante e corrotta riempisse quella stanza attigua; doveva esserci un disordine impuro, lenzuola rovesciate, indumenti gettati sulle sedie, cuscini caduti, profumi, odore di tabacco e di sonno... e in quell'atmosfera, in questo disordine, Carla si muoveva liberamente, quasi gaiamente, con quelle sue gambe agili... era scapigliata, stanca, pallida... Ora eccola, pronta ad uscire, col cappellino ben calzato sugli occhi, la faccia incipriata, fresca, rosea, le labbra dipinte, due riccioli aguzzi sulle guance; eccola lasciar quello specchio appannato, quell'aria torbida, quella parete, quella sedia, e venirgli incontro.

"Andiamo" ella disse tranquillamente; tese la mano a Leo: "arrivederci Leo."

"Allora è di sì non è vero?" egli mormorò baciandole le punte delle dita; si sentiva contento e sicuro; Carla lo guardò ma non rispose; uscirono tutti e tre nel vestibolo, prima la fanciulla poi i due uomini; soddisfatto, quasi eccitato, Leo girava intorno all'amante: "Ci sposeremo... ci sposeremo" le mormorò mentre Michele nell'angolo opposto s'infilava il pastrano; avrebbe voluto vederla sorridere, o almeno concedergli uno sguardo, un segno che rivelasse un possibile acconsentimento; ma Carla fu inflessibile e distratta come se non avesse udito né veduto: "Arrivederci Leo" ripetè uscendo. Per un poco, attraverso la fessura della porta socchiusa, egli osservò quei due discendere la scala, senza parlarsi, senza voltarsi indietro, seguiti sulla parete da due ombre oblique e vaghe; finalmente egli chiuse la porta e tornò nel salotto; vide in terra la rivoltella di Michele, la raccolse, guardò distrattamente in aria soppesandola: si ricordò di avere un invito per il ballo del Grand Hotel, si ricordò anche che la madre aveva deciso di andarci: "Sarà una buona occasione per rafforzare in Carla l'idea del matrimonio" pensò; completamente soddisfatto andò davanti allo specchio della camera da letto, si guardò: "Va là che vai bene" si disse ad alta voce, e avrebbe voluto darsi un colpetto sulla pancia: "Anche sposato sarai sempre il solito Leo." Poi passò nel bagno e cominciò a lavarsi.

Capitolo XVI

[...] L'automobile aveva rallentato, si era fermata, aspettava, immobile, di attraversare una strada affollata; pioggia; fruscio; campanelli; trombe; voci; luci; facce; alfine con una scossa l'automobile si mosse, ripartì:

"Ebbene," ella domandò voltandosi "cosa c'è?"

Vide il fratello fare un gesto goffo e convulso con la mano: "Se non mi sbaglio" egli chiese con sforzo, "se non mi sbaglio non te l'ho detta la ragione per la quale dovresti rifiutare Leo." Ella lo guardò: "No."

"Eccola." Il ragazzo si chinò e cominciò in fretta senza transizione a raccontare: "Eccola la ragione... Oggi, prima di andar da Lisa...: a proposito, è stata lei a rivelarmi tutto, su te e Leo..."

"Ah! è stata lei."

"Sì, a quel che pare vi aveva sorpresi ieri, nell'anticamera... Ma andiamo avanti... ieri, prima di andar da Lisa, non ricordo come, venni a pensare agli affari nostri, alle nostre condizioni che in verità sono molto cattive... e a poco a poco mi addentrai tanto nei miei ragionamenti, che persi, come dire? persi ogni ritegno, e mi sorpresi a pensare press'a poco questo: 'Ecco, noi siamo rovinati; non c'è rimedio; tra un anno, se continuerà così, cadremo in miseria... per evitare questo disastro non sarebbe consigliabile venire a qualche sacrificio o magari ad un compromesso?' La sola persona sulla quale si poteva contare per una simile combinazione era Leo... Dunque, per esempio, pensai allora quasi senza accorgermene, dato il carattere dell'uomo, è donnaiolo, per una donna che gli piace darebbe tutto quel che ha; non sarebbe utile fargli capire che in cambio dei suoi denari io mi impegnerei, capisci? a portargli mia sorella, Carla, tu, insomma, a portargliela in casa sua?"

