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Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 18 (XIV)

18 (XIV)

Capitolo XIV

Il corridoio oscuro era pieno di un certo odor di cucina che gli parve di aver già sentito altre volte in altre case eguali; Lisa stessa, evidentemente appena alzatasi da tavola, con una sigaretta tra le labbra e un aspetto tra stravolto ed eccitato che le derivava forse dal molto vino bevuto, venne ad aprirgli: "Di qui... di qui" ripetè, senza rispondere alle sue parole di saluto, e lo guidò verso il boudoir, chiudendo sul suo passaggio delle porte aperte che rivelavano ora una camera da letto dai lenzuoli in disordine e dall'atmosfera opaca, ora una nera cucinetta colma di utensili, ora il salotto già conosciuto, polveroso e oscuro. "Qui si starà meglio" ella disse entrando nel boudoir. In questa stanza una luce bianca, abbagliante, entrava dalle due finestre velate; in quell'istante la nuvolaglia del cielo doveva essersi un po' schiarita; un riflesso intollerabile e candido era, laggiù, dietro i vetri delle finestre.

Sedettero insieme sul divano: "Ebbene, come va?" domandò Lisa porgendogli una scatola piena di sigarette. Egli ne prese una senza alzar gli occhi, conservando un volto preoccupato: "Sarà meglio cominciare subito" pensava sogguardando la donna. Molto infarinata, Lisa indossava una vecchia, ingiallita camicetta bianca, e una gonna grigia dalla stoffa cedevole tutta sformata a forza di portarla; una cravatta vivace, non molto fresca, male annodata, le pendeva dal collo, dei bottoni di smalto, raffiguranti ciascuno una testa di cane, ornavano i polsini... Ma in contrasto con questa maschile acconciatura, il petto florido gonfiava la camicia e la carne rosea e bionda delle spalle esplodeva nella trasparenza del velo, tra le due bretelline bianche e volgari della sottoveste.

"Va male" egli rispose alfine.

"Male?" Un turbamento provocato non sapeva se dal vino bevuto o da altre cause affrettava i battiti del cuore di Lisa, le interrompeva il respiro, e ogni tanto spingeva un fiotto di sangue sulla sua faccia grave ed eccitata: "E perché?" Guardava Michele e sperava che egli si ricordasse di quel baciamano del giorno prima, nell'oscurità del salotto:

"Non so." Egli posò la sigaretta, fissò per un istante Lisa: "Ho pensato diverse cose... ho da dirtele?" Vide la donna fare un vivo gesto di assentimento: "Di' pure" e atteggiare il volto e la persona come chi vuol ascoltare con interesse e, si sarebbe detto, con amore: "Chissà cosa crede che stia per dirle" pensò con ironia, "forse che l'amo... eh! già, non aspetta che questo..." Riprese la sigaretta:

"Debbo dirti" incominciò "che io mi trovo in una curiosa posizione di fronte a voi tutti."

"Chi voi?"

"Voi della famiglia...: tu, Leo, mia madre, mia sorella..."

Ella lo scrutò con degli sguardi penetranti: "Anche di fronte a me?" domandò prendendogli, come per caso, con tutta naturalezza una mano. Si guardarono:

"Anche di fronte a te" egli rispose; strinse macchinalmente le dita della donna. "Per ciascuno di voi" continuò incoraggiato "dovrei provare un certo sentimento, dico dovrei perché volta per volta mi sono accorto che le circostanze ne esigono sempre uno... È come andare ad un funerale o a delle nozze: in ambedue i casi un certo atteggiamento di gioia o di dolore è obbligatorio come il vestito di cerimonia...: non si può ridere seguendo una bara o piangere nel momento nel quale due sposi si scambiano l'anello... sarebbe scandaloso, peggio, inumano... Chi per indifferenza non prova nulla, deve fingere... così io con voi... fingo di odiar Leo... di amare mia madre..."

"E poi?" domandò Lisa avidamente, vedendolo esitare e interrompersi.

"E poi basta" egli rispose. Si sentiva annoiato e triste: "Se aspetti che io parli di te!" pensava guardando la faccia di Lisa. "Soltanto" aggiunse, e la sua voce tremò come se avesse voluto elevare una lamentosa protesta, "io non so fingere... e allora, capisci, a forza di sentimenti, di gesti, di parole, di pensieri falsi, la mia vita diventa tutta una commedia mancata... Io non posso fingere... capisci?" Tacque per un istante: Lisa lo contemplava e pareva delusa. "E poi" concluse confusamente, scoraggiato, sentendo ad un tratto la sua voce sola risuonare inascoltata nel silenzio del boudoir, "tutto questo non ti interessa né puoi comprenderlo... potrei parlarti per un giorno intero e tu non mi capiresti..." Abbassò la testa; allora udì alfine parlare sulla sua fronte la voce falsamente ispirata e confidenziale della donna:

