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Dialoghi fra generazioni, FEMMINISMO

FEMMINISMO

Eccoci qui e benvenuti a tutti al quarto incontro di Interregno,

che è uno spazio di confronto intergenerazionale in cui cerchiamo di guardare le differenze e i punti in comune

tra diverse generazioni, con uno sguardo sul passato, presente e anche sul futuro.

Stasera parliamo di femminismo e questioni di genere, grazie a Editori La Terza che ha creato questo spazio

e grazie alle nostre ospiti di questa sera, che sono Chiara Saraceno, sociologa, filosofa e accademica,

Cristiana Videi, che è una giornalista freelance, e Silvia Semenzin, anche lei sociologa.

Sappiamo ormai che molte battaglie per i diritti delle donne sono state vinte

e molti sono i diritti che abbiamo acquisito nel tempo.

Ma non dobbiamo dimenticarci che ci sono anche dei diritti che abbiamo acquisito molto recentemente,

quando si parla per esempio del delitto d'onore, del matrimonio riparatore,

per esempio sono stati abiliti soltanto nell'81, quindi l'altro ieri,

e lo stesso stupro, era un reato contro la morale e non contro la persona fino al 1996,

quindi noi eravamo nate ma da poco.

Oggi questi diritti forse li diamo un po' per scontati,

quindi è interessante parlare di come ci siano delle differenze proprio generazionali su questi diritti.

L'altro giorno stavo ascoltando Margarethe Westager, la vice presidente della Commissione Europea,

che diceva in un'intervista rilasciata proprio l'8 marzo,

di essere una grande fan delle quote rosa,

proprio perché nel tempo ci sono state quote informali per gli uomini,

ma parliamo appunto negli ultimi secoli.

Il nostro governo ancora oggi è composto principalmente da uomini,

in Italia la situazione dirigenziale è ancora gravissima,

c'è solo un dirigente su dieci è donna,

e le donne guadagnano ancora un quinto in meno al mese rispetto agli uomini,

quindi ci sono ancora moltissime differenze tra uomo e donna.

C'è anche un grandissimo problema di rappresentazione, ma non solo.

Oggi siamo, ne parlavamo poco fa, per l'ennesima volta ancora tutti in zona rossa,

ma durante la pandemia, come appunto spesso accade,

le donne si sono trovate a svolgere due lavori,

quello di cura dei figli, della casa, della famiglia, e l'attività professionale.

Abbiamo deciso tutti di darci del tu, quindi do del tu anche alla professoressa,

chiara, rispetto alle politiche sul welfare e sulla famiglia.

Il femminismo è un po' fallito?

In realtà è un po' più complicato di così, perché a parte la situazione eccezionale di oggi,

devo dire che se noi guardiamo all'indietro il tempo lungo,

se noi pensiamo che dopo il fascismo abbiamo dovuto aspettare moltissimi anni

per la riforma del diritto di famiglia, ed è avvenuta proprio anche

perché c'è stato il movimento delle donne nel 75,

cioè la parità uomo-donna in famiglia è avvenuta tardissimo

e solo sulla spinta del movimento.

Quindi moltissime delle riforme che ci sono state nel campo del diritto di famiglia

sono dovute ai cambiamenti femminili, alle cose.

Quindi questo non va sottovalutato, così come non va sottovalutato il fatto che molte leggi,

noi oggi non abbiamo tanto bisogno di altre leggi,

che sono quasi tutte state fatte quelle che garantiscono formalmente la parità.

Il problema è nella pratica, nella cultura, nella divisione del lavoro in famiglia e così via.

Certamente il welfare è il punto debole, di nuovo negli anni 90

c'è stata una grande accelerazione, se penso ai congedi di maternità e parentale ancora nel 2000,

gli asili nido e così via.

Poi ci si è un po' fermati e forse anche senza dire del tutto

che c'è stata una responsabilità del movimento delle donne,

perché naturalmente non è solo loro responsabilità,

anche perché non avevano il potere, c'è questo piccolo particolare,

che le donne non hanno ancora conquistato il potere.

