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Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 19 (XV)

19 (XV)

Capitolo XV

[...] Le case erano morte, muti i platani, immobile il giorno; un cielo di pietra pesava sui tetti curvi; né ombra né luce per quanto lunga era la strada, ma soltanto una fame arida di tempesta. "Ora andiamo da Leo" egli pensò; a quest'idea un'esaltazione incontenibile lo possedette: "Ah. tu non credi ch'io possa uccidere Leo..." si ripeteva con rapidità; tu non ci credi... e se l'uccidessi?" Camminava in fretta, mettendo una gran forza nei suoi passi, dando a tutta la sua persona una decisione e una sicurezza irresistibili; delle frasi assurde ballavano, a quel ritmo di marcia, nella sua testa vuota: "Andiamo Lisa, andiamo insieme ad ammazzare Leo., poi lo cucineremo... lo cucineremo a lento fuoco." Oppure: "Leo, Leuccio, Leuccino, lasciati ammazzare come un cagnolino." Guardava davanti a sé e sorrideva di un freddo e disperato sorriso. "Anche per te Leo è finita, una così bella carriera... un così radioso avvenire... che peccato... sono il primo io a piangere... ma cosa ci vuoi fare? anche per te è finita." Avrebbe voluto cantare: "fi-nita; fi-ni-ta la bella vita," sull'aria di qualche canzone celebre e malinconica; camminava in fretta; camminava con i passi rigidi e diritti di un soldato che va verso la battaglia.

La strada era modesta e secondaria; vi si vedevano ora qua or là delle piccole botteghe speciali, dalle vetrine miserabili; osservò così un negozio di fiori che esponeva corone mortuarie; una tipografia tappezzata di biglietti da visita di ogni specie; un negozio di falegname; un barbiere: "Ecco" pensò, "eccoti servito Leo, prima ti ordino quella splendida cassa da morto, poi ti compro quella bella corona e ci metto il mio biglietto da visita... e il barbiere... il barbiere ti raderà accuratamente..." Dopo il negozio di falegname c'era una casa dall'aspetto severo, dal portone profondo di convento; la oltrepassò non senza gettare uno sguardo nell'androne vuoto; intravide un'altra bottega; la vetrina era dalla sua parte, poi veniva la porta. Prima non capì che bottega fosse: il lustro del vetro, di sbieco, confondeva gli oggetti; ancora un passo: allora gli apparvero "armeria" scritto in lettere bianche, e, sopra un fondo marrone, una rastrelliera di fucili da caccia. "E qui ci compro una rivoltella" pensò; ma non tirò innanzi; davanti alla porta esitò, fece una giravolta ed entrò.

"Vorrei una rivoltella", disse subito, ad alta voce, appoggiandosi al banco. Il più era fatto; gli venne una gran paura che l'armaiolo comprendesse le sue intenzioni; assunse un aspetto freddo, paziente, cogli occhi bassi e le mani immobili; del negoziante non vedeva che il busto vestito di nero che si muoveva lentamente, con dei gesti particolari al mestiere, tra il banco e gli scaffali; sotto il vetro del banco, vide una quantità di brillanti coltelli disposti sopra un fondo rossiccio, alcuni semplici, altri complicati e gravidi di lame, aperti gli uni come ventagli, gli altri chiusi e tozzi. Alzò gli occhi: la bottega piccola e oscura era tutta rivestita di scaffali a vetri; certuni contenevano rastrelliere con fucili, certi altri dei collari da cani; più lontano, sul banco, osservò un ceppo di legno nel quale erano incastonati, in ordine di grossezza, dei grani di piombo; parevano il sole e tutti i suoi pianeti. Ora il venditore, un uomo stanco, magro, brizzolato, dai gesti lenti, dagli occhi inespressivi, disponeva sul vetro, una per volta, delle differenti rivoltelle, e di ciascuna, appena la posava, diceva con voce eguale il prezzo: cento, settanta, duecentocinquanta, novantacinque; alcune erano piatte e nere, altre panciute e lucide; automatiche le prime, a tamburo girante le seconde. "Per Leo ci vorrebbe quella" egli pensò con ironia, guardando un'enorme pistola dal calcio pieghevole, una specie di mitragliatrice appesa al muro; si sentiva calmo nei pensieri, spontaneo nei gesti; abbassò gli occhi, scelse con decisione la più economica: "Questa" disse con voce chiara "e una carica". Il portafogli in mano; "Mi bastano appena i quattrini" pensò posando i denari sul banco; un rumore metallico, alfine prese il pacchetto, lo mise in tasca e uscì.

"Andiamo da Leo" si ripetè. Ora lo spazio grigio e immobile pareva deformarsi ogni tanto di labili lacrime; all'angolo della strada c'era una specie di officina meccanica per riparazioni; sulla soglia della porta un uomo vestito di uno scafandro sudicio smontava una ruota di bicicletta; faceva caldo; non una sola voce; le lacrime del cielo deformavano al loro passaggio le case di sei piani, ecco, le vedeva torcersi, piegarsi flessibilmente con tutte le loro finestre, ma non lasciavano traccia sulle pietre del marciapiede; larghi sputi giallognoli or qua or là ma nessuna lacrima; allucinazione?

