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Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 16 (XI-XIII)

16 (XI-XIII)

Capitolo XI

Nel sonno di Leo, gli squallidi personaggi dell'alba, i personaggi dei sonni dormiti nel mattino, mentre il sole brilla e nella stanza disfatta la luce filtra da tutte le parti come l'acqua in un bastimento sdrucito, entravano, uscivano... Carla, la madre, Michele, avevano dei gesti compiacenti e osceni, ma le loro figure impallidivano come se la luce esterna le avesse scolorite... pur dormendo Leo faceva ogni sforzo per trattenerle; "non bisogna che mi desti" si ripeteva inconsciamente "non bisogna che mi desti"; una voce poetica e lontana, piena di fioco rimprovero, lo chiamava da qualche luogo remoto: "Leo, Leo, destati, sono io;" sempre inconsciamente egli s'illudeva che non fosse che un sogno e cogli occhi ostinatamente chiusi, ravvolgendosi più che poteva nelle coperte, sperava, svanita quella momentanea confusione, di rientrare daccapo nel fitto e delizioso intrico del sogno... ma i richiami si ripeterono sempre più chiari, alfine una mano lo scosse per la spalla: allora egli aprì gli occhi e vide Mariagrazia.

Dapprima credette di veder male, riguardò, sì, non c'era dubbio, era proprio l'amante, vestita di grigio, col cappello in testa, una pelliccia intorno al collo, in piedi presso il letto; l'ombra della notte aveva lasciato la stanza, doveva essere una bella giornata, macchie gioiose di sole brillavano un po' dappertutto sui mobili polverosi e opachi.

"Tu qui?" le disse alfine "e come hai fatto ad entrare?"

"Ero venuta per portarti un biglietto" rispose Mariagrazia "ma ho trovato la porta aperta e sono entrata."

Leo la guardava con stupore; "la porta aperta?" pensò "eh già... sarà stata Carla...;" sbadigliò, si stirò senza riguardo:

"E sei venuta per dirmi?"

La madre sedette sul letto, in quell'ombra tutta rigata dai fili di luce che le stecche della persiana lasciavano trapelare:

"Volevo telefonartelo" incominciò "ma poiché non paghiamo le tasse da due mesi, ci hanno sospeso il telefono... ieri sera mi hai promesso che ci saremmo visti domani... ma poi ci ho ripensato... non saresti libero oggi nel pomeriggio?"

Leo si prese le ginocchia tra le braccia: " Oggi nel pomeriggio?" ripetè; questa proposta non gli dispiaceva, calcolava che se si fosse liberato quel giorno stesso dell'impiccio della madre, avrebbe avuto tutto il resto della settimana libero per Carla; ma a scanso di sorprese non volle prometter nulla.

"Senti" disse "oggi dopo pranzo verrò da voi... saprò dirtene allora qualche cosa... va bene?"

"Va bene."

Seguì un lungo silenzio; diffidente e malcontenta Mariagrazia si guardava intorno, esaminava con attenzione le suppellettili troppo note, il letto, il volto dell'amante; le parve che quest'ultimo fosse pallido e un po' stravolto; questo e l'altro fatto di averlo trovato ancora immerso nel sonno bastarono per confermarla in certi suoi gelosi sospetti, "ha passato la notte con Lisa" pensò "non c'è dubbio... forse Lisa era qui poco fa," un aspro rancore l'invase, gettò all'amante un'occhiata piena di velenoso rimprovero.

"Io" disse in tono agrodolce "al tuo posto, non farei come se avessi vent'anni."

"Sarebbe a dire?" domandò Leo interdetto.

"Sarebbe a dire" rispose Mariagrazia "che tu invecchi e non te ne accorgi... e non t'accorgi neppure che pazzie come quelle che probabilmente hai fatto stanotte non ne puoi più fare... guardati in uno specchio" ella soggiunse alzando la voce "guarda per piacere che occhi hai, che mascherone, che bei colori... guardati per favore..."

"Io invecchio?... e quali pazzie?..." ripetè Leo irritato soprattutto da quella diretta allusione alla sua età quasi matura "di quali pazzie vai parlando?"

"Eh, m'intendo io" disse la madre con un gesto della mano "ma sai cosa ti dico?... che tra uno o due anni al massimo ti porteranno in carrozzella... sicuro, non potrai neppur più camminare."

Leo alzò con furore le spalle: "Se sei venuta per dirmi queste sciocchezze, è meglio che tu te ne vada..." Guardò l'orologio sul tavolo a fianco al letto: "Le dodici!... ed io che sto a sentirti quando ho un appuntamento alla mezza... vattene, vattene subito;" saltò giù dal letto, infilò i piedi nelle pantofole, andò alla finestra, tirò su la persiana; la stanza si empì di luce.