Tuttavia forse c'è stato un momento in cui il movimento femminista si è un po' ripiegato

anche su temi importanti, la differenza, la cultura femminile e così via,

e ha perso forse un po' di vista la crucialità per la vita quotidiana delle donne

di un sistema di servizio, di infrastrutture sociali,

di cui oggi stiamo parlando anche rispetto al PNR,

per poter vivere con maggiore agio.

Questa pandemia è un po' la cartina di Tornasole,

perché il doppio lavoro, ahimè, le donne lo fanno anche in condizioni di normalità.

Il problema del doppio lavoro, come sta avvenendo un anno fa,

e siamo di nuovo adesso, è che avviene in contemporanea, non più in sequenza.

24 ore su 24 si deve essere contemporaneamente sulla scena del lavoro,

sulla scena della prestazione lavorativa e di quella familiare.

Siamo al punto, e io sono veramente sconcertata,

che la ministra della famiglia delle pari opportunità è riuscita a teorizzare

che se una lavora a distanza può anche occuparsi dei bambini,

cioè che non c'è problema, quindi non occorre la babysitter, eccetera.

Come se fosse, come dire, possibile lavorare,

pensate, noi che stiamo parlando, avessi qui un bambino che mi dice

non mi funziona il computer, non vedo la maestra in DAD,

e tutte queste cose qui.

C'è un'idea della conciliazione in cui basta essere a casa e si può fare tutto.

Nella mia generazione si rappresentava questo,

chi era bravo a disegnare, con la figura della donna giocogliera.

Siamo ancora qui, anzi, e la DAD all'estremo,

dove bisogna fare contemporaneamente sette cose,

ed essere anche brave sul lavoro, perché poi dopo ti riproverano

se tu sei distratta, non sei disponibile per la riunione

nel momento in cui tutti gli altri non hanno problemi.

Per cui non è che ha fallito, e questo è chiudo perché sto prendendo troppo tempo,

mi viene in mente un bellissimo libro che vi raccomando,

soprattutto a voi più giovani, se non l'avete già letto,

che è un dialogo tra una madre femminista e la figlia,

è Tramete, in cui Maddalena Vianello e la mamma,

che era Mariella Gramaglio, una donna della mia generazione,

che purtroppo è morta, discutono, in cui la figlia dice alla madre

ma come tu mi avevi promesso, mi avevi detto che mi avevi...

e invece nel frattempo è cambiato il mercato del lavoro,

quindi non basta più studiare per essere, per inserirsi agevolmente

nel mercato del lavoro e così via.

È un dialogo importante, è un bel dialogo tra due generazioni,

adesso sarà una trentenne, una mamma, 30, 40 anni,

una mamma della mia generazione, femminista, militante,

in cui a un certo punto Mariella risponde,

forse noi non abbiamo capito mentre stavamo facendo le nostre lotte

che intanto il mondo stava cambiando attorno a noi

e quindi che i problemi in parte non erano più gli stessi,

magari stavano cambiando forma, questo forse è un problema.

Quindi abbiamo rivisto un po' le stesse dinamiche che vediamo comunque

nella vita normale delle donne, forse a cui irsi in questa situazione

ma non è che si è cambiato poi più di tanto.

Ci sono più donne nel mercato del lavoro, per esempio più mamme

rispetto agli anni 70, quelli del femminismo, ci sono più donne istruite

e quindi anche più donne nel mercato del lavoro

anche con la presenza di figli piccoli, quindi questo sta diventando il dramma adesso

perché forse se ci fosse stata la pandemia negli anni 70

non sarebbe stato un problema così grosso per un numero così importante di donne

anche se purtroppo in Italia il tasso di occupazione femminile

è molto più basso che nella media europea.

Però ci sono molte mamme di figli minorenni che sono nel mercato del lavoro.

Verissimo e soprattutto sappiamo anche che sono quelle che hanno perso più lavoro

ricordavamo a dicembre hanno perso il lavoro su 101.000 persone

che hanno perso il lavoro e 99.000 erano donne.

Non tanto perché sono mamme, anche se lo stimo diventa più difficile,

ma perché sono prevalentemente occupate nei settori più colpiti dalle chiusure.

C'è anche un altro aspetto che è diventato più critico con il Covid

ed è la violenza domestica.

