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Storia D'Italia, Il nocchiero di una nave in tempesta (363-365) - Ep. 11 (2)

Il nocchiero di una nave in tempesta (363-365) - Ep. 11 (2)

Non ci fu mai smentita più clamorosa di questa ideologia dell'accordo del 363. Accordo che non solo cedeva territori ai Persiani ma passava clamorosamente all'orbita persiana l'intero quadrante anatolico, vale a dire Armenia e regni vicini. La cessione delle fortezze mesopotamiche esponeva nuovamente le grandi città dell'oriente romano – Antiochia, Edessa, Tarso – alle incursione persiane. Si trattava di un disastro senza precedenti e dopo una campagna iniziata sotto i migliori auspici e nella quale – ricordiamolo – i romani non avevano perso nessuna battaglia. Ammiano Marcellino chiamerà famosamente questa pace “necessaria, ma vergognosissima”, anche il Cristiano Orosio la chiamerà “disonorevole, ma inevitabile”. Zosimo, un autore pagano della fine del quinto secolo che aveva in grande antipatia i cristiani, sostenne che mai prima di allora i Romani avevano ceduto un fazzoletto di terra, pur di fronte anche a sconfitte pesanti contro gli stessi persiani. Zosimo crede che questo fu un pessimo precedente e un presagio del secolo e mezzo di ignominia per le armi romane di cui fu testimone nella sua storia. Infine, se posso aggiungermi alla lista di commentatori, i romani erano stati sconfitti non dalle armi ma dalla fame e dalla lontananza dalle proprie basi: ricordatevelo, se mai diverrete generali. Le guerra è 80% logistica e 20% tutto il resto.

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Una volta trovato l'accordo Shapur permise ai romani di partire e questi, utilizzando imbarcazioni di fortuna, attraversarono finalmente il fiume senza essere molestati dai persiani. Una volta passati i romani riempirono gli otri e uccisero le bestie da soma, questo per avere qualcosa da mangiare nella traversata del deserto mesopotamico che li attendeva. I soldati si incamminarono mestamente verso l'ultimo tratto del loro tormento in terra persiana. Nonostante tutto riuscirono a ritrovare il territorio romano, dopo una marcia estenuante. Qui Gioviano iniziò la sua azione di public relations: fece inviare corrieri per sostituire alcuni comandanti e allo stesso tempo annunciare, con una buona faccia tosta, che la spedizione in Persia era stata un successo.

Normalmente gli imperatori romani, avendo in mano tutte le leve della propaganda di stato imperiale, riuscivano a far accettare anche le bugie più clamorose, tipo l'Oceania è da sempre in guerra con l'Estasia. Ma questa era una notizia troppo grande per poter essere venduta come un successo. In particolare i cittadini della vicina Nisibis – cittadini romani che avevano resistito a Shapur per tre lunghi assedi – si disperarono per il destino della loro patria.

Gioviano si ricongiunse con l'esercito di Procopio, esercito che aveva perso tempo a far non si sa che cosa nel nord della Mesopotamia: qui Procopio ebbe una brutta sorpresa: non solo il suo parente e protettore Giuliano era morto, ma l'esercito aveva già deciso di elevare Gioviano, scelta che nessuno pareva contestare. Non ci furono infatti tentativi di rivedere l'elezione di Gioviano, avvenuta in terra straniera e solo da una parte dell'armata romana. Gli eserciti combinati si accamparono mestamente proprio sotto Nisibis e Gioviano, probabilmente per la vergogna, si rifiutò di entrare e alloggiare nel palazzo imperiale. Gioviano inviò il corpo di Giuliano per essere seppellito a Tarso, accompagnato da Procopio. Questi svolse il compito assegnatogli salvo poi valutare la sua posizione: era consapevole che in quanto ultimo parente di Giuliano e della dinastia Costantiniana sarebbe sempre stato un pericolo per il nuovo regime. Quindi ricorse all'espediente usato da ogni buon romano in una situazione simile: fece perdere le sue tracce. Ma non preoccupatevi, tornerà.

