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Storia D'Italia, La via dell'Africa (425-433) - Ep. 28 (2)

La via dell'Africa (425-433) - Ep. 28 (2)

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Rovine della Cartagine romana

Per organizzare la gestione di questo flusso di grano, che non doveva mai interrompersi pena la fame a Roma e in Italia, lo stato romano aveva creato una gilda di armatori che aveva il monopolio sul traffico e che aveva una serie imponente di agevolazioni fiscali. In cambio lo stato chiedeva una sola cosa: che la gilda armasse le navi sulle quali doveva essere trasportato il grano pubblico destinato a Roma. Beninteso i membri della gilda avrebbero potuto anche trasportare altri prodotti sulle navi da vendere privatamente esentasse, fatta salva ovviamente la quota destinata al trasporto pubblico.

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Questo meccanismo creò una fortissima distorsione del mercato: il costo del trasporto dei prodotti privati dal Nordafrica all'Italia era praticamente zero, visto che tutto il costo era pagato dalla parte “pubblica”. Annullando il costo di trasporto diventava economico produrre in africa anche produzioni che sarebbero state altrimenti fuori mercato, rovinando l'agricoltura italiana ma rendendo quella africana ricchissima, visto che le piantagioni africane erano gestite con modalità industriali e molto efficienti. E qui fatemi fare una chiosa da economista: ricordatevi sempre che quando il governo di turno propone degli incentivi, delle sovvenzioni, un intervento diretto nell'economia ci sono sempre delle conseguenze e è raro che i governi sappiano davvero valutare tutte le variabili in questione. Questo non vuol dire che ogni incentivo sia sbagliato, solo che è utile pensare anche ai suoi effetti secondari.

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Mosaico di Ulisse, museo del Bardo, Tunisi

Riassumendo, l'africa esportava di tutto e ovviamente queste produzioni erano comunque tassate – se non nella transazione – almeno alla produzione, creando un notevole flusso di oro per le casse dello stato. Come abbiamo detto lo stato non doveva spendere molto nella difesa del Nordafrica, quindi questa regione chiave era l'unica ad avere un residuo fiscale molto positivo: grandi introiti dalle tasse, poche spese. Insomma, il Nordafrica era la Lombardia dell'Impero Romano, e prima che mi saltiate alla giugulare con questo intendo che la Lombardia ha oggi un dimostrato residuo fiscale positivo pari a circa 54 miliardi, ovvero la differenza tra quanto contribuisce allo stato centrale e quanto riceve in spesa pubblica. Immaginate ora se una potenza straniera invadesse e conquistasse la Lombardia: per lo stato italiano sarebbe un disastro, perché – semplificando – il suo deficit aumenterebbe banalmente di 54 miliardi, una cifra enorme.

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Ora credo vi sia più chiaro perché Stilicone, Flavio Costanzo, perfino Prisco Attalo avessero difeso con i denti la presa di Roma sul Maghreb: senza il residuo fiscale di Cartagine, spero apprezziate l'ironia della cosa, la grande macchina statale dell'Impero Romano non poteva funzionare. Didone si sarebbe rivoltata nella tomba.

La via dell'Africa

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Circo di Cartagine, il più grande in occidente dopo il Circo Massimo

Genseric preparò il grande balzo del suo popolo con estrema attenzione: Peter Heather, il grande storico del tardo impero, ha dimostrato che il suo obiettivo iniziale fu probabilmente la Tingitana, ovvero il Marocco settentrionale, un'area lontanissima da Cartagine tanto che dipendeva politicamente dalla Spagna. La tingitana era mal difesa e aveva il vantaggio di essere a pochi chilometri dalla costa Andalusa, controllata dai Vandali.

Prima che Cartagine potesse essere informata i Vandali, tutti gli ottanta mila della tribù, erano in Nordafrica: era il maggio del 429. Genseric li guidò in una lunga marcia verso il cuore dell'Africa Romana, attraverso la moderna Algeria per giungere fino al cuore dell'Africa Romana: le tre province della Numidia, della Bizacena e dell'Africa Proconsolare, la provincia di Cartagine. Qui l'orda dei Vandali si scontrò con le truppe comitatensi di Bonifacio che ebbero la peggio. Sconfitto il Comes Africae si rifugiò nella città numidica di Ippona, la stessa dove era vescovo l'ormai anziano Agostino. Mentre Genseric assediava ad Ippona Bonifacio e quello che restava del suo esercito i suoi si sparpagliarono nelle ricche campagne africane, saccheggiando a volontà e iniziando a meritarsi la loro nomea: i Vandali fecero al Nordafrica, in sostanza, quello che i Goti avevano fatto ai Balcani.

