XI puntata
Da Mosca La Voce della Russia!
Vi invitamo all'ascolto della XI puntata del ciclo "1812.
La bufera napoleonica" a cura di Dmitrij Mincenok. Il 5 maggio del 1812 in Europa vi fu una eclisse di sole.
A Parigi, una maga che aveva raggiunto una vasta notorietà, madame Lenorman, ne trasse dei moniti nefasti.
Ma Napoleone non lo venne a sapere perché lui irrideva alle superstizioni della nuova Epoca romantica subentrata a quella dei lumi.
Il 9 maggio del 1812, alle sei del mattino, con una scorta di onore della Guardia a cavallo e accompagnato dal'imperatrice Maria Luisa, Napoleone lasciò il Palazzo di Saint Cloud, alle porte di Parigi.
Era diretto ad est, per raggiungere il suo esercito che per strade diverse già si muoveva in terra tedesca per entrare in Polonia e concentrarsi sulla Vistola e il Neman.
Napoleone viaggiava con la pompa e la sontuosità di un satrapo orientale.
Conosciamo certi particolari di quel viaggio grazie alle memorie del Gran Ciambellano di Dresda che aveva approntato la Reggia dei Re di Sassonia in vista dell'arrivo dell'uomo più potente del mondo. La popolazione dei sobborghi era stata reclutata per aggiustare le strade che avrebbe dovuto attraversare il corteo imperiale.
La notte, ai margini della strade erano stati approntati dei grandi falò che venivano accesi all'approssimarsi del corteo, per illumminare il percorso.
Dresda, tranquilla e provinciale, si era trasformata in un alveare con la gente in mezzo alla strada per la speranza di vedere Lui.
Per celebrare l'avvenimento, in Cattedrale fu officiato il Deo Gratias mentre i musici eseguivano il Te Deum di Mozart.
In seguito all'Imperatore furono presentati i maggiorenti della città e il corpo diplomatico.
Il plenipotenziario russo Kanikov era in mezzo ai suoi colleghi.
L'imperatore gli parlò con benevolenza quasi a distinguerlo fra gli altri. Alcuni videro in quel gesto un sintomo di pace, altri invece, più lungimiranti, dissero che in vista dell'aggressione, il Conquistatore ritirava gli artigli in un guanto di velluto.
Alcuni giorni prima a Dresda era arrivato Eugene de Beauharnais, il figliastro dell'Imperatore allora già Vicerè di Italia.
Uomo d'armi, distintosi in numerose battaglie della campagna di Russia, ebbe una vita felice.
E per ironia della sorte, suo figlio minore, Massimiliano, prese in sposa la Principessa Maria, figlia dell'imperatore russo Nicola I. Nei suoi dispacci ad Alessandro l'ambasciatore Kanikov riferiva che Eugene de Beauharnais si era trattenuto a Dresda soltanto un paio d'ore in quanto spedito di urgenza ad oriente, verso i confini della Russia.
"La bufera si avvicina" concludeva l'ambasciatore.
Poco più tardi egli inviò un nuovo dispaccio in cui informava che "al maresciallo Murat, il più famoso fra i condottieri napoleonici, già nominato Re di Napoli, era stato formalmente vietato di recarsi a Dresda.
Un divieto ancor più stridente in quanto, per raggiungere la Polonia dall'Italia, avrebbe dovuto toccare Danzica, superando la capitale della Sassonia. Secondo l'ambasciatore russo questo sgarbo sarebbe stato fatto in onore dell'augusto suocero, l'imperatore d'Austria.
Buonaparte aveva scritto a Murat che Franz continuava a piangere sui perduti territori italiani e che la sua vista avrebbe potuto offenderlo.
In realtà, come l'ambasciatore aggiungeva, i motivi erano ben diversi.
In un attacco di sincerità Napoleone aveva riconosciuto in una cerchia di intimi che guardava con pericolo ad ogni contatto fra questo re, di fresca nomina, con le più antiche casate di Europa e in particolare con quella d'Austria.
"Saranno sufficienti poche parole cortesi di Franz per far girare la testa a Murat" aveva detto Napoleone.
