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Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 15 (X)

15 (X)

Capitolo X

II primo ad addormentarsi fu Leo; l'impreveduta seppure inesperta sfrenatezza di Carla l'aveva spossato. Dopo l'ultimo abbraccio poiché stettero per qualche istante ambedue immobili, con le membra madide confuse tra di loro, gli occhi socchiusi e le teste unite sul capezzale in una specie di esausto dormiveglia, la fanciulla sentì l'amante ritirar pian piano il braccio dalla sua vita, districar le gambe dalle sue e voltarsi verso la parete. "E domani mattina?..." ella pensò confusamente ascoltando il respiro tranquillo del dormiente, "e domani mattina?" Si sentiva anche lei stanchissima, quella fitta oscurità della stanza le pareva un secolo che ci stava immersa, la testa le doleva, non osava muoversi;

[...] La memoria dei fatti le tornava a brani: ora le pareva di rivedersi in quell'automobile in corsa, sotto la pioggia, per le vie della città; ora nel salotto, seduta sulle ginocchia dell'amante; quasi simultaneamente le riapparvero l'immagine di Leo in atto d'entrar nel letto dov'ella l'aspettava e l'altra più strana e più turbante di loro due nudi, l'uno a fianco all'altro, insonnoliti e storditi in quella luce accecante della stanza da bagno tutta murata di maiolica bianca, dritti, in piedi in attesa di quell'acqua calda con la quale si sarebbero lavati. Questi ricordi così recenti le parevano invece lontani e come staccati dalla sua persona, non li possedeva né se li spiegava, le sembravano pieni di una inammissibile irrealtà; e pure non c'era dubbio, questa vita così vicina che le figure che vi si muovevano le apparivano grandi al naturale, l'aveva vissuta lei; bastava che ella tendesse una mano sotto le lenzuola per toccare il corpo nudo dell'amante addormentato o che accendesse la luce per convincersi che ella si trovava davvero nella camera di Leo e non nella sua: "Lontana dalla mia casa," pensò finalmente con un turbamento straordinario; "qui... nel letto del mio amante..." Ma se le rievocazioni dei fatti più normali di quella notte già la stupivano, certe altre di cose che nonché prevedere aveva sempre ignorato, la sconvolgevano addirittura, non si saziava di analizzarle, ricominciava più volte a ricostruirle, per così dire le riassaporava., per esempio la memoria precisa di certe momentanee chiaroveggenze, per le quali, quando la lampada era ancora accesa, aveva sorpreso, foss'anche per un attimo, certi loro atteggiamenti, di lei e dell'amante, di una tale indecente mostruosità, che le si erano per così dire stampati in mente in modo incancellabile.

Ma fosse l'oscurità che l'avvolgeva, fosse veramente un senso di paura e d'incertezza, a poco a poco queste rievocazioni la stancarono, non bastarono più a distrarla dalla coscienza delle sue presenti condizioni. "E ora" pensò ad un tratto "cosa mi succederà?" Non voleva confessarselo ma si sentiva terribilmente sola... ecco... stava distesa supina, in quel letto, abbandonata ai suoi pensieri solitari, alle sue paure, alla sua debolezza; la notte riempiva i suoi occhi sbarrati, l'amante non l'accarezzava sulla fronte, non ravviava i suoi capelli scomposti, non l'assisteva nel suo angoscioso dormiveglia, non la difendeva, era come se non ci fosse...: un respiro tranquillo e niente di più, là, alla sua destra, poteva esser tanto di Leo che di un'altra persona, le ricordava ogni tanto che non era sola.

Le venne d'improvviso un desiderio isterico di compagnia e di carezze; "perché dorme," si domandava, "perché non si cura di me?" quel respiro letargico, là, al suo fianco, aveva finito insensibilmente per spaventarla, non le pareva dell'amante, ma di un altro uomo a lei sconosciuto e magari anche ostile; c'era insomma in quel respiro un ritmo così indifferente, una regolarità tanto mostruosamente in contrasto con le sue angosce e i suoi fantasmi ch'ella non sapeva davvero se impaurirsene o indignarsene; tentò di dimenticarlo, tese le orecchie, ascoltò i pochi rumori dell'appartamento, certi scricchiolii dei mobili, certi fruscii; poi spalancò gli occhi nell'oscurità per vedere qualche cosa su cui fissare tutta la sua attenzione... ma ogni sforzo fu inutile, il respiro s'imponeva, calmo, quasi inumano... "Come sarebbe bello" pensò alfine scoraggiata "se egli ora si destasse e mi dicesse che mi ama." E già immaginava come tutto questo sarebbe avvenuto; ecco... egli l'avrebbe riattirata al suo fianco, e guancia contro guancia, le avrebbe mormorato in un orecchio le dolci parole, già al solo pensiero se ne sentiva tutta commossa e quasi consolata, quando, repentinamente, una terribile paura l'agghiacciò.

