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Storia D'Italia, Il nuovo vescovo di Milano (383-392) - Ep. 19 (1)

Il nuovo vescovo di Milano (383-392) - Ep. 19 (1)

L'Italia della fine del quarto secolo è dominata da una città: Milano, la capitale dell'Impero d'Occidente. E non si può comprendere la Milano di fine quarto secolo senza parlare dell'uomo che arriverà a dominarne sia lo spazio politico che le anime. Vale a dire Aurelius Ambrosius meglio conosciuto a Milano, in Italia e nel mondo con il nome con il quale è passato alla storia: Sant'Ambrogio.

Il ruolo dell'Italia nella sua storia

L'Italia fino ad oggi non è stata uno dei luoghi principali della storia d'Italia: è paradossale, ma la maggior parte degli eventi che ho riferito si sono svolti ai confini dell'impero: in Gallia e Persia con Giuliano, su tutte le frontiere con i suoi successori. L'unico evento chiave avvenuto in Italia è stata la battaglia di Ponte Milvio. Questo perché il mondo Romano era davvero un mondo unito e non si può capire nulla della storia di una parte dell'impero senza narrare la storia dell'insieme.

Negli scorsi episodi la narrativa ci ha portato molto distanti dall'Italia, nelle terre tra il Danubio e Costantinopoli: ovviamente questa è stata per me una scelta e non un accidente. Intendo narrare la Storia d'Italia ma non posso farlo senza tenere conto del contesto: credevo fosse importante spiegare come i Goti finirono per ritrovarsi dentro l'impero e come riuscirono a conquistarsi la loro indipendenza dentro il mondo Romano: questo perché la loro storia ha un impatto fondamentale sull'Italia dei secoli a venire. Conto di deviare dalla narrazione strettamente geografica ogni volta che sarà necessario: come potrò spiegare l'Italia dell'ottavo secolo senza parlare dei Franchi e della loro corte? Come inquadrare la storia dell'Italia comunale senza tener conto della storia dell'intero Impero al di là delle alpi? E questi sono solo due esempi.

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Eppure siamo arrivati ad un punto della nostra storia dove possiamo tornare in Italia e restarci per un po': di qui in avanti ci concentreremo sempre di più sulla pars occidentalis dell'impero, quella che è destinata a scomparire nel giro di meno di cento anni. In occidente l'Italia acquisirà sempre più importanza a mano a mano che l'impero, facendo a ritroso il percorso che lo aveva portato a dominare tutto il mediterraneo, andrà restringendosi sulla nostra penisola.

Ambrogio, governatore di Milano

📷

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Mosaico del quarto secolo che ritrae Ambrogio nel sacello di S. Vittore in ciel d'oro, a Milano

Aurelius Ambrosius era nato a Trier nella moderna Germania ma da una famiglia senatoriale altolocata di Roma. Suo padre era decisamente un pezzo grosso essendo il Prefetto del Pretorio delle Gallie, uno degli uomini più importanti della burocrazia imperiale. Da parte di madre Ambrogio era imparentato con la famiglia degli Aureli Simmachi, una delle più importanti famiglie senatoriali di Roma a cui capo c'era il poeta Simmaco, un deciso difensore della religione pagana.

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Destinato alla carriera amministrativa sulle orme del padre, dopo la sua morte frequentò le migliori scuole di Roma dove compì i tradizionali studi che ci si poteva attendere da un rampollo di una illustre famiglia senatoriale romana: imparò il greco e studiò diritto, letteratura e retorica, partecipando poi alla vita pubblica della città. Nel 370 fu nominato governatore della provincia romana dell'Aemilia et Liguria che a quel tempo includeva buona parte del nord Italia. La sede del governatorato era Milano, ottima cosa perché permise ad Ambrogio di divenire una figura di rilievo nella corte dell'imperatore Valentiniano I e allo stesso tempo di andare incontro al suo destino di essere associato con questa città. La sua abilità nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra ariani e cattolici niceni gli valse un largo apprezzamento da parte delle due fazioni, nonostante che fosse apertamente un Niceno.