"Ti capirei, mio povero Michele... sono sicura che ti capirei." Gli parve di udire quella stessa voce che egli avrebbe avuto se avesse voluto dichiarare il proprio amore a Lisa: "Guarda, guarda" pensò con amara ironia, "siamo tutti e due nelle stesse condizioni." Sentì una mano posarglisi sui capelli, gli venne una disgustata compassione di sé e della donna: "Oh! poveretta" si disse, "vuoi proprio insegnare a me come si fa la commedia?" Ma alzò gli occhi, e incontrò degli sguardi e un volto tanto imperiosamente sentimentali che se ne spaventò: "È già dunque giunto il momento?" pensò confusamente, come il malato che dopo aver immaginato dei lunghi preparativi vede, appena disteso sul lettuccio, brillare per aria il ferro del chirurgo. Guardava la faccia della donna: labbra semiaperte, supplichevoli, occhi turbati, guance rosse, e capiva, cedendo a poco a poco a questa preghiera, che ancora una volta la vita imponeva alla sua indifferenza un falso atteggiamento; poi sentì le dita di Lisa premere leggermente le sue come per invitarlo a decidersi, si chinò e la baciò sulla bocca.

Lungo abbraccio; delle nubi passeggere oscurarono quel chiarore bianco che appena un minuto prima empiva il boudoir, le pareti rapidamente si scolorirono, si raffreddarono... e sul divano, tra le due finestre, quei due dalle bocche unite, seduti l'uno accanto all'altro, coi busti appena tanto girati quanto bastava per permettere il bacio, stavano immobili e rigidi. Non fossero state quelle loro labbra avide e confuse, i loro corretti atteggiamenti avrebbero fatto pensare piuttosto a una conversazione che ad un abbraccio: Michele teneva le braccia lungo i fianchi, gli occhi bene aperti, e i suoi sguardi erravano oziosamente sulla parete in faccia; Lisa, con le mani in quelle del ragazzo, faceva ogni tanto con la testa il gesto di chi, bevendo, sosta un istante e poi con rinnovata ingordigia ricomincia; alfine si separarono e si guardarono.

[...] Le si avvicinò, le mise una mano nei capelli, le rovesciò indietro la testa... Allora guardando in quegli occhi gli parve di scoprire nella spietata e stupida fissità che ella gli opponeva, un errore indurito e inguaribile; gli venne la stessa disgustata compassione di prima: "Se l'amassi" pensò rigettando da sé la testa, "ella non sarebbe così..." Sedette di nuovo: "Che maniere'" ripeteva Lisa turbata, con voce lenta e caparbia, ravviando i capelli scomposti; "che maniere." Michele la guardava: "La colpa non è loro" pensava, "è mia... essi hanno bisogno dei miei sentimenti... e io non ne ho."

"Allora vuoi proprio saper tutto?" ella domandò.

"Sì... e sbrigati..."

Un istante di silenzio: "Hai detto" cominciò Lisa con qualche esitazione "che vorresti e non puoi odiare Leo?"

"Sì" egli rispose, "e ho anche detto" soggiunse impacciato che vorrei e non posso amarti..."

Un gesto secco della mano: "Non occuparti di me" ella disse freddamente; stette un istante sopra pensiero come chi riunisce i propri ricordi prima di narrare: "La storia è breve" cominciò alfine abbassando gli occhi e guardandosi le mani. "Ieri... ti ricordi? vennero Leo, tua madre e tua sorella dal ballo... mancava la luce si cercarono le candele... Poi tua madre mi trascinò in camera sua per mostrarmi quel vestito nuovo che ha fatto venir da Parigi...: è un bel vestito, ma ha un difetto alla cintura... Ad un certo momento, non ricordo perché, pensai di uscire... apro una porta, faccio un passo avanti... indovina chi vedo nell'anticamera?"

Michele la guardò: tutto il racconto era stato fatto con voce fredda, parsimoniosa, senza mai cessare quella contemplazione delle mani; distratto egli l'aveva ascoltata senza interesse, come una qualsiasi storia banale; ma ora, d'improvviso, si ricordò che tutti questi preamboli non riguardavano che Leo; questi giri concentrici si stringevano intorno a quel nome; gli venne una ansietà oscura e minacciosa, e così brusca che gli mancò il respiro.

"Leo..." disse in un soffio.

"Sì, Leo" ripetè Lisa scuotendo tranquillamente, ostentatamente la cenere della sigaretta; "Leo con Carla... abbracciati."

Si guardarono; Michele, immobile, senza stupore, ma con quella fissità trasognata che fa la vista doppia e tripla come un vetro difettoso; Lisa con curiosità, timore, e una certa ridicola fierezza, come chi sa di aver vibrato un bel colpo, o detto una gran parola.

"Come abbracciati?" egli domandò alfine.

"Abbracciati" ripetè la donna con crudeltà, irritata da questa incomprensione come dai sussulti di una bestia ferita che non si decide a morire. "Come abbracciati? come tutti fanno...: lei sulle ginocchia di lui, la bocca sulla bocca... insomma abbracciati."

Silenzio; immobile, Michele guardava il tappeto roseo anche quello come il resto del boudoir, tutto spelato sugli orli; sul tappeto erano posati i due piedi uniti di Lisa; più in là c'era il divano: "Abbracciati" si ripeteva intanto, "abbracciati...: questa è straordinaria"; avrebbe voluto gridarlo: "questa è fantastica" divertito, incuriosito da un caso tanto imprevisto. Indignazione non ne provava e neppure disgusto; anzi, se mai, un vivo interesse lo pungeva di ottenere schiarimenti, di saperne qualche cosa di più.