"Hai pensato questo?" ella domandò voltandosi vivamente e guardandolo; in quel momento la luce di un fanale illuminò per un attimo la faccia di Michele; ella vide gli occhi aperti, dilatati e sul volto bianco che accennava di sì, una ripugnante, goffa umiltà; stornò la testa; una tristezza angosciosa strinse il suo cuore tremante; l'automobile correva; Michele parlava:

"Ho pensato questo... e mi pare di vederlo, sai?" egli fece con la mano un gesto come se avesse voluto afferrare qualche cosa, "mi pareva di vedere come saremmo andati tutti e tre, io, te e Leo in casa di quest'ultimo...; quando son turbato mi par di vedere le cose che penso...; come avremmo preso il tè nel salotto di Leo, come alfine io me ne sarei partito, discretamente, secondo gli accordi prestabiliti, lasciandoti sola insieme con Leo..."

"È orribile" ella mormorò con spavento, ma Michele non la udì.

"Allora... capisci? quando vi vidi poco fa, seduti l'uno in faccia all'altro, davanti alla finestra del salotto, e udii Leo proporti di sposarlo... mi sembrò di scorgere la scena che avevo immaginato... succede a tutti...: si va per la strada, si pensa di trovare delle persone in certi atteggiamenti, e infatti si trovano... Ma nel mio caso c'era quel calcolo in più, quel calcolo sul denaro di Leo. 'Ecco' mi dissi, 'tutto è avvenuto come avevo pensato, come non avrei dovuto pensare, tutto è come se veramente io avessi detto a Leo: - Senti Leo... c'è Carla, mia sorella... è una bella e florida ragazza... -' Non offenderti... è così che immaginavo parlargli..."

"Non mi offendo" ella mormorò senza voltarsi, "continua pure."

"Una bella, florida ragazza" ripetè Michele; "tu mi dai del denaro, molto, ti addossi il sostentamento della mia famiglia e io in cambio... in cambio ti lascio mano libera su Carla... fanne quel che vuoi..."

"Ma cosa pensavi..." ella proruppe triste e irritata; "cosa pensavi ch'io fossi? un oggetto? un animale?"

"No, ma sapevo" rispose Michele con un mezzo sorriso di vittoria "che ti annoiavi... come dire? che eri nelle condizioni adatte, che avresti facilmente ceduto..."

"Sapevi questo?" ella mormorò.

"Che non avessi agito" continuò Michele senza rispondere "non aveva ormai più importanza...: ne avrei subito lo stesso il rimorso...: vedendovi là, sposati, vivendo di quei denari, ne avrei sempre sofferto come di una vera colpa... capisci?... capisci?..." egli ripetè preso da una subita esasperazione, afferrandola per un braccio; "capisci?... Si pensa una brutta, malvagia azione, ma non la si fa... poi tutto avviene come si aveva pensato, ma non completamente, fino ad un certo punto, in modo da poterne ancora impedire l'esecuzione... Cosa si deve fare allora? si cercherà di opporsi, d'impedire che questa cosa orribile avvenga... se non lo si fa, è come se si fosse stati complici dal principio alla fine, è come se io ti avessi veramente ceduta a Leo per il suo denaro, e ti avessi veramente portata in casa sua... Capisci ora? se tu lo sposi per me è come se veramente io avessi favorito la vostra unione, la vostra colpa, avessi da una parte spinto te tra le braccia di Leo e dall'altra ricevuto il denaro... capisci?... capisci ora?..." Un sobbalzo della vettura li gettò ripugnanti l'uno contro l'altro; silenzio, l'automobile correva:

"Mi perdoni" domandò alfine il ragazzo con voce commossa e umile, curvandosi in avanti, accanto alla sorella; "mi perdoni, Carla?..."