Il vescovo di Milano era un Ariano, nominato da Costanzo II e mai rimosso. Alla sua morte nel 374 le due fazioni si scontrarono apertamente su chi nominare come vescovo: nella chiesa dove doveva avvenire l'elezione c'erano stati dei veri e propri tafferugli e Ambrogio accorse con la forza pubblica di cui era a capo per sedare i disordini: non voleva che si ripetesse quanto successo con l'elezione qualche anno prima di papa Damaso, risultata in un bagno di sangue.

Alla vista del governatore, nella confusione della calca qualcuno urlò “Ambrogio vescovo”: la tradizione vuole che fosse un bambino. Al che l'acclamazione avvenne da parte di buona parte della congregazione e perfino gli ariani decisero che Ambrogio fosse un candidato di compromesso e non ne impedirono l'elezione. In pochi anni rimpiangeranno amaramente la loro scelta.

Peccato che nessuno avesse chiesto al diretto interessato: Ambrogio non aveva mai adocchiato una carriera ecclesiastica e non aveva nessun attributo per essere un vescovo. Non era un prete e non era perfino ancora battezzato, come d'abitudine in quei tempi per gli uomini di armi e politica, che come abbiamo visto nel caso di Costantino tendevano a battezzarsi tardi per lavarsi i peccati di una vita passata attorno al potere. Ambrogio provò a resistere ma alla fine, anche sotto pressione dell'imperatore Valentiniano, acconsentì: in otto giorni passo da non battezzato a battezzato, prete e infine vescovo. No, non era una cosa normale neanche allora, era qualcosa di assolutamente inedito.

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Da politico Ambrogio era stato piuttosto neutrale nelle dispute religiose, così non fu una volta eletto vescovo: Ambrogio era in cuor suo un convinto niceno e da subito fece capire che non avrebbe accettato alcuno spazio nella vita pubblica per le fedi alternative: che questi fossero i rimanenti pagani, gli ebrei o i cristiani ariani.

Ambrogio riuscì a fondere nel ruolo di vescovo la sicurezza politica che gli derivava da provenire da una delle grandi famiglie senatoriali che dominavano l'impero con la cultura e l'erudizione di una delle grandi menti della sua epoca. Era un retore formidabile: i suoi sermoni erano leggendari muovendo a compassione i semplici come i più eruditi. Durante il suo periodo a Milano un certo Agostino passò ad ascoltare i discorsi del vescovo. Agostino fino ad allora aveva aderito ad una religione alternativa al cristianesimo, il manicheismo. Quando ripartì da Milano era stato battezzato da Ambrogio e, tornato nella sua africa, era pronto a diventare lui stesso l'erede spirituale di Ambrogio. Avremo modo di parlare ancora di lui.

Ambrogio non era solo un grande retore e uomo di chiesa: da subito interpretò il ruolo di vescovo non solo come guida religiosa del suo gregge ma come uno dei più importanti ruoli politici della capitale imperiale, quindi di tutto l'impero. L'idea che mi sono fatto della sua carriera è che Ambrogio avesse una personalità magnetica, capace di manipolare l'opinione delle folle come degli uomini potenti che accorrevano ad ascoltarlo. Fu il primo uomo politico romano che capì che dal soglio vescovile poteva arrivare ad ergersi sopra a chiunque, forse perfino sopra gli imperatori. In questo è una figura fondamentale dell'evoluzione dell'occidente verso la politica medioevale.