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Gioviano a questo punto sovrintese alla consegna di Nisibis ai persiani, che giunsero sotto le mura con un forte esercito. Uno dei maggiorenti della città accusò Gioviano di viltà e di iniziare il suo regno nel peggiore dei modi. Per tutta risposta Gioviano, irritato, diede ordine che tutti i romani lasciassero la città entro 3 giorni. Completato questo triste affare si mise in moto e arrivò ad Antiochia, la città che tanti grattacapi aveva dato a Giuliano e che non aveva preso molto bene la notizia di essere tornata una città vicina alla frontiera persiana. Per creare una base solida per il suo nuovo regime Gioviano decise di ricorrere allora alla parte di opinione pubblica che aveva più da ridire sul precedente imperatore: ovvero i cristiani. Gioviano cancellò tutti gli editti anticristiani di Giuliano, incluso il controverso editto sull'educazione. Inoltre ristabilì il labarum Costantiniano come l'insegna dell'esercito: Giuliano, nelle parole di Atanasio, si apprestava a diventare una nuvola passeggera.

Sempre per consolidare il suo potere Gioviano fece nominare erede suo figlio, un infante di appena un anno. Il poppante Varroniano, questo il suo nome, ebbe perfino l'onore di essere nominato console di Roma. Fatto questo, Gioviano pensò bene che era arrivato il momento di recarsi a Costantinopoli, la capitale, nonostante fosse inverno e uno dei più rigidi. Durante il viaggio, dopo aver ricevuto la buona notizia della sottomissione da parte delle legioni Renane, successe di nuovo l'imponderabile. In Bitinia, vicino a Costantinopoli, Gioviano andò a dormire e non si svegliò mai più. A riguardo ci sono state tramandate due teorie: una è che fu una indigestione – Gioviano era preda sia dei peccati di gola che di quelli di Venere, ci dicono varie fonti. L'altra, più probabile e più intrigante, è che morì a causa di una accumulazione di monossido di carbonio nella tenda, causata da un fuoco acceso.

Ora, questo è un podcast di storia e non di complottismi però mi pare il caso di sottolineare che è la terza morte sospetta nel giro di 3 anni: Costanzo muore di una malattia fulminante proprio nel momento in cui sta per schiacciare Giuliano. Giuliano dimentica l'armatura e viene colpito da una lancia volante, Gioviano muore nella sua tenda a causa di un fuoco lasciato acceso. Nell'antichità le persone morivano molto più facilmente che al giorno d'oggi e potrebbe essere benissimo una semplice coincidenza. Eppure ai tempi esistevano certamente anche gli assassini e la morte di Gioviano fu considerata sospetta anche da Ammiano Marcellino, che sottolineò come nessuno indagò seriamente a riguardo. Non è chiaro chi avrebbe avuto interesse a eliminare Gioviano, forse molti soldati ambiziosi pensarono che fosse arrivato il loro momento ora che la dinastia di Costantino si era estinta. Il tempo di colpire era certamente prima che Gioviano consolidasse il suo potere e una nuova dinastia. Ma sono solo congetture.

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Sta di fatto che l'impero si ritrovava di nuovo senza imperatore. I capi dell'esercito e le maggiori cariche civili decisero di concentrarsi a Nicea, città poco lontana da Costantinopoli, per decidere il da farsi: tutti erano preoccupati del riaccendersi della guerra con i persiani e soprattutto dello spettro di una nuova guerra civile, se non si fosse posto mano rapidamente alla situazione.

L'assemblea dei notabili imperiali scartò immediatamente l'infante Varroniano, figlio di Gioviano ma che aveva ancora solo un anno: come detto Roma non aveva ancora il concetto di dinastia monarchica: Gioviano era un signor nessuno al cui i più si erano rassegnati, Varroniano era un nessuno figlio di nessuno.