Tale stato d'animo durò pochi secondi; poi, mentre già si apprestava a far delle domande, si accorse, ad un tratto, quasi con spavento, di essere ancora una volta privo di sentimenti che quel triste fatto avrebbe dovuto ispirargli; Leo e Carla abbracciati non gli suggerivano che una curiosità, diremo così, mondana; questa nuova rovina non lo commoveva, questa prova suprema e non prevista della sua sincerità falliva; quei due abbracciati gli apparivano come tante altre coppie note e ignote, e non ciascuno con quella personalità che più lo riguardava. "Vediamo" pensò "si tratta di Carla, di mia sorella... Lisa l'ha vista abbracciata a quell'uomo, l'amante di mia madre... Non è orribile? non è ributtante?... Vediamo... non è quasi un incesto?" Ma Carla e Leo abbracciati e incestuosi restavano lontani dai suoi gesti di costernazione e di disgusto; egli non poteva toccarli.

Guardò la donna, e capì dagli occhi, da tutto l'atteggiamento ch'ella aspettava con delizia e curiosità una bella scena di sdegno virtuoso e familiare: "Collera... ira... odio" pensò febbrilmente; "tutte le ricchezze del mondo per un po' di odio sincero." Ma il suo spirito restava inerte, come di piombo; né collera né ira né odio: Carla in lacrime, nuda, perduta, Leo dalle sanguinose avidità, quella vergogna, quel disagio, nulla serviva a scuoterlo.

Allora gli venne un'idea disperata; poiché l'ultima prova era fallita e nessun più violento stimolante era riuscito a galvanizzare il suo spirito morto, non sarebbe stato meglio decidersi una buona volta a finger tutto, amore, odio, sdegno, finger senza parsimonia, con larghezza, anzi con grandiosità, come chi ha anche da buttarne via?... Idea pazza: "è la fine" egli pensò, e gli parve veramente di rinunziare per sempre a quel refrigerio irraggiungibile delle sorgenti spontanee, limpide e continue della vita; "la fine... ma qualche cosa deve avvenire... qualche cosa avverrà."

Si alzò in piedi; "No" disse cominciando a camminare in su e in giù per il boudoir, come si conviene ad un uomo sdegnato e preoccupato; "questo è troppo... no, non è possibile continuare così... questo è il colmo..." Si sentiva freddo e ironico; gli parve di non avere una voce abbastanza risoluta; decise di modificarla, silenzio:

"Leo crede che tutto gli sia permesso" continuò poiché Lisa curva e immobile lo guardava e non parlava, "ma si sbaglia..." "No, questo è troppo debole" pensò senza cessare quel suo andare e venire; "bisogna dire qualcosa di più forte... io sono il fratello oltraggiato dall'amante di sua madre nell'onore di sua sorella (tutte queste parole virtuose e familiari gli facevano un ridicolo effetto come se fossero state arcaiche): bisogna trovare qualche cosa di più duro... magari se è necessario esagerare..." Ma tra queste ironiche falsità la sua triste stanchezza aumentava: avrebbe voluto lasciare questa commedia, inginocchiarsi davanti a Lisa come davanti alla donna che si ama, e dir tutta la verità: "Lisa, io non sono sincero: non m'importa nulla di mia sorella, non m'importa nulla di nessuno... Lisa, come debbo fare?" Ma Lisa non era la donna amata e non l'avrebbe compreso; come tutti gli altri ella esigeva da lui un atteggiamento necessario e naturale.

"Che cosa farai?..." domandò la donna.

Egli si fermò e la guardò, sforzandosi di dare ai suoi occhi calmi un'apparenza allucinata: "Che cosa farò? che cosa farò?... Che cosa farò" ripetè con rapidità; "è chiaro quel che debbo fare...: andare da quel mascalzone e prenderlo per il collo." Gli parve che Lisa fosse stupita da questa sua violenza:

"Quando?" ella domandò fissandolo acutamente tra il fumo della sigaretta che le pendeva dalle labbra.

"Quando?... domani... anzi oggi... subito." Prese una sigaretta dalla tavola, l'accese; vide Lisa squadrarlo dall'alto in basso, con una rapida e perplessa occhiata:

"E cosa gli dirai?" ella interrogò.

"Oh! gli parlerò molto ma molto freddamente" egli rispose con un gesto della mano; guardava dinanzi a sé con gli occhi accigliati, come chi vede il proprio destino, ora gli riusciva sempre meglio di recitare la sua parte. "Poche parole... e capirà che non c'è nulla da scherzare..." Altra occhiata di Lisa: "Quanto sono cretino" egli pensò.