Graziano imperator

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Graziano

Il primo passo fuori dall'oscurità lo raggiunse quando Graziano – reduce dalla disastrosa campagna di Adrianopoli – venne in Italia e si stabilì a Milano. Non sappiamo precisamente cosa avvenne ma Graziano, che fino a quel momento aveva seguito la tollerante politica religiosa del padre, cambiò improvvisamente d'avviso e sposò in tutto e per tutto la dura politica di supremazia del credo Niceno professata da Ambrogio. Ammiano Marcellino, senza poter criticare direttamente Ambrogio negli anni del cattolicissimo Teodosio, ci lascia alcune molliche di pane per cercare di capire cosa avvenne. Ammiano sostiene che Graziano fosse un giovane molto promettente ma che cadde preda di cattivi consigli che portarono alla sua rovina. Non ho dubbi che si riferisse ad Ambrogio.

Ambrogio contro gli Ariani

Su istigazione e credo sotto l'influenza del suo vescovo Graziano pose fine alla tolleranza religiosa che si era imposta come politica imperiale dai tempi di Giuliano: “Nella lunga tregua tra i campi ostili” scrive lo storico Samuel Dill “il pagano, lo scettico, anche il tiepido cristiano, aveva potuto sognare una reciproca tolleranza che lasciasse indisturbati gli antichi culti. Ma tali uomini non conoscevano abbastanza le forze interiori del nuovo movimento cristiano.”

Nel 381 Ambrogio mosse contro gli ultimi rimasugli della dottrina Ariana in occidente: gli Ariani avevano avuto sempre più seguito in oriente e ultimamente avevano perso quanto restava della loro autorità nella pars occidentalis. Roma era stata conquistata da un Papa ferocemente ortodosso, Damaso, Milano da Ambrogio. Restavano solo due importanti vescovi ariani, vestigia dei tempi di Costanzo II. Ambrogio indisse un Concilio ad Aquileia per porre fine alla questione: i due vescovi furono deposti ed espulsi nonostante le rimostranze e le resistenze del partito ariano che era ora comandato dall'Augusta Giustina, la vedova di Valentiniano I.

📷

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San Lorenzo alle colonne, antichissima chiesa milanese, risalente nel corpo principale al quarto secolo.

Introduciamo Giustina, perché ne riparleremo: questa era stata addirittura in prime nozze la moglie di Magnenzio, usurpatore sconfitto da Costanzo II quando? Tipo 15 episodi fa? Giustina era però un animale politico ed era riuscita a sposare un secondo imperatore, Valentiniano I, a cui aveva dato il secondo figlio: si trattava di Valentiniano II, ora co-augusto di Graziano, almeno sulla carta. Aveva avuto anche una figlia, Galla. Giustina era una forza della politica romana e una delle personalità più importanti della corte di Milano. Nonostante tutta la sua influenza Giustina non riuscì a fermare la coppia Ambrogio-Damaso e gli ultimi vescovi ariani furono deposti: Giustina non si diede però ancora per sconfitta.

Ambrogio contro i pagani

Risolta la pratica dei vescovi Ariani Ambrogio passò all'ultimo grande concorrente religioso della sua ortodossia: i pagani. Nel 382 Ambrogio convinse Graziano ad attaccare direttamente i culti più antichi della città di Roma: con dei decreti “cattolicissimi” Graziano dichiarò che tutti i templi e i santuari pagani dovevano essere confiscati dal governo e che i loro introiti dovevano essere uniti alla proprietà del tesoro reale. Graziano si impadronì anche delle entrate dell'antichissimo collegio delle vergini vestali, le custodi della fiamma sacra di Roma.