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Una grande villa romana, mosaico del bardo, a Cartagine.

I Vandali svuotarono le case dei ricchi, torturarono i Romani per sapere dove nascondevano il loro oro, a volte in quanto Ariani si abbandonarono a violenze contro il clero cattolico. Ma la vera questione era che assediando Ippona e il Comes Africae, Genseric aveva puntato il coltello alla giugulare dell'impero d'occidente: i Vandali avevano messo a rischio la più importante regione per l'economia dell'Impero. E mentre questo accadeva cosa facevano i governanti dell'Impero? E perché Bonifacio aveva fallito in modo così spettacolare contro i Vandali? La ragione è che i Romani erano impegnati, come al solito, a combattersi tra loro.

Roma discute, Sagunto è espugnata

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Basilica di S. Giovanni evangelista, fatta costruire da Galla Placidia a Ravenna

Galla Placidia era acutamente consapevole che non doveva permettere a nessuno dei suoi tre Magister Militum di assurgere al ruolo che aveva occupato Flavio Costanzo, a costo di perdere il potere che aveva raggranellato con gli anni. A tal fine cercò di giocare ogni uomo potente contro l'altro: i contorni del gioco politico non sono chiari perché ahimè sono poche le nostre fonti per questo periodo. Per quello che possiamo capire nel 427, un paio di anni prima della traversata dei Vandali, il generale Felice e Galla Placidia si erano decisi a muovere guerra a Bonifacio, per rimuoverlo. Galla aveva richiamato Bonifacio a Ravenna e questi aveva deciso di restare nel suo semi-autonomo regno africano, forse su incitazione di Ezio. Felice aveva risposto inviando una spedizione in Africa per combattere Bonifacio: i due eserciti si erano scontrati in una serie di battaglie proprio mentre i Vandali si installavano per la prima volta in Africa, tanto che molti hanno pensato e scritto che fossero venuti su istigazione di Bonifacio, accusa infamante per quest'ultimo e che gli storici moderni tendono a minimizzare o escludere del tutto. Sta di fatto che Bonifacio aveva sconfitto la spedizione di Ravenna e alla fine si era persino riconciliato con il governo centrale, ma indebolito si era dimostrato incapace di fermare Genseric e la sua coalizione barbara ed era finito assediato a Ippona.

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Mentre Bonifacio era assediato ci si sarebbe potuto aspettare una missione militare per aiutare il Comes Africae a difendere il più importante gioiello della corona imperiale, ma a Ravenna la lotta di potere continuava: Galla Placidia aveva compreso che c'era probabilmente Ezio dietro il rifiuto di Bonifacio di venire a Ravenna e aveva inviato il suo superiore Felice – patrizio e generalissimo dell'occidente – a rimettere l'arrogante amico degli Unni al suo posto, forse era prevista una congiura per assassinarlo durante un abboccamento. Ezio però venne a sapere da un informatore delle macchinazioni di Galla Placidia: gli uomini come Ezio hanno sempre degli informatori ovunque. Non sappiamo esattamente cosa accadde, solo che invece di essere rimesso al suo posto Ezio finì lui stesso per imprigionare Felice e sua moglie Padusia, ordinandone l'esecuzione. Galla Placidia a questo punto si ritrovava con un generale ribelle in Gallia e un generale forse a lei fedele in Africa, ma sotto assedio. Galla non poteva inviare l'esercito d'Italia in Africa ad aiutare Bonifacio perché questo avrebbe invitato Ezio ad attraversare le alpi e prendere il potere a Ravenna. Ecco perché nessun aiuto giunse in Africa nel momento più difficile.

