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Conversazioni d'autore, ‘Groenlandia. Viaggio attorno all’isola che scompare’

‘Groenlandia. Viaggio attorno all'isola che scompare'

Eccoci qua. Penso che possiamo iniziare. Buon pomeriggio a tutti e a tutte.

Grazie mille per essere qua. Siete qua con noi per sentire una chiacchierata

intorno all'ultimo libro di Sandro Orlando, che si chiama Groenlandia.

Eccolo qua, che ho avuto piacere di leggere e che ho il piacere non tanto di presentare

ma insomma sul quale chiacchierare insieme all'autore. Perché io? Perché sono una

climatologa, lavoro presso l'Università degli Studi di Torino e mi occupo proprio

di studiare il clima e i cambiamenti climatici, soprattutto nelle regioni fredde del pianeta,

anche se non polari, in realtà come descritto in questo libro, ma le regioni montane in

tutto il mondo. Però è un argomento estremamente affine a quello raccontato nel libro di Sandro,

a cui magari lascio la parola se vuole dire invece chi è lui.

Buon pomeriggio, grazie Elisa per questa presenza. Io non sono un climatologo,

sono un giornalista e sono stato altre volte in Groenlandia. Questa volta sono andato con

un gruppo anche di ricercatori, ma la cosa che mi interessava di più era la possibilità

di arrivare con una barca in zona della costa nord orientale che sono altrimenti inaccessibili,

proprio perché soprattutto la costa est della Groenlandia non è servita da strade, aereoporti,

ci sono solo due centri abitati, il più nord dei quali si trova proprio all'imbocco di questo

sistema di fiordi che ho visitato negli Stati Uniti anni fa, lo Scuola di Standa.

L'interesse per il clima e i cambiamenti climatici è nato dall'osservazione anche

dei cambiamenti che erano e sono visibili a occhio nudo e soprattutto dalla lettura di tutte

le spedizioni che sono passate a queste latitudini e che almeno negli ultimi 50-70 anni hanno avuto

come obiettivo proprio lo studio del ghiaccio, della calotta polare. Io racconto nel libro

appunto chi è passato in questo sistema di fiordi di Skoribisand a partire probabilmente

dalla fine dell'Ottocento, dal dire attraversare la calotta polare con i sci perché fino allora

nessuno era mai stato all'interno della Groenlandia e si sapeva come era questa massa di ghiaccio,

se stava avanzando, se stava diminuendo, se c'erano delle variazioni o dei fenomeni particolari,

addirittura si facevano delle ipotesi dal punto di vista climatologico se questa massa di

ghiaccio potesse avere un influsso sul clima di altre latitudini e tra l'altro la cosa notevole

soprattutto leggendo i diari e i libri di viaggio di questi esploratori del passato, è che la parte

più difficile di un viaggio a quelle latitudini era addirittura l'avvicinamento alla costa,

l'attraversamento della banchisa di questa fascia di ghiacci che circondava la costa est della Groenlandia,

proprio perché tutti gli iceberg che escono dal bacino polare vengono trascinati dalle correnti

lungo la costa fino a raggiungere il nord atlantico e sciogliersi. Oggi non si vedono più iceberg,

non si vede più lastre di ghiaccio d'estate, in autunno il ghiaccio marino si riforma a dicembre,

a fine novembre nei casi migliori e questo è un fenomeno che è recente, per lo meno un fenomeno

degli ultimi 30 anni, degli ultimi 20 anni soprattutto. E' stato l'aspetto che mi ha più colpito e che poi

in qualche modo mi ha fatto venire altre curiosità e quindi il libro è costruito soprattutto sulla base

di osservazioni e di risposte che ho cercato di trovare dai colleghi di Elisa, climatologi, gnecologi,

scienziati che si occupano soprattutto di articolo dal punto di vista dei ghiacci, del clima e questo

è stato il modo in cui ho scritto questo libro.

Guarda, io l'ho letto molto volentieri e ci sono un sacco di cose che mi sono piaciute, senza piageria

te lo dico, nel senso che è un libro che mi sembra abbia dentro un sacco di componenti, cioè anche un po'

quella per esempio dell'esplorazione e dell'avventura, di quella voglia che si ha di andare a esplorare

terre di cui ancora non si sa tutto e allo stesso tempo però mi sembra che sia stato scritto sempre

con una grande attenzione a quello che la scienza sta scoprendo e ha scoperto nei decenni passati,

quello che si sa e proprio c'è tantissima scienza, tantissimi dati scientifici qua sopra che seguono

le più recenti pubblicazioni, ho visto anche nomi di scienziati che tu hai conosciuto, intervistato

e che sono proprio esperti dell'ecosistema artico. Quindi mi è piaciuto il tuo occhio da giornalista,

da esploratore, da persona interessata nel studiare l'agroellandia e nel farti una foto dell'artico

e la unisco un po' alla mia e a quella in generale di chi nel suo lavoro studia il clima in queste regioni

per dire a chi ci sta ascoltando che l'occhio di un climatologo verso l'agroellandia è quello davvero

di una persona interessata a capire cosa sta avvenendo al clima, come sta cambiando il clima,

guardando e mettendosi in un osservatorio privilegiato di studio che è proprio la regione polare,

perché insieme a poche altre la regione polare, soprattutto quella artica, è davvero una sentinella

del clima che cambia, quindi sono quelle regioni definite hotspot climatici, cioè punti caldi del clima,

perché sono quelle che sono in grado di mostrarci prima in modo più chiaro quello che sta avvenendo,

gli effetti dell'aumento di temperatura. In primo luogo perché in queste zone l'aumento di temperatura

sta procedendo a un tasso più accelerato che altrove o rispetto all'aumento medio globale, doppio o anche triplo

se non di più in alcune specifiche zone. Preso nel suo insieme l'artico si sta scaldando di almeno il doppio

e questo ha degli effetti che si riverberano sicuramente sulla regione polare, ma non solo,

anche ad altre latitudini, ed è questo che ci lega in maniera indissolubile alla regione artica,

anche se viviamo a migliaia di chilometri di distanza, e questa è la parte interessante, anche per chi studia il clima,

ed è anche la parte che ci dovrebbe mettere a tutti un po' più in allarme, perché ci fa capire che quello che accade là,

come quello che accade nelle regioni di montagna, non resta confinato, lassù o laggiù, ma appunto può arrivare

fino a noi in vari modi, seguendo meccanismi complessi del clima che riguardano le dinamiche dell'atmosfera e dell'oceano,

ma che appunto attraverso queste dinamiche possono avere degli impatti importanti anche alle nostre latitudini,

anzi noi lo stiamo proprio sperimentando, l'attualità ormai ce lo dice chiaramente, ad esempio negli eventi estremi

che ci ritroviamo dalle nostre parti, sono in qualche modo collegati anche loro a questa amplificazione del riscaldamento artico.

Quindi mi piace molto che comunque nel tuo libro la scienza sia così forte, perché si capisce proprio che quello che hai fatto è una ricerca

anche delle fonti e delle persone che vivono di questo mestiere e che sulle esplorazioni e la ricerca in artico hanno fatto insomma la loro carriera,

la loro vita in parte anche.

Devo dire che come avevo detto all'inizio io non sono uno specialista di clima, di scienza dell'ambiente,

però leggere appunto per documentarsi su questa regione le uniche testimonianze che si hanno per lo più sono diari di glaciologi, geologi,

testimonianze anche non più in pubblicazione, quindi libri che però contengono molte osservazioni che sono utilissime,

sono utilissime per capire anche come la scienza è arrivata a capire il cambiamento climatico.

A me ha colpito molto ad esempio leggere i diari dei vari partecipanti alla spedizione di questo geologo tedesco,

Alfred Wegener, 1930, che lo hanno accompagnato, erano 22 persone che lo hanno accompagnato in questa spedizione che consistiva sostanzialmente

nell'allestire tre stazioni di misurazioni meteorologiche e glaciologiche, quindi l'atmosfera del ghiaccio,

esattamente nel centro della calotta polare e all'estremità, quindi sulla costa orientale e sulla costa occidentale.

I diari scritti che sono usciti da questa spedizione, Alfred Wegener tra l'altro morì in quella missione, non usci vivo,

aveva appena 50 anni, proprio per la difficoltà di realizzare un'impresa del genere trascinando 400 casse di attrezzature scientifiche

su questi ghiacciai, che ricordiamoci i ghiacciai della Groenlandia arrivano a quota di 3300 metri, quindi bisogna in qualche modo dal mare

spingere e portare tutte queste attrezzature, costruendosi punti per evitare di cadere in crepacci, avendo tutte le precauzioni

che si hanno quando si attraversano i ghiacciai, quindi con corde, ramponi. La cosa che mi ha impressionato è che molti di questi ragazzi,

erano proprio giovanissimi, erano ventenni, ci sono diverse biblioteche di Austria e tedesche che hanno i documenti originali,

addirittura dei contratti che firmarono per i contratti di ingaggio, che parteciparono a questa impresa con degli assegni,

chiamiamoli e portiamoli alla realtà di oggi, per delle cese molto modeste, rischiando la vita, perché all'epoca si rischiava la vita

a partecipare ad una spedizione del genere, eppure poi la maggior parte aveva semplicemente un'esperienza di montagna, di alpinistica,

quindi aveva consuetudo in un ambiente ghiacciato, eppure le osservazioni fatte da persone che non avevano mai in qualche modo visto un ghiacciaio polare,

quindi un ghiacciaio che non si scioglie perché non piove, perché in estate non c'è molto lungo, ci sono temperature.

Poi in qualche modo hanno inaugurato veramente dei filoni di scientifici nuovi, come la paleoplimatologia, lo studio del clima del passato,

tutte le ricerche sui carotaggi dell'Artico e dell'Antarctico. In qualche modo è bello leggere questi documenti perché capisci come a volte

la scienza ha faccia dei progressi grazie all'appevole, in totale consapevolezza riescono a dare un contributo. Io mi ricordo che mi ha colpito un piccolo aspetto

che poi ti lascio commentare, che riguarda le bolle d'aria nel ghiaccio. Io non avevo mai riflettuto sull'esistenza di bolle d'aria nel ghiaccio.

Ricordo che praticamente un alpinista, una guida alpina austriaca che partecipava alla missione semplicemente perché sua moglie era uno dei capi della spedizione,

uno dei geologi di punta della spedizione, era suo cognato e quindi era stato arruolato da 25 anni in una guida alpina di Innsbruck, semplicemente per fare dei compiti più materiali.

Lui è stato l'unico di questo gruppo di esploratori che ha notato che nel ghiaccio c'erano delle bolle d'aria e che queste bolle d'aria potessero rivelare qualcosa sul clima o sulle condizioni in cui questo ghiaccio si era formato.

Questa semplice osservazione, sono veramente poche paginette contenute poi in una raccolta di scritti scientifici che poi sono stati tradotti in inglese negli anni 30, dopo diversi anni è stata in qualche modo, per questa osservazione, portata avanti e approfondita da un glaciologo svizzero che era emigrato negli Stati Uniti, Harry Bader,

che per più di un decennio è tornato a cercare di capire se questa aria risalisse all'epoca in cui la neve era caduta, se questa atmosfera intrappolata nel ghiaccio potesse fornire ulteriori informazioni.