Cristiana tu ti sei occupata spesso nei tuoi articoli di violenza sulle donne,

oggi qual è il panorama e soprattutto qual è la consapevolezza

magari nelle generazioni più giovani?

Allora ancora oggi purtroppo la violenza sulle donne rappresenta

una delle più diffuse violazioni di diritti umani in tutto il mondo.

Avviene in qualsiasi paese indipendentemente dallo stato socio-economico

o dalla collocazione geografica.

È importante rivadire che la violenza sulle donne, che ha tante manifestazioni,

non è una sorta di destino inevitabile e quindi non dobbiamo rassegnarci

all'idea che non possa essere contrastata o prevenuta,

sia con interventi da parte dello Stato, sia con l'educazione

e l'azione della società intera.

Per dare delle stime all'Organizzazione Mondiale della Sanità

stima che nel mondo una donna su tre abbia subito

una violenza fisico-sessuale da parte di un uomo.

Si parla di stime perché quello della violenza sulle donne

è un fenomeno ancora in gran parte sommerso.

Questo è dovuto anche al fatto che molte delle violenze,

soprattutto nelle forme più gravi, sono commesse da uomini

che le donne conoscono bene.

Per esempio sono usciti recentemente i dati ISTAT

sugli omicidi in Italia nel 2019 che ci dicono che

oltre l'80% delle donne uccise sono state uccise da partner,

ex partner, familiari o conoscenti.

Questo dato però non va letto come risultato di relazioni

finite male come a volte vengono presentate anche dai media

perché la violenza maschile sulle donne non è un fatto

legato a dinamiche private ma è legato a dinamiche di genere.

Quindi è l'espressione estrema della non accettazione

da parte di alcuni uomini della libertà e dell'autonomia

della donna.

La pandemia, come accennavi, per molti versi ha peggiorato

la situazione.

Nel 2020 le Nazioni Unite stimavano almeno 15 milioni di casi

di violenza domestica in più in tutto il mondo

legate alle restrizioni dovute alla pandemia

perché chiaramente le limitazioni alla mobilità

ma anche la crisi economica della pandemia,

il distanziamento sociale sono tutti degli ostacoli

alla fuoriuscita della violenza.

In Italia durante il lockdown a marzo e aprile dello scorso anno

c'è stato un aumento di telefonate,

il numero verde antiviolenza, antistalking,

che è il 15,22 del 73% rispetto allo stesso periodo del 2019.

Ma in generale in tutto il mondo le misure di lockdown

hanno portato a un aumento delle richieste d'aiuto

come riporta anche UNWIME,

l'Agenzia delle Nazioni Unite a Sostegno delle Donne.

Spesso si parla di violenza sulle donne in termini di emergenza

e nella pandemia si è spesso parlato giustamente di emergenza,

ma sappiamo che la violenza sulle donne non è un fenomeno transitorio

ma è un problema strutturale che si alimenta

e alimenta la disuguaglianza di genere,

quindi affonda le sue radici che sono profondissime

nei ruoli e negli stereotipi di genere

a cui alcuni uomini rimangono ancorati

e da cui le donne cercano invece sempre più di emanciparsi.

Quindi contrastare la violenza sulle donne

significa anche combattere le sue radici culturali e sociali,

combattere le disclinazioni e gli stereotipi

che sono legati ai ruoli di genere e al sessismo

per creare una società più inclusiva e rispettosa

della dignità e della libertà della donna

con l'educazione e con la realizzazione autentica

delle pari opportunità sia nel privato che in pubblico.

Per quanto riguarda le nuove generazioni,

intendo quelle più giovani anche della mia,

soprattutto gli adolescenti,

ci sono dei sondaggi che ci dicono

che hanno maggiore consapevolezza rispetto al tema della violenza sulle donne,

questo sicuramente a frutto anche di diverse campagne di sensibilizzazione

che comunque negli ultimi anni sono stati fatti,

ma ancora tantissime ragazze per esempio subiscono molestie

e lo studio dell'OMS che citavo all'inizio

ci dice che nel mondo una donna su quattro

aveva già subito violenza da parte di un partner

prima dei 25 anni,

quindi è un problema che tocca veramente da vicino.

Anche più giovani, sì.