"E la mia veste da camera non te la metti?" domandò la madre senza muoversi dal letto "forse l'hai già regalata a qualche amante di passaggio?"

Leo non rispose nulla e passò nel bagno; Mariagrazia si alzò, e un po' per curiosità, un po' per sfaccendamento si diede a girare attorno per la stanza. "Anche quell'altro mio dono, quel magnifico vaso di Murano è sparito... hai regalato anche quello?" ella gridò ad un certo momento; daccapo nessuna risposta; si sentiva, là, nel bagno, un getto d'acqua scrosciare. Leo prendeva la doccia.

Scoraggiata ma non vinta, Mariagrazia continuò la sua ispezione; ogni oggetto di quella stanza evocava alla sua memoria gradevoli ricordi, spesso ella sospirava facendo il confronto tra la miseria presente e quei bei tempi passati; la vista della propria fotografia posata sopra il cassettone, le ridiede un poco di fiducia, "in fondo non ama che me" ella pensò "quando sta male, quando ha qualche noia, è sempre a me che ricorre... questa non è che freddezza momentanea... mi tornerà;" aveva, appuntate al petto, un mazzo di viole comprate poco prima per strada; un po' per gratitudine, un po' con la vaga idea di fare una gentilezza, si tolse di dosso quei fiori, e li dispose in un vasetto presso la fotografia; poi entrò nel bagno.

In piedi, investe da camera, Leo si radeva la barba. "Allora ti lascio" ella gli disse "e... a proposito... oggi, quando verrai, fingi di non avermi vista, come se ti fosse veramente arrivato quel biglietto... siamo intesi?.."

"Siamo intesi" egli ripetè senza voltarsi.

Soddisfatta, Mariagrazia se ne andò; discese in fretta la scala, uscì; all'angolo della strada, salì in un tram che andava verso il centro della città; erano forse già venti minuti che Lisa doveva aspettarla in quel negozio di cappelli dove si erano date convegno per esaminare i nuovi modelli di Parigi... La madre sedeva in un angolo presso il finestrino, voltava più che poteva il dorso al popolo del tram e guardava nella strada; i marciapiedi erano affollati di una viva moltitudine di lavoratori di ogni specie che tornavano alle loro case; il freddo sole di febbraio illuminava le loro facce arrossate dal vento diaccio sotto le falde usate dei cappelli scoloriti e deformi, e le loro persone chiuse nei pastrani inverditi dal tempo; era un solicello bianco e senza calore che si diffondeva generosamente su tutti quegli stracci quasi avesse voluto benedirli; una dopo l'altra sfilavano le brillanti botteghe con quelle scritte dipinte in rosso, in bianco o in blu sulle vetrine; le insegne luminose sospese ai cornicioni, grigie e spente, parevano delle larve incenerite; il tram avanzava lentamente, multicolore, volgare e pieno come un carosello, fremeva, tintinnava... Ogni tanto, sotto gli occhi della madre, con un rapido movimento, il cofano lucido e oblungo di una automobile avanzava, si fermava quasi cercando un varco coi suoi grossi fanali, balzava avanti... ella vedeva dietro una lastra di vetro, fermo al suo posto, con le mani guantate posate sul volante, un autista tutto vestito di cuoio e poi, adagiato sopra i cuscini di pelle, soddisfattissimo, con l'occhio semiaperto abbassato sulla folla, un personaggio panciuto, oppure, avvolta nelle sue gonfie pellicce, qualche signora dal volto delicato e dipinto... Allora, senza volerlo, la madre sospirava: ella non avrebbe potuto mai passare tra la folla malvestita in un'imponente e poderosa macchina, i suoi anni erano svaniti, la sua giovinezza si era dileguata nella lucida automobile dei suoi sogni; a poco a poco le figure della sua invidia, quei personaggi effimeri passati via con la rapidità delle frecce nei loro carri rombanti si erano allontanati anche dalla sua fantasia e dalla sua speranza, rassegnata ella continuava il suo cammino, non senza una specie di disgustata dignità, in quel colorato carrozzone di ferro e di vetro. [...]

Capitolo XIII

Michele era uscito per visitare Lisa; per tutta la mattinata l'idea di quest'incontro si era nascosta dietro ogni suo pensiero, creando quello stesso disagio che in una compagnia numerosa provoca un fatto a tutti noto e di cui nessuno osa parlar per primo; per tutta la mattina, questo ricordo, il baciamano del giorno prima, nell'oscurità, non aveva lasciato i piani inferiori della sua coscienza, formando intorno ai suoi pensieri una atmosfera provvisoria e scoraggiante: egli indovinava oscuramente che la questione essenziale non era per quelle ore dedicarsi a questa o ad un'altra occupazione, ma sapere se doveva tornare da Lisa o no, che l'importante non era leggere, scrivere, parlare, vivere in un modo qualsiasi, ma amare Lisa; finalmente, dopo pranzo, col pretesto di una passeggiata era uscito.