Inoltre, in un atto che fu vissuto come una violenza da parte dei senatori pagani, Graziano ordinò la rimozione dell'Altare della Vittoria dalla Camera del Senato a Roma. Cerchiamo di capire di cosa si trattasse e del perché fosse così importante per alcuni: l'altare e la coeva statua della vittoria erano stati conquistati da Roma ai tempi della guerra contro Pirro e i tarantini, quasi 700 anni prima. Augusto aveva installato la statua nell'aula del Senato e da allora era arrivata a simboleggiare l'autorità, la maestà e l'invincibilità dell'Impero: per i pagani la sua rimozione era non solo un affronto religioso ma un pericolo per la sicurezza pubblica della città e dell'Impero che si sarebbero esposti all'ira dei suoi Dei fondatori. I senatori pagani risposero inviando un appello a Graziano, ricordandogli che come tutti gli eredi di Augusto era ancora il Pontifex Maximus e che era suo dovere vedere che i riti pagani ancestrali fossero eseguiti correttamente. Graziano, su sollecitazione di Ambrogio, non concesse udienza ai senatori pagani e decise invece di rinunciare formalmente, primo imperatore Cristiano, al titolo di Pontefice Massimo. Giulio Cesare era stato pontefice e dopo di lui tutti gli augusti, riunendo nella loro persona le massime cariche civili e religiosi di Roma. Ci fu costernazione immensa a Roma, l'ultimo bastione importante del paganesimo: la carica di pontefice massimo era stata creata, secondo la leggenda, da Numa Pompilio, il secondo Re di Roma. Ritengo questa rottura anche più importante del più famoso editto di Thessalonika di Teodosio, di cui parlerò tra poco. Ah, visto che lo ho nominato: è tempo di tornare in oriente perché lo scorso episodio, nel maelstrom di spade della guerra Gotica, ho evitato di parlare di religione: ma in oriente nel 381 si è aperto il secondo concilio ecumenico della chiesa cristiana, a Costantinopoli.

L'editto di Tessalonica

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Ho accennato al fatto che Adrianopoli ebbe un'importanza fondamentale anche sul fronte religioso. È arrivato il momento di spiegare perché. Valente era stato un imperatore Ariano, come Ariano era stato Costanzo II e anche – de facto – Costantino negli ultimi anni del suo regno. Valente aveva applicato la politica di tolleranza religiosa del fratello maggiore, anche se con una maggiore inclinazione a favorire gli ariani. La sua morte sul campo di battaglia e la spettacolare sconfitta del suo esercito fu interpretata dai superstiziosi romani come un segno della collera divina contro Valente e le sue idee che furono istantaneamente screditate: il mondo Romano era si passato al cristianesimo ma le superstizioni antiche che volevano negli eventi terreni la chiara volontà degli Dei erano rimaste, le loro radici erano troppo profonde. In questa atmosfera nacque perfino una leggenda che ritengo quasi sicuramente apocrifa: si sparse la voce che Valente non fosse caduto per mano di una spada ma che si fosse rifugiato in una fattoria: qui i Goti avrebbero messo fuoco all'intera casa e Valente sarebbe morto bruciato, in quella che era una morte infamante per i Cristiani del tempo. Citiamo qui Orosio, uno storico cristiano del quale avremo modo di parlare ancora: “A valente non fu nemmeno data una sepoltura, affinché la punizione visitata su di lui – questa chiara manifestazione di ira divina – potesse servire ancor di più come un terribile esempio per i posteri”. Ma perché Valente aveva meritato un trattamento talmente infamante da parte di Dio? Ce lo dice il nostro storico, chiaramente dando voce ad una opinione diffusa: ad essere sconfitta non era stata un'armata romana cristiana, Dio aveva abbandonato i Romani perché si erano fatti guidare da un Ariano. Orosio va oltre e da una spiegazione – come dire? – logica alla sua morte: “I Goti avevano chiesto che fossero inviati dei vescovi da cui avrebbero potuto imparare la fede cristiana. In perversione fatale l'imperatore Valente inviò insegnanti della dottrina ariana, e i Goti continuarono a credere a ciò che avevano appreso da loro sui principi fondamentali della fede. Quindi, per il giusto giudizio di Dio stesso, Valente fu bruciato vivo dagli stessi uomini che, attraverso la sua azione, bruceranno in seguito per la loro eresia.” Chiaro e semplice.