Dal racconto di Ammiano si capisce che le massime cariche votarono davvero: si trattò di una elezione a tutti gli effetti, con conseguenze tra l'altro molto durature nel tempo, visto che in questo momento è in corso l'elezione dell'ultima vera dinastia dell'Impero Romano d'occidente. Alcuni candidati non ottennero i voti sufficienti, chi perché troppo rozzo e aspro di carattere, chi perché si trovava troppo lontano da Nicea. Alla fine fu deciso di elevare alla soglia imperiale Valentiniano, un comandante di lunga esperienza. Valentiniano aveva 43 anni ed era nato nel 321 da una famiglia pannonica e di grande tradizione militare: il padre era stato Comes in varie parti dell'impero. Si era arruolato negli anni 30' del secolo e aveva combattuto sotto Giuliano: era stato accusato però di imperizia in uno degli episodi delle guerre Alemanniche e Giuliano lo aveva fatto ritirare forzatamente dall'esercito. Alla morte di Giuliano fu richiamato in servizio di Gioviano e fu nominato capo della guardia imperiale. Valentiniano era per molti versi il contrario di Giuliano: non aveva alcun interesse alla ricerca intellettuale, era un uomo diretto e collerico ma con i piedi ben piantati per terra. Aveva esperienza e carisma e metteva d'accordo tutte le fazioni religiose imperiali, in quanto cristiano moderato e per nulla dogmatico. Il problema era che Valentiniano non era presente all'assemblea ma si trovava ad Ankara, Ancyra ai tempi dei Romani, e fu informato da un messaggero. Venne a Nicea il più rapidamente possibile ma per 10 giorni non ci fu alcun imperatore a reggere lo stato romano. Una volta arrivato in teoria si sarebbe dovuto procedere alla cerimonia di vestizione della porpora e acclamazione dei soldati, ma era un giorno bisestile. Valentiniano era cristiano, ma era pur sempre un superstizioso romano e si rifiutò di iniziare il suo impero in un giorno simile: d'altronde si sa, giorno bisesto giorno funesto. Valentiniano passò l'intera giornata chiuso in casa e rifiutò di vedere chicchessia.

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Quando finalmente sorse il nuovo sole Valentiniano si presentò di fronte all'assemblea dei soldati e fu acclamato imperatore. Fu vestito della porpora imperiale, gli fu posto sul capo il diadema e fu proclamato augusto. A questo punto le cose andarono fuori traccia: un buon numero di reparti iniziò a rumoreggiare e protestare, chiedendo a gran voce che nominasse un collega. Si trattava probabilmente di buona parte dell'esercito orientale: Valentiniano era un uomo dell'occidente e della frontiera renana, oltre che un cristiano abbastanza tiepido. Immagino che molti tra gli orientali si chiesero cosa ne sapesse in fondo della frontiera persiana, o delle eterne dispute religiose tra ariani e ortodossi, tutte cose che erano fondamentali per l'oriente e insignificanti per l'occidente. Inoltre i recenti rovesci con i Persiani, era opinione comune, avrebbero richiesto la presenza di un imperatore in loco. Valentiniano fu piuttosto irritato da questa richiesta e andò avanti con il suo discorso che fu, va detto, molto ben accolto: Valentiniano era di indole molto diversa dal pensoso Giuliano, era un uomo semplice e di azione che andava al sodo. Fu d'aiuto la immediata promessa di un donativo, cosa che i soldati si aspettavano di ricevere all'incoronazione di un nuovo sovrano.

Valentiniano non aveva ceduto di fronte all'assemblea dei soldati per non apparire debole, ma aveva registrato la richiesta. Si mise in marcia con l'esercito per Costantinopoli e già la sera stessa chiese al suo comando di parlare liberamente, suggerendogli chi avrebbe dovuto associare al trono. Nel silenzio generale parlò il Dagalaifo che ho nominato altrove, un alto ufficiale romano di origine gallica. Questi disse “se ami la tua famiglia, imperatore, hai un fratello. Se ami lo stato, scegli chi ti paia più adatto”. Non saprei, sembrava dire, magari uno il cui nome finisce in “aifo”.

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L'impero d'oriente e l'impero d'occidente divisi nelle quattro prefetture, sono segnate anche le grandi “fabricae” imperiali che producevano le armi per l'esercito.