A me questo aspetto della ricerca scientifica mi ha molto emozionato, mi ha appassionato perché vuol dire che il lavoro di ogni ricercatore, ogni scienziato può in qualche modo avere dei frutti, può lasciare, può determinare addirittura la nascita di nuove discipline scientifiche, magari dopo 30, 40, 50 anni.

Capisco benissimo quello che dici e ti dirò di più. Se potessi tornare indietro come percorso, si può sempre fare in avanti, ma se potessi tornare indietro devo dirti che lavorare sulla ricostruzione del clima del passato è qualcosa che mi affascinerebbe, mi interesserebbe moltissimo,

proprio perché conoscere come è evoluto nell'epoche passate, e parlo di centinaia di migliaia di anni, milioni di anni, il clima della Terra, in realtà è fondamentale perché è uno degli strumenti che abbiamo per capire come funziona la macchina del clima, andando a vedere come si è evoluta la dinamica nel passato di cui conosciamo i dati.

Nel passato più recente abbiamo molti più dati, molto più precisi, molto più distribuiti sulla Terra, ma ovviamente più di 200 anni fa circa la mole di dati, osservativi diretti che abbiamo oggi non ce l'avevamo e quindi ci si deve ovviamente affidare alla ricostruzione del clima basata su altre fonti, su altri metodi che chiamiamo indiretti.

Ad esempio la ricostruzione che si fa andando ad analizzare le carote di ghiaccio. Quando uno vuole utilizzare il ghiaccio per ricostruire il clima del passato deve andare dove di ghiaccio ce n'è in abbondanza e dove soprattutto questo ghiaccio non subisce continui cicli di gelo e di disgelo, quindi andare ad esempio in Antartide, probabilmente oggi è il posto migliore, ma anche ovviamente in Groenlandia.

Lo si può fare anche sui ghiacciai alpini, ma in quel caso la ricostruzione del clima si limita a un periodo di tempo più breve, qualche centinaio di anni al più qualche migliaio. Invece finora la carota di ghiaccio più lunga che abbiamo estratto misura più di 3 km di spessore ed è stata appunto prelevata in Antartide ed ha permesso di ricostruire il clima degli ultimi 820.000 anni.

Ricostruire il clima vuol dire ricostruire un sacco di caratteristiche del clima, la concentrazione di gas presenti nell'aria proprio come rimane memorizzata nelle bollicine di aria di cui parlavi tu che rimangono intrappolate del ghiaccio.

Il ghiaccio di un ghiacciaio si forma quando la neve, anno dopo anno, si accumula e accumulandosi si compatta, via via. Compattandosi la neve che di per sé è poco densa, cioè ha molta aria al suo interno, perde e spelle dell'aria, ma non tutta. Alcune bollicine di aria restano intrappolate.

Quando la neve si trasforma in un oggetto intermedio tra neve e ghiaccio che si chiama nevato, che è un po' più denso, e poi in ghiaccio di ghiacciaio che è molto più denso, almeno un ordine di grandezza in più rispetto alla neve.

In quelle bollicine di aria fossile c'è la memoria di com'era l'atmosfera quando la neve è caduta e si è stratificata. Gli strati si riconoscono perché la neve invernale e estiva, anno dopo anno, ha caratteristiche un po' diverse.

Quindi uno andando a prelevare queste grandi carote e guardando negli strati non solo riesce a datarli, quindi andare a capire di quanti anni è vecchia quella carota, ma anche di andare a vedere strato per strato com'era fatta l'atmosfera antica.

Quindi le bolle di aria intrappolate nelle carote antartiche, come in quelle gromellandesi, contengono le concentrazioni di gas serra in atmosfera, ma nel ghiaccio rimane anche intrappolata polvere, varie impurità che ci danno altre informazioni importanti,

come l'accadimento di eventi particolarmente intensi come le eruzioni vulcaniche, che lasciano traccia attraverso queste polveri e che lasciano traccia anche nella temperatura, che si abbassa di solito in seguito a eventi così intensi.

Quindi davvero il clima del passato si può ricostruire attraverso questi archivi naturali che sono rappresentati dalle carote di ghiaccio.

Allora, io non so se Sandro si è momentaneamente scollegato perché non lo vedo più, quindi adesso magari se qualcuno che ci sta seguendo, di cui vedo anche commenti in chat, mi può dire se a me si sente ancora, perché io in questo momento vedo solo me.

Però spero di non aver perso io la connessione, se no chiedo un attimo anche alla regia se mi dà un cenno, vediamo un po'.

Ok, al dare regia mi sentono, allora è forse solo Sandro che si è un attimo perso, vediamo se ci raggiunge di nuovo, forse ha perso un attimo la connessione.

Intanto posso andare avanti, io appunto stavamo parlando di come si può ricostruire il clima del passato, andando ad analizzare il ghiaccio antico, e questo è…

Eccoti Sandro, ti abbiamo perso per un istante, non so fin dove tu sia arrivato, ma è davvero emozionante il lavoro del paleoclimatologo che io associo sempre a quello degli archeologi, gli archeologi del clima.

Quindi vanno a scavare gli archeologi per ricostruire la storia delle antiche civiltà, e i paleoclimatologi, voi quelli che vanno a analizzare le carote di ghiaccio, voi quelli che vanno a analizzare le carote dei sedimenti lacustri o marini,

che permettono di andare ancora più indietro nel tempo, voi quelli che guardano gli anelli degli alberi, i follini fossili, eccetera, ricostruiscono la storia del clima, che è anche la nostra storia.

Proprio perché questi archivi sono importanti per capire davvero come il clima sul nostro pianeta ha funzionato in passato, e ci danno anche, e questa è un'altra cosa molto importante, un margine di paragone oggi, per capire e per posizionare meglio i cambiamenti che stiamo osservando.

Per esempio abbiamo capito, guardando proprio come è evoluta nell'ultimo milione di anni la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, proprio ricostruita dalla carota di ghiaccio antartica, di cui vi dicevo prima, che mai la CO2 nell'ultimo milione di anni è stata alta quanto lo è oggi.

Oggi abbiamo superato le 415 parti per milione, invece nell'ultimo milione di anni questo gas a effetto serra non aveva mai superato le 300 parti per milione nei periodi in cui ce n'era di più.

Quindi riusciamo ad avere una misura, una cifra di quanto il cambiamento climatico oggi sia peculiare rispetto a quello del passato, un milione di anni almeno, di quanto sia rapido anche, perché i cambiamenti che stiamo vedendo oggi in quanto a rapidità sono veramente senza precedenti.

Certo, devo dire che l'aspetto che a me ha più colpito è stata anche la difficoltà che questi scienziati che hanno cominciato a cercare degli indicatori per ricostruire il clima del passato, le difficoltà che hanno dovuto affrontare,

anche i tentativi che poi si sono rivelati non efficaci. Quindi in realtà le conoscenze che noi oggi abbiamo sul clima degli ultimi quasi un milione di anni sono il prodotto veramente dello sforzo e della dedizione di centinaia e centinaia di ricercatori che hanno impiegato la loro vita di bambini,

di studiosi. Quello che mi ha veramente sorpreso è stato anche capire come a volte questi dati sul clima rischiano di essere astratti, di apparire astratti, invece quando uno comincia a rendersi conto che il clima che conosciamo

non è sempre stato così stabile, relativamente stabile come negli ultimi diecimila anni o giù di lì, che in realtà proprio il ghiaccio polare ha consentito di vedere questa estrema instabilità che esisteva, che ha caratterizzato le ultime glaciazioni,

anche in momenti di temperature molto forti, anche di dieci gradi o quasi nel giro di un decennio, come è stato misurato in Groenlandia.

Allora anche i fenomeni che noi viviamo oggi assumono un'altra dimensione, nel senso che tutti gli studi che si fanno oggi acquisiscono un'importanza e un peso che altrimenti rischia di non essere percepito,

quando si parla solo di numeri come il livello dei gas serra, come l'aumento previsto delle temperature.

Tu prima ricordavi giustamente, è una domanda che io mi sono ogni tanto sentito fare, quella che alla fine, anche se si sciogliesse tutto il ghiaccio dell'Artico, perché dovrebbe essere un problema così importante per noi?

C'è addirittura chi si limita a disegnare degli scenari geopolitici con l'apertura di nuove rotte commerciali nell'Artico, nuove rotte per il turismo, nuove rotte anche per lo sfruttamento di minerali e di altre risorse naturali.

In realtà già Nansen aveva capito che una massa di ghiaccio del genere, che ogni anno perde 500 miliardi di tonnellate di ghiaccio che si sciolgono e finiscono negli oceani, non può non condizionare e influenzare l'atmosfera, la circolazione oceana, il clima e le latitudini.

Eppure oggi si minimizza.

Sì, si minimizza.

Secondo me, senza questa prospettiva di lungo periodo e senza queste ricerche che sono andate nell'Artico per cercare di capire com'era il clima 10.000 anni fa, 100.000 anni fa, penso ai lavori di Willy Dansgaard, questo geologo danese che aveva cominciato negli anni 50 a occuparsi in realtà dell'acqua.

E quindi poi, avendo bisogno di grandi quantità di acqua, aveva pensato di andare a trovare proprio in Groenlandia, che all'epoca era ancora una vera e propria colonia della Danimarca, oggi ha una sua autonomia di governo, fa sempre riferimento, fa sempre capo da un punto di vista amministrativo alla Danimarca.

E quindi lì aveva cominciato a studiare gli iceberg.

Il lavoro di Dansgaard, che è stato quello che ha identificato per primo queste escellazioni climatiche degli ultimi 100.000 anni, è quello che mi ha colpito perché ho impiegato forse 20 anni di ricerche per riuscire a mettere a fuoco come doveva essere la vita di un po' di persone.

Per riuscire a mettere a fuoco cosa doveva esattamente andare a cercare.

Perché all'inizio aveva cominciato a… e noi pensiamo sempre che la vita di uno scienziato sia facile.

Ma in realtà, come dire, negli anni 50 mettere in piedi una missione per analizzare e prelevare solo dei campioni di ghiaccio da degli iceberg marini sulla costa occidentale della Groenlandia richiedeva veramente mesi e mesi di preparazioni e poi anche uno sforzo fisico reale.

Lui ha impiegato veramente 15 anni di tentativi e non si è mai arreso. Questo è un aspetto che mi ha colpito. Non ha mai abbandonato questa sua idea di poter trovare nel ghiaccio dell'Artico delle informazioni che avrebbero potuto dargli delle indicazioni sul tema del passato.

La storia dei viaggiatori in Groenlandia insegna anche questa perseveranza, questa tenacia.

Sì, ma anche l'idea di produrre una ricerca, una scelta che potrà essere proseguita da qualcun altro. A me piace molto questo. La scienza è così, è fatta così.

Noi facciamo delle ricerche, mettiamo sul tavolo delle idee, ma sicuramente il frutto del nostro lavoro sarà colto da qualcun altro che lo userà a sua volta per andare avanti.