Girò, sbucò in una strada importante; l'avrebbe tutta percorsa, avrebbe attraversato la piazza, si sarebbe trovato nella via di Leo; non c'era fretta; camminava adagio, come un bighellone qualsiasi, osservando la gente, i cartelli cinematografici, le vetrine delle botteghe; la rivoltella pesava in fondo alla tasca. Si fermò davanti ad un negozio e pian piano, con le dita disfece l'involto e strinse l'impugnatura dell'arma; strano, freddo contatto; il grilletto; una lieve pressione e tutto sarebbe finito; per Leo; un colpo, due, tre colpi; e poi, ecco, la canna, ecco, le scanalature... Strinse i denti, strinse il manico della rivoltella... ecco... ecco, gli pareva di vedere come sarebbe avvenuto tutto questo: avrebbe salito quella scala, sarebbe entrato in quel salotto; atteso con l'arma in mano; finalmente Leo: "Cosa c'è Michele?" avrebbe domandato. "Ecco cosa c'è" egli avrebbe risposto, e subito avrebbe sparato; la prima palla sarebbe bastato conficcarla nel corpo, in una parte qualsiasi; largo bersaglio: Leo sarebbe caduto ed egli avrebbe potuto mirare alla testa; si sarebbe curvato; Leo era là, disteso sul pavimento, con le mani rattrappite sul tappeto, la faccia rovesciata e rantolante; gli avrebbe appoggiato la canna della rivoltella esattamente nel mezzo della tempia; strana sensazione; la testa si sarebbe mossa, oppure gli occhi stravolti l'avrebbero guardato: allora avrebbe ancora sparato; il fracasso; il fumo; dopo bisognava uscire, senza guardarsi indietro, uscire da quella piccola stanza dove, sotto lo sguardo bianco delle finestre, vestito irreprensibilmente, l'uomo ucciso giaceva con le braccia aperte, sul pavimento, discendere la scala prima che qualche inquilino accorresse, sbucar nella strada; la folla; il movimento; lassù, tra le quattro mura di quella piccola stanza, l'ucciso; avrebbe cercato una guardia (dove sono quei commissariati nei quali ci si va a costituire? ), un poliziotto fermo in mezzo ad un quadrivio, l'avrebbe toccato leggermente sulla spalla; questi si sarebbe voltato, credendolo qualche passante desideroso d'informazioni: "Per piacere" egli avrebbe detto tranquillamente, "arrestatemi... ho ucciso un uomo," l'altro l'avrebbe guardato senza capire: "ho ucciso un uomo," egli avrebbe ripetuto; "arrestatemi;" intorno a queste parole la folla si sarebbe mossa in tutte le direzioni, i veicoli sarebbero passati... e infine, l'altro l'avrebbe accompagnato incredulo, incomprensivo; l'avrebbe accompagnato senza prenderlo per il collo, senza mettergli le manette, al più vicino commissariato; stanza polverosa; registro; guardie; puzzo di vecchio e freddo di fumo di sigaro; il banco; il commissario brizzolato, grosso, volgare; l'interrogatorio; egli era stato una volta a denunziare un furto; doveva essere così.

Si staccò dalla vetrina di quel negozio, camminò avanti: e poi l'avrebbero processato; tutti i giornali avrebbero parlato di questo suo delitto; titoli enormi; lunghi resoconti; fotografie di lui, dell'ucciso, del "solerte" Commissario di Pubblica Sicurezza che l'aveva arrestato, della stanza dov'era successo il fatto, e non sarebbe neppure mancata una crocetta indicante il luogo dove era stato trovato il cadavere. Interessamento morboso; il giorno del processo l'aula del Tribunale sarebbe stata affollata di pubblico; signore eleganti in prima fila; gente di conoscenza; come al teatro; attesa; sarebbe entrato il giudice, gli pareva di vederlo, vegliardo tranquillo e distratto che gli avrebbe parlato come un maestro di scuola parla allo scolaro, dall'alto del suo trono polveroso, inclinando la testa dalla sua parte, fissandolo senza severità sotto l'arco delle sue sopracciglia bianche, gli pareva udirlo:

"Accusato cosa avete da dire?"

A quest'invito egli si sarebbe alzato in piedi; tutti gli occhi appuntati su di lui; avrebbe raccontato il suo delitto; comodamente sedute, le signore del pubblico lo avrebbero seguito in ogni sua frase, attentissimamente, non senza ogni tanto compiere qualche gesto frivolo come acconciare un capello ribelle o accavalciare le gambe stanche; si sarebbe potuto udir volare una mosca; in questo silenzio egli avrebbe parlato; sinceramente; ogni sua parola densa di quella sua triste verità l'avrebbe sempre più avvolto in una speciale atmosfera come la seppia che si avvolge nelle tenebre del suo inchiostro se viene assalita. A poco a poco, mentre avrebbe confessato la sua mancanza di sincerità, di fede, il suo dilettantismo, gli sarebbe sembrato che il vecchio giudice gli si fosse in qualche modo avvicinato, abbassandosi fino a lui; l'aula grigia si sarebbe spopolata senza rumore: non sarebbero restati che loro due, il giudice e lui, sul palco polveroso, davanti a quello squallore dei muri e delle sedie vuote; egli avrebbe continuato a parlare. "Ecco" avrebbe alfine concluso: "ho ucciso Leo senza odio, a mente fredda... senza sincerità... Avrei potuto con la stessa indifferenza, dirgli invece: 'Mi congratulo con te, mia sorella è una bella figliuola...' Questo è il mio vero delitto... ho peccato d'indifferenza..." Silenzio; il giudice lo avrebbe guardato con curiosità come si guarda un essere difforme; finalmente un rumore di sedie smosse, molto sonoro, come quegli echi che si ripercuotono sotto le navate delle chiese; il giudice avrebbe lasciato il suo trono, gli sarebbe venuto semplicemente incontro, sul palco polveroso del Tribunale: piccolo, basso, con dei grandi piedi, la veste nera gli sarebbe arrivata fino ai calcagni, come per nascondere qualche mostruosità; forse, a forza di sedere sul suo trono per far giustizia, le gambe gli si erano rattrappite; piccolo, basso, con una gran testa benevola:

"O giudice... giudice...;" egli si sarebbe gettato ai piedi del vecchio.