Il nuovo vescovo di Milano (383-392) - Ep. 19 (1) Ο νέος επίσκοπος του Μιλάνου (383-392) - Ep. 19 (1) The new bishop of Milan (383-392) - Ep. 19 (1) Le nouvel évêque de Milan (383-392) - Ep. 19 (1) O novo bispo de Milão (383-392) - Ep. 19 (1)

L'Italia della fine del quarto secolo è dominata da una città: Milano, la capitale dell'Impero d'Occidente. E non si può comprendere la Milano di fine quarto secolo senza parlare dell'uomo che arriverà a dominarne sia lo spazio politico che le anime. Vale a dire Aurelius Ambrosius meglio conosciuto a Milano, in Italia e nel mondo con il nome con il quale è passato alla storia: Sant'Ambrogio.

**Il ruolo dell'Italia nella sua storia**

L'Italia fino ad oggi non è stata uno dei luoghi principali della storia d'Italia: è paradossale, ma la maggior parte degli eventi che ho riferito si sono svolti ai confini dell'impero: in Gallia e Persia con Giuliano, su tutte le frontiere con i suoi successori. L'unico evento chiave avvenuto in Italia è stata la battaglia di Ponte Milvio. Questo perché il mondo Romano era davvero un mondo unito e non si può capire nulla della storia di una parte dell'impero senza narrare la storia dell'insieme.

Negli scorsi episodi la narrativa ci ha portato molto distanti dall'Italia, nelle terre tra il Danubio e Costantinopoli: ovviamente questa è stata per me una scelta e non un accidente. Intendo narrare la Storia d'Italia ma non posso farlo senza tenere conto del contesto: credevo fosse importante spiegare come i Goti finirono per ritrovarsi dentro l'impero e come riuscirono a conquistarsi la loro indipendenza dentro il mondo Romano: questo perché la loro storia ha un impatto fondamentale sull'Italia dei secoli a venire. Conto di deviare dalla narrazione strettamente geografica ogni volta che sarà necessario: come potrò spiegare l'Italia dell'ottavo secolo senza parlare dei Franchi e della loro corte? Come inquadrare la storia dell'Italia comunale senza tener conto della storia dell'intero Impero al di là delle alpi? E questi sono solo due esempi.

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Eppure siamo arrivati ad un punto della nostra storia dove possiamo tornare in Italia e restarci per un po': di qui in avanti ci concentreremo sempre di più sulla pars occidentalis dell'impero, quella che è destinata a scomparire nel giro di meno di cento anni. In occidente l'Italia acquisirà sempre più importanza a mano a mano che l'impero, facendo a ritroso il percorso che lo aveva portato a dominare tutto il mediterraneo, andrà restringendosi sulla nostra penisola.

Ambrogio, governatore di Milano

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Mosaico del quarto secolo che ritrae Ambrogio nel sacello di S. Vittore in ciel d'oro, a Milano

Aurelius Ambrosius era nato a Trier nella moderna Germania ma da una famiglia senatoriale altolocata di Roma. Suo padre era decisamente un pezzo grosso essendo il Prefetto del Pretorio delle Gallie, uno degli uomini più importanti della burocrazia imperiale. Da parte di madre Ambrogio era imparentato con la famiglia degli Aureli Simmachi, una delle più importanti famiglie senatoriali di Roma a cui capo c'era il poeta Simmaco, un deciso difensore della religione pagana.

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Destinato alla carriera amministrativa sulle orme del padre, dopo la sua morte frequentò le migliori scuole di Roma dove compì i tradizionali studi che ci si poteva attendere da un rampollo di una illustre famiglia senatoriale romana: imparò il greco e studiò diritto, letteratura e retorica, partecipando poi alla vita pubblica della città. Nel 370 fu nominato governatore della provincia romana dell'Aemilia et Liguria che a quel tempo includeva buona parte del nord Italia. La sede del governatorato era Milano, ottima cosa perché permise ad Ambrogio di divenire una figura di rilievo nella corte dell'imperatore Valentiniano I e allo stesso tempo di andare incontro al suo destino di essere associato con questa città. La sua abilità nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra ariani e cattolici niceni gli valse un largo apprezzamento da parte delle due fazioni, nonostante che fosse apertamente un Niceno.