Ella taceva e guardava davanti a sé; poi ebbe un riso sforzato e secco:

"Non c'è nulla da perdonare" rispose; "non mi hai fatto nulla, nulla di male... cosa avrei da perdonarti?" Silenzio. "Non ho nulla da perdonare a nessuno" ella ripetè esasperata, con voce di pianto, senza distogliere gli occhi dal vetro dell'automobile; "a nessuno... non voglio che essere lasciata in pace." Gli occhi le si empirono di lacrime; tutti erano colpevoli e nessuno, ma ella era stanca di esaminare se stessa e gli altri; non voleva perdonare, non voleva condannare, la vita era quel che era, meglio accettarla, che giudicarla, che la lasciassero in pace.

Parve a Michele di trovare in queste parole la sua definitiva condanna: "Non ho fatto nulla" si ripetè con stupore, ché gli pareva di essere invecchiato, di aver molto vissuto in quel solo giorno: "è vero... non ho fatto nulla... nient'altro che pensare..." Un fremito di paura lo scosse: "Non ho amato Lisa... non ho ucciso Leo... non ho che pensato... ecco il mio errore." Si chinò, afferrò una mano della fanciulla:

"Ma lo rifiuterai, non è vero?" domandò ansiosamente; "dimmi che lo rifiuterai..."

Silenzio: "Lo sposerò" ella disse alfine; silenzio ancora: "Cosa avverrebbe di me se non lo sposassi?" ella continuò con voce triste e dura; "che cosa diventerei...? Pensaci un istante... in queste condizioni..." E fece un gesto come per mostrarsi quale era; nuda, perduta, povera: "Sarebbe una pazzia rifiutarlo, non mi resta che sposarlo..." Tacque, guardando come prima davanti a sé.

La rigidità del tono aveva persuaso Michele più di qualsiasi ragione: "Tutto è finito" pensò guardando le guance puerili di Carla, che il fanale dell'automobile illuminava; "è una donna." Si sentì vinto : "E così Carla" domandò ancora come un bambino mal convinto, "lo sposerai?"

"Lo sposerò" ella ripetè senza voltarsi.


21 (XV-XVI) 21 (XV-XVI) 21 (XV-XVI)

"Una nuova vita?" Scoraggiata Carla si avvicinò alla finestra; le prime gocce di pioggia rigavano i vetri polverosi; guardò per un istante trasognata. Una nuova vita? dunque nulla era davvero mutato? quella sua sudicia avventura restava una sudicia avventura e nulla più? le parve di soffocare.

"No" disse con voce chiara senza voltarsi. "Non credo che una nuova vita sia possibile."

"Sono andata con lui," ella indicò con un gesto goffo l'amante immobile, là, presso la sua sedia; "ho fatto questo, capisci? per questa nuova vita... Ora mi accorgo invece che nulla è cambiato...: meglio allora non far più tentativi... restar così."

"Ma no, ma no" incominciò Michele con voce indifferente; ora, costretto a scendere dal proprio commosso sentimento al caso particolare della sorella, si accorgeva con paura che anche quel po' di fede lo lasciava; "ma no... nulla è cambiato perché tu non ami Leo... è stato un errore inutile... bisogna, per vivere e cambiare, agire sinceramente...:" gli parve d'improvviso straordinario e stupido che tutti i casi convergessero nel suo come per quei malati che attribuiscono a tutti la loro stessa malattia; ebbe paura di essere egoista, di non veder che se stesso, di non capir Carla: "Almeno io credo che sia così" soggiunse scoraggiato; "credo che tu debba separarti da quest'uomo che non ami... venderemo la villa, lo pagheremo, se ci resterà qualche cosa tanto meglio... lasceremo tutte queste feste, questa gente, quest'ambiente, tutta questa roba che ci è venuta a noia... andremo a vivere in poche stanze... sarà una nuova vita." "But no, but no," began Michael in an indifferent voice; now, forced to descend from his own moved sentiment to his sister's particular case, he realized with fear that even that little bit of faith was leaving him; "but no... nothing has changed because you don't love Leo... it was a useless mistake.... one has to, in order to live and change, act sincerely...:" it suddenly seemed extraordinary and stupid to him that all cases converged in his as with those sick people who attribute their own illness to everyone; he was afraid of being selfish, of seeing only himself, of not understanding Carla: "At least I believe that's how it is," he added discouragedly; "I think you have to separate yourself from this man you don't love... we'll sell the mansion, we'll pay him off, if we have anything left so much the better... we'll leave all these parties, these people, this environment, all this stuff we've grown bored with... we'll go live in a few rooms... it will be a new life." Ma gli mancavano, lo capiva, il calore, la voce forte, la mano sulla spalla, il tono sicuro e cordiale; si sentiva indifferente e stanco.