Le parve ad un tratto che l'uscio del bagno, laggiù in fondo al letto, si stesse aprendo; in quel punto, sia che i vetri emanassero qualche luminosità, sia che le persiane della finestra del bagno fossero aperte e un po' di luce venisse dal cortile, certo è che le tenebre erano meno fitte che nel resto della stanza... ed ecco... laggiù, non c'era dubbio, l'uscio si apriva pian piano, si muoveva, come se qualcheduno desideroso d'entrare l'andasse cautamente spingendo dall'esterno.

Dal terrore, il respiro le mancò, il cuore incominciò a battere in petto furiosamente; restò immobile, irrigidita, supina con gli occhi fissi in quella direzione; questo pensiero pazzo a cui, del resto, pur esprimendolo, subito non credette, le attraversò la mente: "È mamma che viene a sorprendermi..." Poi la porta ebbe un leggero tintinnio e questo fu troppo per Carla: a occhi chiusi, con quanta forza poteva, con un senso di lacerazione ella cacciò un urlo lungo, lamentoso.

Ci fu un tramestio; la luce si accese, riapparve la stanza tranquilla, Leo tutto insonnolito sorse sul letto:

"Eh!... cos'è successo?"

"La porta" balbettò Carla bianca e ansante, "la porta del bagno."

Senza dir parola l'amante discese dal letto, ella lo vide aprir quell'uscio, scomparire nel bagno, riapparire:

"Io non vedo nulla" egli dichiarò; "sarà stato il vento... avevo lasciato aperta la finestra del bagno..." Tornò al letto, sollevò le coltri, si ridistese: "Non pensarci più e dormi" le disse, "buon sonno," e spense la luce.

Questi atti dell'uomo furono così rapidi, così breve quella parentesi di luce, che ella non ebbe il tempo né di parlare né almeno, con un abbraccio o uno sguardo, di esprimergli tutto il desiderio estremo di carezze e di consolazione che in quel momento le premeva l'animo; allora, nella rinnovata oscurità, dopo un istante di incertezza, incominciò a piangere.

Le lacrime colavano rapide sulle sue guance, tutta l'amarezza che aveva accumulato in quella notte dirompeva ora da ogni parte della sua anima: "Se mi avesse amata" si ripeteva "mi avrebbe consolata... e invece niente: ha spento la luce e si è voltato dall'altra parte." Quella solitudine che prima aveva appena intuito, ora le appariva inevitabile; si coprì gli occhi col braccio nudo; ebbe, se la sentì sul volto, una smorfia di amaro dolore: "Non mi ama... nessuno mi ama," non cessava di ripetersi. Si tirava i capelli con le dita; ormai aveva le guance tutte intrise di lacrime; alfine la stanchezza che covava in lei la vinse e piangendo ella si riaddormentò.

Quando si destò doveva già esser giorno, lo indovinò da quel po' di luce che le stecche delle finestre lasciavano trapelare nella diradata oscurità della stanza. Si destò con facilità, riconobbe subito il luogo dove si trovava, non stupì né di vedersi addosso quel pigiama dalle grosse righe che la sera avanti non aveva voluto indossare, benché non ricordasse in qual preciso momento della notte avesse potuto infilarlo, né, appena si fu alzata e appoggiata alla parete e i suoi occhi assonnati si furono abituati alla polverosa penombra della stanza di scorgere, là, sul guanciale, quella macchia oscura e arruffata, la testa di Leo. Insomma quel sonno aveva dissipato tutti gli stupori e le paure della notte; era come se ella fosse stata ormai da anni abituata a destarsi in quel modo, in quel letto dell'amante; finiti il tormento, la meraviglia, l'impazienza; finita quella sensazione d'irrealtà triste e avventurosa; con le spalle contro la parete, gli occhi sbarrati nell'ombra soffocante, Carla indovinava dall'insolita sazietà, dalla calma, dalla riflessiva pazienza che la possedevano, di essere veramente entrata in una nuova vita. "È strano" pensò ad un certo punto, non seppe se con paura o con dispetto, "è come se io fossi d'un tratto diventata molto più vecchia di quel che già ero..." Restò così immobile, vagamente preoccupata, per qualche secondo; poi si chinò e scosse l'uomo per una spalla.

Leo... chiamò con una strana voce sommessa.

L'amante aveva tirato le lenzuola fin sulle orecchie, pareva immerso in un sonno profondo, e da prima o non udì o finse di non udire; ancora una volta Carla si chinò e lo scosse; allora, da quell'ombra del guanciale, arrivò la voce assonnata:

"Perché mi hai svegliato?"

"È tardi" ella disse, sempre con quella sua nuova intonazione bassa e intima; "sarà ora ch'io torni a casa..."

