×

We use cookies to help make LingQ better. By visiting the site, you agree to our cookie policy.


image

Gli Indifferenti - Alberto Moravia, 14 (VIII - IX)

14 (VIII - IX)

"Che stanza c'è di là?" domandò la fanciulla additando l'altra porta del salotto.

"La camera da Ietto" rispose l'amante osservandola attentamente; e dopo un istante, abbracciandola daccapo, con voce persuasiva: "ma lascia star tutto questo... ascoltami... dimmi...; mi ami?"

"E tu?..." ella domandò a fior di labbra, guardandolo con occhi seri.

"Io?... cosa c'entro?... Per forza ti amo, se no non avrei fatto quello che ho fatto... sicuro che l'amo la mia Carlotta, la mia bambola, la mia Carlottina" soggiunse Leo ficcando delle dita sconvolgitrici nei capelli della fanciulla; "la amo moltissimo e guai a chi me la toccherà... e la desidero anche, certo... tutta intera... desidero queste labbra, queste guance, queste belle braccia, queste belle spalle, questo suo corpo pieno di., femminilità, delizioso, pieno di fascino e di grazia che... che... che mi farà impazzire" egli esplose alfine e come preso da una specie di frenesia si gettò su Carla, l'abbracciò con tutte le sue forze, cadde insieme con lei sopra il divano; la lampada illuminò con la sua luce indifferente la schiena dell'uomo dalla giacca tutta sottesa dallo sforzo del torso e le gambe di Carla, calzate di rosa. Stettero così per qualche istante, tra i sussulti della libidine confuse parole di tenerezza uscivano di bocca all'uomo.

Carla invece taceva. L'atteggiamento della fanciulla tra questi furori era docile ma non rassegnato, i suoi pensieri non erano così lucidi come ella aveva preveduto, un vergognoso e scomposto eccitamento incominciava ad ardere le sue guance; insomma, era inutile nasconderselo, quelle carezze non la lasciavano del tutto indifferente, un certo piacere tanto più acuto in quanto le pareva assurdo veniva ad annebbiare la coscienza: "Vediamo" ella pensava tra i fremiti istintivi che le strappavano le strette libertine e crudeli dell'amante, "cosa sto facendo?..." Mai come ora, questa sua tresca le era apparsa sotto un aspetto tanto comune, imperdonabile e rovinoso, "una nuova vita" pensò ancora debolmente; poi chiuse gli occhi.

Ma la lussuria dell'uomo sapeva non oltrepassare certi limiti; veder Carla abbandonarsi con gli occhi chiusi, bianca come la cera sul fondo cupo del divano, e pensare: "no... prenderla qui no... di là sì... qui è troppo scomodo," fu tutt'uno. Egli si risollevò, fece risollevare la fanciulla; per un istante stettero immobili, ansanti, senza parlare; la luce della lampada lasciava nell'ombra Leo, appoggiato sul fondo del divano, e illuminava Carla: ella era già tutt'altra dalla signorina di pochi minuti prima, aveva i capelli arruffati, una ciocca le pendeva davanti agli occhi, il volto era rosso, grave e turbato, una delle due bretelline del vestito durante l'abbraccio si era spezzata e pendeva in due lembi, uno sul petto e uno sull'omero, discoprendo la spalla bianca e nuda. Allora, mentre così assorta ella guardava davanti a sé, l'uomo osservò una cosa strana: qualche cosa molto simile a un cartiglio piegato in quattro riempiva l'incavo della veste tra i seni e ne tendeva la seta rossa con due o tre punte aguzze; egli sorrise, tese una mano e toccò l'oggetto:

"E questo cos'è?" domandò senza alcuna intenzione, per pura curiosità. Carla voltò una faccia spaurita:

"Cosa, questo?"

"Quel... pezzo di carta che tieni così gelosamente in seno" insistette Leo con un sorriso quasi paterno.

Ella abbassò la testa, si portò una mano al petto; non c'era dubbio, l'amante aveva ragione, qualche cosa che assomigliava molto ad un pezzo di carta stava nascosto lì, tra la camicia e la carne; solamente ella non si ricordava di avercelo messo né riusciva a capire che cosa fosse; alzò gli occhi, guardò sconcertata l'amante.

"Il posto dove tutte le bambine mettono i loro segreti" disse Leo, che l'idea di un tale nascondiglio inteneriva ed eccitava insieme; "vediamo, Carla, vediamolo questo tuo segreto." Tese la mano e fece il gesto d'introdurla sotto il vestito.

"Non ti permetto" ella gridò improvvisamente, senza neppur saper lei perché, coprendosi con le mani..

Il sorriso dell'uomo scomparve: "Va bene" egli disse osservando attentamente la fanciulla: "ti permetto di non permettere... tiralo fuori tu questo tesoro... e poi leggilo ad alta voce."

Silenzio; Carla guardava l'amante tra irresoluta e disorientata, intuiva che questa storia del pezzo di carta incominciava ad irritarlo; lo si vedeva dagli occhi che erano diventati duri; e si tormentava invano per sapere che cosa quel cartiglio che le sue dita curiose tastavano potesse contenere; ma non lo tirò fuori, un po' per un triste puntiglio (e se veramente fosse stato un segreto suo da non confidarsi a nessuno? ), un po' per una vaga intenzione di vedere come agisse Leo quando la gelosia lo pungeva.

"E se io" disse alfine in tono di sfida, posando le mani sulle ginocchia "se io non volessi mostrartela questa lettera?"

"Ah! è una lettera" esclamò Leo interessato e già inquieto "e di chi, se non ti dispiace, di quale persona così importante da tenerla lì, proprio lì, e da non potere lasciarla a casa?"

Ella lo guardò tra le ciglia socchiuse, inchinando la sua grossa testa arruffata sopra la spalla nuda: "Questo" rispose assumendo un atteggiamento capriccioso, guardando in aria e tamburellando tranquillamente con le dita sopra le ginocchia, "questo non te lo dico."