La vera ragione di questa sua uscita gli apparve subito appena fuori ed ebbe rivolto gli occhi al cielo che, puro pochi minuti prima, ora si andava riempiendo di una nuvolaglia bianca e minuta. "Si capisce," pensò con calma chiudendo dietro di sé la porticina del parco, "che non esco per passeggiare o per prendere un caffè... no... bisogna che me ne convinca: io esco per andare da Lisa." Gli parve di esser molto forte andando così incontro alle proprie inevitabili viltà, e in un certo modo, di accettare coraggiosamente delle condizioni che nessuna volontà avrebbe potuto trasformare; erano stati inutili quella falsità caparbia, quell'orgoglio puerile che per un solo istante gli avevano fatto credere ad una nuova tresca di Lisa col suo antico amante, e poi gli aveva pesato addosso, obbligandolo a continuare in una direzione sbagliata. Ora capiva che quell'inchino ironico dalla porta a Lisa discinta e ansante non gli era stato suggerito da alcun vero sentimento: egli avrebbe potuto con altrettanta facilità entrare, sedersi, discorrere, oppure accettare con serenità il fatto compiuto, oppure ancora portarsi via Lisa, strappandola dalle braccia di Leo; invece, con un fiuto di commediante costretto ad improvvisare la sua parte, egli aveva scelto quell'atteggiamento ironico come il più adatto o meglio, il più naturale e più tradizionale in tali circostanze: qualche parola, un inchino e via; ma poi, nella strada, nessuna gelosia, nessun dolore: soltanto un intollerabile disgusto di questa sua versatile indifferenza che gli permetteva di cambiare ogni giorno, come altri il vestito, le proprie idee e i propri atteggiamenti.

L'importanza di questa sua visita era per lui evidente ed estrema: era l'ultima prova della sua sincerità, dopo il fallimento della quale o egli sarebbe restato in queste provvisorie condizioni di dubbio e di ricerca, o si sarebbe incamminato per la via opposta, quella di tutti, dove le azioni non sono sorrette da alcuna fede o sincerità, si valgono tutte tra di loro e si accumulano in belle stratificazioni sullo spirito dimenticato fino a soffocarlo; ma se la prova riusciva, tutto sarebbe mutato: egli avrebbe ritrovato la sua realtà concreta come un artista ritrova l'ispirazione dei tempi più felici; una nuova vita sarebbe cominciata, la vera, la sola possibile.

Voltò in una strada più grande e si trovò presso il segnale davanti al quale si fermava il tram che portava al quartiere di Lisa. Aveva da aspettarlo o no? Guardò l'orologio: era presto, meglio andare a piedi. Riprese il cammino coi suoi pensieri; dunque, ricapitolando, le ipotesi erano due: o egli riusciva nei suoi scopi di sincerità, o si adattava a vivere come tutti gli altri.

La prima ipotesi era chiara; si trattava di isolarsi con poche idee, con pochi sentimenti veramente sentiti, con poche persone veramente amate, se ce n'erano, e ricominciare su queste basi esigue ma solide una vita fedele ai suoi principi di sincerità. La seconda, eccola qui: nulla sarebbe mutato se non nel suo spirito sconfitto; avrebbe aggiustato alla meglio la situazione come una brutta casa in rovina, che si rifà qua e là, non essendo possibile per mancanza di denari fabbricarne una nuova: avrebbe lasciato che la sua famiglia andasse in rovina o che si facesse mantenere da Leo, e si sarebbe risolto a sua volta (benché molto l'umiliasse accontentarsi di una tale consolazione) a far la sua piccola sudiceria con Lisa; porcherie, piccole bassezze, piccole falsità, chi non ne depone in tutti gli angoli dell'esistenza come in quelli di una grande casa vuota? Addio vita chiara, vita limpida: sarebbe diventato l'amante di Lisa.

E la villa? e l'ipoteca? Per questo sarebbe venuto a patti con Leo:

"Tu mi dai i denari che serviranno a farci campare me e la mia famiglia, io in cambio ti do..." In verità cosa restava che Leo non avesse già preso?... Vediamo, un momento...: restava Lisa... con... con cui Leo aveva tentato invano di riallacciare gli antichi legami... Lisa, già, sicuro... dunque: "Tu mi dai i denari... ed io in cambio convinco Lisa..."

Gli parve di vedere come sarebbe andata quest'ultima faccenda.