I due Magister Militum in guerra

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Roveine di Ippona, sullo sfondo la chiesa costruita nell'800' e dedicata a S.Agostino

Mentre Bonifacio era sotto assedio a Ippona il suo vescovo – sant'Agostino – fu provato dalle privazioni dell'assedio e morì a 75 anni. Era diventato il più celebre e rispettato intellettuale cristiano della sua epoca, forse di sempre, e lo aveva fatto rimanendo in gran parte confinato nella sua relativamente piccola città africana. Lì aveva concepito la possibilità della caduta dell'Impero, qualcosa di inconcepibile per i contemporanei, e l'assedio della sua amata città fu probabilmente per lui l'ultimo segno che davvero il mondo dei Romani si stava apprestando alla fine. Leggenda vuole che perfino Genseric diede ordine ai suoi, quando finalmente Ippona cadde, di rispettare la biblioteca e lo studio del grande vescovo.

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Ippona rimase sotto assedio fino al luglio del 431 quando, privo di qualunque supporto dal governo centrale, Bonifacio si arrese e consegnò la città ai Vandali, che ne fecero la loro prima capitale. Ritiratosi a Cartagine finalmente accolse qui l'arrivo di rinforzi dal governo imperiale: solo che non venivano da Ravenna ma da Costantinopoli. Nuova Roma aveva osservato con crescente preoccupazione il deteriorarsi della situazione in Africa e, nonostante che questo si trovasse in occidente, aveva inviato una spedizione al comando di Aspar, il figlio del plenipotenziario militare Ardabur. Aspar e Bonifacio decisero di tornare al confronto militare con i Vandali ma anche le loro forze riunite furono sconfitte da Genseric: a quanto pare in seguito alla battaglia uno dei principali comandanti di Aspar, un certo Marciano, fu catturato e poi rilasciato. Marciano, come vedremo, farà carriera un giorno.

Per i Romani la guerra in Africa andava in sostanza di male in peggio ma proprio in quel momento giunse un messaggio da Galla Placidia: Bonifacio era promosso a Magister Militum Praesentalis e Patrizio ed era richiamato in Italia, sua maestà aveva bisogno di un generale fidato in modo da mantenere sotto controllo l'altro Magister Militum, Ezio.

Bonifacio decise di accettare la promozione e lasciò irrisolta la guerra in Africa, anzi salpò con una buona parte dei suoi – in particolare i Visigoti di sua moglie Pelagia, una nobile Gotica il cui seguito era una sorta di guardia del corpo personale di Bonifacio, la prima attestazione sicura dei “bucellarii”, guardie del corpo dei magnati della tarda antichità che anticipano i cavalieri medievali al servizio del “signore”.

Ezio ovviamente non prese bene la cosa: negli anni che vanno dal 428 al 430 aveva sconfitto i Bagaudi della Rezia e ristabilito il controllo imperiale sulla frontiera Danubiana, a due passi dall'Italia. Spagna, Gallia, Rezia e Norico ubbidivano solo a lui ed Ezio si sentiva già di meritarsi il grado di generalissimo dell'occidente. Ecco invece che Galla lo aveva scavalcato per favorire Bonifacio.

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Ezio si decise che era giunto il tempo di prendersi quello che era suo con la forza: in poco tempo raccolse le truppe dell'esercito di Gallia, le truppe foederate a lui fedeli composte da Goti, Franchi e altre tribù germaniche e andò incontro al suo destino. Per la prima volta nella storia dell'impero si combatteva una guerra civile per stabilire chi fosse lo shogun d'occidente e non per il trono imperiale, segno questo dei tempi: il vero potere oramai non era più quello dell'imperatore.

I due figli di Mundzuk

La guerra civile fu decisa a pochi chilometri da Ravenna, nei pressi di Rimini. Immagino che tutti voi che mi ascoltate vi aspettiate di vedere Ezio, l'uomo che dominerà l'impero per quasi venti anni, trionfare sul corpo del suo acerrimo nemico. Invece no, l'ascesa inarrestabile del nostro Magister Militum fu fermata ed Ezio perse la battaglia: Ezio fu costretto a scappare dall'Italia e rifugiarsi nell'unico luogo al confine dell'Impero Romano dove era sicuro di poter essere accolto senza essere consegnato alle autorità di Ravenna.

Bonifacio non poté godersi il suo successo: durante la battaglia era stato ferito e spirò pochi giorni dopo, lasciando nuovamente un buco nella governance imperiale. Suo genero Sebastiano fu elevato al rango di Magister Militum.