Valentiniano però fece di testa sua e arrivato a Costantinopoli chiamò al suo fianco suo fratello Valente e nel Marzo del 364 chiese all'esercito di acclamarlo Augusto dell'impero, quindi suo pari grado: fu chiaro però a tutti che se gli augusti sono tutti uguali, l'augusto Valentiniano era un po' più uguale degli altri. Valente era infatti più giovane di Valentiniano e senza alcuna importante preparazione militare o politica: vedremo come se la caverà in futuro. Subito dopo la cerimonia di associazione al trono entrambi gli imperatori si ammalarono pesantemente, ma guarirono. Chissà, magari si tratta nuovamente di un caso o magari il nostro assassino di porporati aveva finalmente fatto cilecca. La vicenda fu anche a lungo investigata ma non si trovò alcun indizio che si trattasse di qualcosa di innaturale. Nota per i fan di Assassin's creed: l'antenato di Ezio Auditore l'aveva fatta franca di nuovo.

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Gli imperatori nella seguente estate del 364 si misero assieme in marcia verso occidente e giunti a Nis, nella Serbia meridionale, avvenne una solenne cerimonia di divisione del Comitatus, i corpi mobili imperiali che erano il nerbo dell'esercito del tardo impero. I reparti furono divisi equamente tra Valente e Valentiniano così come i territori: Valentiniano prese per sé la parte dell'impero che conosceva meglio, ovvero l'occidente e la frontiera Renana con Gallia, Britannia, spagna, Nordafrica, Italia e Illirico. A Valente andò l'oriente, con Tracia, Macedonia, Grecia, Anatolia, la Siria e l'Egitto. L'impero era stato suddiviso nello scorso secolo molte volte quindi non si trattava certamente di una prima. Eppure senza che i presenti potessero saperlo questo è davvero il momento in cui i due imperi si divisero definitivamente: non era inevitabile che così fosse, ma avvenne e da ora in poi i due imperi inizieranno la loro marcia divergente, andando mano a mano estraniandosi e finendo per avere destini diametralmente opposti. Questa divisione è una delle conseguenze più indirette della morte di Giuliano e della fine conseguente della dinastia Costantiniana: l'estinzione della linea legittima degli imperatori Costantiniani garantiva ribellioni nell'impero a meno di avere almeno due imperatori, ognuno basato nei due principali teatri di guerra.

Il nocchiero di una nave in tempesta (363-365) - Ep. 11 (2) Der Steuermann eines stürmischen Schiffes (363-365) - Ep. 11 (2) The helmsman of a ship in a storm (363-365) - Ep. 11 (2) O timoneiro de um navio tempestuoso (363-365) - Ep. 11 (2) 暴风雨中的舵手 (363-365) - Ep. 11(2)

Non ci fu mai smentita più clamorosa di questa ideologia dell'accordo del 363. Accordo che non solo cedeva territori ai Persiani ma passava clamorosamente all'orbita persiana l'intero quadrante anatolico, vale a dire Armenia e regni vicini. La cessione delle fortezze mesopotamiche esponeva nuovamente le grandi città dell'oriente romano – Antiochia, Edessa, Tarso – alle incursione persiane. Si trattava di un disastro senza precedenti e dopo una campagna iniziata sotto i migliori auspici e nella quale – ricordiamolo – i romani non avevano perso nessuna battaglia. Ammiano Marcellino chiamerà famosamente questa pace “necessaria, ma vergognosissima”, anche il Cristiano Orosio la chiamerà “disonorevole, ma inevitabile”. Zosimo, un autore pagano della fine del quinto secolo che aveva in grande antipatia i cristiani, sostenne che mai prima di allora i Romani avevano ceduto un fazzoletto di terra, pur di fronte anche a sconfitte pesanti contro gli stessi persiani. Zosimo crede che questo fu un pessimo precedente e un presagio del secolo e mezzo di ignominia per le armi romane di cui fu testimone nella sua storia. Infine, se posso aggiungermi alla lista di commentatori, i romani erano stati sconfitti non dalle armi ma dalla fame e dalla lontananza dalle proprie basi: ricordatevelo, se mai diverrete generali. Le guerra è 80% logistica e 20% tutto il resto.