Una sera, dopo molte esitazioni, ne avrebbe parlato alla donna; ella avrebbe protestato. "Fallo per amor mio" egli avrebbe allora supplicato; "se mi ami devi farlo." Alla fine ella si sarebbe rassegnata, forse, chissà? non troppo malcontenta in fondo di tornare alle antiche amicizie. "E sia," avrebbe risposto, non senza lanciargli un'occhiata di disprezzo, "fallo venire... ma non credere che io lo faccia per la tua famiglia... soltanto per te." Egli l'avrebbe abbracciata, l'avrebbe calorosamente ringraziata, sarebbe andato di là, nell'anticamera, a chiamar Leo: "Vai" gli avrebbe detto; "Lisa ti aspetta." E l'avrebbe condotto per mano, l'avrebbe gettato tra le braccia della donna; dove glieli avrebbe dati i denari, Leo? qui, nella casa di Lisa, sotto gli occhi della donna, o altrove? Altrove. Poi discretamente, se ne sarebbe andato, chiudendo dietro di sé la porta, augurando la buona notte; sarebbe andato ad aspettare a sua volta nell'anticamera; che lunga, interminabile notte avrebbe allora passato, seduto nel vestibolo, ascoltando i rumori della stanza accanto, dove quei due se ne stavano in letto; dormendo, destandosi ogni tanto di soprassalto e sempre ritrovando davanti a sé quel pastrano appeso all'attaccapanni, rivelatore della presenza dell'uomo presso la sua amante; che notte senza fine! E verso l'alba Leo se ne sarebbe andato, senza ringraziarlo, senza guardarlo in faccia, permettendogli appena di aiutarlo a infilare il soprabito; gli avrebbe ceduto il posto in un letto disfatto e insudiciato, presso una Lisa seminuda, rovesciata nel sonno e nell'oscurità dal faticoso godimento, come da una pesante ebbrezza. E non sarebbe stata né la prima né l'ultima volta; Leo sarebbe tornato, spesso, ogniqualvolta egli avrebbe avuto bisogno di quattrini... "Anche questa" concluse distrattamente, "sarebbe una soluzione." Ma si sentiva mortalmente stanco come se tutte queste fantasie fossero state fatti veri e accaduti. E se Leo non avesse voluto saperne di Lisa, o viceversa Lisa di Leo? Allora... allora... non restava che Carla per salvare la situazione... Giustissimo... anche Carla era una risorsa... poiché era necessario vivere in quel modo, meglio andare fino in fondo. Restava dunque Carla... da sposare, già da dare in moglie a Leo... Sarebbe stato un matrimonio di affari, di denari, come se ne vedono tanti e son poi quelli che riescono meglio; l'amore sarebbe venuto dopo... e se anche non fosse venuto non sarebbe stato un gran male... Carla poteva consolarsi in tanti modi, non c'era soltanto Leo al mondo... giustissimo... Però... però... e se Leo non avesse voluto dare i suoi denari che a patto di farne la sua amante?

"È capace anche di questo" pensò Michele "capacissimo." Si fermò un istante: gli parve che la testa gli girasse; una stanchezza, un disgusto senza speranza gli pesavano addosso: il cuore gli tremava; ma implacabile riprese il cammino e i suoi pensieri: "Avanti, avanti..." pensò, e oscuramente si meravigliava di questa sua capacità di scoprire sempre nuove abiezioni; quando ne sarebbe arrivata la fine? "Bisogna arrivare fino in fondo."

Sorrise pallidamente... Dunque se Leo non avesse voluto sposarsi... anche quest'ipotesi era probabile... in tal caso un altro accordo avrebbe potuto farsi tra le due parti contraenti... Leo avrebbe dato i soliti quattrini e in considerazione della giovinezza intatta, della bellezza di Carla, gli sarebbe stata richiesta una somma due, tre volte maggiore di quella che sarebbe bastata per Lisa matura e corrotta... Ad ogni merce il suo prezzo... ed egli... ed egli in cambio si sarebbe impegnato, sicuro, in tale atmosfera, sopra un tale pendio anche a questo si poteva arrivare, si sarebbe impegnato a facilitare le cose presso la sorella. Difficile impegno; Carla doveva avere dei principi o forse, chissà? amare qualchedun altro; difficilissimo... Due tattiche erano da prendersi in considerazione: o dire ogni cosa insieme, adducendo vari pretesti, l'onore della famiglia, la miseria, e con la stessa violenza e subitaneità della pressione vincere di un sol colpo la battaglia; oppure preparare lentamente la fanciulla, facendole capire a poco a poco, ossessionandola, oggi una parola, domani un'altra, facendole indovinare con accenni ripetuti e insistenti quel che si esigeva da lei... Di queste due maniere quale la migliore?... La seconda, indubbiamente... molto più facile lasciarle capire certe cose, che dirle... e poi, in un'atmosfera di disagio, abilmente preparata, a forza di accenni e di allusioni, a forza di seduzioni, Carla, sola e debole, avrebbe finito per cedere... "Avviene a tante ragazze" pensò egli "perché non a lei?"