E tra gli adolescenti permangono anche qui i pregiudizi,

sia su cose come ad esempio affermarsi sul lavoro

o negli studi sia per esempio più importante per gli uomini rispetto alle donne,

sia sulla violenza,

questi dati che cito sono di un sondaggio di Save the Children

che è uscito lo scorso novembre

che riporta per esempio che il 21% degli adolescenti maschi italiani

crede che le vittime di violenza sessuale

possano contribuire a provocare la violenza

con il loro modo di vestire o di comportarsi.

Quindi chiaramente il lavoro da fare è ancora molto,

però sicuramente si vede anche un rinnovato slancio femminista

nei più giovani,

di un femminismo che sostiene per esempio un'idea più fluida del genere,

della sessualità,

che si rende conto anche di come la discriminazione di genere

si incroci con altri tipi di discriminazioni.

Quindi in realtà siamo in un momento abbastanza dinamico,

credo anche per le nuove generazioni.

Il lavoro è tanto, ma sono anche fiduciosa.

Certo, infatti dopo parleremo anche del futuro del femminismo

e con questo volevo rispondere anche a Cristina

che ci fa una domanda, ci chiede perché parlano solo donne.

In realtà non è stata proprio una scelta specifica,

ma volevamo parlare di diversi tipi di femminismo,

non volevamo mettere in discussione la questione di genere

ed è per questo che abbiamo scelto delle esperte in questi campi.

Non è stata una scelta specifica,

non volevamo assolutamente escludere gli uomini,

infatti ne parleremo poi più avanti.

Silvia, con te, appunto, tornando sul tema dei più giovani,

delle generazioni dei più giovani,

volevo un po' parlare di quello che viene erroneamente

e adesso vorrei che tu ci spiegassi anche perché

è chiamato Revenge Porn,

so che lo ripeti ormai in tutti i panel in cui vai,

però è sicuramente un tema importante.

Tu nel 2018 hai lanciato questa campagna

che si chiama Intimità Violata

per chiedere proprio l'approvazione di una legge in Italia

contro la condivisione consensuale di materiale intimo,

quello che appunto viene comunemente chiamato Revenge Porn,

ma non è il termine adatto.

Quali sono in generale oggi i rischi della violenza di genere online?

Sì, allora, tanto buonasera.

Sì, effettivamente, come dici,

partirei subito spiegando perché non dovremmo parlare di Revenge Porn,

così poi nella conversazione siamo tutti sullo stesso piano.

Revenge Porn è questa parola mediatica

che vuol dire porno vendetta,

dove si riferisce a quegli atti in cui

in una coppia o in una relazione

uno dei due alla fine pubblica per vendetta

materiale intimo su internet,

riguardante l'altro, senza alcun senso.

In realtà, nella maggior parte dei casi,

questo è stato anche l'analisi che io ho fatto,

la vendetta non è necessariamente una matrice di questa violenza

e soprattutto poi non si tratta nemmeno di pornografia

perché poi partiamo dal fatto che appunto il corpo femminile

una volta che viene visto online

o venga considerato necessariamente pornografico.

Quindi in realtà io preferisco parlare di condivisione non consensuale

di materiale intimo, questo giusto per fare un piccolo incipit.

In realtà, per parlare di questo, secondo me,

bisogna parlare poi di una violenza esistente

che è assolutamente in linea con la violenza

che descriveva poco fa Cristiano,

quindi una violenza di genere che esiste

e che attraverso internet si è ampliata,

si è rimpolpata e ha trovato dei luoghi nuovi in cui espandersi.

Purtroppo la violenza online contro le donne

è una violenza a tutti gli effetti reali

e una violenza anche in grandissima espansione

che anche in questo caso con la pandemia si è evoluta.

Ci tengo a dire questo perché poi quando parliamo di violenza e molestie online

spesso pensiamo appunto alla condivisione non consensuale

ma quella è solo la punta del live

perché poi possiamo partire da linguaggio d'odio,

insulti, di offese.

Queste poi vengono spesso riservate a donne che si espongono,

donne che parlano, politiche, giornaliste, accademiche

che ancora danno fastidio quando diventano visibili

e quando le loro voci ti fanno sentire.