Il vescovo di Milano era un Ariano, nominato da Costanzo II e mai rimosso. Alla sua morte nel 374 le due fazioni si scontrarono apertamente su chi nominare come vescovo: nella chiesa dove doveva avvenire l'elezione c'erano stati dei veri e propri tafferugli e Ambrogio accorse con la forza pubblica di cui era a capo per sedare i disordini: non voleva che si ripetesse quanto successo con l'elezione qualche anno prima di papa Damaso, risultata in un bagno di sangue.

Alla vista del governatore, nella confusione della calca qualcuno urlò “Ambrogio vescovo”: la tradizione vuole che fosse un bambino. Al che l'acclamazione avvenne da parte di buona parte della congregazione e perfino gli ariani decisero che Ambrogio fosse un candidato di compromesso e non ne impedirono l'elezione. In pochi anni rimpiangeranno amaramente la loro scelta.

Peccato che nessuno avesse chiesto al diretto interessato: Ambrogio non aveva mai adocchiato una carriera ecclesiastica e non aveva nessun attributo per essere un vescovo. Non era un prete e non era perfino ancora battezzato, come d'abitudine in quei tempi per gli uomini di armi e politica, che come abbiamo visto nel caso di Costantino tendevano a battezzarsi tardi per lavarsi i peccati di una vita passata attorno al potere. Ambrogio provò a resistere ma alla fine, anche sotto pressione dell'imperatore Valentiniano, acconsentì: in otto giorni passo da non battezzato a battezzato, prete e infine vescovo. No, non era una cosa normale neanche allora, era qualcosa di assolutamente inedito.

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Da politico Ambrogio era stato piuttosto neutrale nelle dispute religiose, così non fu una volta eletto vescovo: Ambrogio era in cuor suo un convinto niceno e da subito fece capire che non avrebbe accettato alcuno spazio nella vita pubblica per le fedi alternative: che questi fossero i rimanenti pagani, gli ebrei o i cristiani ariani.

Ambrogio riuscì a fondere nel ruolo di vescovo la sicurezza politica che gli derivava da provenire da una delle grandi famiglie senatoriali che dominavano l'impero con la cultura e l'erudizione di una delle grandi menti della sua epoca. Era un retore formidabile: i suoi sermoni erano leggendari muovendo a compassione i semplici come i più eruditi. Durante il suo periodo a Milano un certo Agostino passò ad ascoltare i discorsi del vescovo. Agostino fino ad allora aveva aderito ad una religione alternativa al cristianesimo, il manicheismo. Quando ripartì da Milano era stato battezzato da Ambrogio e, tornato nella sua africa, era pronto a diventare lui stesso l'erede spirituale di Ambrogio. Avremo modo di parlare ancora di lui.

Ambrogio non era solo un grande retore e uomo di chiesa: da subito interpretò il ruolo di vescovo non solo come guida religiosa del suo gregge ma come uno dei più importanti ruoli politici della capitale imperiale, quindi di tutto l'impero. L'idea che mi sono fatto della sua carriera è che Ambrogio avesse una personalità magnetica, capace di manipolare l'opinione delle folle come degli uomini potenti che accorrevano ad ascoltarlo. Fu il primo uomo politico romano che capì che dal soglio vescovile poteva arrivare ad ergersi sopra a chiunque, forse perfino sopra gli imperatori. In questo è una figura fondamentale dell'evoluzione dell'occidente verso la politica medioevale.

