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Conversazioni d'autore, 'Madri, madri mancate, quasi madri: Sei storie medievali'

'Madri, madri mancate, quasi madri: Sei storie medievali'

Buonasera, buonasera a tutti e bentrovati a Casa La Terza. Io sono Lia Di Trapani,

sono un editor della Casa Editrice e oggi ho il piacere di fare gli onori di casa e introdurre i

nostri ospiti. Oggi presenteremo il libro di Maria Giuseppina Muzzarelli che si intitola Madri,

mancate, quasi madri, sei storie medievali. Un titolo che a noi sembra molto evocativo e bello,

su cui ci sarà modo di tornare a breve. Dico due parole sull'autrice, che è una delle più

autorevoli studiose del Medioevo, insegna Bologna. Tra i tanti temi a cui ha dedicato

la propria ricerca c'è quello della storia delle donne, che è stato oggetto di diverse

sue pubblicazioni in passato. Ne nomino alcune, a capo coperto, storie di donne di veli,

un'italiana alla Corte di Francia, Cristine De Pisani, intellettuale donna, e nomino da ultimo

un libro che è uscito con noi dalla La Terza qualche anno fa, che ha avuto una grande diffusione,

un grande successo, come si diceva un tempo, di pubblico e di critica, che è Nelle mani delle

donne, nutrire e guarire a velenare dal Medioevo a oggi. Buonasera professoressa Muzzarelli,

bentrovata. Buonasera, sono molto contenta di essere qui con voi, grazie. Il libro è in libreria da

pochissimo, da nemmeno due settimane, e quindi ci fa piacere avere questa oggi l'occasione di

proporlo al pubblico che ci segue in rete. A discutere con la professoressa Muzzarelli dei

temi del libro c'è il professor Gianluca Briguglia, che pure saluto e ringrazio. Buonasera

professore. Gianluca Briguglia insegna storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia

Cafoscari, esperienza questa che segue una lunghissima attività di ricerca e di didattica

in alcune delle più prestigiose università europee, da Parigi a Monaco a Vienna. Il professor Briguglia

è un esperto di pensiero politico, si è molto occupato di pensiero politico medievale, quindi

come dire ci saranno molte aree di condivisione di cui i nostri ospiti potranno parlare oggi. Mi

fa piacere nominare l'ultimo lavoro-editor del professor Briguglia, che è uscito da pochi mesi

per HarperCollins, si chiama Vestiario politico, ed è un libro che come dire ripropone, riformula,

riorganizza temi che l'autore aveva già condiviso in un fortunato podcast dallo stesso titolo. Vi

rivelo anche un piccolo segreto, se posso, io avevo seguito e apprezzato questo podcast al

punto che avevo contattato il professor Briguglia chiedendogli di farne un libro per noi, ma ahimè,

tra le tante frustrazioni dell'editor c'è anche quella di arrivare tardi ogni tanto. Ma ve lo

dico perché spero che alla fine di questa conversazione vi verrà voglia di leggere e

comprare il libro di Maria Giuseppina Muzzarelli, ma vi segnalo anche in libreria l'altro libro

oltrettanto interessante che quello del professor Briguglia. Bene, io vi ringrazio moltissimo,

non rubo altro tempo e buona discussione. Grazie, grazie mille. Allora, come si fa di

solito, come dire, l'interlocutore invitato fa una piccola presentazione, qualche considerazione,

rispetto al libro di cui si parla, che è un libro molto bello che ho letto in questi giorni,

appunto Madri, Madri Mancate, Quasi Madri, 6 storie medievali, che ha molti molti pregi,

tra i quali quello della lettura. È un libro scritto molto bene, un libro che si legge molto

bene e che va bene anche per il mese di luglio e di agosto, nel senso che è un libro che veramente

si può leggere in una situazione rilassata, come quella delle vacanze, e che aiuta a pensare

delle cose e soprattutto a seguire delle storie, perché io trovo molto azzeccato non solo il titolo

ma anche il sottotitolo, perché sono davvero sei storie medievali, sei storie di sei donne

medievali che ci danno uno spaccato anche sui vari periodi di questa epoca, poi in fondo così

lunga e così diversa al suo interno. Si tratta di, poi approfondiremo naturalmente, ma si tratta

sostanzialmente di autrici o personaggi noti, anche poco noti o praticamente per nulla noti.

Io ho scoperto per esempio la figura di Margherita Bandini, quasi madre, così definita da Maria

Giuseppina, che è un personaggio che non conoscevo e che invece è molto interessante,

anche perché ci dà un'idea di famiglia molto particolare. Si parla molto di famiglie allargate,

di nuove famiglie, ma qui vediamo che in realtà ogni generazione ha a che fare con delle

caratteristiche, con delle possibilità e anche con dei colpi di ingegno, per così dire, sociale,

dal punto di vista, dal nostro punto di vista. Altre autrici sono Duoda, famosa Duoda che scrisse

questo manuale per il figlio, Achilde di Canossa, quindi una donna che dico subito, a volte sembra

un uomo dal mio punto di vista, sarà una delle questioni che io porrò, e Caterina da Siena,

naturalmente, che naturalmente non ebbe figli ma che è considerata la madre d'Europa e d'Italia,

dal punto di vista, diciamo così, cattolico. Christine de Pisan è una figura che ormai da

una trentina d'anni è al centro di una rivalutazione storiografica fondamentale,

importante. Maria Giuseppina Mozzarelli è una delle protagoniste di questa rivalutazione,

di che ha operato questa rivalutazione di Christine de Pisan, e poi c'è quest'altra,

Alessandra Malsinghi-Strozzi, anche questa non così nota, e che però ci fa vedere,

veramente ci fa capire come si viveva a quei tempi. Il filo conduttore è quello appunto

della maternità, la maternità concreta, reale, oppure anche una maternità mancata,

come nel caso di Matilde, per esempio, o una maternità simbolica, come quella di Caterina,

da Siena, e anche maternità di tipo diverso, non necessariamente biologico, o anche di maternità

biologica. Quindi il filo è quello della maternità e questo, naturalmente, diciamo,

quando mi è stato proposto di presentare il libro, l'ho quasi vissuta per qualche istante

come una provocazione, visto che io sono maschio e, come dire, alle prese quotidiane con la mia

paternità di una bambina di quattro anni e mezzo, con tutto quello che nel 2021 vuol dire,

per un maschio separato e quindi ancora più, diciamo, complicato, vivere con una piccola

interlocutrice come una bambina che cresce e che quindi fa capire che, insomma, c'è anche il padre

in tutta questa vicenda. Qui invece sono questioni, è una questione soprattutto di

madri e il tema però è declinato in modo molto, molto, molto diverso, perché diversi sono i

personaggi. Appunto, nel caso di Matilde, c'è questa volontà frustrata di avere un figlio,

ma per dei motivi, mi pare di leggere tra le righe, che sono non solo la dolcezza dell'essere

madre, ma anche la necessità di garantire al proprio casato che si sta estinguendo una

prosecuzione, quindi un elemento tipo dinastico strettamente legato a un tema di potere nel senso

più maschile che possiamo pensare noi oggi. Poi magari invece ci dirà Maria Giuseppina che non è

così, oppure la cosa che mi ha colpito molto è stata, appunto nel caso di Margherita Bandini,

la sua capacità, lei che non ha avuto figli, di accogliere figli legittimi del marito che invece,

pur amandola molto, mi pare di capire, era una coppia che funzionava e che però, come dire,

è riuscita a creare un modello allargato con un incrocio di affetti, un incrocio di amore filiale

e materno che stupisce tra certi aspetti e commuove anche per altri aspetti, almeno così

come Maria Giuseppina pone la questione. Quindi è veramente un libro che, per non parlare poi di

Christine de Pisan, dove, come dire, la provocazione massima, io anche mi sono occupato in un modo

diverso, diciamo, perché la specialista è Maria Giuseppina, proprio il mestierio politico di

Christine de Pisan, ma perché a me quello che provocava di questo personaggio è non solo,

non soltanto la sua grande capacità di scrivere da donna come una donna, in un contesto in cui

il suo essere donna le viene sempre rinfacciato dalle cose, ma il fatto che ad avviarla questa

carriera di scrittrice intellettuale da bambina piccola e proprio il papà con il parere contrario

della mamma, che invece doveva essere una tipa molto più tradizionale e che gli diceva, usa largo

il filo perché non è la penna la cosa che caratterizza la vita di una donna. Insomma, c'è

una grande varietà di questioni e io volevo chiedere, insomma, però un po' anch'io provocatoriamente,

restituire la provocazione che mi è stata fatta indirettamente, questo filo della maternità,

questo... oggi sappiamo che le donne e la maternità sono al centro di un dibattito

continuo e di una trasformazione, anche questa, che si intreccia con i temi del genere, non solo

degli studi del genere, ma proprio di quello che noi stiamo costruendo come società. Allora,

il tema della maternità, associato ovviamente alle donne come normale, come ovvio che sia,

da un lato non è ambicuo, cioè da un lato ci pone il tema della donna in una società,

in un determinato contesto, e qui sono tanti contesti, dall'altro lato però porta la donna,

porta la donna proprio a quell'elemento che è un certo maschilismo, al quale una certa cultura

maschile o maschilista la vorrebbe proprio relegare, cioè quella della maternità. Allora,

come si può, attraverso questi esempi storici, parlare della donna di oggi, perché mi pare che

sia uno dei fili del libro, e del modo in cui ogni società, ogni generazione, deve concepire

se stessa nella varietà dei generi e delle istituzioni sociali? Dunque, diciamo innanzitutto

che sono questioni formidabili, ma cercheremo di affrontarle e che sono molto grata Gianluca di

aver affrontato questi temi. Io lo so che può essere sembrata un po' una provocazione, ma

secondo me è stata un'ottima idea chiedere a Gianluca di parlare con me di questo libro,

intanto perché è un collega competente dello stesso periodo e quindi abbiamo molte, diciamo,

radici in comune dal punto di vista culturale, ma proprio anche perché c'è una complementarietà

che è indispensabile, secondo me, per cogliere il senso proprio di questo libro, che non è un libro

che vuole ricostruire la storia della maternità, ma storie di madri, o meglio, c'è un'altra

declinazione che vorrei far balenare in qualche modo, è un libro che si occupa di maternità che

possono non avere alcun rapporto con la reale procreazione, come appena detto Gianluca, e quindi

di un atteggiamento, di un modo d'essere, di una tendenza a prendersi cura, che ha a che fare con

gli umani prevalentemente, per ovvie ragioni, con le matri, ma anche con donne che non sono state

realmente matri e anche con uomini che esercitano questa funzione, nel senso proprio di far crescere,

prendersi cura, trasmettere eredità. E' talmente vero tutto ciò, ed era vero anche nell'epoca

medievale, che c'è una certa confusione, commistioni di caratteri maschili e femminili

nelle nostre figure. Prendiamo il caso, anzi due casi che ha evocato Gianluca propriamente, in maniera

giusta, e cioè Cristin de Pisan e Matilde, e andando in ordine cronologico perché la storia

fina prova contraria e prima di tutto cronologia, prima Matilde e poi Cristin, visto che di tutte

non potremo parlare. Ha detto giustamente Gianluca, sembra un uomo. Ci sono molti aspetti della vita

e dell'esperienza di Matilde che sono prettamente maschili, la definisco quasi re, ha avuto un potere

politico e non solo politico, anche relazionale, come solo alcuni grandi uomini hanno saputo e

potuto avere. Questo ha messo totalmente in ombra anche nei manuali, laddove comunque non le si

riserva lo spazio che le si dovrebbe riservare, ma al massimo qualche cenno al rapporto fra Gregorio