"È capacissima" pensò Leo del tutto irritato, "capacissima di avere qualchedun altro... capacissima." Si sollevò lentamente dal divano:

"Senti Carla" disse scandendo le parole e piantandole addosso due occhi imperiosi e indagatori: "io voglio assolutamente sapere di chi è questa lettera."

Ella rise un poco, divertita da questa gelosia; ma non cambiò la sua sdegnosa attitudine: "Indovina" disse.

"Un uomo" domandò Leo.

"Già" ella commentò in tono canzonatorio; "già, sempre che non sia una donna." Per impedirgli qualche gesto brusco teneva una mano sul petto; guardava in aria; i suoi occhi voltati verso il soffitto pieno d'ombra si socchiudevano; si sentiva stanca; avrebbe voluto piegare la testa su questo suo segreto che non esisteva, e dormire.

"Ho capito" disse Leo con un sorriso forzato, "ho capito... qualche innamorato... qualche giovincello..."

"Neppur per sogno" ella rispose senza abbassar la testa, "un uomo." Vedeva sulla parete opposta l'ombra di Leo vaga e larga, muoversi or qua or là come se si fosse preparato a saltarle addosso:

"Un uomo" ripetè con voce più stanca senza cessare quel giuoco delle dita "e se tu sapessi" soggiunse ubriacandosi d'una tristezza senza ragione. "Se tu sapessi come lo amo!..." I suoi occhi si socchiudevano pieni di lacrime, il suo cuore tremava: "E invece" pensò freddamente "quest'uomo non c'è."

"Un uomo... tutti i miei complimenti." Ora Leo s'irritava veramente: questa purezza che non esisteva, questa conquista che altri aveva fatto gli mettevano il diavolo in corpo; la Carla puerile e casta dei suoi desideri cedeva il posto ad una signorina esperta in amore, che non temeva di visitare gli uomini nelle loro case; il solletico, il profumo, il fiore dell'idillio svanivano; il suo amor proprio di seduttore restava a mani vuote davanti ad una porta aperta:

"È colpa mia" soggiunse convinto: "avrei dovuto pensarlo che non era la prima volta."

"La prima volta di che?" ella domandò voltandosi di scatto.

"La prima volta che... m'intendi... che fai delle visite, che vai in casa di qualcheduno."

Un rossore acceso salì alle guance di Carla, ella guardò l'amante, combattuta tra il desiderio di protestare e rivelargli la stupida verità e quello di continuare la finzione incominciata; ma alla fine seguì il secondo partito.

"E anche se fosse vero?" disse guardandolo negli occhi.

"Ah! dunque è vero?" Per un istante Leo strinse i denti e i pugni, poi si dominò ed ebbe una stridula voce di sarcasmo: "Ah, così, purissima fanciulla, tu hai un amante..."

"Sì" ella confessò, arrossendo di nuovo; quell'ironia e il tono dell'uomo le facevano male all'anima; mai come ora aveva sentito un tanto grande bisogno di bontà.

"Ma brava, ma bravissima" ripetè Leo con lentezza; guardò Carla negli occhi e come parlando a se stesso:

"Già si capisce... tale la madre... tale la figlia." Poi bruscamente un furore rosso gli iniettò gli occhi di sangue; afferrò la fanciulla per un braccio:

"Sai cosa sei tu?... una... una..."; nella sua rabbia non sapeva trovar l'epiteto giusto, e balbettava: "una svergognata... e ciò nonostante sei venuta anche da me?"

"Questa è un altra cosa" rispose Carla con calma.

"Che roba... che schifo... e dire che ha appena ventiquattr'anni" si ripeteva Leo guardando la fanciulla: "E si può sapere almeno chi sia quel signore?" domandò.

"È un uomo alto" ella disse sforzandosi di concretare quella vaga immagine ideale verso la quale la sua anima si tendeva; "ha i capelli castani... una bella fronte calma, un volto ovale, non è rosso, è piuttosto pallido... ha delle mani molto lunghe."

"Santore" esclamò Leo prendendo il primo degli amici di Carla che gli parve somigliante al ritratto ch'ella andava facendo.

"No non è lui." Carla guardò avanti a sé: "Magari esistesse" pensava, "ora non sarei qui." Tacque per un istante:

"Egli mi ama molto ed io lo amo molto" continuò con una dolcezza piana e facile che l'incantava e la meravigliava, perché ora le sembrava di neppure mentire; "ci siamo conosciuti due anni fa... e da allora ci siamo sempre veduti... egli non è come te... è... soprattutto buono, voglio dire che mi comprende anche prima che io abbia parlato, che a lui posso confidare tutto quello che penso, qualsiasi cosa, e lui mi discorre come nessuno, e mi prende nelle sue braccia e... e...": la sua voce tremò, gli occhi le si empirono di lacrime; in quel momento era convinta ella stessa di quel che diceva, quasi le pareva di vederla, là, davanti a lei, in carne e ossa, questa creatura della sua fantasia; "ed è veramente diverso da tutti gli altri, e non c'è che lui che mi abbia veramente amato" ella concluse commossa ed anche un po' stupita dalla sua stessa menzogna.

"Il nome" disse Leo per niente impressionato da quel tono e da quelle parole; "si può sapere il nome?" Carla accennò di no con la testa:

"Il nome no."

Un istante di silenzio; si guardarono; poi: "Dammi quella lettera" ordinò l'uomo perentoriamente.

Turbata ella si coprì il petto con le mani: "Perché Leo?..." incominciò con voce supplichevole.