Quindi assolutamente in linea con altri tipi di violenza,

poi la violenza di genere online

quello che cerca di fare è silenziare le donne,

zittirle, ridurle, rimetterle al loro posto

e esistono tantissimi tipi di violenza

con delle conseguenze molto reali,

dicevo poco fa, sulla vita delle donne.

Cioè andiamo da panico, ansia, depressione

fino ad arrivare poi nei casi più estremi pure al suicidio.

Pensiamo che il 51% delle vittime di condivisione non consensuale

di materiale intimo pensa al suicidio

come soluzione per uscire poi da questa enorme vergogna

che causa ancora l'essere stata vista in atteggiamenti di ultimi.

Quindi la violenza online vediamo che è una violenza

su tutti gli effetti culturali,

cioè una violenza che appunto si rinforza su stereotipi tabù,

specialmente quelli relativi appunto come diceva poco fa

anche al desiderio femminile, alla libertà sessuale femminile

che ancora viene criminalizzata,

ancora non viene accettata.

E poi cos'è il problema?

Il problema è che questo genere di violenza è molto subdola

perché si intreccia a un lato che è quello tecnico delle tecnologie

e che lo rende, rende questa violenza

non solo più pervasiva ma anche molto difficile da rimuovere

e anche molto semplice da commettere,

nel senso che inviare un commento o inviare una foto

o fare una molestia, insomma inviare una foto non richiesta

per esempio di un membro maschile

si considera tutti gli effetti una molestia oggi,

richiede poco sforzo e spesso poca responsabilità,

cioè è molto difficile ancora andare poi a provare i responsabili,

riuscire a fare le denunce,

questo poi nel caso della condivisione non consensuale è particolarmente vero.

Basta pensare, tutti già conosci già questo caso,

ma per chi non lo conosce è il caso di Telegram,

Telegram è questa piattaforma di messaggistica

che permette di creare dei gruppi di utenti

che arrivano fino alle 200.000 persone

e questa piattaforma viene utilizzata

da quella parte di internet che è stata soprannominata Manosphere,

quindi una parte di internet composta principalmente da uomini

che parlano di donne, parlano di femminismo

e parlano di donne con un tono molto misogeno

per poi creare dei gruppi tematici proprio per l'invio di queste foto,

in cui le donne poi vengono categorizzate, commentate, votate,

addirittura alcune volte scambiate anche attraverso scambi monetari,

quindi ridotte assolutamente a degli oggetti.

Queste persone sono molto difficili da trovare

e si nascondono dietro l'anonimato,

oltre al fatto che poi appunto una volta che del materiale diventa virale

è davvero, davvero difficile rimuoverlo da internet

ed è questo che poi porta molte donne a non farcela più.

Quindi qui io sono d'accordo nel dire che ovviamente

essendo un problema culturale la prima cosa da fare è

continuare a fare cultura, continuare a fare educazione,

forse cominciare a fare educazione anzi sessuale di genere,

però dall'altra parte credo che si tratti anche

di prendere delle decisioni politiche più forti,

cioè delle posizioni politiche che per esempio

riconoscano la responsabilità delle piattaforme digitali

su internet oggi come mediatrici di violenza,

perché se tutti i dati ci raccontano che le donne sono le prime vittime del web,

allora bisogna trovare anche una maniera di limitare questa violenza

e anche dei responsabili, a mio parere principalmente,

probabilmente i detentori di monopoli di piattaforme

che in questo momento se ne davano assolutamente le mani.

Un tema che continua a tornare in tutti questi discorsi

è quello degli stereotipi e anche del linguaggio

con cui vengono chiamate le donne,

i termini che ci vengono asfibbiati.

Le polemiche sono sempre difficili da gestire

perché c'è il buon senso ma c'è anche una battaglia,

una lotta che noi portiamo avanti per cercare di ottenere dei diritti.

Quindi volevo chiedere a Chiara, che è la senior tra di noi,

perché il linguaggio e gli stereotipi hanno un valore così reale,

così pratico, perché a volte è solo un modo di chiamarsi

o è solo una parola, in realtà non è solo una parola.