"Sei assolto dal tuo delitto" avrebbe udito dopo un istante di silenzio, "ma sei condannato per la tua mancanza di sincerità e di fede... condannato per la vita." Inesorabile verdetto; e quando avrebbe rialzato la testa, si sarebbe ad un tratto accorto di essere di nuovo nel Tribunale affollato, davanti il giudice distratto, tra due guardie armate; sogno nel sogno; fantasmi.

La realtà sarebbe andata diversamente; gli avrebbero dato un avvocato celebre; avrebbero esaltato la sua figura di fratello e di figlio prima sofferente ed umiliato, poi finalmente vendicatore; al processo lo avrebbero forse anche applaudito; sarebbero sfilati i testimoni; sarebbe venuta Lisa, sbrindellata, trascurata, avrebbe raccontato con quella sua voce falsa come aveva scoperto la tresca di Leo e di Carla; profonda impressione; avrebbe narrato come egli gli aveva manifestato il proposito di uccider Leo, ed ella non ci aveva creduto.

E perché non ci aveva creduto? per il tono con cui l'aveva detto.

E come l'aveva detto? tranquillamente, quasi scherzosamente.

Sapeva Michele di sua madre? sì, sapeva.

Come si comportava l'ucciso in casa dell'amante? da padrone.

Da quanto tempo durava questa relazione con la madre? da quindici anni.

E con la figlia? per quel che ne sapeva, da pochi giorni.

Sapeva la figlia del legame di sua madre? sì, lo sapeva.

Che rapporti correvano tra l'imputato e l'ucciso? amichevoli. Di affari? anche.

Che specie di affari? non ricordava precisamente, le pareva un'ipoteca sulla villa.

Era vero che l'accusato aveva avuto da dire a proposito dell'ucciso che questi li riduceva in rovina? era vero.

Che ragioni l'avevano spinta a rivelare la tresca della sorella a Michele? ragioni di affetto per il ragazzo, di amicizia per la famiglia.

Quale fino allora il comportamento dell'ucciso verso Carla? come di un padre: l'aveva vista bambina, con le trecce sulle spalle e le gambe nude.

Aveva Carla reputazione di fanciulla onesta, seria o no? no... veniva generalmente giudicata con severità.

Credeva ella in qualche passione da parte dell'uomo? no.

E da parte di Carla? neppure.

Credeva che l'ucciso avesse intenzione di sposare Carla? no, per quanto ne sapeva.

Era vero che l'ucciso non nascondeva ai figli i suoi rapporti con la madre? era vero.

E che i dissensi erano frequenti tra i due amanti? sì.

Perché? la madre era gelosa.

Di chi? di tutti.

Sospettava la madre della figlia? no, anzi le aveva spesso confidato che l'amante nutriva per la fanciulla sentimenti puramente patemi.

Un'ultima domanda: avrebbe ella mai creduto che il ragazzo sarebbe stato capace di un simile delitto? no.

Perché? perché troppo debole.

Sarebbe venuta la madre, vestita a lutto, imbellettata, dignitosissima, malsicura; avrebbe oltrepassato la sbarra dei testimoni, sarebbe andata dritta al giudice come ad una persona di conoscenza; interrogata avrebbe fatto una lunga storia, risalendo alle più lontane origini; una voce patetica, dei gesti teatrali, e tutti quei veli neri in continua agitazione, tutti quei veli neri come per una mascherata; interrogata insidiosamente dagli avvocati di difesa che si sarebbero gettati su quella preda come degli squali dai denti aguzzi sopra una molle balena, la madre avrebbe alfine riaffermato il suo attaccamento all'ucciso; alla domanda se era vero che questi l'aveva spogliata del suo patrimonio, avrebbe risposto di no.

E della seduzione di Carla cosa ne sapeva? che era stata una pazzia, ma chi non ne commette scagli la prima pietra.

"E chiamiamola pazzia" avrebbe sottolineato ironicamente l'avvocato di Michele; battibecco delle parti; energico richiamo del presidente.

E credeva ella che Leo avrebbe comunque riparato a questa pazzia, sposando Carla? incertezza...: no... non ne era sicura.

Sensazione: e si sarebbe ella adattata ad una tale situazione, con quell'uomo per casa, amante suo e di sua figlia? imbarazzo; no, ma Leo ci aveva già pensato e aveva già deciso di dar marito a Carla.

Risa. Osservazioni ironiche.

Era vero che l'ucciso avrebbe dato alla fanciulla una certa dote? era vero.

"E in cambio" avrebbe annotato l'avvocato di difesa "si era riservato in anticipo il jus primae noctis." Nuovo battibecco; fischi della folla; il pubblico avrebbe parteggiato per lui; minaccia del presidente di fare sgombrare l'aula; avviene sempre così.

Era vero che tra l'ucciso e Michele c'erano stati negli ultimi tempi violente spiegazioni? sì, era vero.

E che Michele una sera aveva gettato un portacenere contro Leo? sì, ma aveva colpito lei, sulla spalla.

La ragione? Michele pensava a torto che l'ucciso volesse approfittar dell'ipoteca per spogliarli.

E come si era comportato l'ucciso in quell'occasione? paternamente, da uomo superiore.

Era vero che frequenti dissensi scoppiavano tra lei e l'ucciso? no, il più perfetto accordo li univa.

Ma la teste Lisa aveva lasciato intravedere diversamente? si capiva, aveva delle buone ragioni per calunniare la memoria dello scomparso. Quali? Oh! una sola ma sufficiente: era stata sua amante.

Sensazione: "Mi sembra" avrebbe osservato l'avvocato di Michele "che nessuna se ne salvava." Quando? prima di lei.

In istruttoria aveva accusato Lisa di avere istigato il delitto, e ora? ora ripeteva l'accusa.

Le ragioni di Lisa? ragioni di gelosia e d'invidia.