"La lettera... fuori la lettera." D'improvviso egli afferrò alla cintola la fanciulla e tentò per forza d'introdurre la mano in quel suo nascondiglio; ma Carla si divincolò, si liberò, alfine, scarmigliata, corse alla parete opposta:

"Non lo sai che con la violenza non si ottiene nulla?" gli gridò, e aperta la porta della camera da letto scomparve.

Preso da un furore senza limiti Leo si precipitò contro quell'uscio chiuso; ma Carla, dall'altra parte aveva girato la chiave ed egli non potè entrare: "Apri" gridò alfine al colmo della rabbia, urtandovi con i pugni: "apri, stupida...": nessuna risposta.

Gli venne ad un tratto in mente che poteva entrare nella camera da letto dalla parte del bagno; corse nel vestibolo, passò nel bagno; tutto era a posto, nell'ombra i tubi nichelati e le mattonelle di lucida maiolica brillavano. Si accorse con gioia che l'uscio dai vetri verdi era socchiuso; dapprima non vide Carla; la luce era spenta, una rada oscurità empiva la stanza; "Che si sia buttata dalla finestra?" pensò per un attimo, chissà perché, avanzando a tastoni. Accese la luce, la stanza era veramente vuota: "Che il diavolo se la porti; dove potrà essersi mai nascosta?" si domandò, e già stava per uscire e andare a cercare la fuggitiva nelle altre stanze dell'appartamento, quando, ad un tratto, la vide, là, rannicchiata, in piedi, dietro l'uscio del bagno.

Le andò semplicemente incontro, l'afferrò per un braccio, la tirò fuori con una certa violenza dal suo nascondiglio, come si fa coi bambini riottosi:

"Fuori questa lettera" le intimò con severità, tenendola ben stretta.

Si guardarono; ora il pensiero che l'amante potesse accorgersi della sua menzogna spaventava e umiliava la fanciulla; ella capiva che quel pezzo di carta non doveva aver alcuna importanza, doveva essere un biglietto da visita o chissà quale altra stupidaggine, e soffriva all'idea di essere costretta a confessare all'uomo che i suoi sogni non esistevano.

Fece un ultimo tentativo: "Questo non è giusto, Leo..." incominciò con voce querula; "io..."

"La lettera!" intimò l'uomo per la seconda volta.

Ella capì che era inutile ribellarsi. "Sarà quel che sarà" pensò rassegnata e anche un poco interessata da quel che la lettera potesse contenere; mise la mano sul petto, ne trasse il pezzo di carta, lo tese all'uomo: " Eccola."

Leo lo prese, ma prima di esaminarlo guardò la fanciulla. Allora, chissà perché, fu come se un'insormontabile vergogna l'avesse d'improvviso assalita; bruscamente, il volto di Carla si contrasse, ella si voltò, andò al letto, vi si buttò nascondendosi il volto nelle mani; fu soltanto un gesto, non l'accompagnarono né l'animo né alcun vero sentimento; ella stessa non s'ingannò sul suo significato; poi ad un tratto, sentì l'uomo ridere, e rialzò la testa:

"Ma è il mio biglietto" egli le gridò andandole incontro, "il mio biglietto che io ti ho dato oggi."

Ella non si stupì; in fondo quella storia della lettera era assurda, nessuno poteva scriverle, nessuno l'amava... ma ciò nonostante le parve crudelmente ingiusto che così fosse; ingiusta questa assenza del miracolo (perché non poteva quel gran desiderio che ne aveva cambiare in epistola amorosa quello stupido biglietto? ), ingiusta questa meticolosa realtà: impallidì:

"Già, il tuo biglietto" disse con un senso di delusione amara e inevitabile. "Che cosa volevi che fosse?"

"Ma allora" egli continuò avvicinandosi e sedendole a fianco, sul letto "allora sono io quell'uomo... capelli castani, fronte calma... sono io che ami."

Ella lo guardò a lungo come se avesse voluto ravvisare in quel volto rosso e compiaciuto l'immagine sognata:

"E... e" disse esitando e abbassando gli occhi con la coscienza di mentire daccapo; "non l'avevi ancora capito?"

Per la prima volta da quando Carla lo conosceva, Leo ebbe un riso fresco, quasi giovane, spontaneo: "Io no" gridò; la prese per la vita:

"Sia come non detto tutto quello che ho detto" ripetè "sia come non detto." Si chinò; la baciò sulle spalle, sul collo, sulle guance, sul petto: quel corpo tornava ad eccitarlo, insieme con l'illusione ritrovava la libidine:

"La mia piccola bugiarda" ripeteva, "la mia piccola bambina bugiarda..."

Questi sfoghi d'amore non durarono più d'un minuto; poi egli si alzò goffamente dal letto:

"E ora?" domandò tra il serio e il faceto senza ravviarsi quei suoi capelli in disordine che gli davano un aspetto non si sapeva se ebbro o maldestro: "Non credi che sarebbe tempo di andare a dormire?... Io ho un sonno... un sonno terribile."

Carla sorrise con sforzo, accennò timidamente di sì.

"Allora, da brava" disse l'uomo "questo è il pigiama..." e le mostrò un cencio a grosse righe posato sul capezzale "là sull'armadio se ne hai bisogno c'è il necessario per la teletta...: svestiti e mettiti a letto che io ti raggiungo subito..." Le sorrise ancora, del tutto fiducioso, le batté con la mano sulla spalla e uscì dalla parte del bagno.