Senza dir parola, senza muovere il resto del corpo, Leo tese un braccio fuori dal letto e accese la lampada; tornò quella luce tranquilla della sera avanti, e Carla riconobbe completamente i mobili, le due porte, quella poltroncina nella quale stava il mucchietto bianco dei suoi panni più intimi, e se stessa seduta sul letto...: l'orologio posato sul tavolino, sotto la lampada, segnava le cinque e mezzo.

"Sono le cinque e mezzo" ripetè con rammarico e irritazione Leo senza voltarsi: "si può sapere perché mi hai svegliato?"

"È tardi" ella ripetè come prima; esitò, poi con precauzione scavalcò il corpo dell'amante e sedette sul bordo del letto.

Egli non parve accorgersene, non le rispose; evidentemente, ella pensò, aveva richiuso gli occhi e si era daccapo addormentato; allora, senza voltarsi, senza curarsi di lui Carla si accinse a rivestirsi.

Ma si era appena tolta di dosso quella ripugnante uniforme dalle grosse righe, e tutta nuda, in piedi, stava preparandosi ad infilar la camicia, quando, d'improvviso, sentì un braccio afferrarla da dietro, alla vita. Il primo movimento fu di paura; lasciò cadere in terra l'indumento, si voltò vivamente da quel lato: si vide allora, là contro il fianco, la testa arruffata, insonnolita, rossa, dell'amante:

"Carla" egli mormorò, sporgendosi dal letto, levando degli occhi eccitati e mal desti verso la fanciulla e fingendo di parlare a fatica per un gran sonno che non aveva; "perché andartene così presto? Vieni qui... toma qui accanto al tuo Leo."

Ella guardò quel volto tentatore, laggiù, illuminato dalla luce calda della lampada, e, d'improvviso, una inspiegabile sofferenza le gonfiò il petto:

"Lasciami" disse con voce caparbia sforzandosi di staccar dal costato le cinque dita che vi s'incollavano, "è tardi... è tempo che io vada."

Vide l'uomo ridere socchiudendo quei suoi piccoli occhi eccitati: "per certe cose non è mai tardi," e di colpo, senza ragione, ché dentro di sé ammetteva benissimo che all'amante venissero tali voglie, la sua collera fu al colmo: "Lasciami ti dico" ripetè duramente: per tutta risposta Leo allungò goffamente anche l'altro braccio tentando di rovesciarla al suo fianco; allora, con uno strattone, ella si liberò, andò alla poltroncina ai piedi del letto, e, curva, senza più occuparsi di lui, senza dir parola, si diede a infilar le calze.

Dopo le calze venne la volta delle giarrettiere; non rialzò quei suoi occhi preoccupati che dopo qualche istante e guardò con espressione dura verso il letto; ma Leo si era voltato contro la parete e pareva dormire. "Buon sonno" ella pensò; fu un attimo; e nel contempo, quasi che questo breve pensiero avesse potuto provocarlo, un senso di paura e d'incertezza le strinse il cuore; tornarono, dopo tante ore di completa dimenticanza, ad echeggiare nella sua testa le vecchie parole: "la nuova vita:" si chinò, raccattò la sottoveste: "È mai possibile" pensò stringendo nervosamente quel cencio e guardando fisso davanti a sé, "che sia questa la nuova vita?"

Senza cessare di agitare nella sua anima inerte quest'idea finì di vestirsi e si alzò:

"Alzati" gridò al dormiente curvandosi e toccandolo sopra una spalla, "sbrigati... è tempo di andare..."

"Va bene" fu la risposta. Sicura di ritrovarlo vestito Carla passò nel bagno.

Si pettinò col pettine e la spazzola di Leo, si lavò le mani, esaminò attentamente nello specchio il suo volto pallido. "A casa" pensò "mi laverò tutta... farò un bagno... poi... e poi bisognerà andare subito a quell'appuntamento, al tennis." Ma nonostante questi pensieri calmi e pratici, quella domanda rattristata non cessava di echeggiare nei piani inferiori della sua coscienza: "È mai possibile che sia questa la nuova vita?"

Nella camera da letto l'aspettava una sorpresa; Leo non si era vestito e neppure per lo meno alzato; stava nella stessa identica posizione nella quale l'aveva lasciato, e pareva tuttora dormire.

Gli si avvicinò, lo scosse: "Leo... è tardi... dobbiamo andare... alzati..."

L'uomo si voltò, alzò appena dal guanciale la faccia assonnata e la guardò: "Eh?... sei già vestita?"

"È tardi..."

"È tardi?" ripetè Leo come se non avesse capito; "e allora?"

"Come allora?... bisogna che tu mi accompagni a casa..."

