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Storia D'Italia, Il crollo della diga (405-408) - Ep. 24 (1)

Il crollo della diga (405-408) - Ep. 24 (1)

Nello scorso episodio abbiamo visto come invadere l'impero d'occidente non fosse una passeggiata neanche nel quinto secolo: i Goti di Alaric, pur rinforzati dai connazionali orfani di Gainas e Fravitta, avevano perso la partita a scacchi contro il campione mondiale di scacchi del suo tempo, vale a dire Stilicone. I fortunati a sopravvivere alle battaglie di Pollenzo e Verona avevano avuto due opzioni: defezionare o avere salva la vita, ma null'altro, perdendo tutti i loro beni. Nonostante i multipli tradimenti Alaric era riuscito a sopravvivere per vedere un altro giorno e, grazie alle infinite giravolte della politica imperiale, aveva finito per allearsi con Stilicone contro la corte orientale.

In questo episodio la tempesta, dopo tanto tuonare, rovescerà sui Romani una epica alluvione degna del Diluvio universale: lo tsunami travolgerà l'occidente e alla fine restituirà perfino il cadavere del più grande di tutti, della spada dell'impero, del generalissimo dell'occidente.

Dramatis Personae

Prima di affrontare i terribili anni che abbiamo di fronte vorrei descrivervi rapidamente i popoli che saranno il cuore della narrazione: sul Reno sono installate le grandi confederazioni oramai alleate dei Romani: i Franchi abitano nella moderna Germania settentrionale, tra il Reno e l'Elba, mentre Alemanni e Burgundi sono stabiliti nella Germania Meridionale, tra il Reno e la Baviera: queste tre popolazioni non saranno dei nemici dei Romani, anzi cercheranno di svolgere il loro compito di alleati bloccando le migrazioni dei nemici di Roma. In Polonia occidentale e in Ungheria abbiamo i Vandali, divisi in due grandi confederazioni come i Goti, ovvero i Vandali Hasding e gli Isling, Lungo il corso del medio Danubio, nelle moderne Austria, Cechia e Slovacchia, abbiamo delle popolazioni germaniche che furono probabilmente raggruppate nella confederazione degli Svevi, comprendente gli antichi popoli dei Quadi e Marcomanni che avevano combattuto contro Roma ai tempi di Marco Aurelio. Questi popoli erano stati a lungo influenzati da Roma e ai tempi di Stilicone avevano rapporti normalmente di amicizia con Roma. Nelle grandi pianure ungheresi vivevano ancora popolazioni Gotiche, in grandissima parte Greutungi di religione pagana. Infine abbiamo gli Alani: questi prima del 370 vivevano in Russia me erano stati sconfitti e in parte assoggettati dagli Unni: una parte di questo popolo però era riuscita a scappare e rifugiarsi in Europa centrale, tra l'Ungheria e la Polonia.

Nel quinto secolo abbiamo, in pochissimi anni, un intero sommovimento delle popolazioni germaniche che vi ho descritto che lasciano le loro terre ancestrali e si mettono in movimento: in passato il nazionalismo germanico, e ahimè anche qualche storico, ha visto in questo movimento il segno della vitalità delle popolazioni germaniche, popoli giovani e forti che si sarebbero riversati sul decadente, debole e imbelle impero dei Romani per distruggerlo, in un afflato nazionalistico che era iniziato già con la grande vittoria di Teutoburgo nel primo secolo. I Germani, in questa visione, sono dei trionfanti conquistatori: era questo anche il parere di Hitler.

Dall'altro lato molti storici, soprattutto nelle riletture revisioniste del periodo postbellico, hanno negato che le invasioni barbariche fossero avvenute del tutto: per questa corrente di pensiero non ci sono stati movimenti di popoli, semmai di gruppi di guerrieri senza dietro le loro famiglie e congiunti, e anche nel caso del movimento dei guerrieri sostengono che questo fu un processo lento e graduale che non portò alla distruzione del mondo antico, ma ad una sua trasformazione. Nello spiegare la caduta dell'Impero Romano questi storici pongono molto più l'accento sulle debolezze economiche dell'Impero Romano, pur sottolineando che le migrazioni di gruppi di guerrieri nell'impero furono causate dalla superiorità economica del mondo romano rispetto a quello germanico, superiorità che ebbe un effetto attrattivo soprattutto sulle élite dei popoli germanici.

