Un nerd come soldato (355-357) - Ep. 5 (1)
Salute e Salve! Benvenuti alla storia d'Italia.
Nel precedente episodio abbiamo visto come Costanzo II abbia spietatamente ridotto l'immenso albero genealogico della dinastia Costantiniana a due maschi: lui stesso e suo cugino. Oggi torneremo un po' indietro e cercheremo di conoscere meglio questo cugino, un certo Giuliano, destinato a diventare Cesare e Augusto. È una figura di imperatore davvero originale e fuori dagli schemi. Vedremo poi cosa farà della missione impossibile affidatagli da Costanzo II: rimettere ordine nelle Gallie dove i Germani hanno travolto le difese della frontiera renana e sono dilagati per le pianure, distruggendo avamposti e mettendo una delle principali regioni dell'impero a ferro e fuoco
Flavio Claudio Giuliano era nato a Costantinopoli il 6 Novembre del 331 dopo cristo. Suo padre si chiamava Giulio Costanzo ed era il figlio di seconde nozze di Costanzo Cloro, il padre di Costantino. Giulio Costanzo sposò una donna molto colta di nome Basilina. Le nozze furono benedette dal vescovo Eusebio di Cesarea, ricordate il vescovo capo del partito ariano che finì per battezzare Costantino? Dalla loro unione nacque nel 331 dopo cristo Flavio Claudio Giuliano: era stato chiamato Giuliano come il nonno materno, Flavio come tutti i membri della famiglia di Costantino, e Claudio come il preteso fondatore della dinastia costantiniana, Claudio II il Gotico.
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Giuliano, come lo conoscerà la storia, aveva quindi sono 6 anni quando morì Costantino e grazie alla sua tenera età la sua vita fu risparmiata dallo spietato cugino Costanzo II che fece però giustiziare il padre, il fratellastro maggiore, uno zio e sei cugini di Giuliano. Da adulto Giuliano rintraccerà nella sete di potere di Costantino l'origine di tutti i mali dei suoi discendenti, dirà di Costantino: «ignorante com'era credeva che bastasse avere un gran numero di figli per conservare la sostanza, non preoccupandosi di fare in modo che i figli fossero educati da persone sagge così che finirono per desiderare di possedere tutto da soli a danno degli altri». Non credo occorra aggiungere una parola.
Costanzo II allontanò dalla corte i cugini superstiti: Giuliano, privato dei beni paterni, fu trasferito con il fratellastro Gallo a Nicomedia, nei cui dintorni la nonna materna possedeva una villa dove il bambino trascorreva le estati, scrive Giuliano «in quella profonda calma ci si poteva sdraiare e leggere un libro e di tanto in tanto riposare gli occhi. Quando ero un bambino, quella casa mi sembrava il luogo di villeggiatura più bello del mondo». Fu uno dei periodi più felici della sua esistenza. Fu affidato per poco tempo alle cure del vescovo Eusebio di Cesarea (sempre lui), che però nell'autunno del 337 fu promosso alla cattedra di Costantinopoli dall'ariano Costanzo II, che voleva un vescovo ariano a guidare il gregge della sua capitale. Successivamente la sua formazione fu affidata all'eunuco Mardonio, già precettore della madre: Mardonio era di origine Gotica ma perfettamente integrato nella società romana. Mardonio provava per la cultura greca un'autentica venerazione: da lui Giuliano apprese la letteratura classica e soprattutto Omero, quest'ultimo in particolare gli aprì la fantasia sul mondo favoloso dell'epica. Giuliano stesso ricorderà quegli anni di apprendistato: «il mio maestro elaborava e quasi scolpiva nel mio animo ciò che allora non era affatto di mio gusto ma che, a forza d'insistere, finì per farmi parer gradito. mi ammoniva dicendomi: – Non lasciarti trascinare dai tuoi coetanei che frequentano i teatri e si appassionano per gli spettacoli. Ami le corse dei cavalli? Ce n'è una bellissima in Omero. Prendi il libro e leggi. Ti parlano di mimi e danzatori? Lascia dire. Danzano assai meglio i giovinetti Feaci. E leggere, in Omero, certe descrizioni di alberi è più piacevole che vederli dal vero».
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Nel 341, morto Costantino II, Costanzo decise di non prendere rischi con i suoi parenti e inviò Gallo e Giuliano in esilio forzato in Cappadocia, nella tenuta imperiale di Macellum&action=edit&redlink=1). Giuliano fu mantenuto per sei anni in un lussuoso ma opprimente isolamento. Dice Giuliano: «che cosa dovrei dire dei sei anni passati in quella casa altrui, senza che nessun estraneo si avvicinasse, né fosse concesso a nessuno degli antichi conoscenti di farci visita? Vivevamo esclusi da ogni serio insegnamento, da ogni libera conversazione».