Questo è il bello del mio mestiere, il lavoro fatto con gli altri e pensando anche alle generazioni future. Perché ha senso solo così, il nostro lavoro non si chiude mai.

E certamente sono molte di più le domande che le risposte nella carriera di un ricercatore, di uno scienziato.

Quando dicevi quello che stavi dicendo, mi veniva in mente che questo discorso si traduce anche nella pratica in un bellissimo progetto che si chiama Ice Memory e che ha l'obiettivo di salvare il ghiaccio,

là dove si sa che oggi è più vulnerabile. Non parliamo del ghiaccio antartico o groenlandese, che pure lo sono, ma ci sono ghiacciai montani come quelli delle Alpi o altri catene montuose nel mondo,

che, essendo più piccolini, sono ovviamente più fragili, più vulnerabili rispetto a un aumento costante, continuo delle temperature, rispetto a un apporto nevoso fortemente diminuito in inverno, quindi hanno un bilancio di massa sempre negativo e sono in grosso recesso,

allora si vanno a prelevare delle carote di ghiaccio in questi ghiacciai, che si sa, che si teme, che si prevede che potrebbero scomparire, per portarli in dei freezer naturali affinché possano essere conservati e analizzati in futuro dalle generazioni di scienziati a venire,

proprio perché la nostra probabilmente li perderebbe, altrimenti, e non avrebbe la possibilità di analizzarli. Questo è un bellissimo progetto che secondo me traduce un po' anche quello che stavi dicendo tu, cioè lavorare pensando alla sostenibilità scientifica di quello che si fa, cioè di mettere le basi affinché qualcun altro possa andare avanti nel lavoro le cui basi si pongono oggi.

Tu hai detto un sacco di cose prima, una magari la puntualizzo proprio per fare capire anche un po' le cifre di cui stiamo parlando. Noi abbiamo paura di perdere il ghiaccio ad esempio groenlandese perché le misure oggi ci raccontano una storia piuttosto chiara e inequivocabile e qui sono le misure satellitari che ci hanno aiutato molto a fotografare l'evoluzione nel tempo del ghiaccio,

quindi è anche bello dire a chi ci ascolta che le ricerche si fanno andando con le navi ad analizzare le variabili fisico ambientali, si fanno con gli strumenti a terra, si fanno con i palloni sonda e si fanno con i satelliti che dalla fine degli anni Ottanta hanno contribuito ad arricchire le nostre conoscenze.

Quello che ci raccontano i satelliti appunto della Groenlandia per esempio è che dal 2002 a oggi la Groenlandia ha perso più di 3.500 miliardi di tonnellate di ghiaccio con una perdita media intorno ai 270 miliardi di tonnellate ogni anno, ma ci sono stati degli anni terribili.

Per esempio nel 2019, e questa è la cifra che dicevi tu prima, la Groenlandia ha perso 532 miliardi di tonnellate e chi ci ascolta dirà cosa vuol dire 532 miliardi di tonnellate che è circa diciamo quasi il doppio rispetto a quello che annualmente la Groenlandia perde.

Nel 2019 c'è stata una primavera molto calda e un'estate con una forte ondata di calore che ha generato questa situazione. 532 miliardi di tonnellate persi in quell'estate del 2019 è come se si fosse riversato in mare il contenuto di 7 piscine olimpioniche ogni secondo per un intero anno.

Quindi la quantità di ghiaccio persa dalla Groenlandia in quell'anno lì equivale a questo.

Se vogliamo avere un'idea di che cosa si traduce poi la perdita di ghiaccio, di massa di ghiaccio in termini di innalzamento del livello del mare di cui sostanzialmente la Groenlandia insieme all'Antartide è uno dei principali contributori.

Quando il mare si innalza troppo ci sono dei posti dove questo innalzamento genera delle conseguenze sociali ed economiche estremamente visibili e importanti.

Migrazioni, intrusioni del cuneo salino, quindi terreni rovinati in cui prima si coltivava e dopo non si può più eccetera.

Questo già ci fa capire che se fonde il ghiaccio artico per noi è un problema e la risposta è sì, per noi è un grosso problema.

Lo è per il clima perché non l'abbiamo detto ma l'artico e le regioni fredde del pianeta sono i nostri termostati.

Sono quelli che se fa troppo caldo se rimangono in buono stato ci permettono di abbassare la temperatura del pianeta finché in quelle regioni il ghiaccio resta.

Il ghiaccio ha questa capacità innata di riflettere la luce del sole e quindi di non far scaldare il pianeta ma questo succede se il ghiaccio resta.

Se il ghiaccio se ne va, in particolare quello marino, quello che galleggia sull'acqua alla banchisa artica che è dominante nell'artico,

ecco che al suo posto c'è l'oceano che è scuro, assorbe la luce del sole e questo contribuisce a scaldare ancora di più il mondo.

Quindi l'artico e le regioni polari mantengono fresco il pianeta ma se i ghiacci scompaiono, anziché mantenerlo fresco,

contribuiscono piuttosto attraverso un meccanismo subdolo di amplificazione interna ad aumentarne ancora di più la temperatura.

Quindi noi bisogna che preserviamo queste regioni e non ultimo anche perché raccontano la storia del clima del passato che noi rischiamo di perdere come conoscenza,

come se si bruciasse una biblioteca antica e non avessimo più l'opportunità di scoprire che cosa c'era scritto in quei libri.

Qui accadrebbe la stessa cosa, quindi assolutamente ci sono 250 miliardi di motivi per preservare queste zone nel nostro pianeta.

La cosa che io trovo anche interessante, ma forse qualche analogia c'è pure con un confronto con le nostre Alpi,

è che in Groenlandia questo cambiamento climatico, come dicevo prima, io non sono andato in Groenlandia, questo viaggio,

non era l'obiettivo di scrivere, documentare il cambiamento climatico, era un viaggio dove cercavo soprattutto una storia o delle storie.

La prima storia che mi ha colpito molto, essendo un appassionato di geografie, cartografie, era l'esistenza di una nuova isola,

che si può vedere anche su Google Earth, che non è ancora stata inclusa nelle mappe ufficiali della Groenlandia.

È un'isola che è stata battezzata in lingua Inuit, in inglese, l'isola del riscaldamento, perché è nata dallo scioglimento del ghiaccio che la ricopriva

e che la faceva sembrare una penisola fino al 2005. Oggi ci sono 600 metri di mare che si separano da terraferma.

Alla domanda del perché non sia stata ancora inclusa nelle cartografie, il British Antarctic Survey, che è questa istituzione inglese che si occupa anche

della cartografia dell'Artico, mi ha risposto che sono talmente tante le modifiche dei rilievi che lo scioglimento del ghiaccio sta generando

che loro stanno aspettando prima di passare subito a una nuova revisione di tutte le carte.

Non ci stanno dietro.

Ho continuato anche questa navigazione di oltre un mese attraverso questo sistema di fiordi che dovete immaginarlo come un sentiero d'acqua da cui se ne generano altri

che poi si collegano. È una sorta di labirinto perché poi ci sono anche delle isole. La cosa curiosa è che non ci si rischia di perdersi perché è un sistema chiuso

ma in realtà non torna a niente. Le carte sono piene di errori. Ci sono rocce dove dovrebbe esserci il mare, ci sono isole dove dovrebbe esserci una terraferma, ci sono laghi dove prima c'era semplicemente il ghiacciaio, una parte di ghiaccio e via di seguito.

Questo mi sembrava un aspetto interessante soprattutto per chi fino a qualche anno fa si diceva che il mondo oggi è stato completamente mappato dai satelliti,

non c'è più un angolo non conosciuto, non visitato da qualcun altro, non descritto, non raccontato, non fotografato. In Groenlandia si trovano ancora con i navigatori satellitari, con Google Map e le sue varianti,

si trovano ancora delle zone in cui praticamente sono delle zone bianche non descritte. Una delle motivazioni è che anche questo cambiamento climatico degli ultimi vent'anni sta creando una sorta di geografia in movimento.

Qualcuno vede anche gli aspetti positivi per ora, però a livello di nuove possibilità di far transitare ad esempio le rotte che prima passavano per il canale di Suez e l'oceano indiano, farle passare dall'Artico.

La verità è che per ora, ad esempio, questa zona deve la sua esistenza al fatto che negli anni venti la comunità più vicina, il villaggio di Tasilaq, che è a 400 km più a sud, era cresciuto troppo e aveva bisogno di nuove risorse.

Quindi andò a esplorare questo fiordo più a nord perché aveva la reputazione di essere un fiordo ricco di animali, quindi una grande riserva di caccia e pesca. Io invece ho potuto constatare come sostanzialmente in più di un mese non si sono visti né foche né trichichi né ursi.

Tutto l'ecosistema è cambiato a causa della sparizione del ghiaccio marino e chiaramente questo ha un impatto anche sulle comunità locali, le poche centinaia di persone che ancora vivono a queste latitudini perché stanno sparendo le basi di sostentamento.

Stanno arrivando specie aliene, i merluzzi del nord atlantico si stanno espandendo a queste latitudini, quindi c'è tutto un ecosistema che si sta alterando.

In questo piccolo spaccato l'impatto è gigantesco.

Chiaramente immagino che le stesse cose succedono sulle Alpi quando un ghiacciaio non c'è più e anche una riserva d'acqua potenziale per le comunità vicine.

Assolutamente, potenziale reale.

Quando parlavi delle migrazioni delle specie verso le alte latitudini hai fatto scattare un asterisco mentale che l'equivalente in montagna sta avvenendo in maniera molto netta e chiara negli ultimi decine di anni,

cioè lo spostamento verso l'alto della flore e della fauna. Animali e piante con modalità diverse e in alcuni casi anche per cause diverse si stanno spostando verso l'alto cercando di occupare areali a quote più elevate per compensare l'aumento di temperatura.

Le montagne si stanno scaldando molto anche in quota, quindi anche le quote più elevate sentono forte l'aumento di temperatura e in alcuni casi addirittura il riscaldamento è maggiore a più alta quota che più in basso.

Quindi se le specie cercano una temperatura più vicina a quella in cui erano abituati non la trovano in realtà in alta quota. Con l'aggravante, che se vuoi vale anche per l'Artico ma forse per le montagne ancora di più,

essendo la montagna fatta così, quando le specie arrivano in vetta non hanno più nessun posto dove andare, quindi c'è un detto che dice che l'unico posto dove possono andare è il cielo.

Questo significa che in effetti in montagna si stanno già osservando per diverse specie, animali e vegetali, le prime estinzioni, proprio perché finisce lo spazio che hanno a disposizione in cui muoversi, in cui vivere.

Le farfalle, alcune specie di farfalle nelle Alpi Francesi ad esempio, si sono estinte già. Quindi assolutamente le migrazioni verso l'alto sono una delle conseguenze molto nette, molto ben visibili dell'aumento di temperatura nelle regioni montane.

Altre conseguenze sono quelle sotto gli occhi di tutti, il ritiro dei ghiacciai, probabilmente quella più facilmente percepibile da chiunque si sia ritrovato a passeggiare in montagna negli ultimi 10 o 20 anni.