A mio avviso c'è del vero in quello che sostiene questa corrente storiografica e la loro opera di demolizione della visione nazionalista germanica è meritoria. Però credo che siano andati un po' oltre e abbiano nel complesso sottovalutato il fenomeno delle grandi migrazioni, che resta di proporzioni importanti e di conseguenze durature, sia per le aree dell'Impero che per la Grande Germania di oltre Reno e oltre Danubio: in questo mi trovo più d'accordo con il parere di Peter Heather che, nel suo magistrale “La caduta dell'impero Romano, una nuova storia” da un resoconto dettagliato dei prossimi anni e della conseguenza socioeconomica delle grandi migrazioni germaniche. Per cercare di ricostruire il puzzle di quello che avvenne nei primi decenni del quinto secolo dobbiamo capire due cose: a scomparire non fu solamente il mondo Romano, anche la Germania uscì completamente devastata dagli eventi del quinto secolo.

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Come ho narrato nell'episodio 14 – che vi consiglio di riascoltare se non lo ricordate – la Germania antica era molto più ampia di quella moderna: i Germani vivevano dal Reno fino alle steppe dell'Ucraina, frammisti a popolazioni locali conquistate di cui costituivano le élite militari. Archeologicamente abbiamo diverse culture relativamente avanzate che hanno lasciato traccia della loro evoluzione e crescita durata quasi un mezzo millennio, dai poveri resti del tempo di augusto a quelli ben più sofisticati del quarto secolo. Questa Europa Germanica, in pochi decenni, scomparirà e lascerà il posto a culture archeologicamente documentabili molto più primitive e, per quanto possiamo capire, in gran parte non di lingua germanica. Sembra che i Germani abbandonarono le loro terre per non tornarvi mai più, un comportamento che è tipico di chi fugge da qualcosa di terribile. Insomma: i Germani che finiranno per invadere l'Impero Romano non erano dei conquistatori, erano dei profughi: come erano stati profughi i Goti Tervingi e Greutungi. Ma che fine ha fatto l'Europa Germanica? E da cosa fuggivano i Germani?

La loro scomparsa o almeno la loro regressione a popolo povero e senza tracce archeologiche è coerente con la teoria dei grandi movimenti di popolazioni. Una terribile calamità verrà scatenata su questi popoli: inizialmente sui Goti intorno al 370 e poi, come vedremo, sul resto dell'Europa Germanica a partire dai primi anni del 400. Sappiamo anche il nome di questa calamità: ma ovviamente sempre i nostri amati Borg, di fronte ai quali la resistenza è futile. Ovvero gli Unni.

Gli Unni, come raccontato in precedenza, avevano conquistato le steppe della Russia e dell'Ucraina e spinto i Goti a fuggire nell'Impero Romano. Ancora nel 395 la loro principale base operativa era nelle steppe Ucraine ma sappiamo con certezza che già nel 411-412 gli Unni si erano spostati 1500 km più a ovest, probabilmente a loro volta spinti da altri popoli della steppa euroasiatica. Per la prima volta avevano passato i monti Carpazi – che dividono l'Europa orientale da quella centrale – e si erano installati in quella che sarà per secoli una delle basi preferite dai popoli nomadi provenienti dalle steppe euroasiatiche: la grande pianura oggi detta Ungherese. La scelta di questo posto non è casuale: le pianure Ungheresi sono un luogo ideale per allevare i cavalli che erano alla base della forza militare Unna. Questo processo fu probabilmente graduale, con progressive e terrificanti razzie che resero la vita dei Germani ivi stanziativi intollerabile, convincendoli che fosse meglio cercare un futuro al riparo dei grandi fiumi che difendevano l'Impero Romano.

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In seguito ai primi attacchi degli Unni già nel 401 una grande confederazione di popoli composta in gran parte di Vandali e Alani aveva cercato di invadere la Raetia, la Svizzera Romana, ma erano stati in parte respinti e in parte assoldati da Stilicone per combattere Alaric. Negli anni seguenti l'inferno deve essersi scatenato a nord del Danubio, proprio mentre Stilicone si affannava a respingere Alaric e poi pianificare la guerra contro Costantinopoli. Due immense confederazioni raccogliticce di popoli si misero in movimento, abbandonando l'Europa centrale per cercare un rifugio nell'Impero Romano: tutte queste confederazioni provenivano dalle terre tra il Mar Baltico e la pianura ungherese, proprio dove sono documentati gli Unni solo pochi anni dopo. Anche se non abbiamo un Ammiano Marcellino a raccontarci cosa avvenne è facile fare due più due: intorno al 404-405 gli Unni valicarono i Carpazi ed entrarono nella pianura ungherese, costringendo almeno una parte importante di Goti, Vandali, Alani e Svevi a scappare a gambe levate. I Romani non avevano ancora capito quello che stava accadendo ma Ambrogio aveva forse capito già tutto, prima di morire. Aveva scritto: gli Unni si sono gettati sugli Alani, gli Alani sui Goti e i Goti su di noi, e non è ancora finita. No, non era decisamente finita: i popoli dell'Europa centrale avevano deciso che tra il martello dei formidabili archi Unni e l'incudine dell'Impero Romano trovavano decisamente più morbida l'incudine.