Capitolo IX

Il letto largo e basso occupava un angolo interno; ella vi si distese e guardò la stanza: nella penombra che quella sola lampada accesa presso il capezzale non rompeva, s'intravedevano due armadi dagli specchi lucidi, uno a destra della porta del salotto, l'altro dalla parte opposta; e non c'era altro; la finestra occupava tutta la parete opposta, era bassa, rettangolare, con piccoli vetri; aveva delle mezze tendine candide; sotto la finestra c'era il termosifone nascosto da una specie di griglia; le persiane erano chiuse, la porta del salotto era chiusa, e così anche quella del bagno che ella vedeva di sbieco, dai vetri illuminati blandamente come le pareti di un acquario se ci batte il sole. Abbassò gli occhi, una gran spoglia d'orso, bianca e irsuta, stava distesa ai suoi piedi: aveva occhi di celluloide gialla, una bocca spalancata piena di denti aguzzi; la pelle piatta dalle zampe corte e dalla coda esigua dava l'impressione che un rullo gigantesco l'avesse a quel modo spianata, non lasciando intatta che la testa feroce. Si alzò, fece macchinalmente qualche passo per la stanza, toccò la stufa che era calda, allargò una tendina, poi si voltò: dietro quei vetri luminosi della porta del bagno, l'ombra dell'amante passava e ripassava, si udiva un getto d'acqua scrosciare, altri rumori... Allora, non senza aver osservato negli specchi cupi degli armadi la sua figura scapigliata e spaurita, tornò al letto e incominciò a spogliarsi.

Non pensava a nulla; le azioni inconsuete che compiva la assorbivano completamente, le davano uno stupore trasognato. Quel che soprattutto l'impressionava era di non essere a casa sua, di trovarsi a quell'ora in quella stanza; si tolse il vestito lacerato, lo depose sopra la bassa poltrona che stava a piè del letto; le calze e contemplò un istante le sue gambe nude; la sottoveste, le mutande; esitò; aveva da togliersi anche la camicia? Ci pensò; sì, certo, era necessario; se la sfilò e la buttò sugli altri panni. Non si sentì nuda che sotto le lenzuola fredde, dove si rannicchiò tutta contro la parete, con una mano tra le gambe e una sul petto: il pigiama dalle grosse righe, che faceva pensare ad un'uniforme criminale, l'aveva buttato in terra; le era venuto in mente che la madre aveva potuto indossarlo.

A poco a poco il suo corpo ardente riscaldava le lenzuola. Ad un tratto ebbe l'impressione che questo tepore avesse sciolto quel nodo di paura e di stupore che fino allora le aveva ingombrato l'anima; si sentì sola, provò una gran tenerezza, una pietà indulgente per se stessa, si sforzò di raccogliersi, di raggomitolarsi più che poteva, fino a toccare con le labbra le sue ginocchia rotonde. L'odore sano e sensuale che emanavano la commosse; le baciò più volte appassionatamente: " Povera... poverina..." si ripeteva accarezzandosi. Gli occhi le si empirono di lacrime; avrebbe voluto piegar la testa sul suo petto florido e piangervi come su quello di una madre; poi senza cessare di fissare con gli occhi attenti quella parete appena illuminata dalla lampada, ascoltò: i rumori che le arrivavano erano familiari e rivelavano irreparabilmente il luogo dove stava: la pioggia cadeva ancora, se ne udiva il fruscio; qualcheduno camminava nel bagno; dell'acqua scorreva; se si muoveva, il letto mollemente sprofondava, con un suono sordo, e in un certo modo lontano, non sapeva se per qualche ricordo o per la estrema cedevolezza delle piume. Non era il letto di casa sua, duro e stretto, né uno di quei letti stranieri nei quali ci si caccia dopo un lungo viaggio, e ci par subito di stare troppo in basso o troppo in alto, e ci si dorme senza soddisfazione; no; questo era un letto comodo, tenerissimo, pieno di attenzioni e di premure; soltanto il corpo ne aveva paura, vi si rannicchiava tutto, vi tremava, e ogni tanto tendeva una mano esitante a tastare lo spazio immenso e freddo che avanzava dietro, quella Siberia di tela, disabitata e ostile; era una sensazione sgradevole: come camminare per una strada buia sapendo di avere qualcheduno alle spalle.

Chiuse gli occhi stanchi: era appena un minuto e le pareva un'ora che stava in quel letto: "Perché Leo non viene?" si domandò ad un tratto. Questo pensiero ne trascinò degli altri: "Non mi volterò se non quando avrà spento la luce" si disse senza odio: "non voglio vederlo..."

Rabbrividì: "è la fine" pensò distrattamente e senza convinzione; ora da quella volontà di distruzione che l'aveva portata fino a quel letto nasceva in lei un desiderio avido dell'oscurità nella quale tra poco si sarebbe abbracciata all'amante; immaginava, non senza turbamento, non sapeva se per una voglia istintiva di godere o per quel suo programma di avvilirsi completamente, di buttarsi, nelle tenebre e nella promiscuità di quella notte, a tutte le più bestiali sfrenatezze di cui pur senza aver la conoscenza aveva da tempo indovinato l'esistenza; ma queste eccitate fantasie non la distraevano dall'attesa: "Perché Leo non viene?" si ripeteva ogni tanto... E poi, rotta dalle fatiche di questa lussuria, si sarebbe addormentata accanto all'amante; quest'idea le piacque, chissà perché, e già pensava che doveva essere insieme dolce e triste dormire in compagnia, l'uno a fianco dell'altro, magari abbracciati, nudi e uniti, nella notte; e quasi ne provava dell'affetto per Leo, e immaginava che non si sarebbe mossa, che avrebbe trattenuto anche il respiro per non destarlo... quando la porta del bagno si aprì con un tintinnìo di vetri.


14 (VIII - IX) 14 (VIII - IX) 14 (VIII - IX)

"Che stanza c'è di là?" domandò la fanciulla additando l'altra porta del salotto.

"La camera da Ietto" rispose l'amante osservandola attentamente; e dopo un istante, abbracciandola daccapo, con voce persuasiva: "ma lascia star tutto questo... ascoltami... dimmi...; mi ami?"

"E tu?..." ella domandò a fior di labbra, guardandolo con occhi seri.