E l'accusava ancora di aver voluto corrompere Michele? sicuro... era una donnaccia senza pudore, una svergognata.

Impressione; richiamo del presidente ad un linguaggio più moderato; ribellione della madre.

Sì, era una donnaccia, l'avrebbe gridato forte, una donnaccia e un'assassina.

Nuovo richiamo.

Ed era vero che di fronte alla freddezza dell'amante ella aveva sospettato Lisa invece della figlia? Sì, perché aveva osservato da tempo che Lisa faceva la corte all'uomo.

Insomma, secondo lei, Lisa era la principale colpevole? sicuro, era lei che aveva istigato il delitto, esaltato Michele, era lei che aveva fatto tutto.

E secondo lei l'ucciso aveva anche fatto bene a sedurre sua figlia? no, ma si sa, le debolezze umane, e poi la colpa non doveva essere stata tutta dell'ucciso.

E Michele? Michele era un povero ragazzo irresponsabile, strumento di Lisa; per far da solo era troppo debole.

Ultima delle tre donne della sua vita sarebbe venuta Carla; un po' smagrita, pallida, donna; tra la frenetica curiosità del pubblico, si sarebbe avanzata, né timida, né spavalda; avrebbe indossato un vestitino chiaro, era la mattina, delle calze chiare, un cappellino chiaro; la pelliccia sulla spalla; forse dipinta, certo elegante. Il vecchio giudice l'avrebbe guardata senza severità, come aveva guardato lui ; sarebbe venuta ad appoggiarsi alla sbarra, avrebbe parlato con lentezza; curiosità del pubblico, attesa avida di particolari scabrosi, sovraeccitazione; ma dopo una breve confabulazione, il presidente avrebbe ordinato di fare sgomberare l'aula e di continuare il processo a porte chiuse; delusione della folla; mormorii; fischi; l'aula si sarebbe lentamente vuotata; ecco Carla, sola, questa macchia di colore, tra gli strumenti grigi e neri della giustizia; l'interrogatorio sarebbe continuato.

Era vero che negli ultimi tempi dei legami intimi si erano stretti tra lei e l'ucciso? sì, era vero.

Sapeva ella di sua madre? certamente, fin dall'infanzia.

Come fin dall'infanzia? già, bambina li aveva visti un giorno abbracciarsi davanti uno specchio.

Sapeva ella che l'ucciso non poteva o non voleva sposarla? sì, lo sapeva.

Sapeva ella che l'ucciso aveva messo le mani sul loro patrimonio?

anche questo sapeva.

E nonostante la conoscenza di tutti questi elementi si era data a lui? già.

Perché? così.

Come si era comportato l'ucciso con lei, come un uomo appassionato o come un libertino? come un libertino.

Allora non l'amava? già, non l'amava.

In che modo egli le aveva manifestato questa passione? un giorno che ella era sola in casa, e si annoiava, leggendo, era venuto, aveva parlato, a poco a poco erano giunti ad una specie di eccitata intimità, poi egli l'aveva baciata e l'aveva invitata ad andare a casa sua.

C'era ella andata? sì il giorno dopo.

Cosa era avvenuto in quell'incontro? tutto.

E ci era ritornata? sì, tutti i giorni.

Era vero che Lisa l'aveva sorpresa nell'anticamera la sera di un ballo, seduta sulle ginocchia dell'amante, abbracciata a lui? sì, era possibile.

Non aveva ella paura in quel momento di farsi scoprire dalla madre? no.

Non pensava ella di rovinarsi mettendosi con quell'uomo? no.

Perché? così.

Le nascondeva la madre i suoi rapporti con l'ucciso? no, anzi si confidava a lei.

Le aveva mai parlato l'ucciso della madre? sì.

Come? male.

Cosa ne diceva? che era vecchia, stupida, che non l'amava più.

Secondo sua madre, l'ucciso nonostante questa sua relazione con lei, si proponeva di darle una dote e di maritarla: era vero? no, non era vero.

Come lo sapeva? perché l'ucciso le aveva proposto d'abbandonare la famiglia e di andare a vivere in un piccolo appartamento dove egli avrebbe potuto visitarla quando avrebbe voluto.

Avrebbe ella accettato? forse.

Non pensava l'ucciso che Michele si sarebbe opposto a questo programma? no.

Perché? perché diceva che con un po' di denaro Michele sarebbe restato tranquillo.

E la madre? la madre avrebbe gridato ma si sarebbe poi calmata anche lei.

Sapeva ella di precedenti alterchi tra l'ucciso e Michele? sì, una sera l'ucciso aveva minacciato Michele di tirargli gli orecchi.

E Michele? Michele gli aveva gettato in testa un portacenere, il quale aveva però colpito la madre.

Le aveva mai manifestato il fratello il suo proposito di uccider Leo? mai.

Come si mostrava Michele negli affari di famiglia? indifferente e debole.

Anche Carla se ne sarebbe andata; ma prima sarebbe venuta a salutarlo; gli parve di vederla; impacciata, seria, con degli occhi tra supplichevoli e commossi; gli avrebbe domandato come stava, si sarebbero stretta la mano: poi ella sarebbe partita, con quel passo frivolo dei tacchi alti, in quel suo vestitino succinto; e dall'andatura di una prudente e malsicura modestia, dal movimento morbido dei fianchi, dai particolari di tutta la persona, egli avrebbe immaginato una nuova vita che il lutto cencioso e senza dignità della madre gli aveva lasciato intravedere.


