VIII puntata
Vi invitiamo all'ascolto dell'VIII puntata del ciclo di Dmitrij Mincenok "1812.
La bufera napoleonica". Parigi.
Giugno del 1811. Era l'VIII anno dell'Impero, che purtroppo non era poi così tranquillo come sostenevano i contemporanei e come continuano a fare alcuni storici.
Napoleone spesso diceva che l'unica rivoluzione veramente pericolosa è quella della pancia vuota e proprio quell'anno lo spettro della fame aveva toccato una parte dei suoi sudditi.
"Napoleone - ebbe a ricordare il ministro Chantal - mi diceva spesso di aver timore delle sommosse popolari provocate dalla mancanza di lavoro... L'operaio senza lavoro può insorgere...ho paura di sommosse suscitate dalla mancanza di pane, temerei meno una battaglia contro un esercito di 200 mila uomini..."
Nessuno riusciva ad individuare una via di uscita.
Non si intravedeva come uscirne con strumenti meramente economici. Il rimedio poteva essere soltanto radicale, chirurgico. O la guerra alla Russia o una alleanza con essa così solida e profonda da diventare il fondamento di un nuovo e fantastico ordine mondiale. Una alleanza fra il freddo razionalismo francese e la spiritualità russa. I consiglieri di Alessandro I ribadivano che una alleanza russo-francese sarebbe stata priva di solidità.
Eppure, egli fino alla morte, sarebbe stato convinto che proponendogli la Galizia Napoleone non pensava di ingannarlo e che su di essa sarebbe stato possibile costruire un nuovo ordine europeo. Invece l'alleanza con l'Austria era qualcosa di provvisorio e incerto, ben diverso dall'affascinante prospettiva di una alleanza con la Russia e il rinato Impero di Bisanzio. Una triplice alleanza simbolo di un tripode irrovesciabile.
Se nel 1809 Alessandro avesse accolto l'offerta della Galizia, se Alessandro non avesse altezzosamente respinto quel dono forse il corso della storia sarebbe stato diverso...
Però la sola volontà politica di Alessandro sarebbe stata insufficiente per quel grandioso progetto.
E proprio la volontà politica gli faceva difetto al fine di contrastare la corte troppo occupata a contare le offese arrecate alla Russia. Nei saloni dell'aristocrazia si vagheggiava di strappare la Finlandia alla Svezia solo per far dispetto a Napoleone che aveva insediato sul trono vacante di Svezia un suo maresciallo, Bernadotte. I falchi di corte erano irritati dalle offensive rimostranze francesi per le continue violazioni del blocco continentale.
E Alessandro stesso recepiva come un affronto le annessioni cui Napoleone si era abbandonato con soverchia facilità nel 1810 e nel 1811. La sua straripante potenza gravava come una perpetua minaccia sui suoi vassalli e dopo la Pace di Tilsit, molti a lui guardavano come ad un vassallo e Alessandro lo sapeva.
Si ironizzava sulle regalie che gli aveva fatto, Belostok nel 1807 e un distretto austriaco proprio a ridosso della Galizia, nel 1809. Si diceva che Napoleone si comportava con lui come una volta facevano certi zar che in segno di riconoscenza donavano ai sudditi servili qualche possedimento.
Come non mai Alessando avrebbe avuto bisogno di un consiglio e confidava di ottenerlo direttamente dagli appartamenti privati di Napoleone tramite il suo vecchio amico Kurakin, che a quegli appartamenti aveva accesso.
Alessandro era roso dalla brama di sapere cosa avesse voluto far capire Napoleone quando aveva manifestato interesse per il Progetto Bisanzio, già respinto dall'imperatore d'Austria Giuseppe.
Ma Kurakin faceva pervenire al suo sovrano risposte contradditorie, che Alessandro definiva una forma di "caterinite" , cioè simbolo degli eccessivi compromessi cui amava abbandonarsi la sua indimenticabile nonna.
A detta dei suoi contemporanei Kurakin era un bravuomo, o per meglio dire non era cattivo, però terribilmente orgoglioso e incline ad ogni pomposità.
Dal 1808 era ambasciatore a Parigi e vi sarebbe rimasto fino allo scoppio della guerra.
Si diceva che ci fosse arrivato con due forzieri di diamanti.
Già alla corte di Caterina veniva chiamato un "uomo brillante" proprio per la smisurata passione per i gioielli. In compenso era l'unico che sapesse spegnere ogni conflittualità.
Eppure tutto ciò era niente dinanzi alla sua virtù principale.
Kurakin possedeva delle conoscenze in una sfera che i francesi ritenevano di loro esclusiva competenza, la "cucina francese". E qui, nel sancta sanctorum dell'exprit francese, Kurakin era un maestro riconosciuto. Kurakin aveva introdotto la moda di servire a tavola i piatti nell'ordine in cui erano elencati in menu, uno alla volta, il cosiddetto "service à la russe".
Alla corte di Francia quella moda soppiantò alla fine quello nazionale, che prevedeva di portare in tavola tutti i piatti contemporaneamente.
Un formato che resiste in tutta Europa e che deve la sua popolarità ad un russo, al principe Kurakin, che in privato rendeva omaggio alle patate e ai piselli. Alessandro ben sapeva che la pace ai confini occidentali del suo impero per tre volte era stata salvata dalle astuzie diplomatiche di Kurakin.
Alcuni mesi prima, quasi alla presenza del marchese di Colencour, ambasciatore di Francia a Piertroburgo, un certo inglese si era messo a parlare di contrattazioni commerciali con alcuni mercanti russi.
Napoleone ne era stato subito informato ed aveva chiesto spiegazioni. E Kurakin, con gli occhi sinceri di un fanciullo, aveva chiarito che si era parlato di commercio, ma con la Cina... La Cina!
Napoleone non aveva potuto fare obiezioni. A corte prima fu accolta con soddisfazione la notizia che Kurakin sarebbe stato ammesso all'udienza del mattino, segno di particolare favore, cui fece seguito lo sconforto, quando una settimana più tardi quell'udienza gli fu negata.
Perché?
Cosa era successo? Cosa era cambiato fra i due imperatori? Nessuno sapeva dare una risposta. C'era aria di tempesta.
Alla guerra mancavano meno di 400 giorni.