Ezio, credo che lo abbiate capito, era nel frattempo fuggito presso i suoi amici Unni. Gli Unni nella maggior parte della nostra storia sono stati un popolo privo di un capo supremo dell'intera confederazione ma la loro evoluzione in senso imperiale era già in corso: a capo del popolo degli Unni c'era infatti un certo Rua che all'inizio aveva condiviso il regno con suo fratello Octar. Questi era morto e ora Rua regnava da solo sugli Unni della Pannonia. Rua non aveva figli ma aveva come eredi due nipoti da parte di suo fratello Mundzuk: i rampolli avevano due nomi che il mondo imparerà a temere: Bleda e Attila. Si, quell'Attila.

Il ritorno di Ezio

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Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna

Rua accolse con tutti gli onori Ezio: i due probabilmente si conoscevano e si rispettavano ma erano anche partner politici, non solo amici. I due strinsero un patto, se Rua avesse aiutato Ezio a recuperare il potere e poi lo avesse sostenuto nelle sue future inevitabili guerre per rimettere ordine al caos dell'Impero Ezio avrebbe fatto in modo di cedere agli Unni la devastata Pannonia Romana, da poco riconquistata da Felice e di scarso valore strategico per i Romani ma molto importante per nutrire i cavalli alla base della potenza della nazione Unnica.

La via dell'Africa (425-433) - Ep. 28 (2) Der Weg nach Afrika (425-433) - Ep. 28 (2) The way of Africa (425-433) - Ep. 28 (2) アフリカへの道 (425-433) - 第28話 (2) O Caminho para África (425-433) - Ep. 28 (2)

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Rovine della Cartagine romana

Per organizzare la gestione di questo flusso di grano, che non doveva mai interrompersi pena la fame a Roma e in Italia, lo stato romano aveva creato una gilda di armatori che aveva il monopolio sul traffico e che aveva una serie imponente di agevolazioni fiscali. In cambio lo stato chiedeva una sola cosa: che la gilda armasse le navi sulle quali doveva essere trasportato il grano pubblico destinato a Roma. Beninteso i membri della gilda avrebbero potuto anche trasportare altri prodotti sulle navi da vendere privatamente esentasse, fatta salva ovviamente la quota destinata al trasporto pubblico.

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Questo meccanismo creò una fortissima distorsione del mercato: il costo del trasporto dei prodotti privati dal Nordafrica all'Italia era praticamente zero, visto che tutto il costo era pagato dalla parte “pubblica”. Annullando il costo di trasporto diventava economico produrre in africa anche produzioni che sarebbero state altrimenti fuori mercato, rovinando l'agricoltura italiana ma rendendo quella africana ricchissima, visto che le piantagioni africane erano gestite con modalità industriali e molto efficienti. E qui fatemi fare una chiosa da economista: ricordatevi sempre che quando il governo di turno propone degli incentivi, delle sovvenzioni, un intervento diretto nell'economia ci sono sempre delle conseguenze e è raro che i governi sappiano davvero valutare tutte le variabili in questione. Questo non vuol dire che ogni incentivo sia sbagliato, solo che è utile pensare anche ai suoi effetti secondari.

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Mosaico di Ulisse, museo del Bardo, Tunisi

Riassumendo, l'africa esportava di tutto e ovviamente queste produzioni erano comunque tassate – se non nella transazione – almeno alla produzione, creando un notevole flusso di oro per le casse dello stato. Come abbiamo detto lo stato non doveva spendere molto nella difesa del Nordafrica, quindi questa regione chiave era l'unica ad avere un residuo fiscale molto positivo: grandi introiti dalle tasse, poche spese. Insomma, il Nordafrica era la Lombardia dell'Impero Romano, e prima che mi saltiate alla giugulare con questo intendo che la Lombardia ha oggi un dimostrato residuo fiscale positivo pari a circa 54 miliardi, ovvero la differenza tra quanto contribuisce allo stato centrale e quanto riceve in spesa pubblica. Immaginate ora se una potenza straniera invadesse e conquistasse la Lombardia: per lo stato italiano sarebbe un disastro, perché – semplificando – il suo deficit aumenterebbe banalmente di 54 miliardi, una cifra enorme.

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Ora credo vi sia più chiaro perché Stilicone, Flavio Costanzo, perfino Prisco Attalo avessero difeso con i denti la presa di Roma sul Maghreb: senza il residuo fiscale di Cartagine, spero apprezziate l'ironia della cosa, la grande macchina statale dell'Impero Romano non poteva funzionare. Didone si sarebbe rivoltata nella tomba.