Tra l'altro la cosa sconvolgente, secondo me, è proprio che questo tipo di cambiamento lo stiamo osservando nell'arco della nostra vita umana.

È una cosa davvero incredibile questa, perché comunque noi pensiamo che il ghiacciaio esiste nel momento in cui la neve ha trovato l'immortalità.

Invece è assolutamente fragile e mortale anche un ghiacciaio e lo stiamo vedendo. I ghiacciai in Italia, per esempio, hanno perso il 40% della loro superficie dal 1980, che segna un po' un cambiamento di rotta.

Non che prima non ci fosse un riscaldamento, ma dal 1980 ha cominciato a correre come un pazzo a fronte di un aumento del numero dei ghiacciai rilevato da satellite.

Questo perché i ghiacciai si frammentano. A causa dell'affioramento della roccia sottostante che è scura, sembra che ci siano più ghiacciai rispetto a prima.

Invece è vero, ce ne sono di più, ma sono lo stesso che si è frammentato in più porzioni e quindi più piccoli sono, più vulnerabili diventano.

Questo, di nuovo, se vuoi, costituisce un circolo vizioso, perché non fa altro che renderli ancora più fragili.

Meno acqua a disposizione per le regioni di pianura, che in Italia traggono la maggior parte dell'acqua proprio dalla fusione stagionale della neve e del ghiaccio e che rischia di non essere più disponibili.

E' proprio l'acqua che noi usiamo per approvvigionamento idrico, per uso potabile, civile, per irrigare, per la produzione di energia.

Sicuramente questo rappresenta per noi, di nuovo, un grosso problema.

Non è che, lo diciamo sempre, anche i cambiamenti più terribili del clima hanno visto la Terra andare avanti nella sua evoluzione.

E' chi ci abita sopra che avrà dei problemi ad abituarci.

E se vuoi, rispetto al passato, quello che noi non conosciamo come specie umana è un mondo più caldo rispetto a quello dove siamo adesso.

Mentre abbiamo esperienza di mondi più freddi in cui vivere, in cui si vive, di mondi più caldi nel nostro DNA, diciamo così, non abbiamo esperienza, non lo sappiamo.

E quindi è qualcosa che, probabilmente anche per questo facciamo fatica a percepire o di cui facciamo fatica a riconoscere il pericolo.

Ecco, invece fidiamoci della scienza perché negli scenari di forte riscaldamento il mondo che potremmo avere davanti non è un mondo dove si vive facilmente.

Quando alle nostre latitudini le stati diventano fisse a 35 o 40 gradi come media, poi pensiamo quindi agli estremi.

O quando si abbattono sui nostri territori violenti nubi fragili come quelli a cui abbiamo assistito.

O quando le siccità imperversano. Quindi sono queste le cose di cui noi ci stiamo preoccupando come comunità scientifica.

Certo. Un'altra cosa interessante. Va detto che in queste regioni della Groenlandia nord orientale il tempo sembra non essere mai passato, sembra essersi fermato.

Ci sono ad esempio degli scavi archeologici che risalgono alla fine dell'Ottocento su alcune piccole micro isole all'interno di questo sistema di fiordi dove sono visibili resti che sono stati individuati di accampamenti Inuit che risalgono al 300, al 400.

Sono stati lasciati nel senso che non sono stati i manufatti in osso, in materiale deperibile, in legno. Sono state portate via. Le pietre, le sistemazioni degli accampamenti sono rimasti.

L'archeologia della Groenlandia è particolarmente interessante perché indica come in questo ambiente fragile e anche ostile dove la vita era decisamente molto difficile, la storia di queste comunità che nel corso dei millenni hanno popolato e hanno colonizzato questa isola

e le possibilità di sopravvivenza sono dipesi dalla capacità di adattarsi, di adattarsi anche a un clima che relativamente cambiava nel Basso Medioevo, tra quella che si chiama la piccola era glaciale.

Ad esempio le comunità ischimesi che pure nelle prime ondate migratorie, le più antiche risalgono addirittura a 2 o 3 mila anni prima della nascita di Cristo, sono arrivate dall'Artico Canadese, dalla Siberia, erano scomparse probabilmente proprio a causa di questa difficoltà di muoversi.

In Groenlandia si può spostarsi solo sulle coste, l'interno è un unico ghiacciaio per lo più inaccessibile e in periodi particolarmente freddi si restava evidentemente intrappolato, non si riusciva più a andare avanti, viceversa anche in periodi caldi in cui il ghiaccio marino si scioglieva troppo, diventava anche difficile potersi spostare.

La cosa interessante è che con l'esperienza e con l'evoluzione di queste comunità ischimesi, le ultime, le più recenti, hanno in qualche modo imparato anche a sfruttare innanzitutto tutto quello che questo ambiente può offrire, quindi è incredibile cosa riescano a produrre con tendini, ossa, qualsiasi tipo di pelle, anche di pesci o mammiferi marini,

gli ischimesi riescono a produrre abbigliamenti e abitazioni con tutto quello che offre questo ambiente, pure poverissimo perché in Groenlandia non ci sono alberi, non ci sono quasi cespugli, quindi c'è anche una difficoltà ad esempio a fare dei fuochi, loro sanno fare il fuoco bruciando le ote di animali.

E' proprio questa invece, al contrario, l'incapacità di adattarsi a un clima che cambiava con estrema facilità, almeno che ha avuto alcuni in passato periodi di deterioramento e di peggioramento come nel basso medioevo, questa piccola era glaciale, ha fatto sì che invece che le comunità europee che arrivavano dalla Norvegia, che erano arrivati appunto al tempo dei vichinghi,

e poi si sono estinti, quindi la Groenlandia in qualche modo c'è anche una sorta di lezione su come fragile la vita umana in un ambiente così ostile, dove le temperature, dove queste oscillazioni, questi estremi possono cambiare.

Credo che questo ci aiuta, e poi ci avviamo anche verso la conclusione, penso, sono passati più di 50 minuti, che noi oggi abbiamo l'illusione per come viviamo, per le tecnologie che abbiamo, in realtà di saperci adattare a qualunque cosa, di poter controllare in qualche modo quello che avviene.

E però questa secondo me è una percezione erronea proprio, perché in realtà questo non è detto, non è detto che noi abbiamo la capacità di adattarci a un qualche cosa che ci corre sotto i piedi così in fretta, anzi stiamo vedendo i segni della incapacità degli ecosistemi,

ma anche delle società umane così stanziali, così fisse, con delle infrastrutture che sono state costruite sulla base di un clima più stabile di quello che stiamo sperimentando adesso, ecco, non è detto che sapremo adattarci se continuiamo tra l'altro ad agire, insomma, facendo delle azioni che sono quelle che ci hanno portato dentro questo problema, perché insomma, quindi io credo molto nella capacità nostra come specie di trovare delle soluzioni.

Credo che abbiamo adesso però, insomma, il dovere di fare, di provare a applicare quelle soluzioni che si conoscono benissimo per la crisi climatica e metterci una lena, insomma, perché non possiamo rischiare, ecco, che si verifichi o si realizzi lo scenario tra i peggiori che la scienza ci delinea.

È proprio un rischio che non ci possiamo permettere di correre. Se vogliamo continuare a vivere in maniera felice, insomma, sulla Terra, ecco.

Senti, per chiuderti volevo chiedere una cosa. Tu farai altri viaggi in quelle zone? Pensi, insomma, quando si potrà, quando sarà più semplice viaggiare?

Forse Sandro ci ha perso proprio sulla domanda più bella. Ecco ti.

Aspetta che ti sentiamo un po' tra.

Nell'emisfero opposto, cioè nella luce di l'amicato.

Ok.

No, mi sentite?

Sì, sì, adesso ti sentiamo. Sì, ti avevamo un po' perso. Ecco, ora non ci sei di nuovo più, ma insomma ci parlavi della voglia di andare a esplorare l'altra parte, l'altro capo del mondo, l'Antartide.

Vediamo se ti ripeschiamo così almeno per i saluti.

Vediamo un po'. Piacerebbe riacchiapparlo almeno per salutarci noi e salutare quelli che ci hanno ascoltato. Ecco ti qua.

Mi sentite?

Ti sentiamo.

No, stavo dicendo che fare un viaggio nell'Antarctico è molto più complicato. Io sono stato già altre volte in Siberia, Svalbard. Sono regioni molto più facilmente raggiungibili, accessibili.

Quindi, come dire, vediamo.

Dai, mai dire mai.

Sì, è un concetto di lungo periodo. Vedremo se sarà possibile.

Lì faresti conti con il vero freddo. Che alla fine i meno 20, i meno 25 delle Svalbard sono caldino rispetto alle temperature che abbiamo in Antartide.

Però è incredibile.

Va bene, senti, sono quasi le sei. Io ho visto molti commenti di cui ringrazio perché assolutamente puntuali. Se non ci sono domande, mi sembra di non vederne ma potrei sbagliare, direi che ci possiamo salutare.

Se invece ci sono domande chiedo magari alla regia eventualmente di porcele.

Vediamo un po'. Ecco, mi sembra di no.

Non so, se vuoi chiudere tu Sandro, oppure se ci salutiamo così. Io ti ringrazio intanto perché mi hai permesso di conoscere cose che non conoscevo sulle esplorazioni della Groenlandia.

Le hai rese davvero in modo accattivante, quindi fa venire voglia di andarci.

Io vi invito tutti ad andare a vedere questi cambiamenti climatici di cui si parla spesso, ad andarli a vedere con i propri occhi anche, ad esempio, molto semplicemente sulle nostre Alpi,

per farsi un'idea di dove probabilmente è il modo più semplice e più alla portata di tutti per vedere cosa sta succedendo agli acciai.

Perché secondo me quando uno vede con i propri occhi questi fenomeni forse acquista una sensibilità diversa.

E secondo me è necessario in qualche modo uscire un po' dall'astrazione dei numeri sui aumenti di temperature, su queste proiezioni che spesso sentiamo, per vedere cosa vuol dire nel concreto un piccolo aumento di temperature di un grado, un grado e mezzo come quello che attualmente abbiamo alle nostre latitudini.

Questo è l'invito, andare a vedere con i propri occhi.

Sono d'accordo, anche perché conoscere è il miglior modo per prendersi a cuore qualcosa e quindi per volerlo proteggere a tutti i costi.

Va bene, senti, ricordo il libro Groellandia, viaggio intorno alle isolate scompare di La Terza. Davvero grazie per questa opportunità di chiacchierare insieme.

Grazie a te per la tua competenza e le tue spiegazioni anche illuminanti su fenomeni molto complessi da spiegare. Grazie a chi ci ha seguito.

Assolutamente, grazie a tutti.

Nonostante la connessione.

E nonostante siano i primi di agosto, quindi magari immaginiamo molti in ferie, sperabilmente.

Va bene, allora grazie a tutti e buona serata a tutti e a tutte.

Ciao.