Egli sbadigliò, si tirò i capelli: "Se tu sapessi che sonno ho..." incominciò " tutta la notte non mi hai lasciato un solo istante in pace...: mi chiamavi... mi parlavi... mi davi dei calci... che so io?... Muoio dal sonno." Parlava con lentezza, trascinando le parole, evitando di guardare la fanciulla; Carla invece l'osservava con attenzione: "Evidentemente" pensò ad un tratto, senza ira, con calma, "non è soltanto perché non ha dormito ma anche e soprattutto perché poco fa non gli ho ceduto che ora finge di aver sonno..." Si drizzò.

"Se vuoi dormire, Leo," disse quasi con dolcezza "non far complimenti... posso anche andare sola..."

"Che sciocchezza..." egli si stirò, a lungo, senza riguardo: "ora che mi hai svegliato ti accompagno."

"Bisogna mostrargli che si sbaglia" ella pensò guardandolo, "che... non sono come lui." "Ma no," insistette sempre con la stessa mansuetudine "no... non voglio disturbarti; tu hai sonno, è giusto... preferisco andar sola."

Un poco sconcertato Leo la guardò: "Un ben nulla sola" disse alfine con una molle energia; "dici ora così... poi invece non cesserai di rimproverarmelo... vi conosco come siete... ho bello e deciso: ti accompagno." Tacque, scosse con forza la testa, ma non si mosse, si guardarono:

"E se te l'ordinassi?" domandò bruscamente la fanciulla.

"Che cosa?"

"Di non accompagnarmi."

Leo spalancò gli occhi stupito: "In tal caso" rispose con diffidenza "la questione cambierebbe aspetto."

"Ebbene" disse Carla rassettandosi tranquillamente la cintura del vestito, "te lo ordino."

Un istante di silenzio: "Prima volevi essere accompagnata" disse alfine l'uomo, "ora non vuoi più... che capricci mi fai?"

"Ah! son io che faccio i capricci" ella pensò a denti stretti; sedette sul bordo del letto, presso l'amante:

"Non si tratta di capricci" rispose "ma ho pensato che questo tuo accompagnamento potrebbe essere compromettente... se ci vedessero insieme... E poi Michele potrebbe già essersi alzato...; allora capisci? È meglio ch'io me ne vada sola... conosco la strada, sarò in dieci minuti a casa... e tu... potrai dormire...

Tacquero ambedue guardandosi; ora, dopo quella momentanea vampata di desiderio, Leo provava davvero un gran sonno, nulla gli ripugnava più che alzarsi e andar con Carla nella strada, forse sotto la pioggia; e poi c'era anche da tirar fuori la macchina; le sorrise, tese la mano, l'accarezzò sulla guancia:

"In fondo" disse " nonostante tutte le tue fisime sei veramente una gran brava bambina... e allora posso sul serio lasciarti andar sola?..."

"Certamente" ella disse alzandosi; quel tono di Leo l'irritava; "puoi farne a meno... anzi te ne prego."

"Ad ogni modo" soggiunse Leo come parlando a se stesso, "tu hai visto che io ho insistito fino all'ultimo... se non ti accompagno non è che io voglia dormire, ma perché come hai detto bene potrei comprometterti... così dopo non venire a dirmi..." Ma s'interruppe; Carla non era più nella stanza, era già uscita per prendere il cappello. "Tanto meglio" pensò Leo, "fa piacere a me e fa piacere a lei... così siamo tutti e due contenti."

Dopo un istante ella rientrò; aveva il cappello in testa, l'impermeabile, l'ombrello; infilò un guanto con volto preoccupato, cercò invano l'altro per tutte le tasche: " pazienza" disse alfine, "l'avrò perduto... E, a proposito," soggiunse senza impaccio awicinandoglisi " puoi darmi del denaro per un taxi?... io non ne ho."

La giacca di Leo era appesa ad una sedia non lungi dal letto; egli si protese, trasse di tasca una manciata di monete d'argento:

"Ecco" disse porgendogliele.

Il denaro in tasca: "Comincio a guadagnare," Carla non potè fare a meno di pensare. Si avvicinò al letto, si chinò: "Allora a oggi, caro," gli disse quasi con affetto, come per compensare quel suo pensiero cattivo; si baciarono. "Chiudi bene la porta" le gridò Leo; la vide uscire con precauzione, e per un istante aspettò di udire sbatter l'uscio di casa; ma nessun rumore giunse alle sue orecchie; allora spense la lampada e voltandosi contro il muro si riaddormentò.