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Capitolo XV

[...] Le case erano morte, muti i platani, immobile il giorno; un cielo di pietra pesava sui tetti curvi; né ombra né luce per quanto lunga era la strada, ma soltanto una fame arida di tempesta. "Ora andiamo da Leo" egli pensò; a quest'idea un'esaltazione incontenibile lo possedette: "Ah. tu non credi ch'io possa uccidere Leo..." si ripeteva con rapidità; tu non ci credi... e se l'uccidessi?" Camminava in fretta, mettendo una gran forza nei suoi passi, dando a tutta la sua persona una decisione e una sicurezza irresistibili; delle frasi assurde ballavano, a quel ritmo di marcia, nella sua testa vuota: "Andiamo Lisa, andiamo insieme ad ammazzare Leo., poi lo cucineremo... lo cucineremo a lento fuoco." Oppure: "Leo, Leuccio, Leuccino, lasciati ammazzare come un cagnolino." Guardava davanti a sé e sorrideva di un freddo e disperato sorriso. "Anche per te Leo è finita, una così bella carriera... un così radioso avvenire... che peccato... sono il primo io a piangere... ma cosa ci vuoi fare? anche per te è finita." Avrebbe voluto cantare: "fi-nita; fi-ni-ta la bella vita," sull'aria di qualche canzone celebre e malinconica; camminava in fretta; camminava con i passi rigidi e diritti di un soldato che va verso la battaglia.

La strada era modesta e secondaria; vi si vedevano ora qua or là delle piccole botteghe speciali, dalle vetrine miserabili; osservò così un negozio di fiori che esponeva corone mortuarie; una tipografia tappezzata di biglietti da visita di ogni specie; un negozio di falegname; un barbiere: "Ecco" pensò, "eccoti servito Leo, prima ti ordino quella splendida cassa da morto, poi ti compro quella bella corona e ci metto il mio biglietto da visita... e il barbiere... il barbiere ti raderà accuratamente..." Dopo il negozio di falegname c'era una casa dall'aspetto severo, dal portone profondo di convento; la oltrepassò non senza gettare uno sguardo nell'androne vuoto; intravide un'altra bottega; la vetrina era dalla sua parte, poi veniva la porta. Prima non capì che bottega fosse: il lustro del vetro, di sbieco, confondeva gli oggetti; ancora un passo: allora gli apparvero "armeria" scritto in lettere bianche, e, sopra un fondo marrone, una rastrelliera di fucili da caccia. "E qui ci compro una rivoltella" pensò; ma non tirò innanzi; davanti alla porta esitò, fece una giravolta ed entrò.

"Vorrei una rivoltella", disse subito, ad alta voce, appoggiandosi al banco. Il più era fatto; gli venne una gran paura che l'armaiolo comprendesse le sue intenzioni; assunse un aspetto freddo, paziente, cogli occhi bassi e le mani immobili; del negoziante non vedeva che il busto vestito di nero che si muoveva lentamente, con dei gesti particolari al mestiere, tra il banco e gli scaffali; sotto il vetro del banco, vide una quantità di brillanti coltelli disposti sopra un fondo rossiccio, alcuni semplici, altri complicati e gravidi di lame, aperti gli uni come ventagli, gli altri chiusi e tozzi. Alzò gli occhi: la bottega piccola e oscura era tutta rivestita di scaffali a vetri; certuni contenevano rastrelliere con fucili, certi altri dei collari da cani; più lontano, sul banco, osservò un ceppo di legno nel quale erano incastonati, in ordine di grossezza, dei grani di piombo; parevano il sole e tutti i suoi pianeti. Ora il venditore, un uomo stanco, magro, brizzolato, dai gesti lenti, dagli occhi inespressivi, disponeva sul vetro, una per volta, delle differenti rivoltelle, e di ciascuna, appena la posava, diceva con voce eguale il prezzo: cento, settanta, duecentocinquanta, novantacinque; alcune erano piatte e nere, altre panciute e lucide; automatiche le prime, a tamburo girante le seconde. "Per Leo ci vorrebbe quella" egli pensò con ironia, guardando un'enorme pistola dal calcio pieghevole, una specie di mitragliatrice appesa al muro; si sentiva calmo nei pensieri, spontaneo nei gesti; abbassò gli occhi, scelse con decisione la più economica: "Questa" disse con voce chiara "e una carica". Il portafogli in mano; "Mi bastano appena i quattrini" pensò posando i denari sul banco; un rumore metallico, alfine prese il pacchetto, lo mise in tasca e uscì.

"Andiamo da Leo" si ripetè. Ora lo spazio grigio e immobile pareva deformarsi ogni tanto di labili lacrime; all'angolo della strada c'era una specie di officina meccanica per riparazioni; sulla soglia della porta un uomo vestito di uno scafandro sudicio smontava una ruota di bicicletta; faceva caldo; non una sola voce; le lacrime del cielo deformavano al loro passaggio le case di sei piani, ecco, le vedeva torcersi, piegarsi flessibilmente con tutte le loro finestre, ma non lasciavano traccia sulle pietre del marciapiede; larghi sputi giallognoli or qua or là ma nessuna lacrima; allucinazione?