Radagaiso terrorizza l'Italia

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La sconfitta di Radagaiso presso Fiesole, del Vasari (Firenze)

Come detto questi popoli si riunirono in sostanza in due enormi gruppi: uno di questi era comandato dal Goto Radogast, conosciuto in Italia come Radagaiso. Radogast aveva probabilmente al suo comando in gran parte Goti, ma anche un buon numero di Alani o di altri popoli che i Greutungi avevano assoggettato. Non sappiamo esattamente la consistenza di questo gruppo ma, dato il terrore sacro che impresse sull'Italia e considerando la consistenza militare della reazione di Stilicone possiamo pensare che fosse composto da circa 30 mila guerrieri. Considerando un rapporto di 1 a 5 tra guerrieri e non guerrieri, visto che a muoversi furono intere famiglie con i loro schiavi, possiamo dire che il gruppo di Radagaiso era composto da circa 150 mila persone, una folla enorme paragonabile probabilmente all'invasione Gotica del 376.

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Il secondo gruppo a muoversi verso i confini dell'impero era perfino più variegato, ma vorrei mantenere la suspence. Ne parleremo a breve.

Radogast condusse i suoi attraverso il Danubio in una colossale invasione illegale dell'Impero, la prima di queste proporzioni: a differenza del 376 i suoi uomini non provarono neanche a chiedere asilo, erano consapevoli che l'Impero non avrebbe mai concesso a una massa di quelle dimensioni di immigrare legalmente, non dopo Adrianopoli. Le truppe frontaliere erano abituate a movimenti di alcune migliaia di persone e furono completamente prese alla sprovvista. Per fermare una invasione di quelle dimensioni ci voleva il Comitatus imperiale, non i limitanei.

Radogast condusse i suoi attraverso la Pannonia Romana e poi la moderna Austria: molti romani fuggirono e si rifugiarono in Italia, in una progressione continua di profughi terrorizzati che narravano di saccheggi e di violenze da parte di questa immensa orda di barbari pagani: il terrore causato da Radogast fu perfino maggiore di quello provocato pochi anni prima da Alaric: questi era un barbaro che i Romani conoscevano bene e un cristiano per giunta, i nuovi arrivati erano molto più terrificanti.

L'ultima vittoria di Stilicone

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Fiesole, teatro romano

Onorio si rintanò ovviamente a Ravenna, l'impregnabile città lagunare, mentre Stilicone fu costretto ad abbandonare immediatamente ogni velleità di guerra contro Costantinopoli: Alaric, che si era già esposto invadendo l'impero d'oriente, fu abbandonato al suo destino.

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Stilicone cercò di mettere su una risposta militare per difendere la patria dell'Impero: era fuori questione di affrontare Radogast solamente con l'esercito d'Italia – forte probabilmente di circa 30 mila truppe palatine e comitatensi. Questi soldati erano infatti insostituibili: L'esercito d'Italia non poteva permettersi una sconfitta o perfino una costosa vittoria. Stilicone aveva probabilmente capito che a nord del Danubio non c'erano solo i Goti in movimento, occorreva quindi radunare una forza soverchiante capace di schiacciare i Goti con il minimo rischio.