Graziano imperator

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Graziano

Il primo passo fuori dall'oscurità lo raggiunse quando Graziano – reduce dalla disastrosa campagna di Adrianopoli – venne in Italia e si stabilì a Milano. Non sappiamo precisamente cosa avvenne ma Graziano, che fino a quel momento aveva seguito la tollerante politica religiosa del padre, cambiò improvvisamente d'avviso e sposò in tutto e per tutto la dura politica di supremazia del credo Niceno professata da Ambrogio. Ammiano Marcellino, senza poter criticare direttamente Ambrogio negli anni del cattolicissimo Teodosio, ci lascia alcune molliche di pane per cercare di capire cosa avvenne. Ammiano sostiene che Graziano fosse un giovane molto promettente ma che cadde preda di cattivi consigli che portarono alla sua rovina. Non ho dubbi che si riferisse ad Ambrogio.

Ambrogio contro gli Ariani

Su istigazione e credo sotto l'influenza del suo vescovo Graziano pose fine alla tolleranza religiosa che si era imposta come politica imperiale dai tempi di Giuliano: “Nella lunga tregua tra i campi ostili” scrive lo storico Samuel Dill “il pagano, lo scettico, anche il tiepido cristiano, aveva potuto sognare una reciproca tolleranza che lasciasse indisturbati gli antichi culti. Ma tali uomini non conoscevano abbastanza le forze interiori del nuovo movimento cristiano.”

Nel 381 Ambrogio mosse contro gli ultimi rimasugli della dottrina Ariana in occidente: gli Ariani avevano avuto sempre più seguito in oriente e ultimamente avevano perso quanto restava della loro autorità nella pars occidentalis. Roma era stata conquistata da un Papa ferocemente ortodosso, Damaso, Milano da Ambrogio. Restavano solo due importanti vescovi ariani, vestigia dei tempi di Costanzo II. Ambrogio indisse un Concilio ad Aquileia per porre fine alla questione: i due vescovi furono deposti ed espulsi nonostante le rimostranze e le resistenze del partito ariano che era ora comandato dall'Augusta Giustina, la vedova di Valentiniano I.

📷

San Lorenzo alle colonne, antichissima chiesa milanese, risalente nel corpo principale al quarto secolo.

Introduciamo Giustina, perché ne riparleremo: questa era stata addirittura in prime nozze la moglie di Magnenzio, usurpatore sconfitto da Costanzo II quando? Tipo 15 episodi fa? Giustina era però un animale politico ed era riuscita a sposare un secondo imperatore, Valentiniano I, a cui aveva dato il secondo figlio: si trattava di Valentiniano II, ora co-augusto di Graziano, almeno sulla carta. Aveva avuto anche una figlia, Galla. Giustina era una forza della politica romana e una delle personalità più importanti della corte di Milano. Nonostante tutta la sua influenza Giustina non riuscì a fermare la coppia Ambrogio-Damaso e gli ultimi vescovi ariani furono deposti: Giustina non si diede però ancora per sconfitta.

Ambrogio contro i pagani

Risolta la pratica dei vescovi Ariani Ambrogio passò all'ultimo grande concorrente religioso della sua ortodossia: i pagani. Nel 382 Ambrogio convinse Graziano ad attaccare direttamente i culti più antichi della città di Roma: con dei decreti “cattolicissimi” Graziano dichiarò che tutti i templi e i santuari pagani dovevano essere confiscati dal governo e che i loro introiti dovevano essere uniti alla proprietà del tesoro reale. Graziano si impadronì anche delle entrate dell'antichissimo collegio delle vergini vestali, le custodi della fiamma sacra di Roma.