VII e Enrico IV e lei, con anche qualche piccolo elemento di ambiguità sulla troppa confidenza

fra Gregorio VII e Matilde, che francamente offende, ma al di là di questo la sua entrata,

diciamo così, nella grande storia e nei manuali necessaria, visto la figura e l'altezza del suo

muoversi in questa situazione, ha messo in ombra per moltissimo tempo il suo essere stata una madre,

in realtà madre mancata, per dire che non c'è stato seguito, che il lignaggio è finito con lei.

Ma il lignaggio è finito con lei e come ha dimostrato Paolo Gollinelli per primo alcuni

anni fa ci sono stati alcuni passaggi, c'è stato un primo matrimonio con Goffredo Igobbo che ha

portato alla nascita di una bambina, morta quasi subito, un paio di mesi dopo, una nascita che

deve essere stata più che traumatica, la donna non ha più voluto saperne del marito, sostanzialmente

lascia il marito, si rifugia presso la madre, conduce una serie di attività in autonomia o

assieme alla madre, quindi da quasi uomo e poi quando ha più di 40 anni anche questo elemento

di una maternità tardiva torna anche nella storia di Duoda, tanti figli collegano queste vicende,

capisce che davvero servirebbe un figlio per dar seguito al lignaggio e concepisce l'idea,

la concepisce lei, così almeno pare, di nuovo da donna che prende in mano il suo destino, come ci

suggerisce anche Elia di Trapani che ha seguito questo libro e ha molto sottolineato questo aspetto

donne che prendono in mano il loro destino, stabilisce di cercare di procreare a quell'età

prendendo come marito praticamente un adolescente, un disastro su tutta la linea,

interessantissima anche la parte del racconto della notte diciamo disastrosa nella quale non

si riesce ad arrivare a realizzare il rapporto dal quale sarebbe potuto nascere eventualmente

un figlio che fa capire tante cose di come era la vita delle persone, come queste camere da letto

fossero frequentate, di quanta gente poteva raccontare eccetera eccetera. Di fatto questa

donna delusa nella maternità una prima volta, una seconda volta, intraprende poi un percorso

di quasi adozione, adozione poi scelta di una figura di maternità ideale che ricompone un

po' questa sua crisi ma si comporta da uomo. Ma la stessa cosa si può dire anche forse persino

di Duoda vissuta nel nono secolo che è stata donna capace di governo al quale il marito ha

lasciato e forse le ha addirittura proprio dovuto affidare visto anche la sua lontananza e l'effettiva

capacità di questa donna a governo di ampie zone delle quali erano responsabili. Eppure questa

donna è anche una madre e una madre consapevole del significato di cura e della difficoltà di

dover rinunciare a questo ruolo di guida, di consegna di un'eredità visto che il figlio più

grande le viene sottratto per essere consegnato come ostaggio e anche il secondo nato quando ha

40 anni quindi è del tutto diciamo inatteso fuori tempo rispetto ai criteri dell'epoca e verrà anche

in questo caso sottratto per essere cresciuto accanto al padre. Bene questa donna si assume

il compito di continuare un dialogo a distanza. Sono donne certamente fuori dall'ordinario, sono

figure eccezionali eppure reali quindi esistite storicamente che, dico ancora una parola su

Christine de Pisan, devono anche molto a questa confusione un po' di ruoli maschile e femminile.

Come giustamente ha messo in luce Gianluca, Christine deve la sua grandezza alla scommessa

del padre. Il padre grande intellettuale decide di fare anche dell'educazione della figlia un campo

di ricerca e di sfida e decide di istruirla come fosse un maschio. Ha anche figli maschi dei quali

sappiamo poco o nulla però ci sono, noi che sono morti in culla. Bene, istruisce questa figlia e fa

di lei una possibile spostata è quello che pensa la madre perché sarà fuori dal suo genere, fuori

dai ruoli tradizionali. Nel caso di Christine è molto interessante perché si vede quello che pensa

il padre, la sfida di cui è capace, quello che pensa la madre, oddio questa esce dai cardini,

e quello che pensa lei. Christine mi piace studiare, ho tanto amato raccogliere l'ibricio

e del sapere paterno. Se fossi stato un uomo avrei potuto fare un pasto ben più ricco di quello che

mi hanno consentito queste ibrici e trasforma tutto questo sostanzialmente anche in filosofia,

in eredità. Quando scrive nella città delle dame se ci fosse l'uso di educare le bambine come i

bambini saprebbero fare le stesse cose e aggiunge forse anche un po' meglio, io questo non lo so,

ma è anche una madre e questa dimensione viene per lo più messa a tacere quando ci si occupa

della grandezza di Christine. E lì c'è stata una piccola provocazione per noi donne della

nostra epoca, forse io dovrei dire per noi nonne vista l'età, ma insomma per noi donne come si fa

a coniugare vita e carriera? Che è un grande problema, è una grande questione che Christine

sostanzialmente, senza teorizzarla propriamente in questi termini, affronta e mostra di, non posso

dire di essere capace di risolverla, ma quantomeno indica una strada e cioè seguire in maniera

diciamo consapevole e fiera la sua attività intellettuale e farsi forte anche di questa per

seguire anche i figli e cioè l'idea che due cose, ovvietà totale ma che va sempre ricordata,

due dimensioni sono meglio di una sola e che quindi la dimensione lavorativa ed intellettuale,

se la si riesce a coniugare anche con quella familiare, lei poi resta vedo, ma insomma con i

due figli sono una composizione più ricca. Tutto questo lo potremmo anche allargare nel ragionamento

ma preferisco sentire qualche altra curiosità o idea di Gianluca che certamente contribuirà

ad arricchirmi. Tutto questo per dire che poi questo maschile femminile non è così chiaramente

perimetrato e distinto. Ultima cosa, dimostra bene tutto ciò il caso di Caterina da Siena che usa

perennemente in maniera insistita il termine virile, virilmente raccomandando alle persone

alle quali si rivolge quasi fosse una madre che vuole influire, che vuole in qualche modo guidare,

insiste sempre sì virile comportati virilmente dunque è un po' come Matilde una donna che ha

anche molti tratti della mascolinità. Io in questo trovo una bella proposta che ci viene dal Medioevo,

più confusione, più anche superamento di steccati e maggiore capacità di dialogo anche fra le

caratteristiche dei diversi generi. Condividi Gianluca? Sì io condivido tutto quello che tu

dici ma prima di rilanciarti una provocazione che va invece in un'altra direzione, sempre a

proposito di Caterina da Siena, volevo leggere questa citazione che tu metti molto bella,

hai appena parlato di questa prima notte di Matilde in cui lei si trova appunto a cercare

di mettere subito in cantiere questo come giusto questo figlio che aspetta con questo ragazzo

molto giovane che probabilmente ha anche qualche difficoltà di suo, mi pare che tu abbia,

luda qualcosa del genere e c'è questa descrizione di questo, del momento topico della prima notte

fatto da questo storico Cosma di Praga che probabilmente era bene informato perché,

come tu dicevi, queste camere da letto erano molto affollate di servitori, di persone,

anzi mi viene in mente questa, non c'entra molto ma è in questa linea qui, questo passo di Agostino,

di Sant'Agostino dove nella città di Dio lui parla della prima notte, prendendo in giro la

religione romana che aveva una divinità minore per ogni atto, per ogni cosa, anche per la prima

notte per cui c'è Dio della forza sessuale, la dea che si chiama De Florazio che appunto sta,

non proprio una dea ma insomma uno di questi personaggi, di questi pantheon classici e lui

dice io non so come facciano i pagani la prima notte di nozze con tutte queste persone intorno,

quindi è un po' è un po' la stessa cosa e qui però c'è una descrizione che è molto bella dal

punto di vista letterario oltre a molto curiosa, diciamo, perché dice che questo questo questo

ragazzo, questo questo sposo stava davanti, era rimasto davanti a Matilde come un asinello di

malanimo o un macellaio che affilando la lunga spada sta nel macello sopra una pingue vacca

scuoiata che vuole sventrare. Dopo che a lungo la donna sedette sulla tavola facendo come loca

quando si fa il nido e rivolta la coda di qua e di là ma in vano, alla fine la femmina nuda si

levò indignata e afferrò con la mano sinistra l'escrescenza dell'impotente e sputandosi sul palmo

della destra gli tiede un ceffone e lo sbatte fuori. Quindi una Matilde che, insomma, uomo e

donna da questo punto di vista nel senso che non arriva all'obiettivo e si arrabbia anche, però,

diciamo, e quindi visto che la metti tu questa citazione mi sembrava interessante che ci ascolta,

capisse anche che il libro, come dire, da questo punto di vista è veramente molto molto anche

divertente per certi aspetti. Caterina D'Assiena quanto c'è di ricattatorio nel modello di

maternità di Caterina D'Assiena? Perché in fondo tu dici forse proprio a proposito di Caterina,

se non sbaglio, evochi questo tema della maternità come l'immaginario di lunghissima durata della