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Capitolo X

II primo ad addormentarsi fu Leo; l'impreveduta seppure inesperta sfrenatezza di Carla l'aveva spossato. II primo ad addormentarsi fu Leo; l'impreveduta seppure inesperta sfrenatezza di Carla l'aveva spossato. De eerste die in slaap viel was Leo; Carla's onvoorspelbare maar onervaren wildheid had hem uitgeput. Dopo l'ultimo abbraccio poiché stettero per qualche istante ambedue immobili, con le membra madide confuse tra di loro, gli occhi socchiusi e le teste unite sul capezzale in una specie di esausto dormiveglia, la fanciulla sentì l'amante ritirar pian piano il braccio dalla sua vita, districar le gambe dalle sue e voltarsi verso la parete. "E domani mattina?..." ella pensò confusamente ascoltando il respiro tranquillo del dormiente, "e domani mattina?" Si sentiva anche lei stanchissima, quella fitta oscurità della stanza le pareva un secolo che ci stava immersa, la testa le doleva, non osava muoversi;

[...] La memoria dei fatti le tornava a brani: ora le pareva di rivedersi in quell'automobile in corsa, sotto la pioggia, per le vie della città; ora nel salotto, seduta sulle ginocchia dell'amante; quasi simultaneamente le riapparvero l'immagine di Leo in atto d'entrar nel letto dov'ella l'aspettava e l'altra più strana e più turbante di loro due nudi, l'uno a fianco all'altro, insonnoliti e storditi in quella luce accecante della stanza da bagno tutta murata di maiolica bianca, dritti, in piedi in attesa di quell'acqua calda con la quale si sarebbero lavati. Questi ricordi così recenti le parevano invece lontani e come staccati dalla sua persona, non li possedeva né se li spiegava, le sembravano pieni di una inammissibile irrealtà; e pure non c'era dubbio, questa vita così vicina che le figure che vi si muovevano le apparivano grandi al naturale, l'aveva vissuta lei; bastava che ella tendesse una mano sotto le lenzuola per toccare il corpo nudo dell'amante addormentato o che accendesse la luce per convincersi che ella si trovava davvero nella camera di Leo e non nella sua: "Lontana dalla mia casa," pensò finalmente con un turbamento straordinario; "qui... nel letto del mio amante..." Ma se le rievocazioni dei fatti più normali di quella notte già la stupivano, certe altre di cose che nonché prevedere aveva sempre ignorato, la sconvolgevano addirittura, non si saziava di analizzarle, ricominciava più volte a ricostruirle, per così dire le riassaporava., per esempio la memoria precisa di certe momentanee chiaroveggenze, per le quali, quando la lampada era ancora accesa, aveva sorpreso, foss'anche per un attimo, certi loro atteggiamenti, di lei e dell'amante, di una tale indecente mostruosità, che le si erano per così dire stampati in mente in modo incancellabile. On the contrary, these so recent memories seemed distant to her and as if detached from her person, she neither possessed them nor explained them to herself, they seemed to her full of an inadmissible unreality; and yet there was no doubt, this life so close that the figures that moved in it appeared life-size, she had lived it; it was enough for her to reach out under the sheets to touch the naked body of her sleeping lover or for her to turn on the light to convince herself that she was really in Leo's room and not in his: "Far from my home," she finally thought with a extraordinary disturbance; "here... in my lover's bed..." But if the recollections of the more normal events of that night already amazed her, certain other things that she had always ignored as well as foreseeing, even shocked her, she couldn't get enough of analyzing them, she would start reconstructing them several times, so to speak she would savor them again, for example the precise memory of certain momentary clairvoyances, by which, while the lamp was still burning, she had surprised, even if only for a moment, certain of their attitudes, of her and of her lover, of such indecent monstrosity, that they had, so to speak, been imprinted on her mind in an indelible way.

Ma fosse l'oscurità che l'avvolgeva, fosse veramente un senso di paura e d'incertezza, a poco a poco queste rievocazioni la stancarono, non bastarono più a distrarla dalla coscienza delle sue presenti condizioni. "E ora" pensò ad un tratto "cosa mi succederà?" Non voleva confessarselo ma si sentiva terribilmente sola... ecco... stava distesa supina, in quel letto, abbandonata ai suoi pensieri solitari, alle sue paure, alla sua debolezza; la notte riempiva i suoi occhi sbarrati, l'amante non l'accarezzava sulla fronte, non ravviava i suoi capelli scomposti, non l'assisteva nel suo angoscioso dormiveglia, non la difendeva, era come se non ci fosse...: un respiro tranquillo e niente di più, là, alla sua destra, poteva esser tanto di Leo che di un'altra persona, le ricordava ogni tanto che non era sola.

Le venne d'improvviso un desiderio isterico di compagnia e di carezze; "perché dorme," si domandava, "perché non si cura di me?" quel respiro letargico, là, al suo fianco, aveva finito insensibilmente per spaventarla, non le pareva dell'amante, ma di un altro uomo a lei sconosciuto e magari anche ostile; c'era insomma in quel respiro un ritmo così indifferente, una regolarità tanto mostruosamente in contrasto con le sue angosce e i suoi fantasmi ch'ella non sapeva davvero se impaurirsene o indignarsene; tentò di dimenticarlo, tese le orecchie, ascoltò i pochi rumori dell'appartamento, certi scricchiolii dei mobili, certi fruscii; poi spalancò gli occhi nell'oscurità per vedere qualche cosa su cui fissare tutta la sua attenzione... ma ogni sforzo fu inutile, il respiro s'imponeva, calmo, quasi inumano... "Come sarebbe bello" pensò alfine scoraggiata "se egli ora si destasse e mi dicesse che mi ama." E già immaginava come tutto questo sarebbe avvenuto; ecco... egli l'avrebbe riattirata al suo fianco, e guancia contro guancia, le avrebbe mormorato in un orecchio le dolci parole, già al solo pensiero se ne sentiva tutta commossa e quasi consolata, quando, repentinamente, una terribile paura l'agghiacciò.