Quando Radogast e i suoi emersero dai passi alpini nella pianura del nord Italia, nel 405, Stilicone non diede dunque immediatamente battaglia: fece ovviamente chiudere le porte di tutte le città italiane e chiamò rinforzi ovunque potesse radunarli. Inoltre emanò nuove leggi per rinforzare il proprio esercito: incentivò i provinciali ad arruolarsi, promettendo loro una ricompensa di dieci solidi d'oro. Tanta era l'impellente necessità di Stilicone di trovare nuove reclute che fu costretto a ricorrere persino al reclutamento degli schiavi; fu richiesto ai soldati regolari e ai foederati di fornire all'esercito i propri schiavi, e agli schiavi che si fossero arruolati fu addirittura promessa la libertà e un premio di due solidi. Inoltre Stilicone fece arrivare ausiliari da vari Re barbari, tra i quali anche un forte contingente di Unni inviati dal Uldin, il sovrano di quegli Unni che vivevano più vicini ai Romani. Tra gli ausiliari Stilicone aveva ai suoi ordini anche una parte dei Goti di Alaric che avevano abbandonato quest'ultimo dopo la battaglia di Verona: al comando di questi Goti imperiali c'era Sarus, un Goto che avrà un'illustre carriera.

Il crollo della diga (405-408) - Ep. 24 (1) Der Dammbruch (405-408) - Ep. 24 (1) The collapse of the dam (405-408) - Ep. 24 (1) El colapso de la presa (405-408) - Ep. 24 (1) Upadek tamy (405-408) - odcinek 24 (1)

Nello scorso episodio abbiamo visto come invadere l'impero d'occidente non fosse una passeggiata neanche nel quinto secolo: i Goti di Alaric, pur rinforzati dai connazionali orfani di Gainas e Fravitta, avevano perso la partita a scacchi contro il campione mondiale di scacchi del suo tempo, vale a dire Stilicone. I fortunati a sopravvivere alle battaglie di Pollenzo e Verona avevano avuto due opzioni: defezionare o avere salva la vita, ma null'altro, perdendo tutti i loro beni. Nonostante i multipli tradimenti Alaric era riuscito a sopravvivere per vedere un altro giorno e, grazie alle infinite giravolte della politica imperiale, aveva finito per allearsi con Stilicone contro la corte orientale.

In questo episodio la tempesta, dopo tanto tuonare, rovescerà sui Romani una epica alluvione degna del Diluvio universale: lo tsunami travolgerà l'occidente e alla fine restituirà perfino il cadavere del più grande di tutti, della spada dell'impero, del generalissimo dell'occidente.

Dramatis Personae

Prima di affrontare i terribili anni che abbiamo di fronte vorrei descrivervi rapidamente i popoli che saranno il cuore della narrazione: sul Reno sono installate le grandi confederazioni oramai alleate dei Romani: i Franchi abitano nella moderna Germania settentrionale, tra il Reno e l'Elba, mentre Alemanni e Burgundi sono stabiliti nella Germania Meridionale, tra il Reno e la Baviera: queste tre popolazioni non saranno dei nemici dei Romani, anzi cercheranno di svolgere il loro compito di alleati bloccando le migrazioni dei nemici di Roma. In Polonia occidentale e in Ungheria abbiamo i Vandali, divisi in due grandi confederazioni come i Goti, ovvero i Vandali Hasding e gli Isling, Lungo il corso del medio Danubio, nelle moderne Austria, Cechia e Slovacchia, abbiamo delle popolazioni germaniche che furono probabilmente raggruppate nella confederazione degli Svevi, comprendente gli antichi popoli dei Quadi e Marcomanni che avevano combattuto contro Roma ai tempi di Marco Aurelio. Questi popoli erano stati a lungo influenzati da Roma e ai tempi di Stilicone avevano rapporti normalmente di amicizia con Roma. Nelle grandi pianure ungheresi vivevano ancora popolazioni Gotiche, in grandissima parte Greutungi di religione pagana. Infine abbiamo gli Alani: questi prima del 370 vivevano in Russia me erano stati sconfitti e in parte assoggettati dagli Unni: una parte di questo popolo però era riuscita a scappare e rifugiarsi in Europa centrale, tra l'Ungheria e la Polonia.

Nel quinto secolo abbiamo, in pochissimi anni, un intero sommovimento delle popolazioni germaniche che vi ho descritto che lasciano le loro terre ancestrali e si mettono in movimento: in passato il nazionalismo germanico, e ahimè anche qualche storico, ha visto in questo movimento il segno della vitalità delle popolazioni germaniche, popoli giovani e forti che si sarebbero riversati sul decadente, debole e imbelle impero dei Romani per distruggerlo, in un afflato nazionalistico che era iniziato già con la grande vittoria di Teutoburgo nel primo secolo. I Germani, in questa visione, sono dei trionfanti conquistatori: era questo anche il parere di Hitler.