cultura italiana, proprio addirittura da tempi preistorici. Tu citi alcuni autori,

insomma psicologi eccetera, per cui c'è un'idea di un tipo di madre che è un tipo di madre

mediterranea, che è un tipo di madre italiana, tu proprio usi l'aggettivo senza senza mezzi termini,

però non lo definisci, cioè lo lasci un po' nell'ambiguità. Allora io ti dico quanto c'è di

ricattatorio in questo modello materno di lunghissima durata che diventa poi un esercizio

di potere nei confronti di quelli a cui si rivolge. E nel caso poi di Caterina D'Assiena ancora di

più, perché Caterina D'Assiena non è una mamma e però si arroga questa funzione di mediazione tra

un Cristo che avrebbe intimità con lei e anche sul tipo di intimità poi ci sono, ci sarebbero

tante cose da dire sul linguaggio che lei usa, ma che a volte sembra il papà al quale lei si

rivolge e che il cui, la cui ira lei media nei confronti dei figli che sono non troppo virili

oppure non fanno il loro dovere oppure si comportano male e che quindi sostanzialmente

ci riporta quell'idea di madre anche come, non tanto e non soltanto come cura, ma come affermazione

di sé, come un modo sottile, psicologico e io dico ricattatorio di rivolgersi ai, di rivolgersi

ai propri figli e alle proprie figlie. Non c'è anche questo elemento nel filo delle maternità

di cui tu ti occupi. Sì c'è, c'è, nel caso di Caterina certamente, in altri si toglie molto

meno. In caso di Caterina c'è e mi spiego con un esempio molto concreto al quale tu hai all'uso,

specialmente quando si rivolge ai più potenti, nel caso specifico ai pontefici che cerca prima

l'uno e poi l'altro di indurre a tornare a Roma esercitando sicuramente quella moral suasion

di cui si parla, cioè un soft power, tutte queste parole non in italiano, ma insomma cercando di

indirizzare queste persone verso l'idea che lei ha di quello che devono fare. In questo intanto

ho individuato una modalità che viene definita da altri, ecco, da psicanalisti come il modo di

agire della grande madre italiana, cioè della madre che cerca di essere presente in ogni momento

e in ogni scelta in maniera fintamente modesta, umile, in realtà perentoria, usando sempre la

stessa forma, scrivo a voi con desiderio di, e segue la precisa indicazione di tutto quello

che desidera, ma in realtà è quello che suggerisce di fare, indica di fare, ecco, è presente in

maniera sommessa, ma in realtà molto decisa nella vita, o meno cerca di inserirsi nella vita delle

persone alle quali si riferisce. Ma c'è di più, nel far questo cerca anche in alcuni casi,

addirittura esplicita, di condannare ogni debolezza richiamandosi a quella virilità di cui abbiamo

già parlato, ma anche di dire, e in questo ci sta il tuo collegamento al ricatto, guarda che se non

fai questo poi io ne parlo a chi, cioè a quel Cristo con il quale lei è in dialogo continuo,

il che assomiglia, ben evidentemente, alla madre che poi, alla sera, rientrando il marito, gli

riferirà che il figlio non ha ubbidito eccetera eccetera. Bene, tutto questo rientra, secondo me,

almeno nel disegno che un po' c'era, che era quello di confondere un po' i ruoli, ecco, e di andare

oltre, o meglio, non tanto confondere, di andare oltre l'idea che noi abbiamo intanto di quei

secoli, ma anche l'idea che noi abbiamo dei limiti del genere femminile, che sono invece i limiti

imposti al genere femminile, e andare anche un po' oltre all'idea di maternità che a lungo abbiamo

coltivato nella nostra mente, che essere una madre significa mettere al mondo figli e basta. Non è

così, essere una madre può anche significare non aver messo al mondo alcun figlio, ma avere questo

tipo di attitudine, di registrica, questa intenzione di curare, anche ricattando che fa parte dello

strumentario di una madre, soprattutto pare nella nostra zona, nelle nostre aree, credo anche altrove,

ma confondere anche un po' i generi nel senso di dire che si può essere madre e fortemente madre

anche nei confronti di figli non propri. E questo è il caso di Margherita che, come tu giustamente

hai ricordato, forse la meno nota delle donne che compaiono in questa silloge, ed è una delle

storie più comuni e forse più interessanti. È una donna che non è riuscita ad avere figli,

si è sposata molto giovane con un uomo parecchio più grande di lei come Raduso e questo uomo è

forse il più importante mercante del suo tempo, di dimensione europea. Bene, anche questo andrebbe

sottolineato, molte di queste figure sono di dimensione europea, Matilde, Duoda, la stessa

famiglia del Datini, quindi donne e uomini e famiglie che hanno un'area d'azione estesissima,

ebbene a un certo punto se ne fa una ragione e accoglie come fosse sua la figlia che il marito

ha avuto con una schiava. Questo apre un altro scorcio, tu prima hai accennato anche leggendo

giustamente questa fonte del cronachista di Praga, ecco, molte delle lettere e dopo torno

un attimo sul tema lettere, molte delle lettere di Margherita al marito fanno intendere come

vivevano le persone, chi c'era in quelle case e si scopre che nella casa in cui Margherita non

ha potuto esercitare la funzione di madre, nel senso di mettere al mondo biologicamente un figlio,

fa da madre non solo a Ginevra nata dalla schiava, ma fa da madre anche ai figli di una sua sorella,

i quali hanno madre e padre, però personalmente preferiscono crescere da loro, forse perché sono

molto benestanti, ma anche ai figli di uomini che lavorano con il marito, insomma sono famiglie che

vengono costruite sulla base di scelte, di affinità, di interessi e non definite da una biologia che

dice chi è madre, chi non è madre e chi deve stare con la propria madre e chi no. Mi è sembrato un

caso relativamente più semplice rispetto ad altri perché intellettualmente, forse meno attrezzata,

ma molto interessante. L'ultima annotazione che volevo fare, visto che ho fatto riferimento alle

lettere di Margherita, che ha imparato tardivamente, ma ha imparato anche a scrivere, molte di queste

donne scrivono ed è molto bello il fatto che noi quello che sappiamo lo sappiamo anche grazie

alla mediazione della loro riflessione e scrittura. Duod ha scritto un manuale, un manuale, un testo

importante di educazione, di riflessione, l'unica che non scrive proprio è Matilde, ma ha fatto

talmente tanto in altri campi che gli facciamo grazie di non aver scritto, ma come noto, stavo

appena riferendolo, ha scritto Caterina, tantissime lettere ai più potenti, ha scritto Alessandra,

moltissime lettere ai figli, insomma hanno scritto, Cristina De Pisana addirittura fa di

mestiere l'intellettuale, e allora anche questo è un dato molto interessante, queste donne, madri,

a modo loro, in maniera diversa, sono tutte anche donne di penna e questo mi è sembrato un altro di

quei temi che va oltre la nostra aspettativa, oltre tanti luoghi comuni e ce le fa sentire,

lontane, lontanissime sotto moltissimi punti di vista, ma anche avvicinabili, grazie anche

alla mediazione di questa riflessione, di queste loro testimonianze scritte. Cosa ne dici? No,

è molto interessante quello che dici e devo dire che, per esempio, il caso di Margherita Bandini,

è un caso che appunto io non conoscevo e che mi ha lasciato molto, come dire,

con molte curiosità, no? Sicuramente è una donna, proprio per quel modello di famiglia

allargata, chiamiamola così, con questa terminologia nostra, però con questo incrocio

di affetti, che evidentemente lei è il centro, perché lei che ci dà testimonianza scritta,

ma tutti i vari terminali di questo affetto sono a loro volta, si capisce, si intuisce,

centro di altri affetti, a partire dal marito, a partire appunto da questi figli, da questi

parenti che insomma che una volta sono da una parte, una volta sono dall'altra e che mi hanno

molto commosso, devo dire, per quello che si riesce a capire, no? Perché poi chiaramente

loro non hanno scritto, hanno scritto delle lettere, hanno scritto, sono documenti che bisogna

capire, interpretare, ma la cosa che pure, io sono uno storico, diciamo, no? Quindi dovrei essere

avvezzo a certe cose, ma mi commuove sempre lo scoprire, l'umanità profonda di personaggi di

vario tipo, importanti o meno importanti, che emerge da quello che loro hanno fatto,

da quello che loro hanno detto e come poi alla fine ogni generazione, ogni individuo dentro ogni

generazione e ogni generazione nell'arco del passaggio delle generazioni ha questa capacità

di amare a modo suo, di soffrire a modo suo, di far fronte a quello che succede, perché la storia

è come la vita di tutti, no? Cioè è una tempesta con dei momenti belli, dei momenti brutti, dei

momenti magnifici e bisogna fare fronte. Queste donne effettivamente anche attraverso la scrittura,

più di meno, chiaramente il caso di Christine de Pisan è fondamentale, eclatante, una donna che

dice che ora di costruire la città delle donne e lo faccio io, lo scrivo, no? Questa è una cosa

fondamentale, ma anche una come Margherita o come Alessandra Strozzi sono persone che, così come tu

le descrivi, le riporti in vita, le riporte alla nostra attenzione, hanno avuto questa grande capacità

di leggere il proprio contesto, fosse un contesto piccolo, quello della famiglia allargata, fosse il

contesto grande delle lotte politiche nella storia, sia anche solo la capacità di leggere, di tentare

di dare una lettura al futuro dei propri figli, come nel caso di Duoda, come nel caso di Tanti,

come nel caso appunto di Caterina, che addirittura, insomma, io per me è una specie di, come dire,

di Greta Thunberg che ce l'ha fatta, diciamo, da questo punto di vista, no? C'è una che a un

certo punto decide di parlare per tutti, decide di parlare per Dio, no? Quindi ha diverse, diciamo,

ha diverse, oppure possiamo dire che Greta Thunberg è una Caterina che non ce l'ha fatta,

possiamo, insomma, lo scherzo lo possiamo portare in tutte le direzioni, però la cosa che è molto

interessante, che emerge molto dal tuo libro, è questa loro capacità di leggere se stessi,

nel caso di Caterina addirittura, di prendere possesso totale del proprio corpo, che non è

una cosa da tutti, che come dire, butta anche una luce su delle nevrosi di un qualche tipo,

anche però non voglio entrare in questo campo, però la capacità di leggere se stessi in un

contesto e di cercare di portare, di orientare il contesto alle, come dire, alle finalità migliori,

alle finalità desiderate. Da questo punto di vista non c'è differenza tra uomo e donna,

non c'è differenza tra la maternità o la quasi maternità o la paternità o la non paternità,

c'è questa tentativo, fatto con differenti mezzi culturali, di arrivare ad essere se stessi in un

qualche modo e questo è quello anche un filo comune che io trovo e che mi ha molto affascinato delle

storie che tu hai raccontato. E' vero, è vero, tentativo di arrivare ad essere se stessi. Ecco,

riprenderei molto questa, abbiamo pochi minuti, ma questa ultima tua frase la vorrei riprendere,

collegare ad esempio ad Alessandra Macin-Ghistrozzi di cui abbiamo potuto parlare poco. Alessandra,

ad esempio, siamo alla fine del Medioevo e quella che si inoltra di più verso la modernità.