"Ma quel che più mi ripugna" continuò con un vivo desiderio di accalorarsi e convincer se stesso e la donna, "è la falsità di Leo... la sua ignobiltà... Pazienza s'egli si fosse veramente innamorato di mia sorella... questo non lo scuserebbe ma spiegherebbe in parte la cosa... Invece no... sono sicuro che non l'ama, è nel suo carattere, gli è piaciuta, l'ha trovata carina, e vuol divertirsi con lei... ecco tutto... Ora, a parte il fatto che è sempre una viltà abusare dell'inesperienza d'una ragazza, è tre volte vile l'uomo che lo fa a mente fredda e nelle condizioni in cui egli si trova di fronte a Carla e a noi tutti!... Non si potrebbe essere più...:" egli cercò la parola più espressiva per qualificare la condotta di Leo: "più porci... E poi l'ho già detto: pazienza se l'avesse fatto per forza di passione... trascinato dal proprio sentimento... Invece non c'è amore, qui, non c'è passione, non c'è affetto... nulla c'è se non la libidine e la falsità più odiosa, più ripugnante, quella che simula dei sentimenti puri e ideali... non la si può né scusare né comprendere... soltanto condannare." Prima malcerto, poi sempre più sicuro, Michele profferì le ultime parole con una forza strana e profonda che stupì lui stesso. "Quanto a Carla" concluse dopo un istante, "non ha colpa... si è lasciata stordire da quell'uomo..."

Silenzio; seduta sul divano, immobile, con la testa fra le mani, Lisa considerava il ragazzo: "Non c'è dubbio" disse alfine in tono di vaga approvazione "che la falsità sia un gran brutto difetto."

"Bruttissimo." Egli si mosse ed andò alla finestra; il sole era scomparso, e una bassa, fitta cortina di nubi grigie stava sospesa sulla città. [...]

"Ebbene va'" ella soggiunse alfine. Il ragazzo fece un gesto con la mano, puerile e prudente, che poteva significare "adagio... non c'è fretta;" si mosse: "Vado... sì, vado" ripetè.

"Puoi anche non andarci" disse la donna con voce dura; "far finta di non aver saputo nulla... a me personalmente non importa se tu ci vai o non ci vai."

Nel vestibolo ella lo aiutò a infilarsi il pastrano e gli porse il cappello:

"Allora" egli disse "tornerò domani a fare il mio rapporto." "Va bene... a domani."

Ma Michele se ne andava a malincuore; intuiva che Lisa non aveva creduto una sola parola di quel che aveva detto; avrebbe voluto far dei giuramenti, dei grandi gesti, dir delle frasi profonde: insomma convincerla; esitò... "Sono sicuro" disse alfine prendendo la mano che Lisa gli tendeva, "che tu non credi al mio odio contro Leo, al mio disgusto."

Silenzio: "Infatti non ci credo" ella rispose con semplicità.

"E perché?"

"Così."

Ancora silenzio. "E se io" domandò Michele "te lo provassi coi fatti?"

"Quali fatti?"

Egli esitò di nuovo: ora gli occhi di Lisa esprimevano una malsicura imperiosità: "Quali fatti in verità?" si ripetè. Una lieve paura l'invase di non sapere nominare quel fatto che avrebbe saputo convincere la donna della sua sincerità; poi trasportandosi da Lisa al suo nemico, spontaneamente, come si trova una cosa a lungo e senza saperlo cercata, lo scoprì: uccider Leo. L'idea gli piacque non in quanto pensava di realizzarla ma per la sua supposta efficacia sull'animo della donna.

"Per esempio" profferì tranquillamente "ci crederesti se io uccidessi Leo?"

"Se tu lo uccidessi?..." Il primo movimento di Lisa fu di spavento; egli sorrise, soddisfatto dell'impressione che avevano fatto queste parole:

"Già... se lo uccidessi..."

Ma Lisa ora si rasserenava, aveva osservato quella faccia calma, quegli occhi senza ira: "Allora sì..." sorrise con ironia "ma basta vedere il modo col quale lo dici per capire che non lo farai..."

Silenzio: "Il modo" pensò Michele irritato di aver a tal punto guastato il suo effetto; "che modo?... esiste anche un modo per dire che si vuole uccidere qualcheduno?" Il sipario calava, la commedia era caduta; non restava che andarsene:

"Così non mi credi capace di uccidere Leo?" egli insistette; vide la donna scoppiare a ridere, non troppo sicura, ma certo non spaventata.

"Io no... mio povero Michele" ella riprese alfine rallegrata e compassionevole. "Son cose che si dicono... ma tra il dire e il fare... e poi te l'ho già detto: basta guardarti in faccia per capire che non ne hai alcuna intenzione... Del resto" soggiunse come per soffocare in se stessa l'ultimo dubbio "se tu lo avessi detto seriamente, non ti lascerei andare così, via di casa mia..." Aprì la porta gli tese la mano: "Sbrigati" soggiunse, "se no, non riuscirai neppure a vederlo, Leo."

"E se io l'uccidessi?" egli ripetè con un sorriso amaro, come un ritornello, fuori dal pianerottolo.

"Allora sì... allora ci crederei" ella rispose con un sorriso profondamente incredulo; la porta si chiuse.