‘Groenlandia. Viaggio attorno all'isola che scompare' Grönland. Die Reise um die verschwindende Insel". 'Greenland. Journey around the disappearing island' Groenlandia. Viaje alrededor de la isla que desaparece". 'グリーンランド。消えゆく島をめぐる旅」。 Groenland. Reis rond het verdwijnende eiland'. Gronelândia. Viagem à volta da ilha desaparecida". "Grönland. Resa runt den försvinnande ön". '格陵兰。围绕消失的岛屿的旅程

Eccoci qua. Penso che possiamo iniziare. Buon pomeriggio a tutti e a tutte.

Grazie mille per essere qua. Siete qua con noi per sentire una chiacchierata

intorno all'ultimo libro di Sandro Orlando, che si chiama Groenlandia.

Eccolo qua, che ho avuto piacere di leggere e che ho il piacere non tanto di presentare

ma insomma sul quale chiacchierare insieme all'autore. Perché io? Perché sono una

climatologa, lavoro presso l'Università degli Studi di Torino e mi occupo proprio

di studiare il clima e i cambiamenti climatici, soprattutto nelle regioni fredde del pianeta,

anche se non polari, in realtà come descritto in questo libro, ma le regioni montane in

tutto il mondo. Però è un argomento estremamente affine a quello raccontato nel libro di Sandro,

a cui magari lascio la parola se vuole dire invece chi è lui.

Buon pomeriggio, grazie Elisa per questa presenza. Io non sono un climatologo,

sono un giornalista e sono stato altre volte in Groenlandia. Questa volta sono andato con

un gruppo anche di ricercatori, ma la cosa che mi interessava di più era la possibilità

di arrivare con una barca in zona della costa nord orientale che sono altrimenti inaccessibili,

proprio perché soprattutto la costa est della Groenlandia non è servita da strade, aereoporti,

ci sono solo due centri abitati, il più nord dei quali si trova proprio all'imbocco di questo

sistema di fiordi che ho visitato negli Stati Uniti anni fa, lo Scuola di Standa.

L'interesse per il clima e i cambiamenti climatici è nato dall'osservazione anche

dei cambiamenti che erano e sono visibili a occhio nudo e soprattutto dalla lettura di tutte

le spedizioni che sono passate a queste latitudini e che almeno negli ultimi 50-70 anni hanno avuto

come obiettivo proprio lo studio del ghiaccio, della calotta polare. Io racconto nel libro

appunto chi è passato in questo sistema di fiordi di Skoribisand a partire probabilmente

dalla fine dell'Ottocento, dal dire attraversare la calotta polare con i sci perché fino allora

nessuno era mai stato all'interno della Groenlandia e si sapeva come era questa massa di ghiaccio,

se stava avanzando, se stava diminuendo, se c'erano delle variazioni o dei fenomeni particolari,

addirittura si facevano delle ipotesi dal punto di vista climatologico se questa massa di

ghiaccio potesse avere un influsso sul clima di altre latitudini e tra l'altro la cosa notevole

soprattutto leggendo i diari e i libri di viaggio di questi esploratori del passato, è che la parte

più difficile di un viaggio a quelle latitudini era addirittura l'avvicinamento alla costa,

l'attraversamento della banchisa di questa fascia di ghiacci che circondava la costa est della Groenlandia,

proprio perché tutti gli iceberg che escono dal bacino polare vengono trascinati dalle correnti

lungo la costa fino a raggiungere il nord atlantico e sciogliersi. Oggi non si vedono più iceberg,

non si vede più lastre di ghiaccio d'estate, in autunno il ghiaccio marino si riforma a dicembre,

a fine novembre nei casi migliori e questo è un fenomeno che è recente, per lo meno un fenomeno

degli ultimi 30 anni, degli ultimi 20 anni soprattutto. E' stato l'aspetto che mi ha più colpito e che poi

in qualche modo mi ha fatto venire altre curiosità e quindi il libro è costruito soprattutto sulla base

di osservazioni e di risposte che ho cercato di trovare dai colleghi di Elisa, climatologi, gnecologi,

scienziati che si occupano soprattutto di articolo dal punto di vista dei ghiacci, del clima e questo

è stato il modo in cui ho scritto questo libro.

Guarda, io l'ho letto molto volentieri e ci sono un sacco di cose che mi sono piaciute, senza piageria

te lo dico, nel senso che è un libro che mi sembra abbia dentro un sacco di componenti, cioè anche un po'

quella per esempio dell'esplorazione e dell'avventura, di quella voglia che si ha di andare a esplorare

terre di cui ancora non si sa tutto e allo stesso tempo però mi sembra che sia stato scritto sempre

con una grande attenzione a quello che la scienza sta scoprendo e ha scoperto nei decenni passati,

quello che si sa e proprio c'è tantissima scienza, tantissimi dati scientifici qua sopra che seguono

le più recenti pubblicazioni, ho visto anche nomi di scienziati che tu hai conosciuto, intervistato

e che sono proprio esperti dell'ecosistema artico. Quindi mi è piaciuto il tuo occhio da giornalista,

da esploratore, da persona interessata nel studiare l'agroellandia e nel farti una foto dell'artico

e la unisco un po' alla mia e a quella in generale di chi nel suo lavoro studia il clima in queste regioni

per dire a chi ci sta ascoltando che l'occhio di un climatologo verso l'agroellandia è quello davvero

di una persona interessata a capire cosa sta avvenendo al clima, come sta cambiando il clima,

guardando e mettendosi in un osservatorio privilegiato di studio che è proprio la regione polare,

perché insieme a poche altre la regione polare, soprattutto quella artica, è davvero una sentinella

del clima che cambia, quindi sono quelle regioni definite hotspot climatici, cioè punti caldi del clima,

perché sono quelle che sono in grado di mostrarci prima in modo più chiaro quello che sta avvenendo,

gli effetti dell'aumento di temperatura. In primo luogo perché in queste zone l'aumento di temperatura

sta procedendo a un tasso più accelerato che altrove o rispetto all'aumento medio globale, doppio o anche triplo

se non di più in alcune specifiche zone. Preso nel suo insieme l'artico si sta scaldando di almeno il doppio

e questo ha degli effetti che si riverberano sicuramente sulla regione polare, ma non solo,

anche ad altre latitudini, ed è questo che ci lega in maniera indissolubile alla regione artica,

anche se viviamo a migliaia di chilometri di distanza, e questa è la parte interessante, anche per chi studia il clima,

ed è anche la parte che ci dovrebbe mettere a tutti un po' più in allarme, perché ci fa capire che quello che accade là,

come quello che accade nelle regioni di montagna, non resta confinato, lassù o laggiù, ma appunto può arrivare

fino a noi in vari modi, seguendo meccanismi complessi del clima che riguardano le dinamiche dell'atmosfera e dell'oceano,

ma che appunto attraverso queste dinamiche possono avere degli impatti importanti anche alle nostre latitudini,

anzi noi lo stiamo proprio sperimentando, l'attualità ormai ce lo dice chiaramente, ad esempio negli eventi estremi

che ci ritroviamo dalle nostre parti, sono in qualche modo collegati anche loro a questa amplificazione del riscaldamento artico.

Quindi mi piace molto che comunque nel tuo libro la scienza sia così forte, perché si capisce proprio che quello che hai fatto è una ricerca

anche delle fonti e delle persone che vivono di questo mestiere e che sulle esplorazioni e la ricerca in artico hanno fatto insomma la loro carriera,

la loro vita in parte anche.

Devo dire che come avevo detto all'inizio io non sono uno specialista di clima, di scienza dell'ambiente,

però leggere appunto per documentarsi su questa regione le uniche testimonianze che si hanno per lo più sono diari di glaciologi, geologi,

testimonianze anche non più in pubblicazione, quindi libri che però contengono molte osservazioni che sono utilissime,

sono utilissime per capire anche come la scienza è arrivata a capire il cambiamento climatico.

A me ha colpito molto ad esempio leggere i diari dei vari partecipanti alla spedizione di questo geologo tedesco,

Alfred Wegener, 1930, che lo hanno accompagnato, erano 22 persone che lo hanno accompagnato in questa spedizione che consistiva sostanzialmente

nell'allestire tre stazioni di misurazioni meteorologiche e glaciologiche, quindi l'atmosfera del ghiaccio,

esattamente nel centro della calotta polare e all'estremità, quindi sulla costa orientale e sulla costa occidentale.

I diari scritti che sono usciti da questa spedizione, Alfred Wegener tra l'altro morì in quella missione, non usci vivo,

aveva appena 50 anni, proprio per la difficoltà di realizzare un'impresa del genere trascinando 400 casse di attrezzature scientifiche

su questi ghiacciai, che ricordiamoci i ghiacciai della Groenlandia arrivano a quota di 3300 metri, quindi bisogna in qualche modo dal mare

spingere e portare tutte queste attrezzature, costruendosi punti per evitare di cadere in crepacci, avendo tutte le precauzioni

che si hanno quando si attraversano i ghiacciai, quindi con corde, ramponi. La cosa che mi ha impressionato è che molti di questi ragazzi,

erano proprio giovanissimi, erano ventenni, ci sono diverse biblioteche di Austria e tedesche che hanno i documenti originali,

addirittura dei contratti che firmarono per i contratti di ingaggio, che parteciparono a questa impresa con degli assegni,

chiamiamoli e portiamoli alla realtà di oggi, per delle cese molto modeste, rischiando la vita, perché all'epoca si rischiava la vita

a partecipare ad una spedizione del genere, eppure poi la maggior parte aveva semplicemente un'esperienza di montagna, di alpinistica,

quindi aveva consuetudo in un ambiente ghiacciato, eppure le osservazioni fatte da persone che non avevano mai in qualche modo visto un ghiacciaio polare,

quindi un ghiacciaio che non si scioglie perché non piove, perché in estate non c'è molto lungo, ci sono temperature.

Poi in qualche modo hanno inaugurato veramente dei filoni di scientifici nuovi, come la paleoplimatologia, lo studio del clima del passato,

tutte le ricerche sui carotaggi dell'Artico e dell'Antarctico. In qualche modo è bello leggere questi documenti perché capisci come a volte

la scienza ha faccia dei progressi grazie all'appevole, in totale consapevolezza riescono a dare un contributo. Io mi ricordo che mi ha colpito un piccolo aspetto

che poi ti lascio commentare, che riguarda le bolle d'aria nel ghiaccio. Io non avevo mai riflettuto sull'esistenza di bolle d'aria nel ghiaccio.

Ricordo che praticamente un alpinista, una guida alpina austriaca che partecipava alla missione semplicemente perché sua moglie era uno dei capi della spedizione,

uno dei geologi di punta della spedizione, era suo cognato e quindi era stato arruolato da 25 anni in una guida alpina di Innsbruck, semplicemente per fare dei compiti più materiali.

Lui è stato l'unico di questo gruppo di esploratori che ha notato che nel ghiaccio c'erano delle bolle d'aria e che queste bolle d'aria potessero rivelare qualcosa sul clima o sulle condizioni in cui questo ghiaccio si era formato.