Questa frase gli era stata riferita da uno spazzamino di corte da lui corrotto, finanche mezzo francese, sottolineava.
Costui si era nascosto nella canna fumaria ed aveva avuto l'opportunità di ascoltare quel discorso.
Napoleone temeva che il suo vanitoso maresciallo avrebbe potuto perdere la testa per le possibili gentilezze del sovrano austriaco e, toccato dall'attenzione di un uomo che discendeva da quarandue imperatori, avrebbe potuto lasciarsi sfuggire parole che in certo senso avrebbero potuto impegnarlo. E Napoleone voleva evitare ogni strana amicizia fra l'Austria che voleva riconquistare l'Italia e Murat che aspirava ad una sempre maggiore indipendenza.
Anche questa volta la sua lungimiranza non lo aveva abbandonato.
Alcuni anni più tardi, dopo Waterloo, Murat fu il primo a tradirlo e a voltargli le spalle. Ma la fine era ancora lontana.
Intanto Napoleone attendeva con impazienza l'incontro con l'enigmatico Alessandro, il suo principale avversario
Il Duca di Bassano, suo ministro degli esteri, era arrivato a Dresda per mostrargli i documenti più importanti giunti in sua assenza.
Fra le tante carte una lo colpisce con particolare irritazione. Si tratta di una lettera inviata dal principe Kurakin in cui egli chiede la concessione del passaporto diplomatico valido per tutti i paesi di Europa. Secono una ormai inveterata tradizione quando un diplomatico falliva nella missione affidatagli e a Kurakin era stata data quella di mantenere la pace con la Francia, egli abbandonava subito il paese.
E Kurakin con quella sua richiesta alla cancelleria di Napoleone lo dava ad intendere.
L'Imperatore dette ordine di non rispondere.
Un gesto poco rispettoso, ma misterioso per il vecchio Kurakin. Che avrebbe potuto chiedersi perché lo volevano trattenere, forse per un desiderio di pace? Napoleone contava proprio su questa riflessione dell'ingenuo principe.
L'astuto corso calcolava che l'imperatore russo nel vedere che il suo ambasciatore, rappresentante di una potenza ostile veniva trattenuto a dispetto delle tradizioni, avrebbe potuto sperare che non tutto fosse perduto e che fosse ancora possibile scongiurare il conflitto.
Napoleone aggiunse di concedere i passaporti soltanto ad alcuni familiari dell'ambasciatore russo e prima di tutto ai suoi figli illegittimi, circa una settantina.
L'imperatore francese voleva evitare che Alessandro attaccasse per primo e per di più in pieno estate.
Quella stagione gli tornava utile perché i russi potessero raccogliere il grano e l'avena che poi sarebbero serviti ai bisogni della sua cavalleria.
E Napoleone inviava ad Alessandro un emissario dietro l'altro per paralizzarne la volontà.
Egli aveva messo a punto una strategia in parecchie mosse, in cui il passaporto per Kurakin era soltanto la prima.
La seconda consistè nell'inviare a Vilnus il suo aiutante, il conte Luis De Narbonne, erede di un casato prestigioso che aveva per motto la scritta orgogliosa "I re discendono da noi e non noi da loro ".
Egli si era legato a Napoleone grazie al suo lacchè arrivato al suo servizio dopo essersi congedato dall'esercito.
Costui aveva ricevuto la Legion d'onore, appena istituita per la campagna di Egitto e un giorno il conte scorse quella decorazione e volle sapere i particolari. Immediatamente gli tolse la livrea e lo fece sedere accanto a lui. "Un uomo toccato dal genio di Napoleone non può essere un servitore - esclamò il conte - e lo nominò gestore dei suoi possedimenti forestali.
Quando Napoleone lo venne a sapere chiamò a se il conte de Narbonne che in breve fu tra i suoi beniamini.
Napoleone aveva un debole per coloro che lo osannavano in tutta sincerità. Adesso dalla missione del conte dipendeva la sorte della campagna di Russia.
In che modo? Lo sapeva soltanto lui, l'Imperatore.
Allo scoppio della guerra mancavano 49 giorni.
Avete ascoltato l'XI puntata del ciclo "1812.
La bufera napoleonica" a cura di Dmitrij Mincenok.