Le parve ad un tratto che l'uscio del bagno, laggiù in fondo al letto, si stesse aprendo; in quel punto, sia che i vetri emanassero qualche luminosità, sia che le persiane della finestra del bagno fossero aperte e un po' di luce venisse dal cortile, certo è che le tenebre erano meno fitte che nel resto della stanza... ed ecco... laggiù, non c'era dubbio, l'uscio si apriva pian piano, si muoveva, come se qualcheduno desideroso d'entrare l'andasse cautamente spingendo dall'esterno.

Dal terrore, il respiro le mancò, il cuore incominciò a battere in petto furiosamente; restò immobile, irrigidita, supina con gli occhi fissi in quella direzione; questo pensiero pazzo a cui, del resto, pur esprimendolo, subito non credette, le attraversò la mente: "È mamma che viene a sorprendermi..." Poi la porta ebbe un leggero tintinnio e questo fu troppo per Carla: a occhi chiusi, con quanta forza poteva, con un senso di lacerazione ella cacciò un urlo lungo, lamentoso.

Ci fu un tramestio; la luce si accese, riapparve la stanza tranquilla, Leo tutto insonnolito sorse sul letto:

"Eh!... cos'è successo?"

"La porta" balbettò Carla bianca e ansante, "la porta del bagno."

Senza dir parola l'amante discese dal letto, ella lo vide aprir quell'uscio, scomparire nel bagno, riapparire:

"Io non vedo nulla" egli dichiarò; "sarà stato il vento... avevo lasciato aperta la finestra del bagno..." Tornò al letto, sollevò le coltri, si ridistese: "Non pensarci più e dormi" le disse, "buon sonno," e spense la luce.

Questi atti dell'uomo furono così rapidi, così breve quella parentesi di luce, che ella non ebbe il tempo né di parlare né almeno, con un abbraccio o uno sguardo, di esprimergli tutto il desiderio estremo di carezze e di consolazione che in quel momento le premeva l'animo; allora, nella rinnovata oscurità, dopo un istante di incertezza, incominciò a piangere.

Le lacrime colavano rapide sulle sue guance, tutta l'amarezza che aveva accumulato in quella notte dirompeva ora da ogni parte della sua anima: "Se mi avesse amata" si ripeteva "mi avrebbe consolata... e invece niente: ha spento la luce e si è voltato dall'altra parte." Quella solitudine che prima aveva appena intuito, ora le appariva inevitabile; si coprì gli occhi col braccio nudo; ebbe, se la sentì sul volto, una smorfia di amaro dolore: "Non mi ama... nessuno mi ama," non cessava di ripetersi. Si tirava i capelli con le dita; ormai aveva le guance tutte intrise di lacrime; alfine la stanchezza che covava in lei la vinse e piangendo ella si riaddormentò.

Quando si destò doveva già esser giorno, lo indovinò da quel po' di luce che le stecche delle finestre lasciavano trapelare nella diradata oscurità della stanza. Si destò con facilità, riconobbe subito il luogo dove si trovava, non stupì né di vedersi addosso quel pigiama dalle grosse righe che la sera avanti non aveva voluto indossare, benché non ricordasse in qual preciso momento della notte avesse potuto infilarlo, né, appena si fu alzata e appoggiata alla parete e i suoi occhi assonnati si furono abituati alla polverosa penombra della stanza di scorgere, là, sul guanciale, quella macchia oscura e arruffata, la testa di Leo. Insomma quel sonno aveva dissipato tutti gli stupori e le paure della notte; era come se ella fosse stata ormai da anni abituata a destarsi in quel modo, in quel letto dell'amante; finiti il tormento, la meraviglia, l'impazienza; finita quella sensazione d'irrealtà triste e avventurosa; con le spalle contro la parete, gli occhi sbarrati nell'ombra soffocante, Carla indovinava dall'insolita sazietà, dalla calma, dalla riflessiva pazienza che la possedevano, di essere veramente entrata in una nuova vita. "È strano" pensò ad un certo punto, non seppe se con paura o con dispetto, "è come se io fossi d'un tratto diventata molto più vecchia di quel che già ero..." Restò così immobile, vagamente preoccupata, per qualche secondo; poi si chinò e scosse l'uomo per una spalla.