Girò, sbucò in una strada importante; l'avrebbe tutta percorsa, avrebbe attraversato la piazza, si sarebbe trovato nella via di Leo; non c'era fretta; camminava adagio, come un bighellone qualsiasi, osservando la gente, i cartelli cinematografici, le vetrine delle botteghe; la rivoltella pesava in fondo alla tasca. Si fermò davanti ad un negozio e pian piano, con le dita disfece l'involto e strinse l'impugnatura dell'arma; strano, freddo contatto; il grilletto; una lieve pressione e tutto sarebbe finito; per Leo; un colpo, due, tre colpi; e poi, ecco, la canna, ecco, le scanalature... Strinse i denti, strinse il manico della rivoltella... ecco... ecco, gli pareva di vedere come sarebbe avvenuto tutto questo: avrebbe salito quella scala, sarebbe entrato in quel salotto; atteso con l'arma in mano; finalmente Leo: "Cosa c'è Michele?" avrebbe domandato. "Ecco cosa c'è" egli avrebbe risposto, e subito avrebbe sparato; la prima palla sarebbe bastato conficcarla nel corpo, in una parte qualsiasi; largo bersaglio: Leo sarebbe caduto ed egli avrebbe potuto mirare alla testa; si sarebbe curvato; Leo era là, disteso sul pavimento, con le mani rattrappite sul tappeto, la faccia rovesciata e rantolante; gli avrebbe appoggiato la canna della rivoltella esattamente nel mezzo della tempia; strana sensazione; la testa si sarebbe mossa, oppure gli occhi stravolti l'avrebbero guardato: allora avrebbe ancora sparato; il fracasso; il fumo; dopo bisognava uscire, senza guardarsi indietro, uscire da quella piccola stanza dove, sotto lo sguardo bianco delle finestre, vestito irreprensibilmente, l'uomo ucciso giaceva con le braccia aperte, sul pavimento, discendere la scala prima che qualche inquilino accorresse, sbucar nella strada; la folla; il movimento; lassù, tra le quattro mura di quella piccola stanza, l'ucciso; avrebbe cercato una guardia (dove sono quei commissariati nei quali ci si va a costituire? ), un poliziotto fermo in mezzo ad un quadrivio, l'avrebbe toccato leggermente sulla spalla; questi si sarebbe voltato, credendolo qualche passante desideroso d'informazioni: "Per piacere" egli avrebbe detto tranquillamente, "arrestatemi... ho ucciso un uomo," l'altro l'avrebbe guardato senza capire: "ho ucciso un uomo," egli avrebbe ripetuto; "arrestatemi;" intorno a queste parole la folla si sarebbe mossa in tutte le direzioni, i veicoli sarebbero passati... e infine, l'altro l'avrebbe accompagnato incredulo, incomprensivo; l'avrebbe accompagnato senza prenderlo per il collo, senza mettergli le manette, al più vicino commissariato; stanza polverosa; registro; guardie; puzzo di vecchio e freddo di fumo di sigaro; il banco; il commissario brizzolato, grosso, volgare; l'interrogatorio; egli era stato una volta a denunziare un furto; doveva essere così.

Si staccò dalla vetrina di quel negozio, camminò avanti: e poi l'avrebbero processato; tutti i giornali avrebbero parlato di questo suo delitto; titoli enormi; lunghi resoconti; fotografie di lui, dell'ucciso, del "solerte" Commissario di Pubblica Sicurezza che l'aveva arrestato, della stanza dov'era successo il fatto, e non sarebbe neppure mancata una crocetta indicante il luogo dove era stato trovato il cadavere. Interessamento morboso; il giorno del processo l'aula del Tribunale sarebbe stata affollata di pubblico; signore eleganti in prima fila; gente di conoscenza; come al teatro; attesa; sarebbe entrato il giudice, gli pareva di vederlo, vegliardo tranquillo e distratto che gli avrebbe parlato come un maestro di scuola parla allo scolaro, dall'alto del suo trono polveroso, inclinando la testa dalla sua parte, fissandolo senza severità sotto l'arco delle sue sopracciglia bianche, gli pareva udirlo:

"Accusato cosa avete da dire?"

A quest'invito egli si sarebbe alzato in piedi; tutti gli occhi appuntati su di lui; avrebbe raccontato il suo delitto; comodamente sedute, le signore del pubblico lo avrebbero seguito in ogni sua frase, attentissimamente, non senza ogni tanto compiere qualche gesto frivolo come acconciare un capello ribelle o accavalciare le gambe stanche; si sarebbe potuto udir volare una mosca; in questo silenzio egli avrebbe parlato; sinceramente; ogni sua parola densa di quella sua triste verità l'avrebbe sempre più avvolto in una speciale atmosfera come la seppia che si avvolge nelle tenebre del suo inchiostro se viene assalita. A poco a poco, mentre avrebbe confessato la sua mancanza di sincerità, di fede, il suo dilettantismo, gli sarebbe sembrato che il vecchio giudice gli si fosse in qualche modo avvicinato, abbassandosi fino a lui; l'aula grigia si sarebbe spopolata senza rumore: non sarebbero restati che loro due, il giudice e lui, sul palco polveroso, davanti a quello squallore dei muri e delle sedie vuote; egli avrebbe continuato a parlare. "Ecco" avrebbe alfine concluso: "ho ucciso Leo senza odio, a mente fredda... senza sincerità... Avrei potuto con la stessa indifferenza, dirgli invece: 'Mi congratulo con te, mia sorella è una bella figliuola...' Questo è il mio vero delitto... ho peccato d'indifferenza..." Silenzio; il giudice lo avrebbe guardato con curiosità come si guarda un essere difforme; finalmente un rumore di sedie smosse, molto sonoro, come quegli echi che si ripercuotono sotto le navate delle chiese; il giudice avrebbe lasciato il suo trono, gli sarebbe venuto semplicemente incontro, sul palco polveroso del Tribunale: piccolo, basso, con dei grandi piedi, la veste nera gli sarebbe arrivata fino ai calcagni, come per nascondere qualche mostruosità; forse, a forza di sedere sul suo trono per far giustizia, le gambe gli si erano rattrappite; piccolo, basso, con una gran testa benevola:

"O giudice... giudice...;" egli si sarebbe gettato ai piedi del vecchio.

"Sei assolto dal tuo delitto" avrebbe udito dopo un istante di silenzio, "ma sei condannato per la tua mancanza di sincerità e di fede... condannato per la vita." Inesorabile verdetto; e quando avrebbe rialzato la testa, si sarebbe ad un tratto accorto di essere di nuovo nel Tribunale affollato, davanti il giudice distratto, tra due guardie armate; sogno nel sogno; fantasmi.