Inoltre, in un atto che fu vissuto come una violenza da parte dei senatori pagani, Graziano ordinò la rimozione dell'Altare della Vittoria dalla Camera del Senato a Roma. Cerchiamo di capire di cosa si trattasse e del perché fosse così importante per alcuni: l'altare e la coeva statua della vittoria erano stati conquistati da Roma ai tempi della guerra contro Pirro e i tarantini, quasi 700 anni prima. Augusto aveva installato la statua nell'aula del Senato e da allora era arrivata a simboleggiare l'autorità, la maestà e l'invincibilità dell'Impero: per i pagani la sua rimozione era non solo un affronto religioso ma un pericolo per la sicurezza pubblica della città e dell'Impero che si sarebbero esposti all'ira dei suoi Dei fondatori. I senatori pagani risposero inviando un appello a Graziano, ricordandogli che come tutti gli eredi di Augusto era ancora il Pontifex Maximus e che era suo dovere vedere che i riti pagani ancestrali fossero eseguiti correttamente. Graziano, su sollecitazione di Ambrogio, non concesse udienza ai senatori pagani e decise invece di rinunciare formalmente, primo imperatore Cristiano, al titolo di Pontefice Massimo. Giulio Cesare era stato pontefice e dopo di lui tutti gli augusti, riunendo nella loro persona le massime cariche civili e religiosi di Roma. Ci fu costernazione immensa a Roma, l'ultimo bastione importante del paganesimo: la carica di pontefice massimo era stata creata, secondo la leggenda, da Numa Pompilio, il secondo Re di Roma. Ritengo questa rottura anche più importante del più famoso editto di Thessalonika di Teodosio, di cui parlerò tra poco. Ah, visto che lo ho nominato: è tempo di tornare in oriente perché lo scorso episodio, nel maelstrom di spade della guerra Gotica, ho evitato di parlare di religione: ma in oriente nel 381 si è aperto il secondo concilio ecumenico della chiesa cristiana, a Costantinopoli.

L'editto di Tessalonica

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Ho accennato al fatto che Adrianopoli ebbe un'importanza fondamentale anche sul fronte religioso. È arrivato il momento di spiegare perché. Valente era stato un imperatore Ariano, come Ariano era stato Costanzo II e anche – de facto – Costantino negli ultimi anni del suo regno. Valente aveva applicato la politica di tolleranza religiosa del fratello maggiore, anche se con una maggiore inclinazione a favorire gli ariani. La sua morte sul campo di battaglia e la spettacolare sconfitta del suo esercito fu interpretata dai superstiziosi romani come un segno della collera divina contro Valente e le sue idee che furono istantaneamente screditate: il mondo Romano era si passato al cristianesimo ma le superstizioni antiche che volevano negli eventi terreni la chiara volontà degli Dei erano rimaste, le loro radici erano troppo profonde. In questa atmosfera nacque perfino una leggenda che ritengo quasi sicuramente apocrifa: si sparse la voce che Valente non fosse caduto per mano di una spada ma che si fosse rifugiato in una fattoria: qui i Goti avrebbero messo fuoco all'intera casa e Valente sarebbe morto bruciato, in quella che era una morte infamante per i Cristiani del tempo. Citiamo qui Orosio, uno storico cristiano del quale avremo modo di parlare ancora: “A valente non fu nemmeno data una sepoltura, affinché la punizione visitata su di lui – questa chiara manifestazione di ira divina – potesse servire ancor di più come un terribile esempio per i posteri”. Ma perché Valente aveva meritato un trattamento talmente infamante da parte di Dio? Ce lo dice il nostro storico, chiaramente dando voce ad una opinione diffusa: ad essere sconfitta non era stata un'armata romana cristiana, Dio aveva abbandonato i Romani perché si erano fatti guidare da un Ariano. Orosio va oltre e da una spiegazione – come dire? – logica alla sua morte: “I Goti avevano chiesto che fossero inviati dei vescovi da cui avrebbero potuto imparare la fede cristiana. In perversione fatale l'imperatore Valente inviò insegnanti della dottrina ariana, e i Goti continuarono a credere a ciò che avevano appreso da loro sui principi fondamentali della fede. Quindi, per il giusto giudizio di Dio stesso, Valente fu bruciato vivo dagli stessi uomini che, attraverso la sua azione, bruceranno in seguito per la loro eresia.” Chiaro e semplice.