"Io?... cosa c'entro?... Per forza ti amo, se no non avrei fatto quello che ho fatto... sicuro che l'amo la mia Carlotta, la mia bambola, la mia Carlottina" soggiunse Leo ficcando delle dita sconvolgitrici nei capelli della fanciulla; "la amo moltissimo e guai a chi me la toccherà... e la desidero anche, certo... tutta intera... desidero queste labbra, queste guance, queste belle braccia, queste belle spalle, questo suo corpo pieno di., femminilità, delizioso, pieno di fascino e di grazia che... che... che mi farà impazzire" egli esplose alfine e come preso da una specie di frenesia si gettò su Carla, l'abbracciò con tutte le sue forze, cadde insieme con lei sopra il divano; la lampada illuminò con la sua luce indifferente la schiena dell'uomo dalla giacca tutta sottesa dallo sforzo del torso e le gambe di Carla, calzate di rosa. Stettero così per qualche istante, tra i sussulti della libidine confuse parole di tenerezza uscivano di bocca all'uomo.

Carla invece taceva. L'atteggiamento della fanciulla tra questi furori era docile ma non rassegnato, i suoi pensieri non erano così lucidi come ella aveva preveduto, un vergognoso e scomposto eccitamento incominciava ad ardere le sue guance; insomma, era inutile nasconderselo, quelle carezze non la lasciavano del tutto indifferente, un certo piacere tanto più acuto in quanto le pareva assurdo veniva ad annebbiare la coscienza: "Vediamo" ella pensava tra i fremiti istintivi che le strappavano le strette libertine e crudeli dell'amante, "cosa sto facendo?..." Mai come ora, questa sua tresca le era apparsa sotto un aspetto tanto comune, imperdonabile e rovinoso, "una nuova vita" pensò ancora debolmente; poi chiuse gli occhi.

Ma la lussuria dell'uomo sapeva non oltrepassare certi limiti; veder Carla abbandonarsi con gli occhi chiusi, bianca come la cera sul fondo cupo del divano, e pensare: "no... prenderla qui no... di là sì... qui è troppo scomodo," fu tutt'uno. Egli si risollevò, fece risollevare la fanciulla; per un istante stettero immobili, ansanti, senza parlare; la luce della lampada lasciava nell'ombra Leo, appoggiato sul fondo del divano, e illuminava Carla: ella era già tutt'altra dalla signorina di pochi minuti prima, aveva i capelli arruffati, una ciocca le pendeva davanti agli occhi, il volto era rosso, grave e turbato, una delle due bretelline del vestito durante l'abbraccio si era spezzata e pendeva in due lembi, uno sul petto e uno sull'omero, discoprendo la spalla bianca e nuda. Allora, mentre così assorta ella guardava davanti a sé, l'uomo osservò una cosa strana: qualche cosa molto simile a un cartiglio piegato in quattro riempiva l'incavo della veste tra i seni e ne tendeva la seta rossa con due o tre punte aguzze; egli sorrise, tese una mano e toccò l'oggetto: Then, while thus absorbed she gazed before her, the man observed a strange thing: something very similar to a scroll folded in four filled the hollow of the dress between her breasts and stretched the red silk with two or three sharp points ; he smiled, reached out a hand and touched the object:

"E questo cos'è?" domandò senza alcuna intenzione, per pura curiosità. Carla voltò una faccia spaurita:

"Cosa, questo?"

"Quel... pezzo di carta che tieni così gelosamente in seno" insistette Leo con un sorriso quasi paterno.

Ella abbassò la testa, si portò una mano al petto; non c'era dubbio, l'amante aveva ragione, qualche cosa che assomigliava molto ad un pezzo di carta stava nascosto lì, tra la camicia e la carne; solamente ella non si ricordava di avercelo messo né riusciva a capire che cosa fosse; alzò gli occhi, guardò sconcertata l'amante.

"Il posto dove tutte le bambine mettono i loro segreti" disse Leo, che l'idea di un tale nascondiglio inteneriva ed eccitava insieme; "vediamo, Carla, vediamolo questo tuo segreto." Tese la mano e fece il gesto d'introdurla sotto il vestito.

"Non ti permetto" ella gridò improvvisamente, senza neppur saper lei perché, coprendosi con le mani..

Il sorriso dell'uomo scomparve: "Va bene" egli disse osservando attentamente la fanciulla: "ti permetto di non permettere... tiralo fuori tu questo tesoro... e poi leggilo ad alta voce."

Silenzio; Carla guardava l'amante tra irresoluta e disorientata, intuiva che questa storia del pezzo di carta incominciava ad irritarlo; lo si vedeva dagli occhi che erano diventati duri; e si tormentava invano per sapere che cosa quel cartiglio che le sue dita curiose tastavano potesse contenere; ma non lo tirò fuori, un po' per un triste puntiglio (e se veramente fosse stato un segreto suo da non confidarsi a nessuno? ), un po' per una vaga intenzione di vedere come agisse Leo quando la gelosia lo pungeva.

"E se io" disse alfine in tono di sfida, posando le mani sulle ginocchia "se io non volessi mostrartela questa lettera?"

"Ah! è una lettera" esclamò Leo interessato e già inquieto "e di chi, se non ti dispiace, di quale persona così importante da tenerla lì, proprio lì, e da non potere lasciarla a casa?" it's a letter" exclaimed Leo interested and already uneasy "and from whom, if you don't mind, from which person so important as to keep it right there, right there, and not be able to leave it at home?"

Ella lo guardò tra le ciglia socchiuse, inchinando la sua grossa testa arruffata sopra la spalla nuda: "Questo" rispose assumendo un atteggiamento capriccioso, guardando in aria e tamburellando tranquillamente con le dita sopra le ginocchia, "questo non te lo dico."