18 (XIV) 18 (XIV) 18 (XIV)

Capitolo XIV

Il corridoio oscuro era pieno di un certo odor di cucina che gli parve di aver già sentito altre volte in altre case eguali; Lisa stessa, evidentemente appena alzatasi da tavola, con una sigaretta tra le labbra e un aspetto tra stravolto ed eccitato che le derivava forse dal molto vino bevuto, venne ad aprirgli: "Di qui... di qui" ripetè, senza rispondere alle sue parole di saluto, e lo guidò verso il boudoir, chiudendo sul suo passaggio delle porte aperte che rivelavano ora una camera da letto dai lenzuoli in disordine e dall'atmosfera opaca, ora una nera cucinetta colma di utensili, ora il salotto già conosciuto, polveroso e oscuro. "Qui si starà meglio" ella disse entrando nel boudoir. In questa stanza una luce bianca, abbagliante, entrava dalle due finestre velate; in quell'istante la nuvolaglia del cielo doveva essersi un po' schiarita; un riflesso intollerabile e candido era, laggiù, dietro i vetri delle finestre.

Sedettero insieme sul divano: "Ebbene, come va?" domandò Lisa porgendogli una scatola piena di sigarette. Egli ne prese una senza alzar gli occhi, conservando un volto preoccupato: "Sarà meglio cominciare subito" pensava sogguardando la donna. Molto infarinata, Lisa indossava una vecchia, ingiallita camicetta bianca, e una gonna grigia dalla stoffa cedevole tutta sformata a forza di portarla; una cravatta vivace, non molto fresca, male annodata, le pendeva dal collo, dei bottoni di smalto, raffiguranti ciascuno una testa di cane, ornavano i polsini... Ma in contrasto con questa maschile acconciatura, il petto florido gonfiava la camicia e la carne rosea e bionda delle spalle esplodeva nella trasparenza del velo, tra le due bretelline bianche e volgari della sottoveste.

"Va male" egli rispose alfine.

"Male?" Un turbamento provocato non sapeva se dal vino bevuto o da altre cause affrettava i battiti del cuore di Lisa, le interrompeva il respiro, e ogni tanto spingeva un fiotto di sangue sulla sua faccia grave ed eccitata: "E perché?" Guardava Michele e sperava che egli si ricordasse di quel baciamano del giorno prima, nell'oscurità del salotto:

"Non so." Egli posò la sigaretta, fissò per un istante Lisa: "Ho pensato diverse cose... ho da dirtele?" Vide la donna fare un vivo gesto di assentimento: "Di' pure" e atteggiare il volto e la persona come chi vuol ascoltare con interesse e, si sarebbe detto, con amore: "Chissà cosa crede che stia per dirle" pensò con ironia, "forse che l'amo... eh! già, non aspetta che questo..." Riprese la sigaretta:

"Debbo dirti" incominciò "che io mi trovo in una curiosa posizione di fronte a voi tutti."

"Chi voi?"

"Voi della famiglia...: tu, Leo, mia madre, mia sorella..."

Ella lo scrutò con degli sguardi penetranti: "Anche di fronte a me?" domandò prendendogli, come per caso, con tutta naturalezza una mano. Si guardarono:

"Anche di fronte a te" egli rispose; strinse macchinalmente le dita della donna. "Per ciascuno di voi" continuò incoraggiato "dovrei provare un certo sentimento, dico dovrei perché volta per volta mi sono accorto che le circostanze ne esigono sempre uno... È come andare ad un funerale o a delle nozze: in ambedue i casi un certo atteggiamento di gioia o di dolore è obbligatorio come il vestito di cerimonia...: non si può ridere seguendo una bara o piangere nel momento nel quale due sposi si scambiano l'anello... sarebbe scandaloso, peggio, inumano... Chi per indifferenza non prova nulla, deve fingere... così io con voi... fingo di odiar Leo... di amare mia madre..."

"E poi?" domandò Lisa avidamente, vedendolo esitare e interrompersi.

"E poi basta" egli rispose. Si sentiva annoiato e triste: "Se aspetti che io parli di te!" pensava guardando la faccia di Lisa. "Soltanto" aggiunse, e la sua voce tremò come se avesse voluto elevare una lamentosa protesta, "io non so fingere... e allora, capisci, a forza di sentimenti, di gesti, di parole, di pensieri falsi, la mia vita diventa tutta una commedia mancata... Io non posso fingere... capisci?" Tacque per un istante: Lisa lo contemplava e pareva delusa. "E poi" concluse confusamente, scoraggiato, sentendo ad un tratto la sua voce sola risuonare inascoltata nel silenzio del boudoir, "tutto questo non ti interessa né puoi comprenderlo... potrei parlarti per un giorno intero e tu non mi capiresti..." Abbassò la testa; allora udì alfine parlare sulla sua fronte la voce falsamente ispirata e confidenziale della donna:

"Ti capirei, mio povero Michele... sono sicura che ti capirei." Gli parve di udire quella stessa voce che egli avrebbe avuto se avesse voluto dichiarare il proprio amore a Lisa: "Guarda, guarda" pensò con amara ironia, "siamo tutti e due nelle stesse condizioni." Sentì una mano posarglisi sui capelli, gli venne una disgustata compassione di sé e della donna: "Oh! poveretta" si disse, "vuoi proprio insegnare a me come si fa la commedia?" Ma alzò gli occhi, e incontrò degli sguardi e un volto tanto imperiosamente sentimentali che se ne spaventò: "È già dunque giunto il momento?" pensò confusamente, come il malato che dopo aver immaginato dei lunghi preparativi vede, appena disteso sul lettuccio, brillare per aria il ferro del chirurgo. Guardava la faccia della donna: labbra semiaperte, supplichevoli, occhi turbati, guance rosse, e capiva, cedendo a poco a poco a questa preghiera, che ancora una volta la vita imponeva alla sua indifferenza un falso atteggiamento; poi sentì le dita di Lisa premere leggermente le sue come per invitarlo a decidersi, si chinò e la baciò sulla bocca.