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Capitolo XI

Nel sonno di Leo, gli squallidi personaggi dell'alba, i personaggi dei sonni dormiti nel mattino, mentre il sole brilla e nella stanza disfatta la luce filtra da tutte le parti come l'acqua in un bastimento sdrucito, entravano, uscivano... Carla, la madre, Michele, avevano dei gesti compiacenti e osceni, ma le loro figure impallidivano come se la luce esterna le avesse scolorite... pur dormendo Leo faceva ogni sforzo per trattenerle; "non bisogna che mi desti" si ripeteva inconsciamente "non bisogna che mi desti"; una voce poetica e lontana, piena di fioco rimprovero, lo chiamava da qualche luogo remoto: "Leo, Leo, destati, sono io;" sempre inconsciamente egli s'illudeva che non fosse che un sogno e cogli occhi ostinatamente chiusi, ravvolgendosi più che poteva nelle coperte, sperava, svanita quella momentanea confusione, di rientrare daccapo nel fitto e delizioso intrico del sogno... ma i richiami si ripeterono sempre più chiari, alfine una mano lo scosse per la spalla: allora egli aprì gli occhi e vide Mariagrazia.

Dapprima credette di veder male, riguardò, sì, non c'era dubbio, era proprio l'amante, vestita di grigio, col cappello in testa, una pelliccia intorno al collo, in piedi presso il letto; l'ombra della notte aveva lasciato la stanza, doveva essere una bella giornata, macchie gioiose di sole brillavano un po' dappertutto sui mobili polverosi e opachi.

"Tu qui?" le disse alfine "e come hai fatto ad entrare?"

"Ero venuta per portarti un biglietto" rispose Mariagrazia "ma ho trovato la porta aperta e sono entrata."

Leo la guardava con stupore; "la porta aperta?" pensò "eh già... sarà stata Carla...;" sbadigliò, si stirò senza riguardo:

"E sei venuta per dirmi?"

La madre sedette sul letto, in quell'ombra tutta rigata dai fili di luce che le stecche della persiana lasciavano trapelare:

"Volevo telefonartelo" incominciò "ma poiché non paghiamo le tasse da due mesi, ci hanno sospeso il telefono... ieri sera mi hai promesso che ci saremmo visti domani... ma poi ci ho ripensato... non saresti libero oggi nel pomeriggio?"

Leo si prese le ginocchia tra le braccia: " Oggi nel pomeriggio?" ripetè; questa proposta non gli dispiaceva, calcolava che se si fosse liberato quel giorno stesso dell'impiccio della madre, avrebbe avuto tutto il resto della settimana libero per Carla; ma a scanso di sorprese non volle prometter nulla.

"Senti" disse "oggi dopo pranzo verrò da voi... saprò dirtene allora qualche cosa... va bene?"

"Va bene."

Seguì un lungo silenzio; diffidente e malcontenta Mariagrazia si guardava intorno, esaminava con attenzione le suppellettili troppo note, il letto, il volto dell'amante; le parve che quest'ultimo fosse pallido e un po' stravolto; questo e l'altro fatto di averlo trovato ancora immerso nel sonno bastarono per confermarla in certi suoi gelosi sospetti, "ha passato la notte con Lisa" pensò "non c'è dubbio... forse Lisa era qui poco fa," un aspro rancore l'invase, gettò all'amante un'occhiata piena di velenoso rimprovero.

"Io" disse in tono agrodolce "al tuo posto, non farei come se avessi vent'anni."

"Sarebbe a dire?" domandò Leo interdetto.

"Sarebbe a dire" rispose Mariagrazia "che tu invecchi e non te ne accorgi... e non t'accorgi neppure che pazzie come quelle che probabilmente hai fatto stanotte non ne puoi più fare... guardati in uno specchio" ella soggiunse alzando la voce "guarda per piacere che occhi hai, che mascherone, che bei colori... guardati per favore..."

"Io invecchio?... e quali pazzie?..." ripetè Leo irritato soprattutto da quella diretta allusione alla sua età quasi matura "di quali pazzie vai parlando?"

"Eh, m'intendo io" disse la madre con un gesto della mano "ma sai cosa ti dico?... che tra uno o due anni al massimo ti porteranno in carrozzella... sicuro, non potrai neppur più camminare."

Leo alzò con furore le spalle: "Se sei venuta per dirmi queste sciocchezze, è meglio che tu te ne vada..." Guardò l'orologio sul tavolo a fianco al letto: "Le dodici!... ed io che sto a sentirti quando ho un appuntamento alla mezza... vattene, vattene subito;" saltò giù dal letto, infilò i piedi nelle pantofole, andò alla finestra, tirò su la persiana; la stanza si empì di luce.