Leo... chiamò con una strana voce sommessa.

L'amante aveva tirato le lenzuola fin sulle orecchie, pareva immerso in un sonno profondo, e da prima o non udì o finse di non udire; ancora una volta Carla si chinò e lo scosse; allora, da quell'ombra del guanciale, arrivò la voce assonnata:

"Perché mi hai svegliato?"

"È tardi" ella disse, sempre con quella sua nuova intonazione bassa e intima; "sarà ora ch'io torni a casa..."

Senza dir parola, senza muovere il resto del corpo, Leo tese un braccio fuori dal letto e accese la lampada; tornò quella luce tranquilla della sera avanti, e Carla riconobbe completamente i mobili, le due porte, quella poltroncina nella quale stava il mucchietto bianco dei suoi panni più intimi, e se stessa seduta sul letto...: l'orologio posato sul tavolino, sotto la lampada, segnava le cinque e mezzo.

"Sono le cinque e mezzo" ripetè con rammarico e irritazione Leo senza voltarsi: "si può sapere perché mi hai svegliato?"

"È tardi" ella ripetè come prima; esitò, poi con precauzione scavalcò il corpo dell'amante e sedette sul bordo del letto.

Egli non parve accorgersene, non le rispose; evidentemente, ella pensò, aveva richiuso gli occhi e si era daccapo addormentato; allora, senza voltarsi, senza curarsi di lui Carla si accinse a rivestirsi.

Ma si era appena tolta di dosso quella ripugnante uniforme dalle grosse righe, e tutta nuda, in piedi, stava preparandosi ad infilar la camicia, quando, d'improvviso, sentì un braccio afferrarla da dietro, alla vita. Il primo movimento fu di paura; lasciò cadere in terra l'indumento, si voltò vivamente da quel lato: si vide allora, là contro il fianco, la testa arruffata, insonnolita, rossa, dell'amante:

"Carla" egli mormorò, sporgendosi dal letto, levando degli occhi eccitati e mal desti verso la fanciulla e fingendo di parlare a fatica per un gran sonno che non aveva; "perché andartene così presto? Vieni qui... toma qui accanto al tuo Leo."

Ella guardò quel volto tentatore, laggiù, illuminato dalla luce calda della lampada, e, d'improvviso, una inspiegabile sofferenza le gonfiò il petto:

"Lasciami" disse con voce caparbia sforzandosi di staccar dal costato le cinque dita che vi s'incollavano, "è tardi... è tempo che io vada."

Vide l'uomo ridere socchiudendo quei suoi piccoli occhi eccitati: "per certe cose non è mai tardi," e di colpo, senza ragione, ché dentro di sé ammetteva benissimo che all'amante venissero tali voglie, la sua collera fu al colmo: "Lasciami ti dico" ripetè duramente: per tutta risposta Leo allungò goffamente anche l'altro braccio tentando di rovesciarla al suo fianco; allora, con uno strattone, ella si liberò, andò alla poltroncina ai piedi del letto, e, curva, senza più occuparsi di lui, senza dir parola, si diede a infilar le calze.

Dopo le calze venne la volta delle giarrettiere; non rialzò quei suoi occhi preoccupati che dopo qualche istante e guardò con espressione dura verso il letto; ma Leo si era voltato contro la parete e pareva dormire. "Buon sonno" ella pensò; fu un attimo; e nel contempo, quasi che questo breve pensiero avesse potuto provocarlo, un senso di paura e d'incertezza le strinse il cuore; tornarono, dopo tante ore di completa dimenticanza, ad echeggiare nella sua testa le vecchie parole: "la nuova vita:" si chinò, raccattò la sottoveste: "È mai possibile" pensò stringendo nervosamente quel cencio e guardando fisso davanti a sé, "che sia questa la nuova vita?"

Senza cessare di agitare nella sua anima inerte quest'idea finì di vestirsi e si alzò:

"Alzati" gridò al dormiente curvandosi e toccandolo sopra una spalla, "sbrigati... è tempo di andare..."

"Va bene" fu la risposta. Sicura di ritrovarlo vestito Carla passò nel bagno.

Si pettinò col pettine e la spazzola di Leo, si lavò le mani, esaminò attentamente nello specchio il suo volto pallido. "A casa" pensò "mi laverò tutta... farò un bagno... poi... e poi bisognerà andare subito a quell'appuntamento, al tennis." Ma nonostante questi pensieri calmi e pratici, quella domanda rattristata non cessava di echeggiare nei piani inferiori della sua coscienza: "È mai possibile che sia questa la nuova vita?"

Nella camera da letto l'aspettava una sorpresa; Leo non si era vestito e neppure per lo meno alzato; stava nella stessa identica posizione nella quale l'aveva lasciato, e pareva tuttora dormire.

Gli si avvicinò, lo scosse: "Leo... è tardi... dobbiamo andare... alzati..."