No, anche riallacciandomi a quello che diceva prima Silvia,

io ho fatto parte, qualche anno fa,

di una commissione sul linguaggio dell'odio

che era stata istituita dall'allora presidente della Camera Boldrini

e avevamo fatto una serie di audizioni

anche con responsabili dei piattaforme,

ed erano venute fuori delle cose.

Io che non sto sui social, dopo di allora ho deciso

che continuavo a non stare sui social

perché i dati che emergevano era che bastava

che si creasse un profilo femminile,

c'erano proprio state fatte delle ricerche,

che immediatamente, a parità di profilo,

se uno era femminile e l'altro maschile,

gli insulti che arrivavano al femminile erano notevolissimi,

erano molto molto di più,

per cui aggiungo a quello che è stato detto

che molte più donne escono dai social che gli uomini

proprio perché devono far fronte a una aggressività

molto maggiore che non gli uomini.

Ma tornando alla domanda,

sempre in questa commissione

avevamo arrivato a discutere di quello

che viene chiamato la piramide dell'odio

che anche a livello internazionale viene chiamata così,

di cui gli stereotipi sono appunto la base.

Sembrano, nel fondo, è anche un modo semplice

di categorizzare le cose, il mondo, le persone,

ma è anche un modo di irrigidirle

in una particolare caratteristica

nel nostro caso, quello di cui parliamo questa sera,

è l'appartenenza di sesso,

potrebbe essere il colore della pelle,

la religione, l'etnia e così via,

per cui una persona viene ridotta

a questa sua caratteristica

e viene totalmente depersonalizzata,

cioè non è quella storia lì,

quelle capacità lì, quei desideri,

quegli interessi, ma è una donna

piuttosto che un nero,

piuttosto che un'altra cosa,

e sulla base di questa caratteristica

le vengono attribuite capacità o incapacità,

opportunità o mancanze di opportunità

che vincolano assolutamente

la sua possibilità poi di muoversi nel mondo,

perché viene continuamente considerata ingabbiata,

così le aspettative che incontra

rispetto al suo poter fare o essere

sono vincolate da questa immagine stereotipica.

Per questo quando nasce un bambino

e si mette fuori un nastro rosa

piuttosto che un nastro blu,

non è un fatto marginale,

però è come se già venisse inserito

in un percorso di vita,

di opportunità e di vincoli

che sono determinati dal fatto

di nascere con quel sesso

piuttosto che con quell'altro.

E quindi hanno una forza reale,

sono semplificazioni molto forti della realtà

che diventano quasi dei destini cristallizzati

per le persone che devono sopportare

questi stereotipi.

Ma anche per fare degli esempi molto pratici,

nell'ultima indagine fatta dall'Istrat

proprio sugli stereotipi,

inclusi gli stereotipi di genere,

è uscito che il 50% delle donne

e una percentuale superiore di uomini

ritiene che gli uomini non siano adatti

per la cura dei bambini,

per cui se la pigliano tutte le donne,

non sono adatti, evidentemente

i bambini gli cascano dalle mani

se li prendono e se gli fanno il bagno,

non sono capaci, perché come uomini,

non lui, lei o perché non hanno imparato.

E viceversa, una buona percentuale,

adesso non ricordo esattamente quanto,

ritiene che in caso di necessità

il lavoro debba prima andare a un uomo.

Quindi sono stereotipi, perché questo?

Un uomo e una donna,

che è il motivo per cui ormai mi secco un po'

quando nel dibattito si dice

ci vuole una donna,

uno non dice ci vuole un uomo,

se organizza un convegno piuttosto che un governo,

non dice ci vuole un uomo,

ci vogliono quattro uomini,

dice ci vuole Chizio, Caio, Sempronio,

quello di quel partito.

La donna come cosa aggiuntiva,

ma come categoria generica,

non ci vuole una persona che sappia fare

questo e quello, a prescindere dal senso

cui appartiene.

Per cui questo funzionare per stereotipi,

ovviamente esistono anche stereotipi sugli uomini,

non solo sulle donne,

però gli stereotipi sugli uomini

sono in genere più articolati,

più ricchi, consentono più possibilità,

quelli per le donne sono più ristretti,

vale anche per la razza,

non vale per altre cose,

è il funzionamento degli stereotipi.