La via dell'Africa

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Circo di Cartagine, il più grande in occidente dopo il Circo Massimo

Genseric preparò il grande balzo del suo popolo con estrema attenzione: Peter Heather, il grande storico del tardo impero, ha dimostrato che il suo obiettivo iniziale fu probabilmente la Tingitana, ovvero il Marocco settentrionale, un'area lontanissima da Cartagine tanto che dipendeva politicamente dalla Spagna. La tingitana era mal difesa e aveva il vantaggio di essere a pochi chilometri dalla costa Andalusa, controllata dai Vandali.

Prima che Cartagine potesse essere informata i Vandali, tutti gli ottanta mila della tribù, erano in Nordafrica: era il maggio del 429. Genseric li guidò in una lunga marcia verso il cuore dell'Africa Romana, attraverso la moderna Algeria per giungere fino al cuore dell'Africa Romana: le tre province della Numidia, della Bizacena e dell'Africa Proconsolare, la provincia di Cartagine. Qui l'orda dei Vandali si scontrò con le truppe comitatensi di Bonifacio che ebbero la peggio. Sconfitto il Comes Africae si rifugiò nella città numidica di Ippona, la stessa dove era vescovo l'ormai anziano Agostino. Mentre Genseric assediava ad Ippona Bonifacio e quello che restava del suo esercito i suoi si sparpagliarono nelle ricche campagne africane, saccheggiando a volontà e iniziando a meritarsi la loro nomea: i Vandali fecero al Nordafrica, in sostanza, quello che i Goti avevano fatto ai Balcani.

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Una grande villa romana, mosaico del bardo, a Cartagine.

I Vandali svuotarono le case dei ricchi, torturarono i Romani per sapere dove nascondevano il loro oro, a volte in quanto Ariani si abbandonarono a violenze contro il clero cattolico. Ma la vera questione era che assediando Ippona e il Comes Africae, Genseric aveva puntato il coltello alla giugulare dell'impero d'occidente: i Vandali avevano messo a rischio la più importante regione per l'economia dell'Impero. E mentre questo accadeva cosa facevano i governanti dell'Impero? E perché Bonifacio aveva fallito in modo così spettacolare contro i Vandali? La ragione è che i Romani erano impegnati, come al solito, a combattersi tra loro.

Roma discute, Sagunto è espugnata

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Basilica di S. Giovanni evangelista, fatta costruire da Galla Placidia a Ravenna

Galla Placidia era acutamente consapevole che non doveva permettere a nessuno dei suoi tre Magister Militum di assurgere al ruolo che aveva occupato Flavio Costanzo, a costo di perdere il potere che aveva raggranellato con gli anni. A tal fine cercò di giocare ogni uomo potente contro l'altro: i contorni del gioco politico non sono chiari perché ahimè sono poche le nostre fonti per questo periodo. Per quello che possiamo capire nel 427, un paio di anni prima della traversata dei Vandali, il generale Felice e Galla Placidia si erano decisi a muovere guerra a Bonifacio, per rimuoverlo. Galla aveva richiamato Bonifacio a Ravenna e questi aveva deciso di restare nel suo semi-autonomo regno africano, forse su incitazione di Ezio. Felice aveva risposto inviando una spedizione in Africa per combattere Bonifacio: i due eserciti si erano scontrati in una serie di battaglie proprio mentre i Vandali si installavano per la prima volta in Africa, tanto che molti hanno pensato e scritto che fossero venuti su istigazione di Bonifacio, accusa infamante per quest'ultimo e che gli storici moderni tendono a minimizzare o escludere del tutto. Sta di fatto che Bonifacio aveva sconfitto la spedizione di Ravenna e alla fine si era persino riconciliato con il governo centrale, ma indebolito si era dimostrato incapace di fermare Genseric e la sua coalizione barbara ed era finito assediato a Ippona.

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I due Magister Militum in guerra

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Roveine di Ippona, sullo sfondo la chiesa costruita nell'800' e dedicata a S.Agostino

Mentre Bonifacio era sotto assedio a Ippona il suo vescovo – sant'Agostino – fu provato dalle privazioni dell'assedio e morì a 75 anni. Era diventato il più celebre e rispettato intellettuale cristiano della sua epoca, forse di sempre, e lo aveva fatto rimanendo in gran parte confinato nella sua relativamente piccola città africana. Lì aveva concepito la possibilità della caduta dell'Impero, qualcosa di inconcepibile per i contemporanei, e l'assedio della sua amata città fu probabilmente per lui l'ultimo segno che davvero il mondo dei Romani si stava apprestando alla fine. Leggenda vuole che perfino Genseric diede ordine ai suoi, quando finalmente Ippona cadde, di rispettare la biblioteca e lo studio del grande vescovo.