Lungo abbraccio; delle nubi passeggere oscurarono quel chiarore bianco che appena un minuto prima empiva il boudoir, le pareti rapidamente si scolorirono, si raffreddarono... e sul divano, tra le due finestre, quei due dalle bocche unite, seduti l'uno accanto all'altro, coi busti appena tanto girati quanto bastava per permettere il bacio, stavano immobili e rigidi. Non fossero state quelle loro labbra avide e confuse, i loro corretti atteggiamenti avrebbero fatto pensare piuttosto a una conversazione che ad un abbraccio: Michele teneva le braccia lungo i fianchi, gli occhi bene aperti, e i suoi sguardi erravano oziosamente sulla parete in faccia; Lisa, con le mani in quelle del ragazzo, faceva ogni tanto con la testa il gesto di chi, bevendo, sosta un istante e poi con rinnovata ingordigia ricomincia; alfine si separarono e si guardarono.

[...] Le si avvicinò, le mise una mano nei capelli, le rovesciò indietro la testa... Allora guardando in quegli occhi gli parve di scoprire nella spietata e stupida fissità che ella gli opponeva, un errore indurito e inguaribile; gli venne la stessa disgustata compassione di prima: "Se l'amassi" pensò rigettando da sé la testa, "ella non sarebbe così..." Sedette di nuovo: "Che maniere'" ripeteva Lisa turbata, con voce lenta e caparbia, ravviando i capelli scomposti; "che maniere." Michele la guardava: "La colpa non è loro" pensava, "è mia... essi hanno bisogno dei miei sentimenti... e io non ne ho."

"Allora vuoi proprio saper tutto?" ella domandò.

"Sì... e sbrigati..."

Un istante di silenzio: "Hai detto" cominciò Lisa con qualche esitazione "che vorresti e non puoi odiare Leo?"

"Sì" egli rispose, "e ho anche detto" soggiunse impacciato che vorrei e non posso amarti..."

Un gesto secco della mano: "Non occuparti di me" ella disse freddamente; stette un istante sopra pensiero come chi riunisce i propri ricordi prima di narrare: "La storia è breve" cominciò alfine abbassando gli occhi e guardandosi le mani. Een droog handgebaar: 'Maak je geen zorgen om mij,' zei ze kil; hij stond even in gedachten als iemand die zijn herinneringen verzamelt voordat hij vertelt: 'Het verhaal is kort' begon hij eindelijk zijn ogen neer te slaan en naar zijn handen te kijken. "Ieri... ti ricordi? vennero Leo, tua madre e tua sorella dal ballo... mancava la luce si cercarono le candele... Poi tua madre mi trascinò in camera sua per mostrarmi quel vestito nuovo che ha fatto venir da Parigi...: è un bel vestito, ma ha un difetto alla cintura... Ad un certo momento, non ricordo perché, pensai di uscire... apro una porta, faccio un passo avanti... indovina chi vedo nell'anticamera?"

Michele la guardò: tutto il racconto era stato fatto con voce fredda, parsimoniosa, senza mai cessare quella contemplazione delle mani; distratto egli l'aveva ascoltata senza interesse, come una qualsiasi storia banale; ma ora, d'improvviso, si ricordò che tutti questi preamboli non riguardavano che Leo; questi giri concentrici si stringevano intorno a quel nome; gli venne una ansietà oscura e minacciosa, e così brusca che gli mancò il respiro.

"Leo..." disse in un soffio.

"Sì, Leo" ripetè Lisa scuotendo tranquillamente, ostentatamente la cenere della sigaretta; "Leo con Carla... abbracciati."

Si guardarono; Michele, immobile, senza stupore, ma con quella fissità trasognata che fa la vista doppia e tripla come un vetro difettoso; Lisa con curiosità, timore, e una certa ridicola fierezza, come chi sa di aver vibrato un bel colpo, o detto una gran parola.

"Come abbracciati?" egli domandò alfine.

"Abbracciati" ripetè la donna con crudeltà, irritata da questa incomprensione come dai sussulti di una bestia ferita che non si decide a morire. "Come abbracciati? come tutti fanno...: lei sulle ginocchia di lui, la bocca sulla bocca... insomma abbracciati."