Alessandra cerca di essere se stessa e paradossalmente cerca di farlo per conto

del marito morto e quindi ritorniamo anche a questa confusione di ruoli maschile e femminile.

Rimane vedova di esule con molti figli, qualcuno muore ma di fatto comunque molti figli, erano

cinque e restano al mondo quattro e lei fa da padre e da madre a questi figli in maniera

consapevole e anche seguendo i loro destini, diciamo così, politici. La sua mira è arrivare

alla riammissione della famiglia, dei figli di Ghistrozzi a Firenze e al recupero delle

posizioni perse con l'esilio. Ecco, in questo caso, questo è il suo programma, è un programma

maschile, è un programma femminile, è il programma che si è dato, è lo scopo che si è dato nella

vita e che riesce a portare sostanzialmente a compimento. Vedi, a quel punto mi ha colpito

molto, l'ho scritto alla fine del capitolo, il suo dispiacere perché i figli maschi, che hanno

una storia più diversa, quella delle figlie femmine, quindi non è che poi è la stessa cosa

nascere maschio e femmine, i figli maschi danno ai loro eredi il nome di lei e non del marito. Mi

sono detta che soddisfazione, le riconoscono tutto il suo ruolo. No, a lei non va bene,

a lei dispiace perché il suo progetto era quello di portare avanti il casato, gli strozi,

la famiglia, dovevano dare il nome del marito morto, non il suo. Questo ci fa capire la vicinanza,

la lontananza, i paradossi anche di questa vicenda. Un'ultima cosa vorrei dire ricavando

le tue osservazioni, Caterina. Caterina è un caso straordinario, dovremmo stare a lungo a parlare

di lei, ovviamente non si può, ma in realtà Caterina quando muore ha fallito su quasi tutti

i piani. Nonostante questo, grandeggia nel suo fallimento perché non è riuscita, diciamo,

a produrre i risultati che avrebbe voluto né relativamente alla riforma della Chiesa,

né alle crociate, né al ritorno del papato che si torna ma finisce ancora peggio di quando era

da Vignone. Eppure la sua impresa è stata quella di cercare di tenere insieme tutti gli aspetti

che per lei erano così importanti nella vita della Chiesa e della collettività e di far vedere

che c'era, che operava. Ecco, in questo senso il suo essere madre è prendersi cura e trasmettere

un'eredità e poi, penso che stava l'ultima cosa che potrò dire, come i corpi hanno una

loro presenza in queste vicende. Il corpo, hai fatto riferimento tu a questo, di Caterina,

che serve a Caterina affamandolo e negandolo nelle sue esigenze ad affermare la sua volontà.

Quel corpo che la farà poi morire distenti a 33 anni. Ma questo corpo che non è corpo di madre

è corpo che ha generato, ha generato il suo progetto, le ha consentito di affermare il suo

desiderio. E poi ci sono i corpi di queste altre donne che hanno generato figli o non

hanno generato, ma sono stati fortemente protagonisti anche loro in questa vicenda.

Ecco, mi permetterei di chiudere queste mie poche osservazioni dicendo che queste sono storie,

che non sono romanti, sono tutte documentate, per ognuna di loro c'è una discreta, diciamo,

presenza di note nel libro per andare eventualmente ad approfondire. Ma sono avvicenti,

sono straordinarie, sono bellissime, sono storie che continuano a parlarci. Ecco,

e questa fosse la ragione per la quale personalmente amo tanto il mio lavoro. Cioè,

c'è tutto, c'è il rigore, c'è la ricerca, c'è il tentativo di capire, c'è la bellezza di quegli

umani a cui facevi riferimento tu, che tentano di arrivare ad affermare il loro progetto,

il loro diritto di esistere e di essere madri o padri con il corpo contrario o con il corpo

adiuvante, ma di esserci. Ecco, questo mi sembra una buona ragione per amare la storia,

non condividi? Penso tu. Assolutamente sì e soprattutto appunto quando siamo in presenza

di libri come questo e di personaggi come questo, come questi, come sono queste donne,

che hanno anche questa capacità, così come le metti tu, diciamo, perché bisogna poi saperle

raccontare le storie, perché le storie non si raccontano da solo, da solo è questa capacità

di mettere a confronto le loro emozioni con le nostre emozioni. Ogni volta che si coglie un'

emozione in un personaggio è perché c'è una specie di, come dire, di relazione con le emozioni

nostre e queste donne, queste donne e questi uomini anche che gli stanno intorno, diciamo

così, voglio dire anche questo, queste storie che sono composite, che hanno queste protagoniste,

hanno spesso una capacità di metterci in contatto con delle emozioni che sono nostre,

che possono essere emozioni anche empatiche, simili, ma possono essere anche emozioni che

vanno in un senso contrario e che però ci dicono qualcosa di noi stessi, perché proprio ci mettono

a confronto con quello che hanno fatto loro. Quindi veramente complimenti, un bel libro,

una bella occasione anche per rilanciare alcuni personaggi che nella storiografia,

che in realtà non hanno questo spazio, che probabilmente meriterebbero. La regia ci

comunica che in fondo qui sono passati quasi 50 minuti e quindi chiedo Lumi su come procedere,

nel senso che forse ci sono delle domande, forse no, e quindi se magari la regia mi scrive qualcosa

nella chat su quello che... se abbiamo ancora tempo per dire qualcosina. Allora, non so se tu

leggi... no, leggo io per te Maria Giuseppina. Chiedono, qualcuno che ci sta ascoltando chiede

perché questa scelta rispetto alle donne, cioè se capisco bene... no, in realtà non capisco bene,

cioè per quali motivi sono state scelte queste donne o perché, cosa che però dovrebbe essere

chiaro a questo punto, un libro che parla di donne? Credo che forse sia la prima. Ma perché

queste... perché queste certamente potevano essere altre, diciamo che alcune di queste donne mi erano

semplicemente particolarmente care e note per Lezioni la Terza, per altri lavori che ho fatto,

anche però perché erano sfaccettature diverse e che sentivano di comporre un quadro complessivo

non dico coerente ma che si presentava come ricco di diversità ma anche di omogeneità. Certo,

la stessa storia diciamo fatta di sentimenti e di relazioni anche filiali la si può costruire

immagino anche utilizzando figure maschili, anche se va detto che soprattutto quando si tratta di

uomini illustri la loro relazione con i figli è spesso ritenuta qualcosa non dico di secondario

ma da non esibire, come se il privato costituito da questo mondo fosse una sorta di diminuzio.

Ecco, questo è uno degli elementi per i quali mi piacerebbe proprio avere la capacità e la

forza di dimostrare il contrario, che anche per gli uomini illustri, per i grandi personaggi della

storia sarebbe utile e interessante conoscere qualcosa della loro relazione, dei loro sentimenti,

del loro modo di essere nella famiglia, nella società, debolezze e ripensamenti e non soltanto

battaglie vinte ma questo è il mio consiglio. Allora non ci sono altre domande, ci sono però

dei ringraziamenti, sono le persone che ringraziano la professoressa Muzzarelli per il libro e per

questa presentazione del libro e quindi direi che possiamo... io aggiungerei solo questo,

non so se è pertinente o meno, ma mentre leggevo il libro mi venivano in mente due episodi che

c'entrano poco, ma che avevo segnalato io a mia volta in un mio libro precedente. Uno è un fatto

diciamo così legato a questa maternità ricattatoria, ed è il fatto, ma non voglio

ritornare su quello, è solo per una decina di anni fa, nella via dove abita mia nonna,

nel mio quartiere di Milano, a un certo punto una madonna in una chiesa ortodossa cominciò a

piangere e io la prima... quando me lo dissero io dissi in un linguaggio un po' colorito che cosa

ha da piangere, qual è il problema? E il problema è appunto quello di quel tipo di modello, però

nello stesso tempo mi veniva in mente, mi viene in mente una frase molto bella che disse Fellini

quando gli fu dato l'ennesimo Oscar, l'Oscar per la carriera, Fellini è uno dei grandi costruttori

che hanno rilanciato il mito della donna vista dall'uomo, una donna che è un modello maschile,

in realtà, nei suoi film, e quando vinse l'Oscar Giulietta Masina piangeva, piangeva di rotto,

per cui lui appena gli fu consegnato l'Oscar, la prima cosa che disse al microfono fu Giulietta

please stop crying, smettila di piangere, era quello che io avrei risposto, avrei detto a

quella madonna ortodossa. Ecco, diciamo, in questo libro le donne, anche se in qualche modo a volte

sembrano piangere come quella madonna, in realtà si dicono spesso e volentieri e se lo dicono da

sole stop crying, please stop crying e lavora e fai e si te stessa così come sei perché non hai

bisogno di piangere. Quindi questo mi sembra, come dire, adeguato in qualche modo chiudere

anche questo nostro incontro e a cominciare a partire dai maschi, a partire dagli uomini,

a riflettere su questi modelli di femminilità e di maternità che vengono da lontano e che sono

sempre attuali senza anacronismi. Ti ringrazio molto, credo anche a casa la terza e quindi

chiuderei qui se tu non hai altro da... No, voglio sicuramente ringraziarti veramente,

questa rivista per me è stata molto importante. Grazie, grazie davvero, grazie alla casa la

terza, grazie a LIA, grazie a chi ha consentito questo incontro con questi mezzi e grazie a

quelli che ci hanno seguito. Grazie davvero, grazie di cuore. Grazie.