Questa semplice osservazione, sono veramente poche paginette contenute poi in una raccolta di scritti scientifici che poi sono stati tradotti in inglese negli anni 30, dopo diversi anni è stata in qualche modo, per questa osservazione, portata avanti e approfondita da un glaciologo svizzero che era emigrato negli Stati Uniti, Harry Bader,

che per più di un decennio è tornato a cercare di capire se questa aria risalisse all'epoca in cui la neve era caduta, se questa atmosfera intrappolata nel ghiaccio potesse fornire ulteriori informazioni.

A me questo aspetto della ricerca scientifica mi ha molto emozionato, mi ha appassionato perché vuol dire che il lavoro di ogni ricercatore, ogni scienziato può in qualche modo avere dei frutti, può lasciare, può determinare addirittura la nascita di nuove discipline scientifiche, magari dopo 30, 40, 50 anni.

Capisco benissimo quello che dici e ti dirò di più. Se potessi tornare indietro come percorso, si può sempre fare in avanti, ma se potessi tornare indietro devo dirti che lavorare sulla ricostruzione del clima del passato è qualcosa che mi affascinerebbe, mi interesserebbe moltissimo,

proprio perché conoscere come è evoluto nell'epoche passate, e parlo di centinaia di migliaia di anni, milioni di anni, il clima della Terra, in realtà è fondamentale perché è uno degli strumenti che abbiamo per capire come funziona la macchina del clima, andando a vedere come si è evoluta la dinamica nel passato di cui conosciamo i dati.

Nel passato più recente abbiamo molti più dati, molto più precisi, molto più distribuiti sulla Terra, ma ovviamente più di 200 anni fa circa la mole di dati, osservativi diretti che abbiamo oggi non ce l'avevamo e quindi ci si deve ovviamente affidare alla ricostruzione del clima basata su altre fonti, su altri metodi che chiamiamo indiretti.

Ad esempio la ricostruzione che si fa andando ad analizzare le carote di ghiaccio. Quando uno vuole utilizzare il ghiaccio per ricostruire il clima del passato deve andare dove di ghiaccio ce n'è in abbondanza e dove soprattutto questo ghiaccio non subisce continui cicli di gelo e di disgelo, quindi andare ad esempio in Antartide, probabilmente oggi è il posto migliore, ma anche ovviamente in Groenlandia.

Lo si può fare anche sui ghiacciai alpini, ma in quel caso la ricostruzione del clima si limita a un periodo di tempo più breve, qualche centinaio di anni al più qualche migliaio. Invece finora la carota di ghiaccio più lunga che abbiamo estratto misura più di 3 km di spessore ed è stata appunto prelevata in Antartide ed ha permesso di ricostruire il clima degli ultimi 820.000 anni.

Ricostruire il clima vuol dire ricostruire un sacco di caratteristiche del clima, la concentrazione di gas presenti nell'aria proprio come rimane memorizzata nelle bollicine di aria di cui parlavi tu che rimangono intrappolate del ghiaccio.

Il ghiaccio di un ghiacciaio si forma quando la neve, anno dopo anno, si accumula e accumulandosi si compatta, via via. Compattandosi la neve che di per sé è poco densa, cioè ha molta aria al suo interno, perde e spelle dell'aria, ma non tutta. Alcune bollicine di aria restano intrappolate.

Quando la neve si trasforma in un oggetto intermedio tra neve e ghiaccio che si chiama nevato, che è un po' più denso, e poi in ghiaccio di ghiacciaio che è molto più denso, almeno un ordine di grandezza in più rispetto alla neve.

In quelle bollicine di aria fossile c'è la memoria di com'era l'atmosfera quando la neve è caduta e si è stratificata. Gli strati si riconoscono perché la neve invernale e estiva, anno dopo anno, ha caratteristiche un po' diverse.

Quindi uno andando a prelevare queste grandi carote e guardando negli strati non solo riesce a datarli, quindi andare a capire di quanti anni è vecchia quella carota, ma anche di andare a vedere strato per strato com'era fatta l'atmosfera antica.

Quindi le bolle di aria intrappolate nelle carote antartiche, come in quelle gromellandesi, contengono le concentrazioni di gas serra in atmosfera, ma nel ghiaccio rimane anche intrappolata polvere, varie impurità che ci danno altre informazioni importanti,

come l'accadimento di eventi particolarmente intensi come le eruzioni vulcaniche, che lasciano traccia attraverso queste polveri e che lasciano traccia anche nella temperatura, che si abbassa di solito in seguito a eventi così intensi.

Quindi davvero il clima del passato si può ricostruire attraverso questi archivi naturali che sono rappresentati dalle carote di ghiaccio.

Allora, io non so se Sandro si è momentaneamente scollegato perché non lo vedo più, quindi adesso magari se qualcuno che ci sta seguendo, di cui vedo anche commenti in chat, mi può dire se a me si sente ancora, perché io in questo momento vedo solo me.

Però spero di non aver perso io la connessione, se no chiedo un attimo anche alla regia se mi dà un cenno, vediamo un po'.

Ok, al dare regia mi sentono, allora è forse solo Sandro che si è un attimo perso, vediamo se ci raggiunge di nuovo, forse ha perso un attimo la connessione.

Intanto posso andare avanti, io appunto stavamo parlando di come si può ricostruire il clima del passato, andando ad analizzare il ghiaccio antico, e questo è…

Eccoti Sandro, ti abbiamo perso per un istante, non so fin dove tu sia arrivato, ma è davvero emozionante il lavoro del paleoclimatologo che io associo sempre a quello degli archeologi, gli archeologi del clima.

Quindi vanno a scavare gli archeologi per ricostruire la storia delle antiche civiltà, e i paleoclimatologi, voi quelli che vanno a analizzare le carote di ghiaccio, voi quelli che vanno a analizzare le carote dei sedimenti lacustri o marini,

che permettono di andare ancora più indietro nel tempo, voi quelli che guardano gli anelli degli alberi, i follini fossili, eccetera, ricostruiscono la storia del clima, che è anche la nostra storia.

Proprio perché questi archivi sono importanti per capire davvero come il clima sul nostro pianeta ha funzionato in passato, e ci danno anche, e questa è un'altra cosa molto importante, un margine di paragone oggi, per capire e per posizionare meglio i cambiamenti che stiamo osservando.

Per esempio abbiamo capito, guardando proprio come è evoluta nell'ultimo milione di anni la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, proprio ricostruita dalla carota di ghiaccio antartica, di cui vi dicevo prima, che mai la CO2 nell'ultimo milione di anni è stata alta quanto lo è oggi.

Oggi abbiamo superato le 415 parti per milione, invece nell'ultimo milione di anni questo gas a effetto serra non aveva mai superato le 300 parti per milione nei periodi in cui ce n'era di più.

Quindi riusciamo ad avere una misura, una cifra di quanto il cambiamento climatico oggi sia peculiare rispetto a quello del passato, un milione di anni almeno, di quanto sia rapido anche, perché i cambiamenti che stiamo vedendo oggi in quanto a rapidità sono veramente senza precedenti.

Certo, devo dire che l'aspetto che a me ha più colpito è stata anche la difficoltà che questi scienziati che hanno cominciato a cercare degli indicatori per ricostruire il clima del passato, le difficoltà che hanno dovuto affrontare,

anche i tentativi che poi si sono rivelati non efficaci. Quindi in realtà le conoscenze che noi oggi abbiamo sul clima degli ultimi quasi un milione di anni sono il prodotto veramente dello sforzo e della dedizione di centinaia e centinaia di ricercatori che hanno impiegato la loro vita di bambini,

di studiosi. Quello che mi ha veramente sorpreso è stato anche capire come a volte questi dati sul clima rischiano di essere astratti, di apparire astratti, invece quando uno comincia a rendersi conto che il clima che conosciamo

non è sempre stato così stabile, relativamente stabile come negli ultimi diecimila anni o giù di lì, che in realtà proprio il ghiaccio polare ha consentito di vedere questa estrema instabilità che esisteva, che ha caratterizzato le ultime glaciazioni,

anche in momenti di temperature molto forti, anche di dieci gradi o quasi nel giro di un decennio, come è stato misurato in Groenlandia.

Allora anche i fenomeni che noi viviamo oggi assumono un'altra dimensione, nel senso che tutti gli studi che si fanno oggi acquisiscono un'importanza e un peso che altrimenti rischia di non essere percepito,

quando si parla solo di numeri come il livello dei gas serra, come l'aumento previsto delle temperature.

Tu prima ricordavi giustamente, è una domanda che io mi sono ogni tanto sentito fare, quella che alla fine, anche se si sciogliesse tutto il ghiaccio dell'Artico, perché dovrebbe essere un problema così importante per noi?

C'è addirittura chi si limita a disegnare degli scenari geopolitici con l'apertura di nuove rotte commerciali nell'Artico, nuove rotte per il turismo, nuove rotte anche per lo sfruttamento di minerali e di altre risorse naturali.

In realtà già Nansen aveva capito che una massa di ghiaccio del genere, che ogni anno perde 500 miliardi di tonnellate di ghiaccio che si sciolgono e finiscono negli oceani, non può non condizionare e influenzare l'atmosfera, la circolazione oceana, il clima e le latitudini.

Eppure oggi si minimizza.

Sì, si minimizza.

Secondo me, senza questa prospettiva di lungo periodo e senza queste ricerche che sono andate nell'Artico per cercare di capire com'era il clima 10.000 anni fa, 100.000 anni fa, penso ai lavori di Willy Dansgaard, questo geologo danese che aveva cominciato negli anni 50 a occuparsi in realtà dell'acqua.

E quindi poi, avendo bisogno di grandi quantità di acqua, aveva pensato di andare a trovare proprio in Groenlandia, che all'epoca era ancora una vera e propria colonia della Danimarca, oggi ha una sua autonomia di governo, fa sempre riferimento, fa sempre capo da un punto di vista amministrativo alla Danimarca.

E quindi lì aveva cominciato a studiare gli iceberg.

Il lavoro di Dansgaard, che è stato quello che ha identificato per primo queste escellazioni climatiche degli ultimi 100.000 anni, è quello che mi ha colpito perché ho impiegato forse 20 anni di ricerche per riuscire a mettere a fuoco come doveva essere la vita di un po' di persone.

Per riuscire a mettere a fuoco cosa doveva esattamente andare a cercare.

Perché all'inizio aveva cominciato a… e noi pensiamo sempre che la vita di uno scienziato sia facile.

Ma in realtà, come dire, negli anni 50 mettere in piedi una missione per analizzare e prelevare solo dei campioni di ghiaccio da degli iceberg marini sulla costa occidentale della Groenlandia richiedeva veramente mesi e mesi di preparazioni e poi anche uno sforzo fisico reale.

Lui ha impiegato veramente 15 anni di tentativi e non si è mai arreso. Questo è un aspetto che mi ha colpito. Non ha mai abbandonato questa sua idea di poter trovare nel ghiaccio dell'Artico delle informazioni che avrebbero potuto dargli delle indicazioni sul tema del passato.

La storia dei viaggiatori in Groenlandia insegna anche questa perseveranza, questa tenacia.

Sì, ma anche l'idea di produrre una ricerca, una scelta che potrà essere proseguita da qualcun altro. A me piace molto questo. La scienza è così, è fatta così.