Carla distolse gli sguardi da quegli occhi senza fede e senza illusione e li fissò verso la finestra: "È impossibile" disse alfine come parlando a se stessa. Silenzio; il discorso del ragazzo aveva agghiacciato Leo nel bel mezzo della sua acre e calda ironia: "Vender la villa... quello è pazzo," pensò; già, se vendevano la villa l'affare sfumava, se la vendevano l'avrebbero fatta stimare: allora sarebbe venuto fuori il vero valore di questa ampia dimora, situata nel centro del miglior quartiere della città, circondata da quel vasto parco la cui area poteva vantaggiosamente esser venduta a lotti, per nuove costruzioni... allora l'affare sarebbe andato a monte. Guardava Carla, Michele: "È una rovina," pensava, "altro che nuova vita;" e ad un tratto un'idea gli venne, e, come quei mendicanti disperati che non vanno discussi, decise subito di applicarla:

"Un momento" gridò "un momento... ci sono anch'io." Si alzò, scostò Michele con un gesto, prese l'amante per un braccio, la costrinse a sedere: "Siediti qui." La fanciulla obbedì con una docilità che parve orribile a Michele: "Non se ne farà mai nulla" pensò disperato; a sua volta Leo si era seduto di fronte a Carla.

"Certamente" cominciò con quella risolutezza e quella precisione che metteva in tutti i suoi affari, "certamente abbiamo fatto male.. abbiamo commesso degli errori., ci ho pensato mentre voi parlavate, ci ho pensato Carla... Ora, che cosa diresti se ti proponessi una riparazione... se ti proponessi di sposarci?" Un sorriso tra trionfante e persuasivo fioriva sulle sue labbra carnose, era sicuro di convincerla: "Che ne diresti, eh?" ripetè prendendole una mano sopra la tavola.

La mano di Carla tentò di svincolarsi ma non ci riuscì: "Sposarci?" ella ripetè con un sorriso deluso; "noi due sposarci?"

"Già" insistette Leo "noi due sposarci... cosa ci sarebbe di strano?"

La fanciulla scosse la testa: le ripugnava l'idea di questo matrimonio, con la madre per casa, amante e gelosa di suo marito, e poi era troppo tardi, non sapeva perché, troppo tardi per sposarsi; si conoscevano ormai troppo bene per divenire marito e moglie... meglio andar via... separarsi... oppure, chissà?... oppure restare così... amanti... Nel suo primo impulso di disgusto, nel suo primo istintivo movimento di difesa di quella pura e lontana idea del matrimonio, ogni più vile e penosa situazione le pareva preferibile alle nozze; pensava ma non sapeva parlare, come affascinata dal sorriso e dagli sguardi dell'amante; poi sentì due mani posarsi sulle sue spalle, le mani di Michele. "No" egli le mormorò, "digli di no," ma con voce non abbastanza bassa perché Leo non udisse.

Questi lasciò la mano di Carla e si alzò in piedi: "Vuoi farmi il piacere di lasciare una buona volta in pace tua sorella?..." gridò irritato. " È lei che deve sposarsi, non te... lasciala pensare... lasciala rispondere secondo il suo interesse... Anzi sarebbe quasi meglio che tu te ne andassi per un momento di là e ci lasciassi soli, me e Carla, poi ti si chiamerebbe quando si fosse finito."