"È capacissima" pensò Leo del tutto irritato, "capacissima di avere qualchedun altro... capacissima." Si sollevò lentamente dal divano:

"Senti Carla" disse scandendo le parole e piantandole addosso due occhi imperiosi e indagatori: "io voglio assolutamente sapere di chi è questa lettera." "Listen, Carla," he said, articulating his words and fixing two imperious and inquiring eyes on her: "I absolutely want to know whose letter this is."

Ella rise un poco, divertita da questa gelosia; ma non cambiò la sua sdegnosa attitudine: "Indovina" disse.

"Un uomo" domandò Leo.

"Già" ella commentò in tono canzonatorio; "già, sempre che non sia una donna." "Yeah," she said teasingly; "Yeah, unless it's a woman." Per impedirgli qualche gesto brusco teneva una mano sul petto; guardava in aria; i suoi occhi voltati verso il soffitto pieno d'ombra si socchiudevano; si sentiva stanca; avrebbe voluto piegare la testa su questo suo segreto che non esisteva, e dormire.

"Ho capito" disse Leo con un sorriso forzato, "ho capito... qualche innamorato... qualche giovincello..."

"Neppur per sogno" ella rispose senza abbassar la testa, "un uomo." Vedeva sulla parete opposta l'ombra di Leo vaga e larga, muoversi or qua or là come se si fosse preparato a saltarle addosso:

"Un uomo" ripetè con voce più stanca senza cessare quel giuoco delle dita "e se tu sapessi" soggiunse ubriacandosi d'una tristezza senza ragione. "Se tu sapessi come lo amo!..." I suoi occhi si socchiudevano pieni di lacrime, il suo cuore tremava: "E invece" pensò freddamente "quest'uomo non c'è."

"Un uomo... tutti i miei complimenti." Ora Leo s'irritava veramente: questa purezza che non esisteva, questa conquista che altri aveva fatto gli mettevano il diavolo in corpo; la Carla puerile e casta dei suoi desideri cedeva il posto ad una signorina esperta in amore, che non temeva di visitare gli uomini nelle loro case; il solletico, il profumo, il fiore dell'idillio svanivano; il suo amor proprio di seduttore restava a mani vuote davanti ad una porta aperta:

"È colpa mia" soggiunse convinto: "avrei dovuto pensarlo che non era la prima volta."

"La prima volta di che?" ella domandò voltandosi di scatto.

"La prima volta che... m'intendi... che fai delle visite, che vai in casa di qualcheduno."

Un rossore acceso salì alle guance di Carla, ella guardò l'amante, combattuta tra il desiderio di protestare e rivelargli la stupida verità e quello di continuare la finzione incominciata; ma alla fine seguì il secondo partito.

"E anche se fosse vero?" disse guardandolo negli occhi.

"Ah! dunque è vero?" Per un istante Leo strinse i denti e i pugni, poi si dominò ed ebbe una stridula voce di sarcasmo: "Ah, così, purissima fanciulla, tu hai un amante..."

"Sì" ella confessò, arrossendo di nuovo; quell'ironia e il tono dell'uomo le facevano male all'anima; mai come ora aveva sentito un tanto grande bisogno di bontà.

"Ma brava, ma bravissima" ripetè Leo con lentezza; guardò Carla negli occhi e come parlando a se stesso:

"Già si capisce... tale la madre... tale la figlia." Poi bruscamente un furore rosso gli iniettò gli occhi di sangue; afferrò la fanciulla per un braccio:

"Sai cosa sei tu?... una... una..."; nella sua rabbia non sapeva trovar l'epiteto giusto, e balbettava: "una svergognata... e ciò nonostante sei venuta anche da me?"

"Questa è un altra cosa" rispose Carla con calma.

"Che roba... che schifo... e dire che ha appena ventiquattr'anni" si ripeteva Leo guardando la fanciulla: "E si può sapere almeno chi sia quel signore?" domandò.

"È un uomo alto" ella disse sforzandosi di concretare quella vaga immagine ideale verso la quale la sua anima si tendeva; "ha i capelli castani... una bella fronte calma, un volto ovale, non è rosso, è piuttosto pallido... ha delle mani molto lunghe."

"Santore" esclamò Leo prendendo il primo degli amici di Carla che gli parve somigliante al ritratto ch'ella andava facendo.

"No non è lui." Carla guardò avanti a sé: "Magari esistesse" pensava, "ora non sarei qui." Tacque per un istante:

"Egli mi ama molto ed io lo amo molto" continuò con una dolcezza piana e facile che l'incantava e la meravigliava, perché ora le sembrava di neppure mentire; "ci siamo conosciuti due anni fa... e da allora ci siamo sempre veduti... egli non è come te... è... soprattutto buono, voglio dire che mi comprende anche prima che io abbia parlato, che a lui posso confidare tutto quello che penso, qualsiasi cosa, e lui mi discorre come nessuno, e mi prende nelle sue braccia e... e...": la sua voce tremò, gli occhi le si empirono di lacrime; in quel momento era convinta ella stessa di quel che diceva, quasi le pareva di vederla, là, davanti a lei, in carne e ossa, questa creatura della sua fantasia; "ed è veramente diverso da tutti gli altri, e non c'è che lui che mi abbia veramente amato" ella concluse commossa ed anche un po' stupita dalla sua stessa menzogna.

"Il nome" disse Leo per niente impressionato da quel tono e da quelle parole; "si può sapere il nome?" Carla accennò di no con la testa:

"Il nome no."

Un istante di silenzio; si guardarono; poi: "Dammi quella lettera" ordinò l'uomo perentoriamente.

Turbata ella si coprì il petto con le mani: "Perché Leo?..." incominciò con voce supplichevole.

"La lettera... fuori la lettera." D'improvviso egli afferrò alla cintola la fanciulla e tentò per forza d'introdurre la mano in quel suo nascondiglio; ma Carla si divincolò, si liberò, alfine, scarmigliata, corse alla parete opposta:

"Non lo sai che con la violenza non si ottiene nulla?" gli gridò, e aperta la porta della camera da letto scomparve.