Dall'altro lato molti storici, soprattutto nelle riletture revisioniste del periodo postbellico, hanno negato che le invasioni barbariche fossero avvenute del tutto: per questa corrente di pensiero non ci sono stati movimenti di popoli, semmai di gruppi di guerrieri senza dietro le loro famiglie e congiunti, e anche nel caso del movimento dei guerrieri sostengono che questo fu un processo lento e graduale che non portò alla distruzione del mondo antico, ma ad una sua trasformazione. Nello spiegare la caduta dell'Impero Romano questi storici pongono molto più l'accento sulle debolezze economiche dell'Impero Romano, pur sottolineando che le migrazioni di gruppi di guerrieri nell'impero furono causate dalla superiorità economica del mondo romano rispetto a quello germanico, superiorità che ebbe un effetto attrattivo soprattutto sulle élite dei popoli germanici.

A mio avviso c'è del vero in quello che sostiene questa corrente storiografica e la loro opera di demolizione della visione nazionalista germanica è meritoria. Però credo che siano andati un po' oltre e abbiano nel complesso sottovalutato il fenomeno delle grandi migrazioni, che resta di proporzioni importanti e di conseguenze durature, sia per le aree dell'Impero che per la Grande Germania di oltre Reno e oltre Danubio: in questo mi trovo più d'accordo con il parere di Peter Heather che, nel suo magistrale “La caduta dell'impero Romano, una nuova storia” da un resoconto dettagliato dei prossimi anni e della conseguenza socioeconomica delle grandi migrazioni germaniche. Per cercare di ricostruire il puzzle di quello che avvenne nei primi decenni del quinto secolo dobbiamo capire due cose: a scomparire non fu solamente il mondo Romano, anche la Germania uscì completamente devastata dagli eventi del quinto secolo.

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Come ho narrato nell'episodio 14 – che vi consiglio di riascoltare se non lo ricordate – la Germania antica era molto più ampia di quella moderna: i Germani vivevano dal Reno fino alle steppe dell'Ucraina, frammisti a popolazioni locali conquistate di cui costituivano le élite militari. Archeologicamente abbiamo diverse culture relativamente avanzate che hanno lasciato traccia della loro evoluzione e crescita durata quasi un mezzo millennio, dai poveri resti del tempo di augusto a quelli ben più sofisticati del quarto secolo. Questa Europa Germanica, in pochi decenni, scomparirà e lascerà il posto a culture archeologicamente documentabili molto più primitive e, per quanto possiamo capire, in gran parte non di lingua germanica. Sembra che i Germani abbandonarono le loro terre per non tornarvi mai più, un comportamento che è tipico di chi fugge da qualcosa di terribile. Insomma: i Germani che finiranno per invadere l'Impero Romano non erano dei conquistatori, erano dei profughi: come erano stati profughi i Goti Tervingi e Greutungi. Ma che fine ha fatto l'Europa Germanica? E da cosa fuggivano i Germani?

La loro scomparsa o almeno la loro regressione a popolo povero e senza tracce archeologiche è coerente con la teoria dei grandi movimenti di popolazioni. Una terribile calamità verrà scatenata su questi popoli: inizialmente sui Goti intorno al 370 e poi, come vedremo, sul resto dell'Europa Germanica a partire dai primi anni del 400. Sappiamo anche il nome di questa calamità: ma ovviamente sempre i nostri amati Borg, di fronte ai quali la resistenza è futile. Ovvero gli Unni.

Gli Unni, come raccontato in precedenza, avevano conquistato le steppe della Russia e dell'Ucraina e spinto i Goti a fuggire nell'Impero Romano. Ancora nel 395 la loro principale base operativa era nelle steppe Ucraine ma sappiamo con certezza che già nel 411-412 gli Unni si erano spostati 1500 km più a ovest, probabilmente a loro volta spinti da altri popoli della steppa euroasiatica. Per la prima volta avevano passato i monti Carpazi – che dividono l'Europa orientale da quella centrale – e si erano installati in quella che sarà per secoli una delle basi preferite dai popoli nomadi provenienti dalle steppe euroasiatiche: la grande pianura oggi detta Ungherese. La scelta di questo posto non è casuale: le pianure Ungheresi sono un luogo ideale per allevare i cavalli che erano alla base della forza militare Unna. Questo processo fu probabilmente graduale, con progressive e terrificanti razzie che resero la vita dei Germani ivi stanziativi intollerabile, convincendoli che fosse meglio cercare un futuro al riparo dei grandi fiumi che difendevano l'Impero Romano.