'Madri, madri mancate, quasi madri: Sei storie medievali' 'Mothers, Missed Mothers, Almost Mothers: Six Medieval Stories' Madres, madres desaparecidas, casi madres: seis historias medievales". “母亲、失败的母亲、几乎是母亲:六个中世纪故事”

Buonasera, buonasera a tutti e bentrovati a Casa La Terza. Io sono Lia Di Trapani,

sono un editor della Casa Editrice e oggi ho il piacere di fare gli onori di casa e introdurre i

nostri ospiti. Oggi presenteremo il libro di Maria Giuseppina Muzzarelli che si intitola Madri,

mancate, quasi madri, sei storie medievali. Un titolo che a noi sembra molto evocativo e bello,

su cui ci sarà modo di tornare a breve. Dico due parole sull'autrice, che è una delle più

autorevoli studiose del Medioevo, insegna Bologna. Tra i tanti temi a cui ha dedicato

la propria ricerca c'è quello della storia delle donne, che è stato oggetto di diverse

sue pubblicazioni in passato. Ne nomino alcune, a capo coperto, storie di donne di veli,

un'italiana alla Corte di Francia, Cristine De Pisani, intellettuale donna, e nomino da ultimo

un libro che è uscito con noi dalla La Terza qualche anno fa, che ha avuto una grande diffusione,

un grande successo, come si diceva un tempo, di pubblico e di critica, che è Nelle mani delle

donne, nutrire e guarire a velenare dal Medioevo a oggi. Buonasera professoressa Muzzarelli,

bentrovata. Buonasera, sono molto contenta di essere qui con voi, grazie. Il libro è in libreria da

pochissimo, da nemmeno due settimane, e quindi ci fa piacere avere questa oggi l'occasione di

proporlo al pubblico che ci segue in rete. A discutere con la professoressa Muzzarelli dei

temi del libro c'è il professor Gianluca Briguglia, che pure saluto e ringrazio. Buonasera

professore. Gianluca Briguglia insegna storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia

Cafoscari, esperienza questa che segue una lunghissima attività di ricerca e di didattica

in alcune delle più prestigiose università europee, da Parigi a Monaco a Vienna. Il professor Briguglia

è un esperto di pensiero politico, si è molto occupato di pensiero politico medievale, quindi

come dire ci saranno molte aree di condivisione di cui i nostri ospiti potranno parlare oggi. Mi

fa piacere nominare l'ultimo lavoro-editor del professor Briguglia, che è uscito da pochi mesi

per HarperCollins, si chiama Vestiario politico, ed è un libro che come dire ripropone, riformula,

riorganizza temi che l'autore aveva già condiviso in un fortunato podcast dallo stesso titolo. Vi

rivelo anche un piccolo segreto, se posso, io avevo seguito e apprezzato questo podcast al

punto che avevo contattato il professor Briguglia chiedendogli di farne un libro per noi, ma ahimè,

tra le tante frustrazioni dell'editor c'è anche quella di arrivare tardi ogni tanto. Ma ve lo

dico perché spero che alla fine di questa conversazione vi verrà voglia di leggere e

comprare il libro di Maria Giuseppina Muzzarelli, ma vi segnalo anche in libreria l'altro libro

oltrettanto interessante che quello del professor Briguglia. Bene, io vi ringrazio moltissimo,

non rubo altro tempo e buona discussione. Grazie, grazie mille. Allora, come si fa di

solito, come dire, l'interlocutore invitato fa una piccola presentazione, qualche considerazione,

rispetto al libro di cui si parla, che è un libro molto bello che ho letto in questi giorni,

appunto Madri, Madri Mancate, Quasi Madri, 6 storie medievali, che ha molti molti pregi,

tra i quali quello della lettura. È un libro scritto molto bene, un libro che si legge molto

bene e che va bene anche per il mese di luglio e di agosto, nel senso che è un libro che veramente

si può leggere in una situazione rilassata, come quella delle vacanze, e che aiuta a pensare

delle cose e soprattutto a seguire delle storie, perché io trovo molto azzeccato non solo il titolo

ma anche il sottotitolo, perché sono davvero sei storie medievali, sei storie di sei donne

medievali che ci danno uno spaccato anche sui vari periodi di questa epoca, poi in fondo così

lunga e così diversa al suo interno. Si tratta di, poi approfondiremo naturalmente, ma si tratta

sostanzialmente di autrici o personaggi noti, anche poco noti o praticamente per nulla noti.

Io ho scoperto per esempio la figura di Margherita Bandini, quasi madre, così definita da Maria

Giuseppina, che è un personaggio che non conoscevo e che invece è molto interessante,

anche perché ci dà un'idea di famiglia molto particolare. Si parla molto di famiglie allargate,

di nuove famiglie, ma qui vediamo che in realtà ogni generazione ha a che fare con delle

caratteristiche, con delle possibilità e anche con dei colpi di ingegno, per così dire, sociale,

dal punto di vista, dal nostro punto di vista. Altre autrici sono Duoda, famosa Duoda che scrisse

questo manuale per il figlio, Achilde di Canossa, quindi una donna che dico subito, a volte sembra

un uomo dal mio punto di vista, sarà una delle questioni che io porrò, e Caterina da Siena,

naturalmente, che naturalmente non ebbe figli ma che è considerata la madre d'Europa e d'Italia,

dal punto di vista, diciamo così, cattolico. Christine de Pisan è una figura che ormai da

una trentina d'anni è al centro di una rivalutazione storiografica fondamentale,

importante. Maria Giuseppina Mozzarelli è una delle protagoniste di questa rivalutazione,

di che ha operato questa rivalutazione di Christine de Pisan, e poi c'è quest'altra,

Alessandra Malsinghi-Strozzi, anche questa non così nota, e che però ci fa vedere,

veramente ci fa capire come si viveva a quei tempi. Il filo conduttore è quello appunto

della maternità, la maternità concreta, reale, oppure anche una maternità mancata,

come nel caso di Matilde, per esempio, o una maternità simbolica, come quella di Caterina,

da Siena, e anche maternità di tipo diverso, non necessariamente biologico, o anche di maternità

biologica. Quindi il filo è quello della maternità e questo, naturalmente, diciamo,

quando mi è stato proposto di presentare il libro, l'ho quasi vissuta per qualche istante

come una provocazione, visto che io sono maschio e, come dire, alle prese quotidiane con la mia

paternità di una bambina di quattro anni e mezzo, con tutto quello che nel 2021 vuol dire,

per un maschio separato e quindi ancora più, diciamo, complicato, vivere con una piccola

interlocutrice come una bambina che cresce e che quindi fa capire che, insomma, c'è anche il padre

in tutta questa vicenda. Qui invece sono questioni, è una questione soprattutto di

madri e il tema però è declinato in modo molto, molto, molto diverso, perché diversi sono i

personaggi. Appunto, nel caso di Matilde, c'è questa volontà frustrata di avere un figlio,

ma per dei motivi, mi pare di leggere tra le righe, che sono non solo la dolcezza dell'essere

madre, ma anche la necessità di garantire al proprio casato che si sta estinguendo una

prosecuzione, quindi un elemento tipo dinastico strettamente legato a un tema di potere nel senso

più maschile che possiamo pensare noi oggi. Poi magari invece ci dirà Maria Giuseppina che non è

così, oppure la cosa che mi ha colpito molto è stata, appunto nel caso di Margherita Bandini,

la sua capacità, lei che non ha avuto figli, di accogliere figli legittimi del marito che invece,

pur amandola molto, mi pare di capire, era una coppia che funzionava e che però, come dire,

è riuscita a creare un modello allargato con un incrocio di affetti, un incrocio di amore filiale

e materno che stupisce tra certi aspetti e commuove anche per altri aspetti, almeno così

come Maria Giuseppina pone la questione. Quindi è veramente un libro che, per non parlare poi di

Christine de Pisan, dove, come dire, la provocazione massima, io anche mi sono occupato in un modo

diverso, diciamo, perché la specialista è Maria Giuseppina, proprio il mestierio politico di

Christine de Pisan, ma perché a me quello che provocava di questo personaggio è non solo,

non soltanto la sua grande capacità di scrivere da donna come una donna, in un contesto in cui

il suo essere donna le viene sempre rinfacciato dalle cose, ma il fatto che ad avviarla questa

carriera di scrittrice intellettuale da bambina piccola e proprio il papà con il parere contrario

della mamma, che invece doveva essere una tipa molto più tradizionale e che gli diceva, usa largo

il filo perché non è la penna la cosa che caratterizza la vita di una donna. Insomma, c'è

una grande varietà di questioni e io volevo chiedere, insomma, però un po' anch'io provocatoriamente,

restituire la provocazione che mi è stata fatta indirettamente, questo filo della maternità,

questo... oggi sappiamo che le donne e la maternità sono al centro di un dibattito

continuo e di una trasformazione, anche questa, che si intreccia con i temi del genere, non solo

degli studi del genere, ma proprio di quello che noi stiamo costruendo come società. Allora,

il tema della maternità, associato ovviamente alle donne come normale, come ovvio che sia,

da un lato non è ambicuo, cioè da un lato ci pone il tema della donna in una società,

in un determinato contesto, e qui sono tanti contesti, dall'altro lato però porta la donna,

porta la donna proprio a quell'elemento che è un certo maschilismo, al quale una certa cultura

maschile o maschilista la vorrebbe proprio relegare, cioè quella della maternità. Allora,

come si può, attraverso questi esempi storici, parlare della donna di oggi, perché mi pare che

sia uno dei fili del libro, e del modo in cui ogni società, ogni generazione, deve concepire

se stessa nella varietà dei generi e delle istituzioni sociali? Dunque, diciamo innanzitutto

che sono questioni formidabili, ma cercheremo di affrontarle e che sono molto grata Gianluca di

aver affrontato questi temi. Io lo so che può essere sembrata un po' una provocazione, ma

secondo me è stata un'ottima idea chiedere a Gianluca di parlare con me di questo libro,

intanto perché è un collega competente dello stesso periodo e quindi abbiamo molte, diciamo,

radici in comune dal punto di vista culturale, ma proprio anche perché c'è una complementarietà

che è indispensabile, secondo me, per cogliere il senso proprio di questo libro, che non è un libro

che vuole ricostruire la storia della maternità, ma storie di madri, o meglio, c'è un'altra

declinazione che vorrei far balenare in qualche modo, è un libro che si occupa di maternità che

possono non avere alcun rapporto con la reale procreazione, come appena detto Gianluca, e quindi

di un atteggiamento, di un modo d'essere, di una tendenza a prendersi cura, che ha a che fare con

gli umani prevalentemente, per ovvie ragioni, con le matri, ma anche con donne che non sono state

realmente matri e anche con uomini che esercitano questa funzione, nel senso proprio di far crescere,

prendersi cura, trasmettere eredità. E' talmente vero tutto ciò, ed era vero anche nell'epoca

medievale, che c'è una certa confusione, commistioni di caratteri maschili e femminili

nelle nostre figure. Prendiamo il caso, anzi due casi che ha evocato Gianluca propriamente, in maniera

giusta, e cioè Cristin de Pisan e Matilde, e andando in ordine cronologico perché la storia

fina prova contraria e prima di tutto cronologia, prima Matilde e poi Cristin, visto che di tutte

non potremo parlare. Ha detto giustamente Gianluca, sembra un uomo. Ci sono molti aspetti della vita

e dell'esperienza di Matilde che sono prettamente maschili, la definisco quasi re, ha avuto un potere

politico e non solo politico, anche relazionale, come solo alcuni grandi uomini hanno saputo e

potuto avere. Questo ha messo totalmente in ombra anche nei manuali, laddove comunque non le si

riserva lo spazio che le si dovrebbe riservare, ma al massimo qualche cenno al rapporto fra Gregorio