"Calmati... io resto qui" rispose Michele in tono di sfida; l'altro fece un gesto impaziente ma non rispose:

"Allora" disse risedendosi "pensaci." Strinse di nuovo la mano di Carla: "Pensaci... non sono un partito disprezzabile... ho un capitale, una posizione solida, sono conosciuto e stimato... pensaci..." Tacque per un istante: "E poi" soggiunse "come vorresti trovare marito in queste tue condizioni?"

"Come... in queste tue condizioni?" ella ripetè guardandolo.

"Così" Leo storse la bocca: "Sei senza un quattrino... e occorre dirtelo? assai screditata."

"Come screditata" ella interruppe di nuovo con una voce esile.

"Screditata" ripetè Leo. "Tutti questi tuoi amici non ti considerano come una ragazza seria... mi spiego... abuserebbero di te ma non ti sposerebbero... finché si tratta di divertirsi son tutti buoni..."

Silenzio; si guardarono: "È per colpa vostra, di te e di mamma che sono così" ella avrebbe voluto gridare; ma si trattenne e abbassò la testa:

"Invece io" continuò Leo "metterei tutto in regola... non solamente te ma anche la tua famiglia... si prenderebbe tua madre in casa, Michele lavorerebbe... magari gli farei fare io qualche cosa, gli troverei un posto." Ad ogni nuova promessa guardava attentamente Carla, come il legnaiuolo che ad ogni colpo di accetta osserva il tronco intaccato dell'albero per veder se cade; ma Carla contemplava la finestra sulla quale ora la pioggia silenziosa lacrimava violentemente, e non rispondeva.

[...] Alfine ella si scosse e si voltò verso l'amante: "E così, Leo," domandò con una sforzata civetteria "tu vuoi che ci sposiamo?" "Sicuro" egli rispose con veemenza.

"E non hai paura che vada male?" ella insistette. "Io, per esempio" soggiunse tranquillamente, "sono convinta che tu mi tradirai."

"Sei tu che mi tradirai, sgualdrinella mia" pensò Leo, fissando quella testa florida divorata dall'ombra; avrebbe voluto darle un colpetto, là, sui grossi seni, un colpetto di scanzonata e beffarda allegria, ché ogni tanto gli pareva di rivederla come era stata pochi minuti prima, nuda e bianca, con quei movimenti di bestia goffa che dà l'inesperienza. "Mi sposo una sgualdrina si ripetè; tese una mano:

"Ti giuro" disse con solennità "che ti sarò sempre fedele."

"Carla" insistette Michele "digli di no." Le si avvicinò, le mise una mano sulla spalla. "Digli di no... la ragione c'è... la saprai dopo."

Carla taceva guardando la finestra; la grossa testa sferica pareva sproporzionata per quelle sue spalle esili; era ormai notte; un resto di luce, una specie di incerta fosforescenza si ritraeva dai vetri bagnati; pioveva; l'oscurità della casa li aveva raggiunti: non si vedevano che le facce scavate, divorate, e le mani posate sulla tavola.

"È tempo di andare" ella disse finalmente; si alzò.

"E la risposta?" domandò Leo; si alzò anche lui, andò a tastoni alla parete, accese la luce, per un istante in quella chiarità si guardarono con occhi abbagliati, come stupiti di vedersi, Carla e Michele, l'uno a fianco all'altra presso la finestra, Leo presso la porta.

Allora, per la prima volta, l'uomo osservò una certa somiglianza fra il fratello e la sorella: stessa espressione indecisa, stesso gesto timoroso delle braccia; ma il volto di Carla non era che stanco, ecco, ella si passava una mano su quei suoi occhi violati, mentre su quella di Michele era riconoscibile una tristezza tra nervosa e fantastica; stavano l'uno accanto all'altro, nel vano della finestra e parevano paurosi di lui.