Preso da un furore senza limiti Leo si precipitò contro quell'uscio chiuso; ma Carla, dall'altra parte aveva girato la chiave ed egli non potè entrare: "Apri" gridò alfine al colmo della rabbia, urtandovi con i pugni: "apri, stupida...": nessuna risposta.

Gli venne ad un tratto in mente che poteva entrare nella camera da letto dalla parte del bagno; corse nel vestibolo, passò nel bagno; tutto era a posto, nell'ombra i tubi nichelati e le mattonelle di lucida maiolica brillavano. Si accorse con gioia che l'uscio dai vetri verdi era socchiuso; dapprima non vide Carla; la luce era spenta, una rada oscurità empiva la stanza; "Che si sia buttata dalla finestra?" pensò per un attimo, chissà perché, avanzando a tastoni. Accese la luce, la stanza era veramente vuota: "Che il diavolo se la porti; dove potrà essersi mai nascosta?" si domandò, e già stava per uscire e andare a cercare la fuggitiva nelle altre stanze dell'appartamento, quando, ad un tratto, la vide, là, rannicchiata, in piedi, dietro l'uscio del bagno.

Le andò semplicemente incontro, l'afferrò per un braccio, la tirò fuori con una certa violenza dal suo nascondiglio, come si fa coi bambini riottosi:

"Fuori questa lettera" le intimò con severità, tenendola ben stretta.

Si guardarono; ora il pensiero che l'amante potesse accorgersi della sua menzogna spaventava e umiliava la fanciulla; ella capiva che quel pezzo di carta non doveva aver alcuna importanza, doveva essere un biglietto da visita o chissà quale altra stupidaggine, e soffriva all'idea di essere costretta a confessare all'uomo che i suoi sogni non esistevano.

Fece un ultimo tentativo: "Questo non è giusto, Leo..." incominciò con voce querula; "io..."

"La lettera!" intimò l'uomo per la seconda volta.

Ella capì che era inutile ribellarsi. "Sarà quel che sarà" pensò rassegnata e anche un poco interessata da quel che la lettera potesse contenere; mise la mano sul petto, ne trasse il pezzo di carta, lo tese all'uomo: " Eccola."

Leo lo prese, ma prima di esaminarlo guardò la fanciulla. Allora, chissà perché, fu come se un'insormontabile vergogna l'avesse d'improvviso assalita; bruscamente, il volto di Carla si contrasse, ella si voltò, andò al letto, vi si buttò nascondendosi il volto nelle mani; fu soltanto un gesto, non l'accompagnarono né l'animo né alcun vero sentimento; ella stessa non s'ingannò sul suo significato; poi ad un tratto, sentì l'uomo ridere, e rialzò la testa:

"Ma è il mio biglietto" egli le gridò andandole incontro, "il mio biglietto che io ti ho dato oggi."

Ella non si stupì; in fondo quella storia della lettera era assurda, nessuno poteva scriverle, nessuno l'amava... ma ciò nonostante le parve crudelmente ingiusto che così fosse; ingiusta questa assenza del miracolo (perché non poteva quel gran desiderio che ne aveva cambiare in epistola amorosa quello stupido biglietto? ), ingiusta questa meticolosa realtà: impallidì:

"Già, il tuo biglietto" disse con un senso di delusione amara e inevitabile. "Che cosa volevi che fosse?"

"Ma allora" egli continuò avvicinandosi e sedendole a fianco, sul letto "allora sono io quell'uomo... capelli castani, fronte calma... sono io che ami."

Ella lo guardò a lungo come se avesse voluto ravvisare in quel volto rosso e compiaciuto l'immagine sognata:

"E... e" disse esitando e abbassando gli occhi con la coscienza di mentire daccapo; "non l'avevi ancora capito?"

Per la prima volta da quando Carla lo conosceva, Leo ebbe un riso fresco, quasi giovane, spontaneo: "Io no" gridò; la prese per la vita:

"Sia come non detto tutto quello che ho detto" ripetè "sia come non detto." Si chinò; la baciò sulle spalle, sul collo, sulle guance, sul petto: quel corpo tornava ad eccitarlo, insieme con l'illusione ritrovava la libidine:

"La mia piccola bugiarda" ripeteva, "la mia piccola bambina bugiarda..."

Questi sfoghi d'amore non durarono più d'un minuto; poi egli si alzò goffamente dal letto:

"E ora?" domandò tra il serio e il faceto senza ravviarsi quei suoi capelli in disordine che gli davano un aspetto non si sapeva se ebbro o maldestro: "Non credi che sarebbe tempo di andare a dormire?... Io ho un sonno... un sonno terribile."

Carla sorrise con sforzo, accennò timidamente di sì.

"Allora, da brava" disse l'uomo "questo è il pigiama..." e le mostrò un cencio a grosse righe posato sul capezzale "là sull'armadio se ne hai bisogno c'è il necessario per la teletta...: svestiti e mettiti a letto che io ti raggiungo subito..." Le sorrise ancora, del tutto fiducioso, le batté con la mano sulla spalla e uscì dalla parte del bagno.