Per cui non dobbiamo sottovalutare

il potere degli stereotipi,

compresi quelli che abbiamo noi,

cioè il 50% di donne che ritiene

che i propri compagni non siano adatti

a fare lavoro di cura,

vuol dire che accettano una divisione del lavoro

e delle responsabilità

che è pesante per loro,

ma anche che depriva di possibilità

i loro compagni.

Assolutamente, siamo tutti coinvolti

in questo cambiamento.

Ne approfitto per dire che c'è Giorgio

che chiede cosa potremmo fare noi uomini concretamente,

ci arriviamo Giorgio,

dacci un attimo di tempo che adesso

arriviamo anche a rispondere

ad alcune delle vostre domande

che vedo nei commenti.

Questo perpetuare degli stereotipi

viene fatto anche,

purtroppo in maniera molto grave,

dai media cristiana,

ti sei occupata anche di studiare questo,

quindi volevo chiederti un po'

come si parla oggi delle donne

sui media.

Allora, intanto non se ne parla molto,

perché ci sono delle indagini,

per esempio il Global Media Monitoring Project

è un'indagine mondiale

sulla parità di genere nei media

che si fa ogni cinque anni,

e l'ultima edizione disponibile al momento

è quella del 2015,

e ci dice che le donne rappresentano

solo il 24% delle persone

che sentiamo, leggiamo o vediamo

sui giornali, nei notiziari TV e in radio.

Quindi la rappresentazione

che i media danno del mondo

è ancora fortemente maschile.

Ci sono degli ambiti

dove le donne sono particolarmente invisibili,

per esempio la politica e l'economia,

dove non raggiungono una presenza mediatica

che corrisponde a quella

che poi hanno nel mondo reale.

Sappiamo che non vengono spesso

interpellate come esperte,

quindi questo contribuisce a delegittimare

la competenza femminile.

Tra l'altro lo scorso ottobre

è uscito uno studio condotto

su delle testate britanniche, americane e australiane

del Global Institute for Women's Leadership

del King's College di Londra,

che ha mostrato che durante la pandemia

le donne sono state marginalizzate

ancora di più nell'informazione,

sia come esperte che come fonti

sono state citate ancora meno.

In generale poi vediamo che

nell'informazione c'è ancora

un'attenzione particolare all'aspetto esteriore

oppure al ruolo di madre

o al ruolo della famiglia

quando si parla di donne,

anche in storie in cui questi

non sono assolutamente rilevanti.

C'è quasi sempre la domanda

sul conciliare la vita domestica

e la vita lavorativa,

la vita privata e la vita pubblica,

cosa che non succede per esempio per gli uomini.

Abbiamo detto che le donne

sono piuttosto invisibili nelle news,

ma in realtà c'è una modalità

in cui compaiono molto più degli uomini

quando sono vittime o sopravvissute

di incidenti, di disastri naturali,

di conflitti, di violenza e di omicidi.

Quindi i media ripropongono

lo stereotipo della donna vittima,

della donna debole

e non danno una visione completa

nel mondo femminile in realtà.

Da una parte non possiamo accettare

che le donne appaiano soltanto

come vittime o sopravvissute

e dall'altra anche quando si parla

per esempio di violenza sulle donne

il lavoro da fare è ancora tanto.

I media si concentrano solitamente

sulle forme più estreme della violenza,

quindi per esempio il femminicidio o lo stupro.

La dentologia è stata aggiornata

per includere come raccontare

la violenza sulle donne,

quindi evitare gli stereotipi di genere,

la spettacolarizzazione della violenza,

non usare espressioni che sminuiscano

la gravità dei fatti commessi.

Eppure non sono scomparsi

gli articoli sui femminicidi

in cui si usano espressioni

che fanno riferimento al troppo amore

o comunque all'amore

quando in realtà sappiamo

che il femminicidio è una questione

di disparità di genere

oppure che fanno riferimenti

al raptus dell'assassino

tendendo a deresponsabilizzarlo,

quasi a giustificarlo.

Ricordo che per esempio

anche il professor Claudio Melcacci

che è past president

della società italiana di psichiatria

ha detto più volte

che questo raptus omicida

non esiste.

