Parte Secunda: Capitolo XXVI
I rapporti esteriori di Aleksej Aleksandrovic con la moglie permanevano invariati.
L'unica differenza consisteva nel fatto che egli era più occupato di prima. All'inizio della primavera andò all'estero per fare una cura di acque termali che ristabilisse la salute sua debilitata ogni anno dallo sforzo invernale. E, come al solito, tornò in luglio, e immediatamente, con aumentata energia, si dedicò alle occupazioni abituali. Come al solito sua moglie andò in campagna ed egli rimase a Pietroburgo. Dal tempo della conversazione avvenuta dopo la serata in casa della principessa Tverskaja, egli non aveva mai più parlato con Anna dei suoi sospetti e della sua gelosia; e quel suo solito tono di chi sente di essere qualcuno era quanto mai comodo per i presenti rapporti con la moglie.
Era soltanto un po' freddo. Dava a vedere come fosse rimasta in lui una certa piccola scontentezza verso di lei per quella prima conversazione notturna ch'ella aveva voluto evitare. C'era pertanto nei suoi rapporti verso di lei, come un'ombra di dispetto, ma nulla di più. «Tu non hai voluto avere una spiegazione — era come se le dicesse rivolgendosi a lei col pensiero — tanto peggio per te. Ormai sarai tu a pregarmene, ma io spiegazioni non ne darò. Tanto peggio per te» diceva nel pensiero, come un uomo che abbia invano tentato di spegnere un incendio e, irritato contro i propri inutili sforzi, finisca col dire: «Tanto peggio! Che bruci pure!». Egli, intelligente e sottile negli affari di ufficio, non capiva tutta l'aberrazione di un simile comportamento.
Non la capiva perché era troppo terribile per lui veder chiara la sua vera posizione, ed egli intanto nell'animo suo aveva nascosta, chiusa e sigillata quella tale cassetta nella quale si trovavano riposti i sentimenti suoi per la famiglia, per la moglie e per il figlio. Padre premuroso, dalla fine dell'inverno era diventato particolarmente freddo verso il figlio, e aveva verso di lui quello stesso tono canzonatorio che assumeva verso la moglie. «Ohi, giovanotto» gli diceva. Aleksej Aleksandrovic pensava e diceva che mai, come in quell'anno, aveva avuto tanto lavoro d'ufficio; e non voleva accorgersi che il lavoro se l'era creato lui stesso in quell'anno, che era stato uno dei mezzi per non aprire quella tale cassetta dove stavano rinchiusi i sentimenti suoi per la moglie e la famiglia: mentre il pensiero di costoro tanto più sgomentoso diveniva quanto più a lungo egli lo relegava là.
E se qualcuno avesse avuto il diritto di chiedere ad Aleksej Aleksandrovic che cosa egli pensasse della condotta di sua moglie, quel pacifico, calmo Aleksej Aleksandrovic non avrebbe risposto nulla, e si sarebbe molto sdegnato contro la persona che gliene avesse chiesto. Proprio per questo vi era nell'espressione del viso di Aleksej Aleksandrovic qualcosa di sostenuto e di severo quando gli domandavano della salute di sua moglie. Aleksej Aleksandrovic non voleva pensare nulla circa la condotta di sua moglie, e realmente non ne pensava nulla. La dimora estiva consueta di Aleksej Aleksandrovic era a Petergof, dove abitualmente anche la contessa Lidija Ivanovna passava l'estate in compagnia e in continui rapporti con Anna.
Quell'anno la contessa Lidija Ivanovna non aveva voluto soggiornare a Petergof, non era stata da Anna Arkad'evna neppure una volta, e aveva accennato ad Aleksej Aleksandrovic la sconvenienza dell'assiduità di Anna con Betsy e Vronskij. Aleksej Aleksandrovic le aveva chiuso la bocca, affermando con fermezza che sua moglie era al disopra di ogni sospetto; ma da allora aveva cercato di evitare la contessa Lidija Ivanovna. Non voleva vedere, e non vedeva che in società già molti guardavano di traverso sua moglie; non voleva capire e non capiva perché sua moglie insistesse per andare a Carskoe dove viveva Betsy e dove non sarebbe stata lontana dal campo del reggimento di Vronskij. Non si permetteva di pensare questo, e non lo pensava; tuttavia in cuor suo, pur senza dirselo mai, e pur senza averne non solo prova alcuna, ma neppure fondato sospetto, sapeva con certezza d'essere un marito ingannato, ed era per questo profondamente infelice. Quante volte durante i suoi otto anni di vita coniugale felicemente trascorsi, vedendo mogli infedeli e mariti ingannati, Aleksej Aleksandrovic si era detto: «Ma come si può giungere a questo?
Perché non troncare una situazione sconveniente?». Ora, invece, che la disgrazia era piombata sul suo capo, non solo non pensava al modo di provvedere alla situazione, ma non voleva riconoscerla affatto, non voleva vederla, proprio perché era troppo penosa, troppo innaturale. Dal tempo del suo ritorno dall'estero, Aleksej Aleksandrovic era stato due volte in campagna.
Una volta vi aveva pranzato, un'altra volta aveva passato la serata con ospiti, ma non vi aveva neanche una volta passato la notte, come era solito fare gli anni precedenti. Il giorno delle corse era un giorno pieno di lavoro per Aleksej Aleksandrovic; ma, predisposto fin dal mattino il programma della giornata, aveva deciso di andare, subito dopo colazione, in campagna dalla moglie, e di là alle corse, dove si sarebbe trovata tutta la corte e dove egli doveva andare.