Giuliano era escluso da ogni serio insegnamento e costretto a un qualche non-serio insegnamento: si trattava probabilmente dello studio della bibbia e degli autori cristiani, una materia che Giuliano apprese senza problemi ma anche senza alcuna passione: a confronto della sapienza degli antichi gli sembrava ben poca cosa. Poco dopo Costanzo richiamo i fratelli nella capitale e a Costantinopoli Giuliano iniziò gli studi superiori sotto il grammatico pagano Nicocle di Sparta, uno degli uomini più colti dell'epoca.
Giuliano a vent'anni era oramai diventato un uomo: dal carattere introverso e timido, senza l'altezzosità tipica di un membro della casa imperiale. Giuliano era uno studioso colto e raffinato e un vero appassionato di filosofia, mitologia e cultura degli antichi. Insomma, era un vero Nerd. Presto però avrebbe fatto perfino di peggio: fu infatti in questo periodo che probabilmente avvenne la svolta religiosa di Giuliano che decise di abbandonare la religione che aveva caratterizzato la storia della sua famiglia e di riabbracciare i culti antichi.
Come scrive Libanio, un grande intellettuale pagano, Giuliano «sentì parlare degli dei e dei demoni, degli esseri che, in verità, hanno creato questo universo e lo mantengono in vita, apprese che cos'è l'anima, da dove viene, dove va, ciò che la fa cadere e ciò che la risolleva, ciò che la deprime e ciò che la esalta. Allora egli respinse le sciocchezze alle quali aveva creduto fino ad allora per insediare nel suo animo lo splendore della verità» Giuliano arriverà ad essere iniziato ai misteri di Mitra e di Sol Invictus, ricordate la religione monoteistica solare di Diocleziano? Con l'iniziazione ai misteri del Sole invitto, egli realizzò un'aspirazione cui tendeva fin da bambino, scrive Giuliano: «fin da fanciullo fu insito in me un immenso amore per i raggi del dio, e alla luce eterea indirizzavo il pensiero tanto che, non stanco di guardare sempre al Sole, se uscivo di notte con un cielo puro e senza nubi, subito, dimentico di tutto, mi volgevo alle bellezze celesti».
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Ho usato il più possibile le parole di Giuliano e di altri intellettuali pagani per cercare di aprire una finestra su come percepiva la spiritualità questa fazione perdente della sfida tra religioni dell'Impero Romano. Il politeismo di Giuliano e Libanio era stato influenzato fortemente dal monoteismo e della filosofia neoplatonica, ma ciò nonostante suona penso ancora alle vostre orecchie come alieno. Cercheremo di capirlo meglio nel prosieguo della nostra storia.
Come abbiamo narrato nel frattempo il fratello di Giuliano, Gallo, fu nominato Cesare da Costanzo. La grande storia iniziava ad avvicinarsi a Giuliano: un conto era essere il distante cugino di un imperatore, tutt'altra cosa essere il fratello di un altro. Gallo, in viaggio per Antiochia con la sua amorevole moglie Costantina, si fermò a Nicomedia, dove viveva Giuliano, ed ebbe il sospetto che qualcosa non tornasse nelle convinzioni religiose del fratello: per capirne di più lo mise sotto sorveglianza di un fine teologo ariano. Giuliano in tutto questo periodo fece di tutto per nascondere le sue vere convinzioni ma il nostro teologo probabilmente comprese dove batteva veramente il cuore del giovane principe ma non tradì mai Giuliano.
Ma al di là di ogni precauzione, Giuliano in quel periodo aveva costituito un gruppo di amici con idee similari, tutti nemici dei nazareni, come Giuliano chiamava con disprezzo i cristiani. Nelle riunioni di questo piccolo gruppo non si mancava di progettare un futuro diverso se e quando Giuliano fosse diventato augusto. Scrive ancora Libanio: «lui ambiva a dare ai popoli la loro prospettiva perduta e soprattutto il culto degli dei. Ciò che più commuoveva il suo cuore erano i templi rovinati, le cerimonie proibite, gli altari rovesciati, i sacrifici soppressi, i sacerdoti esiliati, le ricchezze dei santuari distribuite a persone miserabili».
Ma questo stato di cose non era destinato a continuare: il fratello Gallo andò incontro al suo destino e Giuliano fu convocato a Milano dal sua amato cugino. Cugino che aveva sterminato la sua famiglia anni prima e ora aveva condannato a morte suo fratello. Si può immaginare con quale animo intraprese il viaggio ma nonostante tutto non si fece mancare l'opportunità di fare il turista e visitò Troia. Lì Pegasio, un vescovo che si definiva cristiano ma che segretamente «adorava il Sole», accompagnò Giuliano a visitare il tempio di Atena e la presunta tomba di Achille.