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Radagaiso terrorizza l'Italia

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La sconfitta di Radagaiso presso Fiesole, del Vasari (Firenze)

Come detto questi popoli si riunirono in sostanza in due enormi gruppi: uno di questi era comandato dal Goto Radogast, conosciuto in Italia come Radagaiso. Radogast aveva probabilmente al suo comando in gran parte Goti, ma anche un buon numero di Alani o di altri popoli che i Greutungi avevano assoggettato. Non sappiamo esattamente la consistenza di questo gruppo ma, dato il terrore sacro che impresse sull'Italia e considerando la consistenza militare della reazione di Stilicone possiamo pensare che fosse composto da circa 30 mila guerrieri. Considerando un rapporto di 1 a 5 tra guerrieri e non guerrieri, visto che a muoversi furono intere famiglie con i loro schiavi, possiamo dire che il gruppo di Radagaiso era composto da circa 150 mila persone, una folla enorme paragonabile probabilmente all'invasione Gotica del 376.

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Radogast condusse i suoi attraverso il Danubio in una colossale invasione illegale dell'Impero, la prima di queste proporzioni: a differenza del 376 i suoi uomini non provarono neanche a chiedere asilo, erano consapevoli che l'Impero non avrebbe mai concesso a una massa di quelle dimensioni di immigrare legalmente, non dopo Adrianopoli. Le truppe frontaliere erano abituate a movimenti di alcune migliaia di persone e furono completamente prese alla sprovvista. Per fermare una invasione di quelle dimensioni ci voleva il Comitatus imperiale, non i limitanei.

Radogast condusse i suoi attraverso la Pannonia Romana e poi la moderna Austria: molti romani fuggirono e si rifugiarono in Italia, in una progressione continua di profughi terrorizzati che narravano di saccheggi e di violenze da parte di questa immensa orda di barbari pagani: il terrore causato da Radogast fu perfino maggiore di quello provocato pochi anni prima da Alaric: questi era un barbaro che i Romani conoscevano bene e un cristiano per giunta, i nuovi arrivati erano molto più terrificanti.

L'ultima vittoria di Stilicone

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Fiesole, teatro romano

Onorio si rintanò ovviamente a Ravenna, l'impregnabile città lagunare, mentre Stilicone fu costretto ad abbandonare immediatamente ogni velleità di guerra contro Costantinopoli: Alaric, che si era già esposto invadendo l'impero d'oriente, fu abbandonato al suo destino.

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Stilicone cercò di mettere su una risposta militare per difendere la patria dell'Impero: era fuori questione di affrontare Radogast solamente con l'esercito d'Italia – forte probabilmente di circa 30 mila truppe palatine e comitatensi. Questi soldati erano infatti insostituibili: L'esercito d'Italia non poteva permettersi una sconfitta o perfino una costosa vittoria. Stilicone aveva probabilmente capito che a nord del Danubio non c'erano solo i Goti in movimento, occorreva quindi radunare una forza soverchiante capace di schiacciare i Goti con il minimo rischio.

Quando Radogast e i suoi emersero dai passi alpini nella pianura del nord Italia, nel 405, Stilicone non diede dunque immediatamente battaglia: fece ovviamente chiudere le porte di tutte le città italiane e chiamò rinforzi ovunque potesse radunarli. Inoltre emanò nuove leggi per rinforzare il proprio esercito: incentivò i provinciali ad arruolarsi, promettendo loro una ricompensa di dieci solidi d'oro. Tanta era l'impellente necessità di Stilicone di trovare nuove reclute che fu costretto a ricorrere persino al reclutamento degli schiavi; fu richiesto ai soldati regolari e ai foederati di fornire all'esercito i propri schiavi, e agli schiavi che si fossero arruolati fu addirittura promessa la libertà e un premio di due solidi. Inoltre Stilicone fece arrivare ausiliari da vari Re barbari, tra i quali anche un forte contingente di Unni inviati dal Uldin, il sovrano di quegli Unni che vivevano più vicini ai Romani. Tra gli ausiliari Stilicone aveva ai suoi ordini anche una parte dei Goti di Alaric che avevano abbandonato quest'ultimo dopo la battaglia di Verona: al comando di questi Goti imperiali c'era Sarus, un Goto che avrà un'illustre carriera.