"E la mia veste da camera non te la metti?" domandò la madre senza muoversi dal letto "forse l'hai già regalata a qualche amante di passaggio?"

Leo non rispose nulla e passò nel bagno; Mariagrazia si alzò, e un po' per curiosità, un po' per sfaccendamento si diede a girare attorno per la stanza. "Anche quell'altro mio dono, quel magnifico vaso di Murano è sparito... hai regalato anche quello?" ella gridò ad un certo momento; daccapo nessuna risposta; si sentiva, là, nel bagno, un getto d'acqua scrosciare. Leo prendeva la doccia.

Scoraggiata ma non vinta, Mariagrazia continuò la sua ispezione; ogni oggetto di quella stanza evocava alla sua memoria gradevoli ricordi, spesso ella sospirava facendo il confronto tra la miseria presente e quei bei tempi passati; la vista della propria fotografia posata sopra il cassettone, le ridiede un poco di fiducia, "in fondo non ama che me" ella pensò "quando sta male, quando ha qualche noia, è sempre a me che ricorre... questa non è che freddezza momentanea... mi tornerà;" aveva, appuntate al petto, un mazzo di viole comprate poco prima per strada; un po' per gratitudine, un po' con la vaga idea di fare una gentilezza, si tolse di dosso quei fiori, e li dispose in un vasetto presso la fotografia; poi entrò nel bagno.

In piedi, investe da camera, Leo si radeva la barba. "Allora ti lascio" ella gli disse "e... a proposito... oggi, quando verrai, fingi di non avermi vista, come se ti fosse veramente arrivato quel biglietto... siamo intesi?.."

"Siamo intesi" egli ripetè senza voltarsi.

Soddisfatta, Mariagrazia se ne andò; discese in fretta la scala, uscì; all'angolo della strada, salì in un tram che andava verso il centro della città; erano forse già venti minuti che Lisa doveva aspettarla in quel negozio di cappelli dove si erano date convegno per esaminare i nuovi modelli di Parigi... La madre sedeva in un angolo presso il finestrino, voltava più che poteva il dorso al popolo del tram e guardava nella strada; i marciapiedi erano affollati di una viva moltitudine di lavoratori di ogni specie che tornavano alle loro case; il freddo sole di febbraio illuminava le loro facce arrossate dal vento diaccio sotto le falde usate dei cappelli scoloriti e deformi, e le loro persone chiuse nei pastrani inverditi dal tempo; era un solicello bianco e senza calore che si diffondeva generosamente su tutti quegli stracci quasi avesse voluto benedirli; una dopo l'altra sfilavano le brillanti botteghe con quelle scritte dipinte in rosso, in bianco o in blu sulle vetrine; le insegne luminose sospese ai cornicioni, grigie e spente, parevano delle larve incenerite; il tram avanzava lentamente, multicolore, volgare e pieno come un carosello, fremeva, tintinnava... Ogni tanto, sotto gli occhi della madre, con un rapido movimento, il cofano lucido e oblungo di una automobile avanzava, si fermava quasi cercando un varco coi suoi grossi fanali, balzava avanti... ella vedeva dietro una lastra di vetro, fermo al suo posto, con le mani guantate posate sul volante, un autista tutto vestito di cuoio e poi, adagiato sopra i cuscini di pelle, soddisfattissimo, con l'occhio semiaperto abbassato sulla folla, un personaggio panciuto, oppure, avvolta nelle sue gonfie pellicce, qualche signora dal volto delicato e dipinto... Allora, senza volerlo, la madre sospirava: ella non avrebbe potuto mai passare tra la folla malvestita in un'imponente e poderosa macchina, i suoi anni erano svaniti, la sua giovinezza si era dileguata nella lucida automobile dei suoi sogni; a poco a poco le figure della sua invidia, quei personaggi effimeri passati via con la rapidità delle frecce nei loro carri rombanti si erano allontanati anche dalla sua fantasia e dalla sua speranza, rassegnata ella continuava il suo cammino, non senza una specie di disgustata dignità, in quel colorato carrozzone di ferro e di vetro. [...]

Capitolo XIII

Michele era uscito per visitare Lisa; per tutta la mattinata l'idea di quest'incontro si era nascosta dietro ogni suo pensiero, creando quello stesso disagio che in una compagnia numerosa provoca un fatto a tutti noto e di cui nessuno osa parlar per primo; per tutta la mattina, questo ricordo, il baciamano del giorno prima, nell'oscurità, non aveva lasciato i piani inferiori della sua coscienza, formando intorno ai suoi pensieri una atmosfera provvisoria e scoraggiante: egli indovinava oscuramente che la questione essenziale non era per quelle ore dedicarsi a questa o ad un'altra occupazione, ma sapere se doveva tornare da Lisa o no, che l'importante non era leggere, scrivere, parlare, vivere in un modo qualsiasi, ma amare Lisa; finalmente, dopo pranzo, col pretesto di una passeggiata era uscito.