"La risposta?" ripetè la fanciulla dopo un istante. "Domani, Leo, domani...: ho da parlare alla mamma." Si voltò verso suo fratello, gli mise una mano sul petto: "Michele, aspettami qui," soggiunse guardandolo attentamente: "vado a mettermi il cappello e vengo." Passò tra il ragazzo e la tavola, con una frivola e disinvolta agilità, passò davanti all'amante, aprì la porta a destra; non la chiuse; poi quella stanza s'illuminò; Michele vide un armadio con lo specchio, un tappeto, una sedia sulla quale era stata gettata una camicia maschile; una manica pendeva; davanti a quello specchio, Carla andava e veniva; prima, da persona pratica del luogo accese la lampada sull'armadio e accuratamente si pettinò; poi uscì, tornò con la giacca e il cappellino, indossò l'uno e l'altro non senza civetteria, scomparve di nuovo, tornò con la borsetta, s'incipriò... Durante questi preparativi i due uomini non si mossero né parlarono; Leo restò presso la porta, in quella sua veste da camera, stretta alla cintola, corta e abbondante in pieghe, con le gambe larghe, il petto nudo, e gli occhi e la testa rivolti in basso come se avesse profondamente meditato; sulla sua fronte calva i capelli arruffati e fini avevano l'aspetto di una piccola nube livida; teneva le mani riunite sul dorso e ogni tanto, senza alzar la testa, si sollevava sulle punte dei piedi e ricadeva pesantemente sui calcagni; Michele non si staccò dalla finestra, donde con occhi trasognati, osservò i movimenti familiari e frivoli della sorella davanti allo specchio. Gli pareva che un'atmosfera pesante e corrotta riempisse quella stanza attigua; doveva esserci un disordine impuro, lenzuola rovesciate, indumenti gettati sulle sedie, cuscini caduti, profumi, odore di tabacco e di sonno... e in quell'atmosfera, in questo disordine, Carla si muoveva liberamente, quasi gaiamente, con quelle sue gambe agili... era scapigliata, stanca, pallida... Ora eccola, pronta ad uscire, col cappellino ben calzato sugli occhi, la faccia incipriata, fresca, rosea, le labbra dipinte, due riccioli aguzzi sulle guance; eccola lasciar quello specchio appannato, quell'aria torbida, quella parete, quella sedia, e venirgli incontro.

"Andiamo" ella disse tranquillamente; tese la mano a Leo: "arrivederci Leo."

"Allora è di sì non è vero?" egli mormorò baciandole le punte delle dita; si sentiva contento e sicuro; Carla lo guardò ma non rispose; uscirono tutti e tre nel vestibolo, prima la fanciulla poi i due uomini; soddisfatto, quasi eccitato, Leo girava intorno all'amante: "Ci sposeremo... ci sposeremo" le mormorò mentre Michele nell'angolo opposto s'infilava il pastrano; avrebbe voluto vederla sorridere, o almeno concedergli uno sguardo, un segno che rivelasse un possibile acconsentimento; ma Carla fu inflessibile e distratta come se non avesse udito né veduto: "Arrivederci Leo" ripetè uscendo. Per un poco, attraverso la fessura della porta socchiusa, egli osservò quei due discendere la scala, senza parlarsi, senza voltarsi indietro, seguiti sulla parete da due ombre oblique e vaghe; finalmente egli chiuse la porta e tornò nel salotto; vide in terra la rivoltella di Michele, la raccolse, guardò distrattamente in aria soppesandola: si ricordò di avere un invito per il ballo del Grand Hotel, si ricordò anche che la madre aveva deciso di andarci: "Sarà una buona occasione per rafforzare in Carla l'idea del matrimonio" pensò; completamente soddisfatto andò davanti allo specchio della camera da letto, si guardò: "Va là che vai bene" si disse ad alta voce, e avrebbe voluto darsi un colpetto sulla pancia: "Anche sposato sarai sempre il solito Leo." Poi passò nel bagno e cominciò a lavarsi.

Capitolo XVI

[...] L'automobile aveva rallentato, si era fermata, aspettava, immobile, di attraversare una strada affollata; pioggia; fruscio; campanelli; trombe; voci; luci; facce; alfine con una scossa l'automobile si mosse, ripartì:

"Ebbene," ella domandò voltandosi "cosa c'è?"