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Dall'Anatolia Giuliano s'imbarcò per l'Italia: giunto a Milano, fu incarcerato e, senza poter ottenere udienza dall'imperatore, gli furono rivolte le accuse di aver tramato con Gallo ai danni di Costanzo. Le accuse erano ovviamente prive di fondamento ma molti altri avevano pagato con la vita l'esser sottoposti alle attenzioni del paranoico Costanzo. Per fortuna per Giuliano l'importante retore Temistio e l'imperatrice Eusebia evitarono il peggio. Eusebia, la moglie di Costanzo, era una donna molto colta e favorì sempre Giuliano: dopo sei mesi di prigionia fu imposto a Giuliano l'esilio, un destino certamente migliore di quello del fratello. L'esilio era poi da ritenersi dorato, visto che fu imposto a Giuliano di risiedere ad Atene, dove giunse nell'estate del 355. Giuliano non avrebbe potuto desiderare prigione migliore dell'Atene patria della filosofia, dell'arte e della cultura. In Atene fu persino introdotto ai misteri eleusini, l'antichissimo e segretissimo culto misterico dell'Attica. Giuliano sarà l'ultimo imperatore romano iniziato al più prestigioso dei culti misterici.
Giuliano si era appena sistemato che già nell'autunno di quel 355 gli giunse inaspettato l'ordine di presentarsi ancora a Milano. Mi immagino il turbamento di Giuliano: aveva evitato per un pelo la morte e ora sembrava che il suo sospettoso cugino avesse cambiato di nuovo idea. Una volta giunto a Milano, Giuliano fu fatto aspettare alle porte della città, quasi che la corte stesse decidendo in quei giorni del suo destino. In una notte passata nell'angosciosa incertezza di una sorte che probabilmente temeva segnata, si appellò agli dèi e si affidò ad essi, confidando nella loro protezione. Dai suoi stessi scritti sappiamo che Giuliano attribuì a questo suo abbandono alla volontà divina la decisione che la corte di Costanzo prese nei suoi riguardi.
All'alba del nuovo giorno Giuliano non fu infatti giustiziato dal suo terribile cugino ma fu portato di fronte alle truppe schierate. È uno dei passaggi più belli delle storie di Ammiano Marcellino, il colto militare romano dalla fede politeistica che tanto ammirava Giuliano. Scrive Ammiano: “l'augusto Costanzo, salito su una tribuna eretta su un rialzo di terreno abbastanza elevato e circondata dalle insegne militari e dalle aquile, prese giuliano con la destra e tenne questo discorso “I barbari hanno violato la pace alle frontiere e fanno scorrerie per le Gallie, convinti che noi siamo trattenuti da gravi difficoltà in regioni distanti l'una dall'altra” “per portare a compimento i miei propositi, anche con il vostro consenso desidero elevare alla carica di Cesare Giuliano, mio cugino paterno che è qui presente.” Al che Ammiano sostiene che l'adunanza dei soldati interruppe il discorso, dimostrando con forza l'approvazione delle truppe, passaggio necessario per l'elevazione di ogni imperatore. Al che Costanzo lo rivestì della porpora, il colore del manto imperiale. Al che Costanzo disse “Sii dunque Giuliano partecipe delle mie fatiche e dei miei pericoli e assumi l'incarico di difendere le Gallie per aiutare quelle regioni duramente provate. Và dunque! Affrettati! sarai accompagnato dagli augùri di tutti a difendere con vigile cura il posto di combattimento come se lo stato in persona te l'avesse assegnato”.
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Ora, i discorsi riportati dagli storici antichi, lo sappiamo, sono inventati di sana pianta. Ma in questo caso non credo si discostino molto da quanto in realtà avvenne: Era il 6 novembre del 355 e anche il compleanno di Giuliano. Scrive ancora Ammiano Marcellino: «Una giusta ammirazione accolse il giovane Cesare, raggiante di splendore nella porpora imperiale. Non si cessava di contemplare quegli occhi terribili / e affascinanti al tempo stesso e quella fisionomia alla quale l'emozione dava grazia». Giuliano dopo la cerimonia prese posto sul carro di Costanzo per tornare a palazzo. Ammiano sostiene che, ricordando quanto successo al fratello Gallo, mormorò un verso di Omero: «Preda della morte purpurea e del destino inflessibile». Essere imperatore era sì un grande onore ma anche un onere terrificante.