Silenzio; immobile, Michele guardava il tappeto roseo anche quello come il resto del boudoir, tutto spelato sugli orli; sul tappeto erano posati i due piedi uniti di Lisa; più in là c'era il divano: "Abbracciati" si ripeteva intanto, "abbracciati...: questa è straordinaria"; avrebbe voluto gridarlo: "questa è fantastica" divertito, incuriosito da un caso tanto imprevisto. Indignazione non ne provava e neppure disgusto; anzi, se mai, un vivo interesse lo pungeva di ottenere schiarimenti, di saperne qualche cosa di più.

Tale stato d'animo durò pochi secondi; poi, mentre già si apprestava a far delle domande, si accorse, ad un tratto, quasi con spavento, di essere ancora una volta privo di sentimenti che quel triste fatto avrebbe dovuto ispirargli; Leo e Carla abbracciati non gli suggerivano che una curiosità, diremo così, mondana; questa nuova rovina non lo commoveva, questa prova suprema e non prevista della sua sincerità falliva; quei due abbracciati gli apparivano come tante altre coppie note e ignote, e non ciascuno con quella personalità che più lo riguardava. "Vediamo" pensò "si tratta di Carla, di mia sorella... Lisa l'ha vista abbracciata a quell'uomo, l'amante di mia madre... Non è orribile? non è ributtante?... Vediamo... non è quasi un incesto?" Ma Carla e Leo abbracciati e incestuosi restavano lontani dai suoi gesti di costernazione e di disgusto; egli non poteva toccarli.

Guardò la donna, e capì dagli occhi, da tutto l'atteggiamento ch'ella aspettava con delizia e curiosità una bella scena di sdegno virtuoso e familiare: "Collera... ira... odio" pensò febbrilmente; "tutte le ricchezze del mondo per un po' di odio sincero." Ma il suo spirito restava inerte, come di piombo; né collera né ira né odio: Carla in lacrime, nuda, perduta, Leo dalle sanguinose avidità, quella vergogna, quel disagio, nulla serviva a scuoterlo.

Allora gli venne un'idea disperata; poiché l'ultima prova era fallita e nessun più violento stimolante era riuscito a galvanizzare il suo spirito morto, non sarebbe stato meglio decidersi una buona volta a finger tutto, amore, odio, sdegno, finger senza parsimonia, con larghezza, anzi con grandiosità, come chi ha anche da buttarne via?... Idea pazza: "è la fine" egli pensò, e gli parve veramente di rinunziare per sempre a quel refrigerio irraggiungibile delle sorgenti spontanee, limpide e continue della vita; "la fine... ma qualche cosa deve avvenire... qualche cosa avverrà."

Si alzò in piedi; "No" disse cominciando a camminare in su e in giù per il boudoir, come si conviene ad un uomo sdegnato e preoccupato; "questo è troppo... no, non è possibile continuare così... questo è il colmo..." Si sentiva freddo e ironico; gli parve di non avere una voce abbastanza risoluta; decise di modificarla, silenzio:

"Leo crede che tutto gli sia permesso" continuò poiché Lisa curva e immobile lo guardava e non parlava, "ma si sbaglia..." "No, questo è troppo debole" pensò senza cessare quel suo andare e venire; "bisogna dire qualcosa di più forte... io sono il fratello oltraggiato dall'amante di sua madre nell'onore di sua sorella (tutte queste parole virtuose e familiari gli facevano un ridicolo effetto come se fossero state arcaiche): bisogna trovare qualche cosa di più duro... magari se è necessario esagerare..." Ma tra queste ironiche falsità la sua triste stanchezza aumentava: avrebbe voluto lasciare questa commedia, inginocchiarsi davanti a Lisa come davanti alla donna che si ama, e dir tutta la verità: "Lisa, io non sono sincero: non m'importa nulla di mia sorella, non m'importa nulla di nessuno... Lisa, come debbo fare?" Ma Lisa non era la donna amata e non l'avrebbe compreso; come tutti gli altri ella esigeva da lui un atteggiamento necessario e naturale.

"Che cosa farai?..." domandò la donna.

Egli si fermò e la guardò, sforzandosi di dare ai suoi occhi calmi un'apparenza allucinata: "Che cosa farò? che cosa farò?... Che cosa farò" ripetè con rapidità; "è chiaro quel che debbo fare...: andare da quel mascalzone e prenderlo per il collo." Gli parve che Lisa fosse stupita da questa sua violenza:

"Quando?" ella domandò fissandolo acutamente tra il fumo della sigaretta che le pendeva dalle labbra.

"Quando?... domani... anzi oggi... subito." Prese una sigaretta dalla tavola, l'accese; vide Lisa squadrarlo dall'alto in basso, con una rapida e perplessa occhiata:

"E cosa gli dirai?" ella interrogò.

"Oh! gli parlerò molto ma molto freddamente" egli rispose con un gesto della mano; guardava dinanzi a sé con gli occhi accigliati, come chi vede il proprio destino, ora gli riusciva sempre meglio di recitare la sua parte. "Poche parole... e capirà che non c'è nulla da scherzare..." Altra occhiata di Lisa: "Quanto sono cretino" egli pensò.