Noi facciamo delle ricerche, mettiamo sul tavolo delle idee, ma sicuramente il frutto del nostro lavoro sarà colto da qualcun altro che lo userà a sua volta per andare avanti.

Questo è il bello del mio mestiere, il lavoro fatto con gli altri e pensando anche alle generazioni future. Perché ha senso solo così, il nostro lavoro non si chiude mai.

E certamente sono molte di più le domande che le risposte nella carriera di un ricercatore, di uno scienziato.

Quando dicevi quello che stavi dicendo, mi veniva in mente che questo discorso si traduce anche nella pratica in un bellissimo progetto che si chiama Ice Memory e che ha l'obiettivo di salvare il ghiaccio,

là dove si sa che oggi è più vulnerabile. Non parliamo del ghiaccio antartico o groenlandese, che pure lo sono, ma ci sono ghiacciai montani come quelli delle Alpi o altri catene montuose nel mondo,

che, essendo più piccolini, sono ovviamente più fragili, più vulnerabili rispetto a un aumento costante, continuo delle temperature, rispetto a un apporto nevoso fortemente diminuito in inverno, quindi hanno un bilancio di massa sempre negativo e sono in grosso recesso,

allora si vanno a prelevare delle carote di ghiaccio in questi ghiacciai, che si sa, che si teme, che si prevede che potrebbero scomparire, per portarli in dei freezer naturali affinché possano essere conservati e analizzati in futuro dalle generazioni di scienziati a venire,

proprio perché la nostra probabilmente li perderebbe, altrimenti, e non avrebbe la possibilità di analizzarli. Questo è un bellissimo progetto che secondo me traduce un po' anche quello che stavi dicendo tu, cioè lavorare pensando alla sostenibilità scientifica di quello che si fa, cioè di mettere le basi affinché qualcun altro possa andare avanti nel lavoro le cui basi si pongono oggi.

Tu hai detto un sacco di cose prima, una magari la puntualizzo proprio per fare capire anche un po' le cifre di cui stiamo parlando. Noi abbiamo paura di perdere il ghiaccio ad esempio groenlandese perché le misure oggi ci raccontano una storia piuttosto chiara e inequivocabile e qui sono le misure satellitari che ci hanno aiutato molto a fotografare l'evoluzione nel tempo del ghiaccio,

quindi è anche bello dire a chi ci ascolta che le ricerche si fanno andando con le navi ad analizzare le variabili fisico ambientali, si fanno con gli strumenti a terra, si fanno con i palloni sonda e si fanno con i satelliti che dalla fine degli anni Ottanta hanno contribuito ad arricchire le nostre conoscenze.

Quello che ci raccontano i satelliti appunto della Groenlandia per esempio è che dal 2002 a oggi la Groenlandia ha perso più di 3.500 miliardi di tonnellate di ghiaccio con una perdita media intorno ai 270 miliardi di tonnellate ogni anno, ma ci sono stati degli anni terribili.

Per esempio nel 2019, e questa è la cifra che dicevi tu prima, la Groenlandia ha perso 532 miliardi di tonnellate e chi ci ascolta dirà cosa vuol dire 532 miliardi di tonnellate che è circa diciamo quasi il doppio rispetto a quello che annualmente la Groenlandia perde.

Nel 2019 c'è stata una primavera molto calda e un'estate con una forte ondata di calore che ha generato questa situazione. 532 miliardi di tonnellate persi in quell'estate del 2019 è come se si fosse riversato in mare il contenuto di 7 piscine olimpioniche ogni secondo per un intero anno.

Quindi la quantità di ghiaccio persa dalla Groenlandia in quell'anno lì equivale a questo.

Se vogliamo avere un'idea di che cosa si traduce poi la perdita di ghiaccio, di massa di ghiaccio in termini di innalzamento del livello del mare di cui sostanzialmente la Groenlandia insieme all'Antartide è uno dei principali contributori.

Quando il mare si innalza troppo ci sono dei posti dove questo innalzamento genera delle conseguenze sociali ed economiche estremamente visibili e importanti.

Migrazioni, intrusioni del cuneo salino, quindi terreni rovinati in cui prima si coltivava e dopo non si può più eccetera.

Questo già ci fa capire che se fonde il ghiaccio artico per noi è un problema e la risposta è sì, per noi è un grosso problema.

Lo è per il clima perché non l'abbiamo detto ma l'artico e le regioni fredde del pianeta sono i nostri termostati.

Sono quelli che se fa troppo caldo se rimangono in buono stato ci permettono di abbassare la temperatura del pianeta finché in quelle regioni il ghiaccio resta.

Il ghiaccio ha questa capacità innata di riflettere la luce del sole e quindi di non far scaldare il pianeta ma questo succede se il ghiaccio resta.

Se il ghiaccio se ne va, in particolare quello marino, quello che galleggia sull'acqua alla banchisa artica che è dominante nell'artico,

ecco che al suo posto c'è l'oceano che è scuro, assorbe la luce del sole e questo contribuisce a scaldare ancora di più il mondo.

Quindi l'artico e le regioni polari mantengono fresco il pianeta ma se i ghiacci scompaiono, anziché mantenerlo fresco,

contribuiscono piuttosto attraverso un meccanismo subdolo di amplificazione interna ad aumentarne ancora di più la temperatura.

Quindi noi bisogna che preserviamo queste regioni e non ultimo anche perché raccontano la storia del clima del passato che noi rischiamo di perdere come conoscenza,

come se si bruciasse una biblioteca antica e non avessimo più l'opportunità di scoprire che cosa c'era scritto in quei libri.

Qui accadrebbe la stessa cosa, quindi assolutamente ci sono 250 miliardi di motivi per preservare queste zone nel nostro pianeta.

La cosa che io trovo anche interessante, ma forse qualche analogia c'è pure con un confronto con le nostre Alpi,

è che in Groenlandia questo cambiamento climatico, come dicevo prima, io non sono andato in Groenlandia, questo viaggio,

non era l'obiettivo di scrivere, documentare il cambiamento climatico, era un viaggio dove cercavo soprattutto una storia o delle storie.

La prima storia che mi ha colpito molto, essendo un appassionato di geografie, cartografie, era l'esistenza di una nuova isola,

che si può vedere anche su Google Earth, che non è ancora stata inclusa nelle mappe ufficiali della Groenlandia.

È un'isola che è stata battezzata in lingua Inuit, in inglese, l'isola del riscaldamento, perché è nata dallo scioglimento del ghiaccio che la ricopriva

e che la faceva sembrare una penisola fino al 2005. Oggi ci sono 600 metri di mare che si separano da terraferma.

Alla domanda del perché non sia stata ancora inclusa nelle cartografie, il British Antarctic Survey, che è questa istituzione inglese che si occupa anche

della cartografia dell'Artico, mi ha risposto che sono talmente tante le modifiche dei rilievi che lo scioglimento del ghiaccio sta generando

che loro stanno aspettando prima di passare subito a una nuova revisione di tutte le carte.

Non ci stanno dietro.

Ho continuato anche questa navigazione di oltre un mese attraverso questo sistema di fiordi che dovete immaginarlo come un sentiero d'acqua da cui se ne generano altri

che poi si collegano. È una sorta di labirinto perché poi ci sono anche delle isole. La cosa curiosa è che non ci si rischia di perdersi perché è un sistema chiuso

ma in realtà non torna a niente. Le carte sono piene di errori. Ci sono rocce dove dovrebbe esserci il mare, ci sono isole dove dovrebbe esserci una terraferma, ci sono laghi dove prima c'era semplicemente il ghiacciaio, una parte di ghiaccio e via di seguito.

Questo mi sembrava un aspetto interessante soprattutto per chi fino a qualche anno fa si diceva che il mondo oggi è stato completamente mappato dai satelliti,

non c'è più un angolo non conosciuto, non visitato da qualcun altro, non descritto, non raccontato, non fotografato. In Groenlandia si trovano ancora con i navigatori satellitari, con Google Map e le sue varianti,

si trovano ancora delle zone in cui praticamente sono delle zone bianche non descritte. Una delle motivazioni è che anche questo cambiamento climatico degli ultimi vent'anni sta creando una sorta di geografia in movimento.

Qualcuno vede anche gli aspetti positivi per ora, però a livello di nuove possibilità di far transitare ad esempio le rotte che prima passavano per il canale di Suez e l'oceano indiano, farle passare dall'Artico.

La verità è che per ora, ad esempio, questa zona deve la sua esistenza al fatto che negli anni venti la comunità più vicina, il villaggio di Tasilaq, che è a 400 km più a sud, era cresciuto troppo e aveva bisogno di nuove risorse.

Quindi andò a esplorare questo fiordo più a nord perché aveva la reputazione di essere un fiordo ricco di animali, quindi una grande riserva di caccia e pesca. Io invece ho potuto constatare come sostanzialmente in più di un mese non si sono visti né foche né trichichi né ursi.

Tutto l'ecosistema è cambiato a causa della sparizione del ghiaccio marino e chiaramente questo ha un impatto anche sulle comunità locali, le poche centinaia di persone che ancora vivono a queste latitudini perché stanno sparendo le basi di sostentamento.

Stanno arrivando specie aliene, i merluzzi del nord atlantico si stanno espandendo a queste latitudini, quindi c'è tutto un ecosistema che si sta alterando.

In questo piccolo spaccato l'impatto è gigantesco.

Chiaramente immagino che le stesse cose succedono sulle Alpi quando un ghiacciaio non c'è più e anche una riserva d'acqua potenziale per le comunità vicine.

Assolutamente, potenziale reale.

Quando parlavi delle migrazioni delle specie verso le alte latitudini hai fatto scattare un asterisco mentale che l'equivalente in montagna sta avvenendo in maniera molto netta e chiara negli ultimi decine di anni,

cioè lo spostamento verso l'alto della flore e della fauna. Animali e piante con modalità diverse e in alcuni casi anche per cause diverse si stanno spostando verso l'alto cercando di occupare areali a quote più elevate per compensare l'aumento di temperatura.

Le montagne si stanno scaldando molto anche in quota, quindi anche le quote più elevate sentono forte l'aumento di temperatura e in alcuni casi addirittura il riscaldamento è maggiore a più alta quota che più in basso.

Quindi se le specie cercano una temperatura più vicina a quella in cui erano abituati non la trovano in realtà in alta quota. Con l'aggravante, che se vuoi vale anche per l'Artico ma forse per le montagne ancora di più,

essendo la montagna fatta così, quando le specie arrivano in vetta non hanno più nessun posto dove andare, quindi c'è un detto che dice che l'unico posto dove possono andare è il cielo.

Questo significa che in effetti in montagna si stanno già osservando per diverse specie, animali e vegetali, le prime estinzioni, proprio perché finisce lo spazio che hanno a disposizione in cui muoversi, in cui vivere.

Le farfalle, alcune specie di farfalle nelle Alpi Francesi ad esempio, si sono estinte già. Quindi assolutamente le migrazioni verso l'alto sono una delle conseguenze molto nette, molto ben visibili dell'aumento di temperatura nelle regioni montane.