Capitolo IX

Il letto largo e basso occupava un angolo interno; ella vi si distese e guardò la stanza: nella penombra che quella sola lampada accesa presso il capezzale non rompeva, s'intravedevano due armadi dagli specchi lucidi, uno a destra della porta del salotto, l'altro dalla parte opposta; e non c'era altro; la finestra occupava tutta la parete opposta, era bassa, rettangolare, con piccoli vetri; aveva delle mezze tendine candide; sotto la finestra c'era il termosifone nascosto da una specie di griglia; le persiane erano chiuse, la porta del salotto era chiusa, e così anche quella del bagno che ella vedeva di sbieco, dai vetri illuminati blandamente come le pareti di un acquario se ci batte il sole. Abbassò gli occhi, una gran spoglia d'orso, bianca e irsuta, stava distesa ai suoi piedi: aveva occhi di celluloide gialla, una bocca spalancata piena di denti aguzzi; la pelle piatta dalle zampe corte e dalla coda esigua dava l'impressione che un rullo gigantesco l'avesse a quel modo spianata, non lasciando intatta che la testa feroce. Si alzò, fece macchinalmente qualche passo per la stanza, toccò la stufa che era calda, allargò una tendina, poi si voltò: dietro quei vetri luminosi della porta del bagno, l'ombra dell'amante passava e ripassava, si udiva un getto d'acqua scrosciare, altri rumori... Allora, non senza aver osservato negli specchi cupi degli armadi la sua figura scapigliata e spaurita, tornò al letto e incominciò a spogliarsi.

Non pensava a nulla; le azioni inconsuete che compiva la assorbivano completamente, le davano uno stupore trasognato. Quel che soprattutto l'impressionava era di non essere a casa sua, di trovarsi a quell'ora in quella stanza; si tolse il vestito lacerato, lo depose sopra la bassa poltrona che stava a piè del letto; le calze e contemplò un istante le sue gambe nude; la sottoveste, le mutande; esitò; aveva da togliersi anche la camicia? Ci pensò; sì, certo, era necessario; se la sfilò e la buttò sugli altri panni. Non si sentì nuda che sotto le lenzuola fredde, dove si rannicchiò tutta contro la parete, con una mano tra le gambe e una sul petto: il pigiama dalle grosse righe, che faceva pensare ad un'uniforme criminale, l'aveva buttato in terra; le era venuto in mente che la madre aveva potuto indossarlo. She only felt naked under the cold sheets, where she curled up all against the wall, with one hand between her legs and one on her chest: her thickly striped pajamas, which suggested a criminal uniform, she had thrown on the floor ; it occurred to her that her mother might have worn it.

A poco a poco il suo corpo ardente riscaldava le lenzuola. Ad un tratto ebbe l'impressione che questo tepore avesse sciolto quel nodo di paura e di stupore che fino allora le aveva ingombrato l'anima; si sentì sola, provò una gran tenerezza, una pietà indulgente per se stessa, si sforzò di raccogliersi, di raggomitolarsi più che poteva, fino a toccare con le labbra le sue ginocchia rotonde. L'odore sano e sensuale che emanavano la commosse; le baciò più volte appassionatamente: " Povera... poverina..." si ripeteva accarezzandosi. Gli occhi le si empirono di lacrime; avrebbe voluto piegar la testa sul suo petto florido e piangervi come su quello di una madre; poi senza cessare di fissare con gli occhi attenti quella parete appena illuminata dalla lampada, ascoltò: i rumori che le arrivavano erano familiari e rivelavano irreparabilmente il luogo dove stava: la pioggia cadeva ancora, se ne udiva il fruscio; qualcheduno camminava nel bagno; dell'acqua scorreva; se si muoveva, il letto mollemente sprofondava, con un suono sordo, e in un certo modo lontano, non sapeva se per qualche ricordo o per la estrema cedevolezza delle piume. Non era il letto di casa sua, duro e stretto, né uno di quei letti stranieri nei quali ci si caccia dopo un lungo viaggio, e ci par subito di stare troppo in basso o troppo in alto, e ci si dorme senza soddisfazione; no; questo era un letto comodo, tenerissimo, pieno di attenzioni e di premure; soltanto il corpo ne aveva paura, vi si rannicchiava tutto, vi tremava, e ogni tanto tendeva una mano esitante a tastare lo spazio immenso e freddo che avanzava dietro, quella Siberia di tela, disabitata e ostile; era una sensazione sgradevole: come camminare per una strada buia sapendo di avere qualcheduno alle spalle. It wasn't the bed at home, hard and narrow, nor one of those foreign beds you crawl into after a long journey, and you immediately feel like you're lying too low or too high, and you sleep there without satisfaction; no; this was a comfortable bed, very tender, full of attention and kindness; only the body was afraid of it, it huddled up in it, trembled in it, and every now and then he reached out a hesitant hand to feel the immense, cold space that advanced behind it, that canvas Siberia, uninhabited and hostile; it was an unpleasant sensation: like walking down a dark street knowing that someone was behind you.

Chiuse gli occhi stanchi: era appena un minuto e le pareva un'ora che stava in quel letto: "Perché Leo non viene?" si domandò ad un tratto. Questo pensiero ne trascinò degli altri: "Non mi volterò se non quando avrà spento la luce" si disse senza odio: "non voglio vederlo..."

Rabbrividì: "è la fine" pensò distrattamente e senza convinzione; ora da quella volontà di distruzione che l'aveva portata fino a quel letto nasceva in lei un desiderio avido dell'oscurità nella quale tra poco si sarebbe abbracciata all'amante; immaginava, non senza turbamento, non sapeva se per una voglia istintiva di godere o per quel suo programma di avvilirsi completamente, di buttarsi, nelle tenebre e nella promiscuità di quella notte, a tutte le più bestiali sfrenatezze di cui pur senza aver la conoscenza aveva da tempo indovinato l'esistenza; ma queste eccitate fantasie non la distraevano dall'attesa: "Perché Leo non viene?" si ripeteva ogni tanto... E poi, rotta dalle fatiche di questa lussuria, si sarebbe addormentata accanto all'amante; quest'idea le piacque, chissà perché, e già pensava che doveva essere insieme dolce e triste dormire in compagnia, l'uno a fianco dell'altro, magari abbracciati, nudi e uniti, nella notte; e quasi ne provava dell'affetto per Leo, e immaginava che non si sarebbe mossa, che avrebbe trattenuto anche il respiro per non destarlo... quando la porta del bagno si aprì con un tintinnìo di vetri.