L'uomo si voltò, alzò appena dal guanciale la faccia assonnata e la guardò: "Eh?... sei già vestita?"

"È tardi..."

"È tardi?" ripetè Leo come se non avesse capito; "e allora?"

"Come allora?... bisogna che tu mi accompagni a casa..."

Egli sbadigliò, si tirò i capelli: "Se tu sapessi che sonno ho..." incominciò " tutta la notte non mi hai lasciato un solo istante in pace...: mi chiamavi... mi parlavi... mi davi dei calci... che so io?... Muoio dal sonno." Parlava con lentezza, trascinando le parole, evitando di guardare la fanciulla; Carla invece l'osservava con attenzione: "Evidentemente" pensò ad un tratto, senza ira, con calma, "non è soltanto perché non ha dormito ma anche e soprattutto perché poco fa non gli ho ceduto che ora finge di aver sonno..." Si drizzò.

"Se vuoi dormire, Leo," disse quasi con dolcezza "non far complimenti... posso anche andare sola..."

"Che sciocchezza..." egli si stirò, a lungo, senza riguardo: "ora che mi hai svegliato ti accompagno."

"Bisogna mostrargli che si sbaglia" ella pensò guardandolo, "che... non sono come lui." "Ma no," insistette sempre con la stessa mansuetudine "no... non voglio disturbarti; tu hai sonno, è giusto... preferisco andar sola."

Un poco sconcertato Leo la guardò: "Un ben nulla sola" disse alfine con una molle energia; "dici ora così... poi invece non cesserai di rimproverarmelo... vi conosco come siete... ho bello e deciso: ti accompagno." Tacque, scosse con forza la testa, ma non si mosse, si guardarono:

"E se te l'ordinassi?" domandò bruscamente la fanciulla.

"Che cosa?"

"Di non accompagnarmi."

Leo spalancò gli occhi stupito: "In tal caso" rispose con diffidenza "la questione cambierebbe aspetto."

"Ebbene" disse Carla rassettandosi tranquillamente la cintura del vestito, "te lo ordino."

Un istante di silenzio: "Prima volevi essere accompagnata" disse alfine l'uomo, "ora non vuoi più... che capricci mi fai?"

"Ah! son io che faccio i capricci" ella pensò a denti stretti; sedette sul bordo del letto, presso l'amante:

"Non si tratta di capricci" rispose "ma ho pensato che questo tuo accompagnamento potrebbe essere compromettente... se ci vedessero insieme... E poi Michele potrebbe già essersi alzato...; allora capisci? È meglio ch'io me ne vada sola... conosco la strada, sarò in dieci minuti a casa... e tu... potrai dormire...

Tacquero ambedue guardandosi; ora, dopo quella momentanea vampata di desiderio, Leo provava davvero un gran sonno, nulla gli ripugnava più che alzarsi e andar con Carla nella strada, forse sotto la pioggia; e poi c'era anche da tirar fuori la macchina; le sorrise, tese la mano, l'accarezzò sulla guancia:

"In fondo" disse " nonostante tutte le tue fisime sei veramente una gran brava bambina... e allora posso sul serio lasciarti andar sola?..."

"Certamente" ella disse alzandosi; quel tono di Leo l'irritava; "puoi farne a meno... anzi te ne prego."

"Ad ogni modo" soggiunse Leo come parlando a se stesso, "tu hai visto che io ho insistito fino all'ultimo... se non ti accompagno non è che io voglia dormire, ma perché come hai detto bene potrei comprometterti... così dopo non venire a dirmi..." Ma s'interruppe; Carla non era più nella stanza, era già uscita per prendere il cappello. "Tanto meglio" pensò Leo, "fa piacere a me e fa piacere a lei... così siamo tutti e due contenti."

Dopo un istante ella rientrò; aveva il cappello in testa, l'impermeabile, l'ombrello; infilò un guanto con volto preoccupato, cercò invano l'altro per tutte le tasche: " pazienza" disse alfine, "l'avrò perduto... E, a proposito," soggiunse senza impaccio awicinandoglisi " puoi darmi del denaro per un taxi?... io non ne ho."

La giacca di Leo era appesa ad una sedia non lungi dal letto; egli si protese, trasse di tasca una manciata di monete d'argento:

"Ecco" disse porgendogliele.

Il denaro in tasca: "Comincio a guadagnare," Carla non potè fare a meno di pensare. Si avvicinò al letto, si chinò: "Allora a oggi, caro," gli disse quasi con affetto, come per compensare quel suo pensiero cattivo; si baciarono. "Chiudi bene la porta" le gridò Leo; la vide uscire con precauzione, e per un istante aspettò di udire sbatter l'uscio di casa; ma nessun rumore giunse alle sue orecchie; allora spense la lampada e voltandosi contro il muro si riaddormentò.