VII e Enrico IV e lei, con anche qualche piccolo elemento di ambiguità sulla troppa confidenza

fra Gregorio VII e Matilde, che francamente offende, ma al di là di questo la sua entrata,

diciamo così, nella grande storia e nei manuali necessaria, visto la figura e l'altezza del suo

muoversi in questa situazione, ha messo in ombra per moltissimo tempo il suo essere stata una madre,

in realtà madre mancata, per dire che non c'è stato seguito, che il lignaggio è finito con lei.

Ma il lignaggio è finito con lei e come ha dimostrato Paolo Gollinelli per primo alcuni

anni fa ci sono stati alcuni passaggi, c'è stato un primo matrimonio con Goffredo Igobbo che ha

portato alla nascita di una bambina, morta quasi subito, un paio di mesi dopo, una nascita che

deve essere stata più che traumatica, la donna non ha più voluto saperne del marito, sostanzialmente

lascia il marito, si rifugia presso la madre, conduce una serie di attività in autonomia o

assieme alla madre, quindi da quasi uomo e poi quando ha più di 40 anni anche questo elemento

di una maternità tardiva torna anche nella storia di Duoda, tanti figli collegano queste vicende,

capisce che davvero servirebbe un figlio per dar seguito al lignaggio e concepisce l'idea,

la concepisce lei, così almeno pare, di nuovo da donna che prende in mano il suo destino, come ci

suggerisce anche Elia di Trapani che ha seguito questo libro e ha molto sottolineato questo aspetto

donne che prendono in mano il loro destino, stabilisce di cercare di procreare a quell'età

prendendo come marito praticamente un adolescente, un disastro su tutta la linea,

interessantissima anche la parte del racconto della notte diciamo disastrosa nella quale non

si riesce ad arrivare a realizzare il rapporto dal quale sarebbe potuto nascere eventualmente

un figlio che fa capire tante cose di come era la vita delle persone, come queste camere da letto

fossero frequentate, di quanta gente poteva raccontare eccetera eccetera. Di fatto questa

donna delusa nella maternità una prima volta, una seconda volta, intraprende poi un percorso

di quasi adozione, adozione poi scelta di una figura di maternità ideale che ricompone un

po' questa sua crisi ma si comporta da uomo. Ma la stessa cosa si può dire anche forse persino

di Duoda vissuta nel nono secolo che è stata donna capace di governo al quale il marito ha

lasciato e forse le ha addirittura proprio dovuto affidare visto anche la sua lontananza e l'effettiva

capacità di questa donna a governo di ampie zone delle quali erano responsabili. Eppure questa

donna è anche una madre e una madre consapevole del significato di cura e della difficoltà di

dover rinunciare a questo ruolo di guida, di consegna di un'eredità visto che il figlio più

grande le viene sottratto per essere consegnato come ostaggio e anche il secondo nato quando ha

40 anni quindi è del tutto diciamo inatteso fuori tempo rispetto ai criteri dell'epoca e verrà anche

in questo caso sottratto per essere cresciuto accanto al padre. Bene questa donna si assume

il compito di continuare un dialogo a distanza. Sono donne certamente fuori dall'ordinario, sono

figure eccezionali eppure reali quindi esistite storicamente che, dico ancora una parola su

Christine de Pisan, devono anche molto a questa confusione un po' di ruoli maschile e femminile.

Come giustamente ha messo in luce Gianluca, Christine deve la sua grandezza alla scommessa

del padre. Il padre grande intellettuale decide di fare anche dell'educazione della figlia un campo

di ricerca e di sfida e decide di istruirla come fosse un maschio. Ha anche figli maschi dei quali

sappiamo poco o nulla però ci sono, noi che sono morti in culla. Bene, istruisce questa figlia e fa

di lei una possibile spostata è quello che pensa la madre perché sarà fuori dal suo genere, fuori

dai ruoli tradizionali. Nel caso di Christine è molto interessante perché si vede quello che pensa

il padre, la sfida di cui è capace, quello che pensa la madre, oddio questa esce dai cardini,

e quello che pensa lei. Christine mi piace studiare, ho tanto amato raccogliere l'ibricio

e del sapere paterno. Se fossi stato un uomo avrei potuto fare un pasto ben più ricco di quello che

mi hanno consentito queste ibrici e trasforma tutto questo sostanzialmente anche in filosofia,

in eredità. Quando scrive nella città delle dame se ci fosse l'uso di educare le bambine come i

bambini saprebbero fare le stesse cose e aggiunge forse anche un po' meglio, io questo non lo so,

ma è anche una madre e questa dimensione viene per lo più messa a tacere quando ci si occupa

della grandezza di Christine. E lì c'è stata una piccola provocazione per noi donne della

nostra epoca, forse io dovrei dire per noi nonne vista l'età, ma insomma per noi donne come si fa

a coniugare vita e carriera? Che è un grande problema, è una grande questione che Christine

sostanzialmente, senza teorizzarla propriamente in questi termini, affronta e mostra di, non posso

dire di essere capace di risolverla, ma quantomeno indica una strada e cioè seguire in maniera

diciamo consapevole e fiera la sua attività intellettuale e farsi forte anche di questa per

seguire anche i figli e cioè l'idea che due cose, ovvietà totale ma che va sempre ricordata,

due dimensioni sono meglio di una sola e che quindi la dimensione lavorativa ed intellettuale,

se la si riesce a coniugare anche con quella familiare, lei poi resta vedo, ma insomma con i

due figli sono una composizione più ricca. Tutto questo lo potremmo anche allargare nel ragionamento

ma preferisco sentire qualche altra curiosità o idea di Gianluca che certamente contribuirà

ad arricchirmi. Tutto questo per dire che poi questo maschile femminile non è così chiaramente

perimetrato e distinto. Ultima cosa, dimostra bene tutto ciò il caso di Caterina da Siena che usa

perennemente in maniera insistita il termine virile, virilmente raccomandando alle persone

alle quali si rivolge quasi fosse una madre che vuole influire, che vuole in qualche modo guidare,

insiste sempre sì virile comportati virilmente dunque è un po' come Matilde una donna che ha

anche molti tratti della mascolinità. Io in questo trovo una bella proposta che ci viene dal Medioevo,

più confusione, più anche superamento di steccati e maggiore capacità di dialogo anche fra le

caratteristiche dei diversi generi. Condividi Gianluca? Sì io condivido tutto quello che tu

dici ma prima di rilanciarti una provocazione che va invece in un'altra direzione, sempre a

proposito di Caterina da Siena, volevo leggere questa citazione che tu metti molto bella,

hai appena parlato di questa prima notte di Matilde in cui lei si trova appunto a cercare

di mettere subito in cantiere questo come giusto questo figlio che aspetta con questo ragazzo

molto giovane che probabilmente ha anche qualche difficoltà di suo, mi pare che tu abbia,

luda qualcosa del genere e c'è questa descrizione di questo, del momento topico della prima notte

fatto da questo storico Cosma di Praga che probabilmente era bene informato perché,

come tu dicevi, queste camere da letto erano molto affollate di servitori, di persone,

anzi mi viene in mente questa, non c'entra molto ma è in questa linea qui, questo passo di Agostino,

di Sant'Agostino dove nella città di Dio lui parla della prima notte, prendendo in giro la

religione romana che aveva una divinità minore per ogni atto, per ogni cosa, anche per la prima

notte per cui c'è Dio della forza sessuale, la dea che si chiama De Florazio che appunto sta,

non proprio una dea ma insomma uno di questi personaggi, di questi pantheon classici e lui

dice io non so come facciano i pagani la prima notte di nozze con tutte queste persone intorno,

quindi è un po' è un po' la stessa cosa e qui però c'è una descrizione che è molto bella dal

punto di vista letterario oltre a molto curiosa, diciamo, perché dice che questo questo questo

ragazzo, questo questo sposo stava davanti, era rimasto davanti a Matilde come un asinello di

malanimo o un macellaio che affilando la lunga spada sta nel macello sopra una pingue vacca

scuoiata che vuole sventrare. Dopo che a lungo la donna sedette sulla tavola facendo come loca

quando si fa il nido e rivolta la coda di qua e di là ma in vano, alla fine la femmina nuda si

levò indignata e afferrò con la mano sinistra l'escrescenza dell'impotente e sputandosi sul palmo

della destra gli tiede un ceffone e lo sbatte fuori. Quindi una Matilde che, insomma, uomo e

donna da questo punto di vista nel senso che non arriva all'obiettivo e si arrabbia anche, però,

diciamo, e quindi visto che la metti tu questa citazione mi sembrava interessante che ci ascolta,

capisse anche che il libro, come dire, da questo punto di vista è veramente molto molto anche

divertente per certi aspetti. Caterina D'Assiena quanto c'è di ricattatorio nel modello di

maternità di Caterina D'Assiena? Perché in fondo tu dici forse proprio a proposito di Caterina,

se non sbaglio, evochi questo tema della maternità come l'immaginario di lunghissima durata della