Altre conseguenze sono quelle sotto gli occhi di tutti, il ritiro dei ghiacciai, probabilmente quella più facilmente percepibile da chiunque si sia ritrovato a passeggiare in montagna negli ultimi 10 o 20 anni.

Tra l'altro la cosa sconvolgente, secondo me, è proprio che questo tipo di cambiamento lo stiamo osservando nell'arco della nostra vita umana.

È una cosa davvero incredibile questa, perché comunque noi pensiamo che il ghiacciaio esiste nel momento in cui la neve ha trovato l'immortalità.

Invece è assolutamente fragile e mortale anche un ghiacciaio e lo stiamo vedendo. I ghiacciai in Italia, per esempio, hanno perso il 40% della loro superficie dal 1980, che segna un po' un cambiamento di rotta.

Non che prima non ci fosse un riscaldamento, ma dal 1980 ha cominciato a correre come un pazzo a fronte di un aumento del numero dei ghiacciai rilevato da satellite.

Questo perché i ghiacciai si frammentano. A causa dell'affioramento della roccia sottostante che è scura, sembra che ci siano più ghiacciai rispetto a prima.

Invece è vero, ce ne sono di più, ma sono lo stesso che si è frammentato in più porzioni e quindi più piccoli sono, più vulnerabili diventano.

Questo, di nuovo, se vuoi, costituisce un circolo vizioso, perché non fa altro che renderli ancora più fragili.

Meno acqua a disposizione per le regioni di pianura, che in Italia traggono la maggior parte dell'acqua proprio dalla fusione stagionale della neve e del ghiaccio e che rischia di non essere più disponibili.

E' proprio l'acqua che noi usiamo per approvvigionamento idrico, per uso potabile, civile, per irrigare, per la produzione di energia.

Sicuramente questo rappresenta per noi, di nuovo, un grosso problema.

Non è che, lo diciamo sempre, anche i cambiamenti più terribili del clima hanno visto la Terra andare avanti nella sua evoluzione.

E' chi ci abita sopra che avrà dei problemi ad abituarci.

E se vuoi, rispetto al passato, quello che noi non conosciamo come specie umana è un mondo più caldo rispetto a quello dove siamo adesso.

Mentre abbiamo esperienza di mondi più freddi in cui vivere, in cui si vive, di mondi più caldi nel nostro DNA, diciamo così, non abbiamo esperienza, non lo sappiamo.

E quindi è qualcosa che, probabilmente anche per questo facciamo fatica a percepire o di cui facciamo fatica a riconoscere il pericolo.

Ecco, invece fidiamoci della scienza perché negli scenari di forte riscaldamento il mondo che potremmo avere davanti non è un mondo dove si vive facilmente.

Quando alle nostre latitudini le stati diventano fisse a 35 o 40 gradi come media, poi pensiamo quindi agli estremi.

O quando si abbattono sui nostri territori violenti nubi fragili come quelli a cui abbiamo assistito.

O quando le siccità imperversano. Quindi sono queste le cose di cui noi ci stiamo preoccupando come comunità scientifica.

Certo. Un'altra cosa interessante. Va detto che in queste regioni della Groenlandia nord orientale il tempo sembra non essere mai passato, sembra essersi fermato.

Ci sono ad esempio degli scavi archeologici che risalgono alla fine dell'Ottocento su alcune piccole micro isole all'interno di questo sistema di fiordi dove sono visibili resti che sono stati individuati di accampamenti Inuit che risalgono al 300, al 400.

Sono stati lasciati nel senso che non sono stati i manufatti in osso, in materiale deperibile, in legno. Sono state portate via. Le pietre, le sistemazioni degli accampamenti sono rimasti.

L'archeologia della Groenlandia è particolarmente interessante perché indica come in questo ambiente fragile e anche ostile dove la vita era decisamente molto difficile, la storia di queste comunità che nel corso dei millenni hanno popolato e hanno colonizzato questa isola

e le possibilità di sopravvivenza sono dipesi dalla capacità di adattarsi, di adattarsi anche a un clima che relativamente cambiava nel Basso Medioevo, tra quella che si chiama la piccola era glaciale.

Ad esempio le comunità ischimesi che pure nelle prime ondate migratorie, le più antiche risalgono addirittura a 2 o 3 mila anni prima della nascita di Cristo, sono arrivate dall'Artico Canadese, dalla Siberia, erano scomparse probabilmente proprio a causa di questa difficoltà di muoversi.

In Groenlandia si può spostarsi solo sulle coste, l'interno è un unico ghiacciaio per lo più inaccessibile e in periodi particolarmente freddi si restava evidentemente intrappolato, non si riusciva più a andare avanti, viceversa anche in periodi caldi in cui il ghiaccio marino si scioglieva troppo, diventava anche difficile potersi spostare.

La cosa interessante è che con l'esperienza e con l'evoluzione di queste comunità ischimesi, le ultime, le più recenti, hanno in qualche modo imparato anche a sfruttare innanzitutto tutto quello che questo ambiente può offrire, quindi è incredibile cosa riescano a produrre con tendini, ossa, qualsiasi tipo di pelle, anche di pesci o mammiferi marini,

gli ischimesi riescono a produrre abbigliamenti e abitazioni con tutto quello che offre questo ambiente, pure poverissimo perché in Groenlandia non ci sono alberi, non ci sono quasi cespugli, quindi c'è anche una difficoltà ad esempio a fare dei fuochi, loro sanno fare il fuoco bruciando le ote di animali.

E' proprio questa invece, al contrario, l'incapacità di adattarsi a un clima che cambiava con estrema facilità, almeno che ha avuto alcuni in passato periodi di deterioramento e di peggioramento come nel basso medioevo, questa piccola era glaciale, ha fatto sì che invece che le comunità europee che arrivavano dalla Norvegia, che erano arrivati appunto al tempo dei vichinghi,

e poi si sono estinti, quindi la Groenlandia in qualche modo c'è anche una sorta di lezione su come fragile la vita umana in un ambiente così ostile, dove le temperature, dove queste oscillazioni, questi estremi possono cambiare.

Credo che questo ci aiuta, e poi ci avviamo anche verso la conclusione, penso, sono passati più di 50 minuti, che noi oggi abbiamo l'illusione per come viviamo, per le tecnologie che abbiamo, in realtà di saperci adattare a qualunque cosa, di poter controllare in qualche modo quello che avviene.

E però questa secondo me è una percezione erronea proprio, perché in realtà questo non è detto, non è detto che noi abbiamo la capacità di adattarci a un qualche cosa che ci corre sotto i piedi così in fretta, anzi stiamo vedendo i segni della incapacità degli ecosistemi,

ma anche delle società umane così stanziali, così fisse, con delle infrastrutture che sono state costruite sulla base di un clima più stabile di quello che stiamo sperimentando adesso, ecco, non è detto che sapremo adattarci se continuiamo tra l'altro ad agire, insomma, facendo delle azioni che sono quelle che ci hanno portato dentro questo problema, perché insomma, quindi io credo molto nella capacità nostra come specie di trovare delle soluzioni.

Credo che abbiamo adesso però, insomma, il dovere di fare, di provare a applicare quelle soluzioni che si conoscono benissimo per la crisi climatica e metterci una lena, insomma, perché non possiamo rischiare, ecco, che si verifichi o si realizzi lo scenario tra i peggiori che la scienza ci delinea.

È proprio un rischio che non ci possiamo permettere di correre. Se vogliamo continuare a vivere in maniera felice, insomma, sulla Terra, ecco.

Senti, per chiuderti volevo chiedere una cosa. Tu farai altri viaggi in quelle zone? Pensi, insomma, quando si potrà, quando sarà più semplice viaggiare?

Forse Sandro ci ha perso proprio sulla domanda più bella. Ecco ti.

Aspetta che ti sentiamo un po' tra.

Nell'emisfero opposto, cioè nella luce di l'amicato.

Ok.

No, mi sentite?

Sì, sì, adesso ti sentiamo. Sì, ti avevamo un po' perso. Ecco, ora non ci sei di nuovo più, ma insomma ci parlavi della voglia di andare a esplorare l'altra parte, l'altro capo del mondo, l'Antartide.

Vediamo se ti ripeschiamo così almeno per i saluti.

Vediamo un po'. Piacerebbe riacchiapparlo almeno per salutarci noi e salutare quelli che ci hanno ascoltato. Ecco ti qua.

Mi sentite?

Ti sentiamo.

No, stavo dicendo che fare un viaggio nell'Antarctico è molto più complicato. Io sono stato già altre volte in Siberia, Svalbard. Sono regioni molto più facilmente raggiungibili, accessibili.

Quindi, come dire, vediamo.

Dai, mai dire mai.

Sì, è un concetto di lungo periodo. Vedremo se sarà possibile.

Lì faresti conti con il vero freddo. Che alla fine i meno 20, i meno 25 delle Svalbard sono caldino rispetto alle temperature che abbiamo in Antartide.

Però è incredibile.

Va bene, senti, sono quasi le sei. Io ho visto molti commenti di cui ringrazio perché assolutamente puntuali. Se non ci sono domande, mi sembra di non vederne ma potrei sbagliare, direi che ci possiamo salutare.

Se invece ci sono domande chiedo magari alla regia eventualmente di porcele.

Vediamo un po'. Ecco, mi sembra di no.

Non so, se vuoi chiudere tu Sandro, oppure se ci salutiamo così. Io ti ringrazio intanto perché mi hai permesso di conoscere cose che non conoscevo sulle esplorazioni della Groenlandia.

Le hai rese davvero in modo accattivante, quindi fa venire voglia di andarci.

Io vi invito tutti ad andare a vedere questi cambiamenti climatici di cui si parla spesso, ad andarli a vedere con i propri occhi anche, ad esempio, molto semplicemente sulle nostre Alpi,

per farsi un'idea di dove probabilmente è il modo più semplice e più alla portata di tutti per vedere cosa sta succedendo agli acciai.

Perché secondo me quando uno vede con i propri occhi questi fenomeni forse acquista una sensibilità diversa.

E secondo me è necessario in qualche modo uscire un po' dall'astrazione dei numeri sui aumenti di temperature, su queste proiezioni che spesso sentiamo, per vedere cosa vuol dire nel concreto un piccolo aumento di temperature di un grado, un grado e mezzo come quello che attualmente abbiamo alle nostre latitudini.

Questo è l'invito, andare a vedere con i propri occhi.

Sono d'accordo, anche perché conoscere è il miglior modo per prendersi a cuore qualcosa e quindi per volerlo proteggere a tutti i costi.

Va bene, senti, ricordo il libro Groellandia, viaggio intorno alle isolate scompare di La Terza. Davvero grazie per questa opportunità di chiacchierare insieme.

Grazie a te per la tua competenza e le tue spiegazioni anche illuminanti su fenomeni molto complessi da spiegare. Grazie a chi ci ha seguito.

Assolutamente, grazie a tutti.

Nonostante la connessione.

E nonostante siano i primi di agosto, quindi magari immaginiamo molti in ferie, sperabilmente.

Va bene, allora grazie a tutti e buona serata a tutti e a tutte.

Ciao.