La vera ragione di questa sua uscita gli apparve subito appena fuori ed ebbe rivolto gli occhi al cielo che, puro pochi minuti prima, ora si andava riempiendo di una nuvolaglia bianca e minuta. "Si capisce," pensò con calma chiudendo dietro di sé la porticina del parco, "che non esco per passeggiare o per prendere un caffè... no... bisogna che me ne convinca: io esco per andare da Lisa." Gli parve di esser molto forte andando così incontro alle proprie inevitabili viltà, e in un certo modo, di accettare coraggiosamente delle condizioni che nessuna volontà avrebbe potuto trasformare; erano stati inutili quella falsità caparbia, quell'orgoglio puerile che per un solo istante gli avevano fatto credere ad una nuova tresca di Lisa col suo antico amante, e poi gli aveva pesato addosso, obbligandolo a continuare in una direzione sbagliata. Ora capiva che quell'inchino ironico dalla porta a Lisa discinta e ansante non gli era stato suggerito da alcun vero sentimento: egli avrebbe potuto con altrettanta facilità entrare, sedersi, discorrere, oppure accettare con serenità il fatto compiuto, oppure ancora portarsi via Lisa, strappandola dalle braccia di Leo; invece, con un fiuto di commediante costretto ad improvvisare la sua parte, egli aveva scelto quell'atteggiamento ironico come il più adatto o meglio, il più naturale e più tradizionale in tali circostanze: qualche parola, un inchino e via; ma poi, nella strada, nessuna gelosia, nessun dolore: soltanto un intollerabile disgusto di questa sua versatile indifferenza che gli permetteva di cambiare ogni giorno, come altri il vestito, le proprie idee e i propri atteggiamenti.

L'importanza di questa sua visita era per lui evidente ed estrema: era l'ultima prova della sua sincerità, dopo il fallimento della quale o egli sarebbe restato in queste provvisorie condizioni di dubbio e di ricerca, o si sarebbe incamminato per la via opposta, quella di tutti, dove le azioni non sono sorrette da alcuna fede o sincerità, si valgono tutte tra di loro e si accumulano in belle stratificazioni sullo spirito dimenticato fino a soffocarlo; ma se la prova riusciva, tutto sarebbe mutato: egli avrebbe ritrovato la sua realtà concreta come un artista ritrova l'ispirazione dei tempi più felici; una nuova vita sarebbe cominciata, la vera, la sola possibile.

Voltò in una strada più grande e si trovò presso il segnale davanti al quale si fermava il tram che portava al quartiere di Lisa. Aveva da aspettarlo o no? Guardò l'orologio: era presto, meglio andare a piedi. Riprese il cammino coi suoi pensieri; dunque, ricapitolando, le ipotesi erano due: o egli riusciva nei suoi scopi di sincerità, o si adattava a vivere come tutti gli altri.

La prima ipotesi era chiara; si trattava di isolarsi con poche idee, con pochi sentimenti veramente sentiti, con poche persone veramente amate, se ce n'erano, e ricominciare su queste basi esigue ma solide una vita fedele ai suoi principi di sincerità. La seconda, eccola qui: nulla sarebbe mutato se non nel suo spirito sconfitto; avrebbe aggiustato alla meglio la situazione come una brutta casa in rovina, che si rifà qua e là, non essendo possibile per mancanza di denari fabbricarne una nuova: avrebbe lasciato che la sua famiglia andasse in rovina o che si facesse mantenere da Leo, e si sarebbe risolto a sua volta (benché molto l'umiliasse accontentarsi di una tale consolazione) a far la sua piccola sudiceria con Lisa; porcherie, piccole bassezze, piccole falsità, chi non ne depone in tutti gli angoli dell'esistenza come in quelli di una grande casa vuota? Addio vita chiara, vita limpida: sarebbe diventato l'amante di Lisa.

E la villa? e l'ipoteca? Per questo sarebbe venuto a patti con Leo:

"Tu mi dai i denari che serviranno a farci campare me e la mia famiglia, io in cambio ti do..." In verità cosa restava che Leo non avesse già preso?... Vediamo, un momento...: restava Lisa... con... con cui Leo aveva tentato invano di riallacciare gli antichi legami... Lisa, già, sicuro... dunque: "Tu mi dai i denari... ed io in cambio convinco Lisa..."

Gli parve di vedere come sarebbe andata quest'ultima faccenda.