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Una volta trovato l'accordo Shapur permise ai romani di partire e questi, utilizzando imbarcazioni di fortuna, attraversarono finalmente il fiume senza essere molestati dai persiani. Una volta passati i romani riempirono gli otri e uccisero le bestie da soma, questo per avere qualcosa da mangiare nella traversata del deserto mesopotamico che li attendeva. I soldati si incamminarono mestamente verso l'ultimo tratto del loro tormento in terra persiana. Nonostante tutto riuscirono a ritrovare il territorio romano, dopo una marcia estenuante. Qui Gioviano iniziò la sua azione di public relations: fece inviare corrieri per sostituire alcuni comandanti e allo stesso tempo annunciare, con una buona faccia tosta, che la spedizione in Persia era stata un successo.

Normalmente gli imperatori romani, avendo in mano tutte le leve della propaganda di stato imperiale, riuscivano a far accettare anche le bugie più clamorose, tipo l'Oceania è da sempre in guerra con l'Estasia. Ma questa era una notizia troppo grande per poter essere venduta come un successo. In particolare i cittadini della vicina Nisibis – cittadini romani che avevano resistito a Shapur per tre lunghi assedi – si disperarono per il destino della loro patria.

Gioviano si ricongiunse con l'esercito di Procopio, esercito che aveva perso tempo a far non si sa che cosa nel nord della Mesopotamia: qui Procopio ebbe una brutta sorpresa: non solo il suo parente e protettore Giuliano era morto, ma l'esercito aveva già deciso di elevare Gioviano, scelta che nessuno pareva contestare. Non ci furono infatti tentativi di rivedere l'elezione di Gioviano, avvenuta in terra straniera e solo da una parte dell'armata romana. Gli eserciti combinati si accamparono mestamente proprio sotto Nisibis e Gioviano, probabilmente per la vergogna, si rifiutò di entrare e alloggiare nel palazzo imperiale. Gioviano inviò il corpo di Giuliano per essere seppellito a Tarso, accompagnato da Procopio. Questi svolse il compito assegnatogli salvo poi valutare la sua posizione: era consapevole che in quanto ultimo parente di Giuliano e della dinastia Costantiniana sarebbe sempre stato un pericolo per il nuovo regime. Quindi ricorse all'espediente usato da ogni buon romano in una situazione simile: fece perdere le sue tracce. Ma non preoccupatevi, tornerà.

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Sempre per consolidare il suo potere Gioviano fece nominare erede suo figlio, un infante di appena un anno. Il poppante Varroniano, questo il suo nome, ebbe perfino l'onore di essere nominato console di Roma. Fatto questo, Gioviano pensò bene che era arrivato il momento di recarsi a Costantinopoli, la capitale, nonostante fosse inverno e uno dei più rigidi. Durante il viaggio, dopo aver ricevuto la buona notizia della sottomissione da parte delle legioni Renane, successe di nuovo l'imponderabile. In Bitinia, vicino a Costantinopoli, Gioviano andò a dormire e non si svegliò mai più. A riguardo ci sono state tramandate due teorie: una è che fu una indigestione – Gioviano era preda sia dei peccati di gola che di quelli di Venere, ci dicono varie fonti. L'altra, più probabile e più intrigante, è che morì a causa di una accumulazione di monossido di carbonio nella tenda, causata da un fuoco acceso.

Ora, questo è un podcast di storia e non di complottismi però mi pare il caso di sottolineare che è la terza morte sospetta nel giro di 3 anni: Costanzo muore di una malattia fulminante proprio nel momento in cui sta per schiacciare Giuliano. Giuliano dimentica l'armatura e viene colpito da una lancia volante, Gioviano muore nella sua tenda a causa di un fuoco lasciato acceso. Nell'antichità le persone morivano molto più facilmente che al giorno d'oggi e potrebbe essere benissimo una semplice coincidenza. Eppure ai tempi esistevano certamente anche gli assassini e la morte di Gioviano fu considerata sospetta anche da Ammiano Marcellino, che sottolineò come nessuno indagò seriamente a riguardo. Non è chiaro chi avrebbe avuto interesse a eliminare Gioviano, forse molti soldati ambiziosi pensarono che fosse arrivato il loro momento ora che la dinastia di Costantino si era estinta. Il tempo di colpire era certamente prima che Gioviano consolidasse il suo potere e una nuova dinastia. Ma sono solo congetture.