La realtà sarebbe andata diversamente; gli avrebbero dato un avvocato celebre; avrebbero esaltato la sua figura di fratello e di figlio prima sofferente ed umiliato, poi finalmente vendicatore; al processo lo avrebbero forse anche applaudito; sarebbero sfilati i testimoni; sarebbe venuta Lisa, sbrindellata, trascurata, avrebbe raccontato con quella sua voce falsa come aveva scoperto la tresca di Leo e di Carla; profonda impressione; avrebbe narrato come egli gli aveva manifestato il proposito di uccider Leo, ed ella non ci aveva creduto.

E perché non ci aveva creduto? per il tono con cui l'aveva detto.

E come l'aveva detto? tranquillamente, quasi scherzosamente.

Sapeva Michele di sua madre? Did Michael know about his mother? sì, sapeva.

Come si comportava l'ucciso in casa dell'amante? How did the murdered man behave in the lover's house? da padrone.

Da quanto tempo durava questa relazione con la madre? da quindici anni.

E con la figlia? per quel che ne sapeva, da pochi giorni.

Sapeva la figlia del legame di sua madre? sì, lo sapeva.

Che rapporti correvano tra l'imputato e l'ucciso? amichevoli. Di affari? anche.

Che specie di affari? non ricordava precisamente, le pareva un'ipoteca sulla villa.

Era vero che l'accusato aveva avuto da dire a proposito dell'ucciso che questi li riduceva in rovina? Was it true that the accused had had something to say about the slain that the latter reduced them to ruin? era vero.

Che ragioni l'avevano spinta a rivelare la tresca della sorella a Michele? ragioni di affetto per il ragazzo, di amicizia per la famiglia.

Quale fino allora il comportamento dell'ucciso verso Carla? What until then was the killed man's behavior toward Carla? come di un padre: l'aveva vista bambina, con le trecce sulle spalle e le gambe nude.

Aveva Carla reputazione di fanciulla onesta, seria o no? no... veniva generalmente giudicata con severità.

Credeva ella in qualche passione da parte dell'uomo? no.

E da parte di Carla? neppure.

Credeva che l'ucciso avesse intenzione di sposare Carla? no, per quanto ne sapeva.

Era vero che l'ucciso non nascondeva ai figli i suoi rapporti con la madre? era vero.

E che i dissensi erano frequenti tra i due amanti? sì.

Perché? la madre era gelosa.

Di chi? di tutti.

Sospettava la madre della figlia? no, anzi le aveva spesso confidato che l'amante nutriva per la fanciulla sentimenti puramente patemi.

Un'ultima domanda: avrebbe ella mai creduto che il ragazzo sarebbe stato capace di un simile delitto? no.

Perché? perché troppo debole.

Sarebbe venuta la madre, vestita a lutto, imbellettata, dignitosissima, malsicura; avrebbe oltrepassato la sbarra dei testimoni, sarebbe andata dritta al giudice come ad una persona di conoscenza; interrogata avrebbe fatto una lunga storia, risalendo alle più lontane origini; una voce patetica, dei gesti teatrali, e tutti quei veli neri in continua agitazione, tutti quei veli neri come per una mascherata; interrogata insidiosamente dagli avvocati di difesa che si sarebbero gettati su quella preda come degli squali dai denti aguzzi sopra una molle balena, la madre avrebbe alfine riaffermato il suo attaccamento all'ucciso; alla domanda se era vero che questi l'aveva spogliata del suo patrimonio, avrebbe risposto di no. The mother would have come, dressed in mourning, embellished, dignified, unhealthy; she would have passed the bar of witnesses, gone straight to the judge as to a person of knowledge; questioned she would have made a long story, going back to the furthest origins; a pathetic voice, theatrical gestures, and all those black veils in constant agitation, all those black veils as if for a masquerade; insidiously questioned by the defense attorneys who would pounce on that prey like sharp-toothed sharks on a soft whale, the mother would eventually reaffirm her attachment to the slain man; when asked if it was true that he had stripped her of her wealth, she would say no.

E della seduzione di Carla cosa ne sapeva? che era stata una pazzia, ma chi non ne commette scagli la prima pietra.

"E chiamiamola pazzia" avrebbe sottolineato ironicamente l'avvocato di Michele; battibecco delle parti; energico richiamo del presidente.

E credeva ella che Leo avrebbe comunque riparato a questa pazzia, sposando Carla? incertezza...: no... non ne era sicura.

Sensazione: e si sarebbe ella adattata ad una tale situazione, con quell'uomo per casa, amante suo e di sua figlia? imbarazzo; no, ma Leo ci aveva già pensato e aveva già deciso di dar marito a Carla.

Risa. Osservazioni ironiche.

Era vero che l'ucciso avrebbe dato alla fanciulla una certa dote? era vero.

"E in cambio" avrebbe annotato l'avvocato di difesa "si era riservato in anticipo il jus primae noctis." Nuovo battibecco; fischi della folla; il pubblico avrebbe parteggiato per lui; minaccia del presidente di fare sgombrare l'aula; avviene sempre così.

Era vero che tra l'ucciso e Michele c'erano stati negli ultimi tempi violente spiegazioni? sì, era vero.

E che Michele una sera aveva gettato un portacenere contro Leo? sì, ma aveva colpito lei, sulla spalla.

La ragione? Michele pensava a torto che l'ucciso volesse approfittar dell'ipoteca per spogliarli.

E come si era comportato l'ucciso in quell'occasione? paternamente, da uomo superiore.

Era vero che frequenti dissensi scoppiavano tra lei e l'ucciso? no, il più perfetto accordo li univa.

Ma la teste Lisa aveva lasciato intravedere diversamente? si capiva, aveva delle buone ragioni per calunniare la memoria dello scomparso. Quali? Oh! una sola ma sufficiente: era stata sua amante.