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Per i Romani la guerra in Africa andava in sostanza di male in peggio ma proprio in quel momento giunse un messaggio da Galla Placidia: Bonifacio era promosso a Magister Militum Praesentalis e Patrizio ed era richiamato in Italia, sua maestà aveva bisogno di un generale fidato in modo da mantenere sotto controllo l'altro Magister Militum, Ezio.

Bonifacio decise di accettare la promozione e lasciò irrisolta la guerra in Africa, anzi salpò con una buona parte dei suoi – in particolare i Visigoti di sua moglie Pelagia, una nobile Gotica il cui seguito era una sorta di guardia del corpo personale di Bonifacio, la prima attestazione sicura dei “bucellarii”, guardie del corpo dei magnati della tarda antichità che anticipano i cavalieri medievali al servizio del “signore”.

Ezio ovviamente non prese bene la cosa: negli anni che vanno dal 428 al 430 aveva sconfitto i Bagaudi della Rezia e ristabilito il controllo imperiale sulla frontiera Danubiana, a due passi dall'Italia. Spagna, Gallia, Rezia e Norico ubbidivano solo a lui ed Ezio si sentiva già di meritarsi il grado di generalissimo dell'occidente. Ecco invece che Galla lo aveva scavalcato per favorire Bonifacio.

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Ezio si decise che era giunto il tempo di prendersi quello che era suo con la forza: in poco tempo raccolse le truppe dell'esercito di Gallia, le truppe foederate a lui fedeli composte da Goti, Franchi e altre tribù germaniche e andò incontro al suo destino. Per la prima volta nella storia dell'impero si combatteva una guerra civile per stabilire chi fosse lo shogun d'occidente e non per il trono imperiale, segno questo dei tempi: il vero potere oramai non era più quello dell'imperatore.

I due figli di Mundzuk

La guerra civile fu decisa a pochi chilometri da Ravenna, nei pressi di Rimini. Immagino che tutti voi che mi ascoltate vi aspettiate di vedere Ezio, l'uomo che dominerà l'impero per quasi venti anni, trionfare sul corpo del suo acerrimo nemico. Invece no, l'ascesa inarrestabile del nostro Magister Militum fu fermata ed Ezio perse la battaglia: Ezio fu costretto a scappare dall'Italia e rifugiarsi nell'unico luogo al confine dell'Impero Romano dove era sicuro di poter essere accolto senza essere consegnato alle autorità di Ravenna.

Bonifacio non poté godersi il suo successo: durante la battaglia era stato ferito e spirò pochi giorni dopo, lasciando nuovamente un buco nella governance imperiale. Suo genero Sebastiano fu elevato al rango di Magister Militum.

Ezio, credo che lo abbiate capito, era nel frattempo fuggito presso i suoi amici Unni. Gli Unni nella maggior parte della nostra storia sono stati un popolo privo di un capo supremo dell'intera confederazione ma la loro evoluzione in senso imperiale era già in corso: a capo del popolo degli Unni c'era infatti un certo Rua che all'inizio aveva condiviso il regno con suo fratello Octar. Questi era morto e ora Rua regnava da solo sugli Unni della Pannonia. Rua non aveva figli ma aveva come eredi due nipoti da parte di suo fratello Mundzuk: i rampolli avevano due nomi che il mondo imparerà a temere: Bleda e Attila. Si, quell'Attila.

Il ritorno di Ezio

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Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna

Rua accolse con tutti gli onori Ezio: i due probabilmente si conoscevano e si rispettavano ma erano anche partner politici, non solo amici. I due strinsero un patto, se Rua avesse aiutato Ezio a recuperare il potere e poi lo avesse sostenuto nelle sue future inevitabili guerre per rimettere ordine al caos dell'Impero Ezio avrebbe fatto in modo di cedere agli Unni la devastata Pannonia Romana, da poco riconquistata da Felice e di scarso valore strategico per i Romani ma molto importante per nutrire i cavalli alla base della potenza della nazione Unnica.