cultura italiana, proprio addirittura da tempi preistorici. Tu citi alcuni autori,

insomma psicologi eccetera, per cui c'è un'idea di un tipo di madre che è un tipo di madre

mediterranea, che è un tipo di madre italiana, tu proprio usi l'aggettivo senza senza mezzi termini,

però non lo definisci, cioè lo lasci un po' nell'ambiguità. Allora io ti dico quanto c'è di

ricattatorio in questo modello materno di lunghissima durata che diventa poi un esercizio

di potere nei confronti di quelli a cui si rivolge. E nel caso poi di Caterina D'Assiena ancora di

più, perché Caterina D'Assiena non è una mamma e però si arroga questa funzione di mediazione tra

un Cristo che avrebbe intimità con lei e anche sul tipo di intimità poi ci sono, ci sarebbero

tante cose da dire sul linguaggio che lei usa, ma che a volte sembra il papà al quale lei si

rivolge e che il cui, la cui ira lei media nei confronti dei figli che sono non troppo virili

oppure non fanno il loro dovere oppure si comportano male e che quindi sostanzialmente

ci riporta quell'idea di madre anche come, non tanto e non soltanto come cura, ma come affermazione

di sé, come un modo sottile, psicologico e io dico ricattatorio di rivolgersi ai, di rivolgersi

ai propri figli e alle proprie figlie. Non c'è anche questo elemento nel filo delle maternità

di cui tu ti occupi. Sì c'è, c'è, nel caso di Caterina certamente, in altri si toglie molto

meno. In caso di Caterina c'è e mi spiego con un esempio molto concreto al quale tu hai all'uso,

specialmente quando si rivolge ai più potenti, nel caso specifico ai pontefici che cerca prima

l'uno e poi l'altro di indurre a tornare a Roma esercitando sicuramente quella moral suasion

di cui si parla, cioè un soft power, tutte queste parole non in italiano, ma insomma cercando di

indirizzare queste persone verso l'idea che lei ha di quello che devono fare. In questo intanto

ho individuato una modalità che viene definita da altri, ecco, da psicanalisti come il modo di

agire della grande madre italiana, cioè della madre che cerca di essere presente in ogni momento

e in ogni scelta in maniera fintamente modesta, umile, in realtà perentoria, usando sempre la

stessa forma, scrivo a voi con desiderio di, e segue la precisa indicazione di tutto quello

che desidera, ma in realtà è quello che suggerisce di fare, indica di fare, ecco, è presente in

maniera sommessa, ma in realtà molto decisa nella vita, o meno cerca di inserirsi nella vita delle

persone alle quali si riferisce. Ma c'è di più, nel far questo cerca anche in alcuni casi,

addirittura esplicita, di condannare ogni debolezza richiamandosi a quella virilità di cui abbiamo

già parlato, ma anche di dire, e in questo ci sta il tuo collegamento al ricatto, guarda che se non

fai questo poi io ne parlo a chi, cioè a quel Cristo con il quale lei è in dialogo continuo,

il che assomiglia, ben evidentemente, alla madre che poi, alla sera, rientrando il marito, gli

riferirà che il figlio non ha ubbidito eccetera eccetera. Bene, tutto questo rientra, secondo me,

almeno nel disegno che un po' c'era, che era quello di confondere un po' i ruoli, ecco, e di andare

oltre, o meglio, non tanto confondere, di andare oltre l'idea che noi abbiamo intanto di quei

secoli, ma anche l'idea che noi abbiamo dei limiti del genere femminile, che sono invece i limiti

imposti al genere femminile, e andare anche un po' oltre all'idea di maternità che a lungo abbiamo

coltivato nella nostra mente, che essere una madre significa mettere al mondo figli e basta. Non è

così, essere una madre può anche significare non aver messo al mondo alcun figlio, ma avere questo

tipo di attitudine, di registrica, questa intenzione di curare, anche ricattando che fa parte dello

strumentario di una madre, soprattutto pare nella nostra zona, nelle nostre aree, credo anche altrove,

ma confondere anche un po' i generi nel senso di dire che si può essere madre e fortemente madre

anche nei confronti di figli non propri. E questo è il caso di Margherita che, come tu giustamente

hai ricordato, forse la meno nota delle donne che compaiono in questa silloge, ed è una delle

storie più comuni e forse più interessanti. È una donna che non è riuscita ad avere figli,

si è sposata molto giovane con un uomo parecchio più grande di lei come Raduso e questo uomo è

forse il più importante mercante del suo tempo, di dimensione europea. Bene, anche questo andrebbe

sottolineato, molte di queste figure sono di dimensione europea, Matilde, Duoda, la stessa

famiglia del Datini, quindi donne e uomini e famiglie che hanno un'area d'azione estesissima,

ebbene a un certo punto se ne fa una ragione e accoglie come fosse sua la figlia che il marito

ha avuto con una schiava. Questo apre un altro scorcio, tu prima hai accennato anche leggendo

giustamente questa fonte del cronachista di Praga, ecco, molte delle lettere e dopo torno

un attimo sul tema lettere, molte delle lettere di Margherita al marito fanno intendere come

vivevano le persone, chi c'era in quelle case e si scopre che nella casa in cui Margherita non

ha potuto esercitare la funzione di madre, nel senso di mettere al mondo biologicamente un figlio,

fa da madre non solo a Ginevra nata dalla schiava, ma fa da madre anche ai figli di una sua sorella,

i quali hanno madre e padre, però personalmente preferiscono crescere da loro, forse perché sono

molto benestanti, ma anche ai figli di uomini che lavorano con il marito, insomma sono famiglie che

vengono costruite sulla base di scelte, di affinità, di interessi e non definite da una biologia che

dice chi è madre, chi non è madre e chi deve stare con la propria madre e chi no. Mi è sembrato un

caso relativamente più semplice rispetto ad altri perché intellettualmente, forse meno attrezzata,

ma molto interessante. L'ultima annotazione che volevo fare, visto che ho fatto riferimento alle

lettere di Margherita, che ha imparato tardivamente, ma ha imparato anche a scrivere, molte di queste

donne scrivono ed è molto bello il fatto che noi quello che sappiamo lo sappiamo anche grazie

alla mediazione della loro riflessione e scrittura. Duod ha scritto un manuale, un manuale, un testo

importante di educazione, di riflessione, l'unica che non scrive proprio è Matilde, ma ha fatto

talmente tanto in altri campi che gli facciamo grazie di non aver scritto, ma come noto, stavo

appena riferendolo, ha scritto Caterina, tantissime lettere ai più potenti, ha scritto Alessandra,

moltissime lettere ai figli, insomma hanno scritto, Cristina De Pisana addirittura fa di

mestiere l'intellettuale, e allora anche questo è un dato molto interessante, queste donne, madri,

a modo loro, in maniera diversa, sono tutte anche donne di penna e questo mi è sembrato un altro di

quei temi che va oltre la nostra aspettativa, oltre tanti luoghi comuni e ce le fa sentire,

lontane, lontanissime sotto moltissimi punti di vista, ma anche avvicinabili, grazie anche

alla mediazione di questa riflessione, di queste loro testimonianze scritte. Cosa ne dici? No,

è molto interessante quello che dici e devo dire che, per esempio, il caso di Margherita Bandini,

è un caso che appunto io non conoscevo e che mi ha lasciato molto, come dire,

con molte curiosità, no? Sicuramente è una donna, proprio per quel modello di famiglia

allargata, chiamiamola così, con questa terminologia nostra, però con questo incrocio

di affetti, che evidentemente lei è il centro, perché lei che ci dà testimonianza scritta,

ma tutti i vari terminali di questo affetto sono a loro volta, si capisce, si intuisce,

centro di altri affetti, a partire dal marito, a partire appunto da questi figli, da questi

parenti che insomma che una volta sono da una parte, una volta sono dall'altra e che mi hanno

molto commosso, devo dire, per quello che si riesce a capire, no? Perché poi chiaramente

loro non hanno scritto, hanno scritto delle lettere, hanno scritto, sono documenti che bisogna

capire, interpretare, ma la cosa che pure, io sono uno storico, diciamo, no? Quindi dovrei essere

avvezzo a certe cose, ma mi commuove sempre lo scoprire, l'umanità profonda di personaggi di

vario tipo, importanti o meno importanti, che emerge da quello che loro hanno fatto,

da quello che loro hanno detto e come poi alla fine ogni generazione, ogni individuo dentro ogni

generazione e ogni generazione nell'arco del passaggio delle generazioni ha questa capacità

di amare a modo suo, di soffrire a modo suo, di far fronte a quello che succede, perché la storia

è come la vita di tutti, no? Cioè è una tempesta con dei momenti belli, dei momenti brutti, dei

momenti magnifici e bisogna fare fronte. Queste donne effettivamente anche attraverso la scrittura,

più di meno, chiaramente il caso di Christine de Pisan è fondamentale, eclatante, una donna che

dice che ora di costruire la città delle donne e lo faccio io, lo scrivo, no? Questa è una cosa

fondamentale, ma anche una come Margherita o come Alessandra Strozzi sono persone che, così come tu

le descrivi, le riporti in vita, le riporte alla nostra attenzione, hanno avuto questa grande capacità

di leggere il proprio contesto, fosse un contesto piccolo, quello della famiglia allargata, fosse il

contesto grande delle lotte politiche nella storia, sia anche solo la capacità di leggere, di tentare

di dare una lettura al futuro dei propri figli, come nel caso di Duoda, come nel caso di Tanti,

come nel caso appunto di Caterina, che addirittura, insomma, io per me è una specie di, come dire,

di Greta Thunberg che ce l'ha fatta, diciamo, da questo punto di vista, no? C'è una che a un

certo punto decide di parlare per tutti, decide di parlare per Dio, no? Quindi ha diverse, diciamo,

ha diverse, oppure possiamo dire che Greta Thunberg è una Caterina che non ce l'ha fatta,

possiamo, insomma, lo scherzo lo possiamo portare in tutte le direzioni, però la cosa che è molto

interessante, che emerge molto dal tuo libro, è questa loro capacità di leggere se stessi,

nel caso di Caterina addirittura, di prendere possesso totale del proprio corpo, che non è

una cosa da tutti, che come dire, butta anche una luce su delle nevrosi di un qualche tipo,

anche però non voglio entrare in questo campo, però la capacità di leggere se stessi in un

contesto e di cercare di portare, di orientare il contesto alle, come dire, alle finalità migliori,

alle finalità desiderate. Da questo punto di vista non c'è differenza tra uomo e donna,

non c'è differenza tra la maternità o la quasi maternità o la paternità o la non paternità,

c'è questa tentativo, fatto con differenti mezzi culturali, di arrivare ad essere se stessi in un

qualche modo e questo è quello anche un filo comune che io trovo e che mi ha molto affascinato delle

storie che tu hai raccontato. E' vero, è vero, tentativo di arrivare ad essere se stessi. Ecco,

riprenderei molto questa, abbiamo pochi minuti, ma questa ultima tua frase la vorrei riprendere,

collegare ad esempio ad Alessandra Macin-Ghistrozzi di cui abbiamo potuto parlare poco. Alessandra,

ad esempio, siamo alla fine del Medioevo e quella che si inoltra di più verso la modernità.