"Ma quel che più mi ripugna" continuò con un vivo desiderio di accalorarsi e convincer se stesso e la donna, "è la falsità di Leo... la sua ignobiltà... Pazienza s'egli si fosse veramente innamorato di mia sorella... questo non lo scuserebbe ma spiegherebbe in parte la cosa... Invece no... sono sicuro che non l'ama, è nel suo carattere, gli è piaciuta, l'ha trovata carina, e vuol divertirsi con lei... ecco tutto... Ora, a parte il fatto che è sempre una viltà abusare dell'inesperienza d'una ragazza, è tre volte vile l'uomo che lo fa a mente fredda e nelle condizioni in cui egli si trova di fronte a Carla e a noi tutti!... Non si potrebbe essere più...:" egli cercò la parola più espressiva per qualificare la condotta di Leo: "più porci... E poi l'ho già detto: pazienza se l'avesse fatto per forza di passione... trascinato dal proprio sentimento... Invece non c'è amore, qui, non c'è passione, non c'è affetto... nulla c'è se non la libidine e la falsità più odiosa, più ripugnante, quella che simula dei sentimenti puri e ideali... non la si può né scusare né comprendere... soltanto condannare." Prima malcerto, poi sempre più sicuro, Michele profferì le ultime parole con una forza strana e profonda che stupì lui stesso. "Quanto a Carla" concluse dopo un istante, "non ha colpa... si è lasciata stordire da quell'uomo..."

Silenzio; seduta sul divano, immobile, con la testa fra le mani, Lisa considerava il ragazzo: "Non c'è dubbio" disse alfine in tono di vaga approvazione "che la falsità sia un gran brutto difetto."

"Bruttissimo." Egli si mosse ed andò alla finestra; il sole era scomparso, e una bassa, fitta cortina di nubi grigie stava sospesa sulla città. [...]

"Ebbene va'" ella soggiunse alfine. Il ragazzo fece un gesto con la mano, puerile e prudente, che poteva significare "adagio... non c'è fretta;" si mosse: "Vado... sì, vado" ripetè.

"Puoi anche non andarci" disse la donna con voce dura; "far finta di non aver saputo nulla... a me personalmente non importa se tu ci vai o non ci vai."

Nel vestibolo ella lo aiutò a infilarsi il pastrano e gli porse il cappello:

"Allora" egli disse "tornerò domani a fare il mio rapporto." "Va bene... a domani."

Ma Michele se ne andava a malincuore; intuiva che Lisa non aveva creduto una sola parola di quel che aveva detto; avrebbe voluto far dei giuramenti, dei grandi gesti, dir delle frasi profonde: insomma convincerla; esitò... "Sono sicuro" disse alfine prendendo la mano che Lisa gli tendeva, "che tu non credi al mio odio contro Leo, al mio disgusto."

Silenzio: "Infatti non ci credo" ella rispose con semplicità.

"E perché?"

"Così."

Ancora silenzio. "E se io" domandò Michele "te lo provassi coi fatti?"

"Quali fatti?"

Egli esitò di nuovo: ora gli occhi di Lisa esprimevano una malsicura imperiosità: "Quali fatti in verità?" si ripetè. Una lieve paura l'invase di non sapere nominare quel fatto che avrebbe saputo convincere la donna della sua sincerità; poi trasportandosi da Lisa al suo nemico, spontaneamente, come si trova una cosa a lungo e senza saperlo cercata, lo scoprì: uccider Leo. L'idea gli piacque non in quanto pensava di realizzarla ma per la sua supposta efficacia sull'animo della donna.

"Per esempio" profferì tranquillamente "ci crederesti se io uccidessi Leo?"

"Se tu lo uccidessi?..." Il primo movimento di Lisa fu di spavento; egli sorrise, soddisfatto dell'impressione che avevano fatto queste parole:

"Già... se lo uccidessi..."

Ma Lisa ora si rasserenava, aveva osservato quella faccia calma, quegli occhi senza ira: "Allora sì..." sorrise con ironia "ma basta vedere il modo col quale lo dici per capire che non lo farai..."

Silenzio: "Il modo" pensò Michele irritato di aver a tal punto guastato il suo effetto; "che modo?... esiste anche un modo per dire che si vuole uccidere qualcheduno?" Il sipario calava, la commedia era caduta; non restava che andarsene:

"Così non mi credi capace di uccidere Leo?" egli insistette; vide la donna scoppiare a ridere, non troppo sicura, ma certo non spaventata.

"Io no... mio povero Michele" ella riprese alfine rallegrata e compassionevole. "Son cose che si dicono... ma tra il dire e il fare... e poi te l'ho già detto: basta guardarti in faccia per capire che non ne hai alcuna intenzione... Del resto" soggiunse come per soffocare in se stessa l'ultimo dubbio "se tu lo avessi detto seriamente, non ti lascerei andare così, via di casa mia..." Aprì la porta gli tese la mano: "Sbrigati" soggiunse, "se no, non riuscirai neppure a vederlo, Leo."

"E se io l'uccidessi?" egli ripetè con un sorriso amaro, come un ritornello, fuori dal pianerottolo. herhaalde hij met een bittere glimlach, als een refrein, vanaf de overloop.

"Allora sì... allora ci crederei" ella rispose con un sorriso profondamente incredulo; la porta si chiuse.