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L'assemblea dei notabili imperiali scartò immediatamente l'infante Varroniano, figlio di Gioviano ma che aveva ancora solo un anno: come detto Roma non aveva ancora il concetto di dinastia monarchica: Gioviano era un signor nessuno al cui i più si erano rassegnati, Varroniano era un nessuno figlio di nessuno.

Dal racconto di Ammiano si capisce che le massime cariche votarono davvero: si trattò di una elezione a tutti gli effetti, con conseguenze tra l'altro molto durature nel tempo, visto che in questo momento è in corso l'elezione dell'ultima vera dinastia dell'Impero Romano d'occidente. Alcuni candidati non ottennero i voti sufficienti, chi perché troppo rozzo e aspro di carattere, chi perché si trovava troppo lontano da Nicea. Alla fine fu deciso di elevare alla soglia imperiale Valentiniano, un comandante di lunga esperienza. Valentiniano aveva 43 anni ed era nato nel 321 da una famiglia pannonica e di grande tradizione militare: il padre era stato Comes in varie parti dell'impero. Si era arruolato negli anni 30' del secolo e aveva combattuto sotto Giuliano: era stato accusato però di imperizia in uno degli episodi delle guerre Alemanniche e Giuliano lo aveva fatto ritirare forzatamente dall'esercito. Alla morte di Giuliano fu richiamato in servizio di Gioviano e fu nominato capo della guardia imperiale. Valentiniano era per molti versi il contrario di Giuliano: non aveva alcun interesse alla ricerca intellettuale, era un uomo diretto e collerico ma con i piedi ben piantati per terra. Aveva esperienza e carisma e metteva d'accordo tutte le fazioni religiose imperiali, in quanto cristiano moderato e per nulla dogmatico. Il problema era che Valentiniano non era presente all'assemblea ma si trovava ad Ankara, Ancyra ai tempi dei Romani, e fu informato da un messaggero. Venne a Nicea il più rapidamente possibile ma per 10 giorni non ci fu alcun imperatore a reggere lo stato romano. Una volta arrivato in teoria si sarebbe dovuto procedere alla cerimonia di vestizione della porpora e acclamazione dei soldati, ma era un giorno bisestile. Valentiniano era cristiano, ma era pur sempre un superstizioso romano e si rifiutò di iniziare il suo impero in un giorno simile: d'altronde si sa, giorno bisesto giorno funesto. Valentiniano passò l'intera giornata chiuso in casa e rifiutò di vedere chicchessia.

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L'impero d'oriente e l'impero d'occidente divisi nelle quattro prefetture, sono segnate anche le grandi “fabricae” imperiali che producevano le armi per l'esercito.

Valentiniano però fece di testa sua e arrivato a Costantinopoli chiamò al suo fianco suo fratello Valente e nel Marzo del 364 chiese all'esercito di acclamarlo Augusto dell'impero, quindi suo pari grado: fu chiaro però a tutti che se gli augusti sono tutti uguali, l'augusto Valentiniano era un po' più uguale degli altri. Valente era infatti più giovane di Valentiniano e senza alcuna importante preparazione militare o politica: vedremo come se la caverà in futuro. Subito dopo la cerimonia di associazione al trono entrambi gli imperatori si ammalarono pesantemente, ma guarirono. Chissà, magari si tratta nuovamente di un caso o magari il nostro assassino di porporati aveva finalmente fatto cilecca. La vicenda fu anche a lungo investigata ma non si trovò alcun indizio che si trattasse di qualcosa di innaturale. Nota per i fan di Assassin's creed: l'antenato di Ezio Auditore l'aveva fatta franca di nuovo.

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