Alessandra cerca di essere se stessa e paradossalmente cerca di farlo per conto

del marito morto e quindi ritorniamo anche a questa confusione di ruoli maschile e femminile.

Rimane vedova di esule con molti figli, qualcuno muore ma di fatto comunque molti figli, erano

cinque e restano al mondo quattro e lei fa da padre e da madre a questi figli in maniera

consapevole e anche seguendo i loro destini, diciamo così, politici. La sua mira è arrivare

alla riammissione della famiglia, dei figli di Ghistrozzi a Firenze e al recupero delle

posizioni perse con l'esilio. Ecco, in questo caso, questo è il suo programma, è un programma

maschile, è un programma femminile, è il programma che si è dato, è lo scopo che si è dato nella

vita e che riesce a portare sostanzialmente a compimento. Vedi, a quel punto mi ha colpito

molto, l'ho scritto alla fine del capitolo, il suo dispiacere perché i figli maschi, che hanno

una storia più diversa, quella delle figlie femmine, quindi non è che poi è la stessa cosa

nascere maschio e femmine, i figli maschi danno ai loro eredi il nome di lei e non del marito. Mi

sono detta che soddisfazione, le riconoscono tutto il suo ruolo. No, a lei non va bene,

a lei dispiace perché il suo progetto era quello di portare avanti il casato, gli strozi,

la famiglia, dovevano dare il nome del marito morto, non il suo. Questo ci fa capire la vicinanza,

la lontananza, i paradossi anche di questa vicenda. Un'ultima cosa vorrei dire ricavando

le tue osservazioni, Caterina. Caterina è un caso straordinario, dovremmo stare a lungo a parlare

di lei, ovviamente non si può, ma in realtà Caterina quando muore ha fallito su quasi tutti

i piani. Nonostante questo, grandeggia nel suo fallimento perché non è riuscita, diciamo,

a produrre i risultati che avrebbe voluto né relativamente alla riforma della Chiesa,

né alle crociate, né al ritorno del papato che si torna ma finisce ancora peggio di quando era

da Vignone. Eppure la sua impresa è stata quella di cercare di tenere insieme tutti gli aspetti

che per lei erano così importanti nella vita della Chiesa e della collettività e di far vedere

che c'era, che operava. Ecco, in questo senso il suo essere madre è prendersi cura e trasmettere

un'eredità e poi, penso che stava l'ultima cosa che potrò dire, come i corpi hanno una

loro presenza in queste vicende. Il corpo, hai fatto riferimento tu a questo, di Caterina,

che serve a Caterina affamandolo e negandolo nelle sue esigenze ad affermare la sua volontà.

Quel corpo che la farà poi morire distenti a 33 anni. Ma questo corpo che non è corpo di madre

è corpo che ha generato, ha generato il suo progetto, le ha consentito di affermare il suo

desiderio. E poi ci sono i corpi di queste altre donne che hanno generato figli o non

hanno generato, ma sono stati fortemente protagonisti anche loro in questa vicenda.

Ecco, mi permetterei di chiudere queste mie poche osservazioni dicendo che queste sono storie,

che non sono romanti, sono tutte documentate, per ognuna di loro c'è una discreta, diciamo,

presenza di note nel libro per andare eventualmente ad approfondire. Ma sono avvicenti,

sono straordinarie, sono bellissime, sono storie che continuano a parlarci. Ecco,

e questa fosse la ragione per la quale personalmente amo tanto il mio lavoro. Cioè,

c'è tutto, c'è il rigore, c'è la ricerca, c'è il tentativo di capire, c'è la bellezza di quegli

umani a cui facevi riferimento tu, che tentano di arrivare ad affermare il loro progetto,

il loro diritto di esistere e di essere madri o padri con il corpo contrario o con il corpo

adiuvante, ma di esserci. Ecco, questo mi sembra una buona ragione per amare la storia,

non condividi? Penso tu. Assolutamente sì e soprattutto appunto quando siamo in presenza

di libri come questo e di personaggi come questo, come questi, come sono queste donne,

che hanno anche questa capacità, così come le metti tu, diciamo, perché bisogna poi saperle

raccontare le storie, perché le storie non si raccontano da solo, da solo è questa capacità

di mettere a confronto le loro emozioni con le nostre emozioni. Ogni volta che si coglie un'

emozione in un personaggio è perché c'è una specie di, come dire, di relazione con le emozioni

nostre e queste donne, queste donne e questi uomini anche che gli stanno intorno, diciamo

così, voglio dire anche questo, queste storie che sono composite, che hanno queste protagoniste,

hanno spesso una capacità di metterci in contatto con delle emozioni che sono nostre,

che possono essere emozioni anche empatiche, simili, ma possono essere anche emozioni che

vanno in un senso contrario e che però ci dicono qualcosa di noi stessi, perché proprio ci mettono

a confronto con quello che hanno fatto loro. Quindi veramente complimenti, un bel libro,

una bella occasione anche per rilanciare alcuni personaggi che nella storiografia,

che in realtà non hanno questo spazio, che probabilmente meriterebbero. La regia ci

comunica che in fondo qui sono passati quasi 50 minuti e quindi chiedo Lumi su come procedere,

nel senso che forse ci sono delle domande, forse no, e quindi se magari la regia mi scrive qualcosa

nella chat su quello che... se abbiamo ancora tempo per dire qualcosina. Allora, non so se tu

leggi... no, leggo io per te Maria Giuseppina. Chiedono, qualcuno che ci sta ascoltando chiede

perché questa scelta rispetto alle donne, cioè se capisco bene... no, in realtà non capisco bene,

cioè per quali motivi sono state scelte queste donne o perché, cosa che però dovrebbe essere

chiaro a questo punto, un libro che parla di donne? Credo che forse sia la prima. Ma perché

queste... perché queste certamente potevano essere altre, diciamo che alcune di queste donne mi erano

semplicemente particolarmente care e note per Lezioni la Terza, per altri lavori che ho fatto,

anche però perché erano sfaccettature diverse e che sentivano di comporre un quadro complessivo

non dico coerente ma che si presentava come ricco di diversità ma anche di omogeneità. Certo,

la stessa storia diciamo fatta di sentimenti e di relazioni anche filiali la si può costruire

immagino anche utilizzando figure maschili, anche se va detto che soprattutto quando si tratta di

uomini illustri la loro relazione con i figli è spesso ritenuta qualcosa non dico di secondario

ma da non esibire, come se il privato costituito da questo mondo fosse una sorta di diminuzio.

Ecco, questo è uno degli elementi per i quali mi piacerebbe proprio avere la capacità e la

forza di dimostrare il contrario, che anche per gli uomini illustri, per i grandi personaggi della

storia sarebbe utile e interessante conoscere qualcosa della loro relazione, dei loro sentimenti,

del loro modo di essere nella famiglia, nella società, debolezze e ripensamenti e non soltanto

battaglie vinte ma questo è il mio consiglio. Allora non ci sono altre domande, ci sono però

dei ringraziamenti, sono le persone che ringraziano la professoressa Muzzarelli per il libro e per

questa presentazione del libro e quindi direi che possiamo... io aggiungerei solo questo,

non so se è pertinente o meno, ma mentre leggevo il libro mi venivano in mente due episodi che

c'entrano poco, ma che avevo segnalato io a mia volta in un mio libro precedente. Uno è un fatto

diciamo così legato a questa maternità ricattatoria, ed è il fatto, ma non voglio

ritornare su quello, è solo per una decina di anni fa, nella via dove abita mia nonna,

nel mio quartiere di Milano, a un certo punto una madonna in una chiesa ortodossa cominciò a

piangere e io la prima... quando me lo dissero io dissi in un linguaggio un po' colorito che cosa

ha da piangere, qual è il problema? E il problema è appunto quello di quel tipo di modello, però

nello stesso tempo mi veniva in mente, mi viene in mente una frase molto bella che disse Fellini

quando gli fu dato l'ennesimo Oscar, l'Oscar per la carriera, Fellini è uno dei grandi costruttori

che hanno rilanciato il mito della donna vista dall'uomo, una donna che è un modello maschile,

in realtà, nei suoi film, e quando vinse l'Oscar Giulietta Masina piangeva, piangeva di rotto,

per cui lui appena gli fu consegnato l'Oscar, la prima cosa che disse al microfono fu Giulietta

please stop crying, smettila di piangere, era quello che io avrei risposto, avrei detto a

quella madonna ortodossa. Ecco, diciamo, in questo libro le donne, anche se in qualche modo a volte

sembrano piangere come quella madonna, in realtà si dicono spesso e volentieri e se lo dicono da

sole stop crying, please stop crying e lavora e fai e si te stessa così come sei perché non hai

bisogno di piangere. Quindi questo mi sembra, come dire, adeguato in qualche modo chiudere

anche questo nostro incontro e a cominciare a partire dai maschi, a partire dagli uomini,

a riflettere su questi modelli di femminilità e di maternità che vengono da lontano e che sono

sempre attuali senza anacronismi. Ti ringrazio molto, credo anche a casa la terza e quindi

chiuderei qui se tu non hai altro da... No, voglio sicuramente ringraziarti veramente,

questa rivista per me è stata molto importante. Grazie, grazie davvero, grazie alla casa la

terza, grazie a LIA, grazie a chi ha consentito questo incontro con questi mezzi e grazie a

quelli che ci hanno seguito. Grazie davvero, grazie di cuore. Grazie.