Vide il fratello fare un gesto goffo e convulso con la mano: "Se non mi sbaglio" egli chiese con sforzo, "se non mi sbaglio non te l'ho detta la ragione per la quale dovresti rifiutare Leo." Ella lo guardò: "No."

"Eccola." Il ragazzo si chinò e cominciò in fretta senza transizione a raccontare: "Eccola la ragione... Oggi, prima di andar da Lisa...: a proposito, è stata lei a rivelarmi tutto, su te e Leo..."

"Ah! è stata lei."

"Sì, a quel che pare vi aveva sorpresi ieri, nell'anticamera... Ma andiamo avanti... ieri, prima di andar da Lisa, non ricordo come, venni a pensare agli affari nostri, alle nostre condizioni che in verità sono molto cattive... e a poco a poco mi addentrai tanto nei miei ragionamenti, che persi, come dire? persi ogni ritegno, e mi sorpresi a pensare press'a poco questo: 'Ecco, noi siamo rovinati; non c'è rimedio; tra un anno, se continuerà così, cadremo in miseria... per evitare questo disastro non sarebbe consigliabile venire a qualche sacrificio o magari ad un compromesso?' La sola persona sulla quale si poteva contare per una simile combinazione era Leo... Dunque, per esempio, pensai allora quasi senza accorgermene, dato il carattere dell'uomo, è donnaiolo, per una donna che gli piace darebbe tutto quel che ha; non sarebbe utile fargli capire che in cambio dei suoi denari io mi impegnerei, capisci? a portargli mia sorella, Carla, tu, insomma, a portargliela in casa sua?"

"Hai pensato questo?" ella domandò voltandosi vivamente e guardandolo; in quel momento la luce di un fanale illuminò per un attimo la faccia di Michele; ella vide gli occhi aperti, dilatati e sul volto bianco che accennava di sì, una ripugnante, goffa umiltà; stornò la testa; una tristezza angosciosa strinse il suo cuore tremante; l'automobile correva; Michele parlava:

"Ho pensato questo... e mi pare di vederlo, sai?" egli fece con la mano un gesto come se avesse voluto afferrare qualche cosa, "mi pareva di vedere come saremmo andati tutti e tre, io, te e Leo in casa di quest'ultimo...; quando son turbato mi par di vedere le cose che penso...; come avremmo preso il tè nel salotto di Leo, come alfine io me ne sarei partito, discretamente, secondo gli accordi prestabiliti, lasciandoti sola insieme con Leo..."

"È orribile" ella mormorò con spavento, ma Michele non la udì.

"Allora... capisci? quando vi vidi poco fa, seduti l'uno in faccia all'altro, davanti alla finestra del salotto, e udii Leo proporti di sposarlo... mi sembrò di scorgere la scena che avevo immaginato... succede a tutti...: si va per la strada, si pensa di trovare delle persone in certi atteggiamenti, e infatti si trovano... Ma nel mio caso c'era quel calcolo in più, quel calcolo sul denaro di Leo. 'Ecco' mi dissi, 'tutto è avvenuto come avevo pensato, come non avrei dovuto pensare, tutto è come se veramente io avessi detto a Leo: - Senti Leo... c'è Carla, mia sorella... è una bella e florida ragazza... -' Non offenderti... è così che immaginavo parlargli..."

"Non mi offendo" ella mormorò senza voltarsi, "continua pure."

"Una bella, florida ragazza" ripetè Michele; "tu mi dai del denaro, molto, ti addossi il sostentamento della mia famiglia e io in cambio... in cambio ti lascio mano libera su Carla... fanne quel che vuoi..."

"Ma cosa pensavi..." ella proruppe triste e irritata; "cosa pensavi ch'io fossi? un oggetto? un animale?"

"No, ma sapevo" rispose Michele con un mezzo sorriso di vittoria "che ti annoiavi... come dire? che eri nelle condizioni adatte, che avresti facilmente ceduto..."