Sensazione: "Mi sembra" avrebbe osservato l'avvocato di Michele "che nessuna se ne salvava." Quando? prima di lei.

In istruttoria aveva accusato Lisa di avere istigato il delitto, e ora? ora ripeteva l'accusa.

Le ragioni di Lisa? ragioni di gelosia e d'invidia.

E l'accusava ancora di aver voluto corrompere Michele? sicuro... era una donnaccia senza pudore, una svergognata.

Impressione; richiamo del presidente ad un linguaggio più moderato; ribellione della madre.

Sì, era una donnaccia, l'avrebbe gridato forte, una donnaccia e un'assassina.

Nuovo richiamo.

Ed era vero che di fronte alla freddezza dell'amante ella aveva sospettato Lisa invece della figlia? Sì, perché aveva osservato da tempo che Lisa faceva la corte all'uomo.

Insomma, secondo lei, Lisa era la principale colpevole? sicuro, era lei che aveva istigato il delitto, esaltato Michele, era lei che aveva fatto tutto.

E secondo lei l'ucciso aveva anche fatto bene a sedurre sua figlia? no, ma si sa, le debolezze umane, e poi la colpa non doveva essere stata tutta dell'ucciso.

E Michele? Michele era un povero ragazzo irresponsabile, strumento di Lisa; per far da solo era troppo debole.

Ultima delle tre donne della sua vita sarebbe venuta Carla; un po' smagrita, pallida, donna; tra la frenetica curiosità del pubblico, si sarebbe avanzata, né timida, né spavalda; avrebbe indossato un vestitino chiaro, era la mattina, delle calze chiare, un cappellino chiaro; la pelliccia sulla spalla; forse dipinta, certo elegante. Il vecchio giudice l'avrebbe guardata senza severità, come aveva guardato lui ; sarebbe venuta ad appoggiarsi alla sbarra, avrebbe parlato con lentezza; curiosità del pubblico, attesa avida di particolari scabrosi, sovraeccitazione; ma dopo una breve confabulazione, il presidente avrebbe ordinato di fare sgomberare l'aula e di continuare il processo a porte chiuse; delusione della folla; mormorii; fischi; l'aula si sarebbe lentamente vuotata; ecco Carla, sola, questa macchia di colore, tra gli strumenti grigi e neri della giustizia; l'interrogatorio sarebbe continuato.

Era vero che negli ultimi tempi dei legami intimi si erano stretti tra lei e l'ucciso? sì, era vero.

Sapeva ella di sua madre? certamente, fin dall'infanzia.

Come fin dall'infanzia? già, bambina li aveva visti un giorno abbracciarsi davanti uno specchio.

Sapeva ella che l'ucciso non poteva o non voleva sposarla? sì, lo sapeva.

Sapeva ella che l'ucciso aveva messo le mani sul loro patrimonio?

anche questo sapeva.

E nonostante la conoscenza di tutti questi elementi si era data a lui? già.

Perché? così.

Come si era comportato l'ucciso con lei, come un uomo appassionato o come un libertino? come un libertino.

Allora non l'amava? già, non l'amava.

In che modo egli le aveva manifestato questa passione? un giorno che ella era sola in casa, e si annoiava, leggendo, era venuto, aveva parlato, a poco a poco erano giunti ad una specie di eccitata intimità, poi egli l'aveva baciata e l'aveva invitata ad andare a casa sua.

C'era ella andata? sì il giorno dopo.

Cosa era avvenuto in quell'incontro? tutto.

E ci era ritornata? sì, tutti i giorni.

Era vero che Lisa l'aveva sorpresa nell'anticamera la sera di un ballo, seduta sulle ginocchia dell'amante, abbracciata a lui? sì, era possibile.

Non aveva ella paura in quel momento di farsi scoprire dalla madre? no.

Non pensava ella di rovinarsi mettendosi con quell'uomo? no.

Perché? così.

Le nascondeva la madre i suoi rapporti con l'ucciso? no, anzi si confidava a lei.

Le aveva mai parlato l'ucciso della madre? sì.

Come? male.

Cosa ne diceva? che era vecchia, stupida, che non l'amava più.

Secondo sua madre, l'ucciso nonostante questa sua relazione con lei, si proponeva di darle una dote e di maritarla: era vero? no, non era vero.

Come lo sapeva? perché l'ucciso le aveva proposto d'abbandonare la famiglia e di andare a vivere in un piccolo appartamento dove egli avrebbe potuto visitarla quando avrebbe voluto.

Avrebbe ella accettato? forse.

Non pensava l'ucciso che Michele si sarebbe opposto a questo programma? no.

Perché? perché diceva che con un po' di denaro Michele sarebbe restato tranquillo.

E la madre? la madre avrebbe gridato ma si sarebbe poi calmata anche lei.

Sapeva ella di precedenti alterchi tra l'ucciso e Michele? sì, una sera l'ucciso aveva minacciato Michele di tirargli gli orecchi.

E Michele? Michele gli aveva gettato in testa un portacenere, il quale aveva però colpito la madre.

Le aveva mai manifestato il fratello il suo proposito di uccider Leo? mai.

Come si mostrava Michele negli affari di famiglia? indifferente e debole.

Anche Carla se ne sarebbe andata; ma prima sarebbe venuta a salutarlo; gli parve di vederla; impacciata, seria, con degli occhi tra supplichevoli e commossi; gli avrebbe domandato come stava, si sarebbero stretta la mano: poi ella sarebbe partita, con quel passo frivolo dei tacchi alti, in quel suo vestitino succinto; e dall'andatura di una prudente e malsicura modestia, dal movimento morbido dei fianchi, dai particolari di tutta la persona, egli avrebbe immaginato una nuova vita che il lutto cencioso e senza dignità della madre gli aveva lasciato intravedere.