Una sera, dopo molte esitazioni, ne avrebbe parlato alla donna; ella avrebbe protestato. "Fallo per amor mio" egli avrebbe allora supplicato; "se mi ami devi farlo." Alla fine ella si sarebbe rassegnata, forse, chissà? non troppo malcontenta in fondo di tornare alle antiche amicizie. "E sia," avrebbe risposto, non senza lanciargli un'occhiata di disprezzo, "fallo venire... ma non credere che io lo faccia per la tua famiglia... soltanto per te." Egli l'avrebbe abbracciata, l'avrebbe calorosamente ringraziata, sarebbe andato di là, nell'anticamera, a chiamar Leo: "Vai" gli avrebbe detto; "Lisa ti aspetta." E l'avrebbe condotto per mano, l'avrebbe gettato tra le braccia della donna; dove glieli avrebbe dati i denari, Leo? qui, nella casa di Lisa, sotto gli occhi della donna, o altrove? Altrove. Poi discretamente, se ne sarebbe andato, chiudendo dietro di sé la porta, augurando la buona notte; sarebbe andato ad aspettare a sua volta nell'anticamera; che lunga, interminabile notte avrebbe allora passato, seduto nel vestibolo, ascoltando i rumori della stanza accanto, dove quei due se ne stavano in letto; dormendo, destandosi ogni tanto di soprassalto e sempre ritrovando davanti a sé quel pastrano appeso all'attaccapanni, rivelatore della presenza dell'uomo presso la sua amante; che notte senza fine! E verso l'alba Leo se ne sarebbe andato, senza ringraziarlo, senza guardarlo in faccia, permettendogli appena di aiutarlo a infilare il soprabito; gli avrebbe ceduto il posto in un letto disfatto e insudiciato, presso una Lisa seminuda, rovesciata nel sonno e nell'oscurità dal faticoso godimento, come da una pesante ebbrezza. E non sarebbe stata né la prima né l'ultima volta; Leo sarebbe tornato, spesso, ogniqualvolta egli avrebbe avuto bisogno di quattrini... "Anche questa" concluse distrattamente, "sarebbe una soluzione." Ma si sentiva mortalmente stanco come se tutte queste fantasie fossero state fatti veri e accaduti. E se Leo non avesse voluto saperne di Lisa, o viceversa Lisa di Leo? Allora... allora... non restava che Carla per salvare la situazione... Giustissimo... anche Carla era una risorsa... poiché era necessario vivere in quel modo, meglio andare fino in fondo. Restava dunque Carla... da sposare, già da dare in moglie a Leo... Sarebbe stato un matrimonio di affari, di denari, come se ne vedono tanti e son poi quelli che riescono meglio; l'amore sarebbe venuto dopo... e se anche non fosse venuto non sarebbe stato un gran male... Carla poteva consolarsi in tanti modi, non c'era soltanto Leo al mondo... giustissimo... Però... però... e se Leo non avesse voluto dare i suoi denari che a patto di farne la sua amante?

"È capace anche di questo" pensò Michele "capacissimo." Si fermò un istante: gli parve che la testa gli girasse; una stanchezza, un disgusto senza speranza gli pesavano addosso: il cuore gli tremava; ma implacabile riprese il cammino e i suoi pensieri: "Avanti, avanti..." pensò, e oscuramente si meravigliava di questa sua capacità di scoprire sempre nuove abiezioni; quando ne sarebbe arrivata la fine? "Bisogna arrivare fino in fondo."

Sorrise pallidamente... Dunque se Leo non avesse voluto sposarsi... anche quest'ipotesi era probabile... in tal caso un altro accordo avrebbe potuto farsi tra le due parti contraenti... Leo avrebbe dato i soliti quattrini e in considerazione della giovinezza intatta, della bellezza di Carla, gli sarebbe stata richiesta una somma due, tre volte maggiore di quella che sarebbe bastata per Lisa matura e corrotta... Ad ogni merce il suo prezzo... ed egli... ed egli in cambio si sarebbe impegnato, sicuro, in tale atmosfera, sopra un tale pendio anche a questo si poteva arrivare, si sarebbe impegnato a facilitare le cose presso la sorella. Difficile impegno; Carla doveva avere dei principi o forse, chissà? amare qualchedun altro; difficilissimo... Due tattiche erano da prendersi in considerazione: o dire ogni cosa insieme, adducendo vari pretesti, l'onore della famiglia, la miseria, e con la stessa violenza e subitaneità della pressione vincere di un sol colpo la battaglia; oppure preparare lentamente la fanciulla, facendole capire a poco a poco, ossessionandola, oggi una parola, domani un'altra, facendole indovinare con accenni ripetuti e insistenti quel che si esigeva da lei... Di queste due maniere quale la migliore?... La seconda, indubbiamente... molto più facile lasciarle capire certe cose, che dirle... e poi, in un'atmosfera di disagio, abilmente preparata, a forza di accenni e di allusioni, a forza di seduzioni, Carla, sola e debole, avrebbe finito per cedere... "Avviene a tante ragazze" pensò egli "perché non a lei?"