"Sapevi questo?" ella mormorò.

"Che non avessi agito" continuò Michele senza rispondere "non aveva ormai più importanza...: ne avrei subito lo stesso il rimorso...: vedendovi là, sposati, vivendo di quei denari, ne avrei sempre sofferto come di una vera colpa... capisci?... capisci?..." egli ripetè preso da una subita esasperazione, afferrandola per un braccio; "capisci?... Si pensa una brutta, malvagia azione, ma non la si fa... poi tutto avviene come si aveva pensato, ma non completamente, fino ad un certo punto, in modo da poterne ancora impedire l'esecuzione... Cosa si deve fare allora? si cercherà di opporsi, d'impedire che questa cosa orribile avvenga... se non lo si fa, è come se si fosse stati complici dal principio alla fine, è come se io ti avessi veramente ceduta a Leo per il suo denaro, e ti avessi veramente portata in casa sua... Capisci ora? se tu lo sposi per me è come se veramente io avessi favorito la vostra unione, la vostra colpa, avessi da una parte spinto te tra le braccia di Leo e dall'altra ricevuto il denaro... capisci?... capisci ora?..." Un sobbalzo della vettura li gettò ripugnanti l'uno contro l'altro; silenzio, l'automobile correva:

"Mi perdoni" domandò alfine il ragazzo con voce commossa e umile, curvandosi in avanti, accanto alla sorella; "mi perdoni, Carla?..."

Ella taceva e guardava davanti a sé; poi ebbe un riso sforzato e secco:

"Non c'è nulla da perdonare" rispose; "non mi hai fatto nulla, nulla di male... cosa avrei da perdonarti?" Silenzio. "Non ho nulla da perdonare a nessuno" ella ripetè esasperata, con voce di pianto, senza distogliere gli occhi dal vetro dell'automobile; "a nessuno... non voglio che essere lasciata in pace." "I have nothing to forgive anyone," she repeated exasperatedly, in a voice of weeping, without taking her eyes off the glass of the automobile; "to anyone ... I only want to be left alone." Gli occhi le si empirono di lacrime; tutti erano colpevoli e nessuno, ma ella era stanca di esaminare se stessa e gli altri; non voleva perdonare, non voleva condannare, la vita era quel che era, meglio accettarla, che giudicarla, che la lasciassero in pace.

Parve a Michele di trovare in queste parole la sua definitiva condanna: "Non ho fatto nulla" si ripetè con stupore, ché gli pareva di essere invecchiato, di aver molto vissuto in quel solo giorno: "è vero... non ho fatto nulla... nient'altro che pensare..." Un fremito di paura lo scosse: "Non ho amato Lisa... non ho ucciso Leo... non ho che pensato... ecco il mio errore." It seemed to Michael to find in these words his final condemnation: "I have done nothing," he repeated to himself in amazement, for it seemed to him that he had grown old, that he had lived a lot in that one day: "it is true... I have done nothing... nothing but think..." A tremor of fear shook him, "I did not love Lisa...I did not kill Leo...I did nothing but think...that's my mistake." Si chinò, afferrò una mano della fanciulla:

"Ma lo rifiuterai, non è vero?" domandò ansiosamente; "dimmi che lo rifiuterai..."

Silenzio: "Lo sposerò" ella disse alfine; silenzio ancora: "Cosa avverrebbe di me se non lo sposassi?" ella continuò con voce triste e dura; "che cosa diventerei...? Pensaci un istante... in queste condizioni..." E fece un gesto come per mostrarsi quale era; nuda, perduta, povera: "Sarebbe una pazzia rifiutarlo, non mi resta che sposarlo..." Tacque, guardando come prima davanti a sé.

La rigidità del tono aveva persuaso Michele più di qualsiasi ragione: "Tutto è finito" pensò guardando le guance puerili di Carla, che il fanale dell'automobile illuminava; "è una donna." Si sentì vinto : "E così Carla" domandò ancora come un bambino mal convinto, "lo sposerai?"

"Lo sposerò" ella ripetè senza voltarsi.