E dalla moglie sarebbe passato perché aveva deciso di andarle a far visita una volta alla settimana, per convenienza. Inoltre doveva consegnare alla moglie, proprio quel giorno che era il 15 del mese, secondo l'ordine da lui stabilito, il denaro per le spese. Dopo aver pensato tutto questo circa la moglie, con l'abituale dominio che aveva sui suoi pensieri, non permise loro di girovagare oltre, intorno a quanto la riguardava.
La mattina fu tutta presa per Aleksej Aleksandrovic.
Il giorno innanzi, la contessa Lidija Ivanovna gli aveva mandato un opuscolo di un noto viaggiatore della Cina, attualmente a Pietroburgo, con una lettera in cui lo pregava di ricevere il viaggiatore, uomo per varie considerazioni sempre interessante e utile. Aleksej Aleksandrovic non aveva fatto in tempo a leggere l'opuscolo la sera, e ne terminò la lettura la mattina. Dopo, s'erano presentati i consueti sollecitatori, erano cominciati i rapporti, i ricevimenti, le nomine, le rimozioni, le distribuzioni delle ricompense, delle pensioni, degli stipendi, la corrispondenza, quel lavoro quotidiano, infine, come lo chiamava Aleksej Aleksandrovic, che portava via tanto tempo. Poi c'erano state le occupazioni che lo riguardavano personalmente: la visita del dottore e dell'amministratore. L'amministratore non gli aveva preso molto tempo. Aveva consegnato solo il denaro necessario ad Aleksej Aleksandrovic ed aveva fatto un breve resoconto dello stato non troppo buono delle cose, giacché, in quell'anno, per i frequenti viaggi, si era speso di più, e c'era stato un certo dissesto. Ma il dottore, un celebre medico di Pietroburgo, che era in rapporti amichevoli con Aleksej Aleksandrovic, gli portò via molto tempo. Aleksej Aleksandrovic non lo aspettava quel giorno e fu stupito del suo arrivo e, ancor più, che il dottore lo interrogasse molto minutamente circa le sue condizioni di salute, gli ascoltasse il petto, picchiasse e tastasse il fegato. Non sapeva Aleksej Aleksandrovic che la sua amica Lidija Ivanovna, avendo notato che la salute di Aleksej Aleksandrovic quell'anno non era buona, aveva pregato il dottore di andare e di osservare il malato. «Fatelo per me» gli aveva detto la contessa Lidija Ivanovna. — Lo farò per la Russia, contessa — aveva risposto il dottore.
— Un uomo inestimabile — aveva ribattuto la contessa Lidija Ivanovna.
Il dottore era rimasto molto scontento di Aleksej Aleksandrovic.
Aveva trovato il fegato notevolmente ingrossato, un certo esaurimento, nessun effetto della cura delle acque. Aveva ordinato molto esercizio fisico e poco sforzo intellettuale e, soprattutto, di guardarsi dai dispiaceri, il che per Aleksej Aleksandrovic era impossibile, così come è impossibile non respirare; e se n'era andato, lasciando in Aleksej Aleksandrovic la spiacevole consapevolezza che in lui qualcosa non andava e non si poteva aggiustare. Uscendo dalla camera di Aleksej Aleksandrovic il dottore si era imbattuto sulla scala con Šljudin, a lui ben noto, capogabinetto di Aleksej Aleksandrovic.
Erano stati compagni di università e, sebbene si incontrassero di rado, si stimavano ed erano buoni amici; a nessuno perciò meglio che a Šljudin il dottore avrebbe detto tutta la sua sincera opinione sull'ammalato. — Come son contento che siate stato da lui — disse Šljudin.
— Non sta bene, mi sembra. Che cos'ha? — Ecco, cos'ha — disse il dottore facendo un cenno al cocchiere di avanzare, al di sopra della testa di Šljudin.
— Ecco vedete — disse il dottore prendendo nelle sue mani bianche il dito di un guanto di pelle e tirandolo. — Provate a spezzare una corda senza tenderla... è molto difficile; tendetela invece fino all'estrema possibilità e poggiatevi sopra il peso di un dito... si spezzerà. Per la sua assiduità, la sua scrupolosità nel lavoro, egli è teso fino all'estremo limite; e la pressione esterna c'è, e forte — concluse il dottore, aggrottando significativamente le sopracciglia. — Andate alle corse? — aggiunse, scendendo verso la carrozza che era stata fatta avanzare. — Sì, sì, s'intende, sarà una cosa lunga — rispose il dottore o rispose qualcosa di simile, a quello che aveva detto Šljudin e che egli non aveva afferrato. Dopo il dottore che gli aveva preso tanto tempo, si presentò il noto viaggiatore e Aleksej Aleksandrovic, profittando dell'opuscolo letto proprio allora e di una precedente conoscenza dell'argomento, stupì il viaggiatore con la profondità delle sue conoscenze e la larghezza delle sue vedute.
Insieme al viaggiatore fu annunciato l'arrivo di un maresciallo della nobiltà giunto da poco a Pietroburgo e con il quale si doveva avere un colloquio.
Dopo che questi se ne fu andato, dovette sbrigare le pratiche quotidiane col capo di gabinetto e dovette inoltre andare da un personaggio autorevole per un affare grave e importante. Aleksej Aleksandrovic fece appena in tempo a rientrare alle cinque, ora del suo pranzo, e dopo aver mangiato in compagnia del capogabinetto, lo invitò ad andare con lui in campagna e alle corse. Senza rendersene conto Aleksej Aleksandrovic cercava ormai l'occasione di avere una terza persona presente ai suoi incontri con la moglie.