Gli articoli spesso danno spazio

alle false giustificazioni dell'assassino

quindi lei l'aveva lasciato,

lei voleva andarsi

dopo di cui aveva perso il lavoro

insinuando quasi

quell'idea che la donna

abbia una qualche colpa

per essere stata ammazzata.

A volte in realtà la donna scompare

dall'articolo

o compare soltanto

in relazione all'uomo

quindi è moglie di,

è fidanzata di,

è madre di

e non una persona con una vita

che le è stata tolta.

Quindi poi i casi di violenza

spesso vengono presentati

come casi isolati

invece andrebbero contestualizzati

magari con interviste a esperte

anche quando si parla di molestie

per esempio

spesso ci si concentra

sui casi singoli

si è dato anche spesso

spazio al pettegolezzo

o alle opinioni

che poi finiscono

per polarizzare il dibattito.

Cosa ne pensava il vicino?

Cosa ne pensava l'amica?

Il villaggio?

Eccetera.

Scusami se ti interrompo

ma ci stanno arrivando

una quantità di domande

incredibili

sono veramente contenta

perché vuol dire

che questo dibattito

è seguito

ed è appassionante.

Una cosa appunto

che volevo chiedere a te

ma in realtà a tutte

perché vedo che appunto

scusate dico il nome

Alice

chiedeva se avere delle categorie

in cui rispecchiarsi

è un passo fondamentale

quali sono gli step

per arrivare a questo tipo di percorso

per arrivare diciamo

io penso che intenda

una rappresentazione

come si può

che si riesca a uscire

un po' da questi stereotipi

chiedo sui media

perché ci sei tu?

Ma in realtà

ci vuole un impegno

autentico

da parte dei giornalisti

e delle giornaliste

perché ormai i corsi

le regole

sono a disposizione di tutti

ma ci vuole

ci vuole un cambiamento

culturale e sociale

anche all'interno del giornalismo

c'è un dato che mi viene

sempre in mente

quando si parla di informazioni

sulle donne

che è quello

di un'indagine realizzata

dalla commissione pari opportunità

della FNSI

che è la federazione nazionale stampa italiana

presentata nel 2019

secondo questa indagine

l'85% dei giornalisti

dichiara di aver subito

una qualche forma di molestia sul lavoro

quindi io mi domando

che informazione

può uscire

da un mondo dove

un problema come questo

sembra ancora così pervasivo

quindi nel senso

è necessario un lavoro

sul lavoro giornalistico

ma è necessario

un cambiamento più ampio

assolutamente

e secondo me

aggiungo

ci vogliono degli esempi

delle rappresentazioni

cioè degli esempi

che possono essere rappresentativi

per

tra virgolette

dare il buon esempio

l'esperta

il fatto di intervistare

le donne come persone

che hanno delle cariche importanti

che ricoprono

delle cariche importanti

che sono competenti

sicuramente aiuta

ma i media

diciamo non sono

l'unico

aspetto

ormai ci sono anche i social

Silvia

e quindi volevo chiedere a te

ormai ovviamente

tutti facciamo

uso

ampio uso dei social

credi che

in generale

abbiano dato più libertà

alle donne

di esprimersi

o di autorepresentarsi

o

in qualche modo

hanno portato

gli stereotipi all'estremo?

Beh allora dipende

nel senso che

da un certo punto di vista

sicuramente i social network

hanno permesso

al movimento femminista

e alle donne

di acquisire visibilità

di comunque anche creare

delle connessioni globali

che prima erano molto più complesse

da creare

basta pensare al movimento

Me Too

e a movimenti del genere

che hanno poi sfruttato

ampiamente

la rete per

per conoscersi

per evolversi

però bisogna sempre partire

dal presupposto

come

come dicevo anche prima

poi che internet

non è assolutamente

un luogo neutrale

quindi a noi viene da pensare

appunto a internet

e alle tecnologie

come delle formule matematiche

che assolutamente

sono lontanissime

dagli stereotipi

dai tabù

dai pregiudizi

ma in verità

come appunto

nel caso della violenza

internet e i social network

non fanno altro che

appunto essere sempre in linea

con disuguaglianze sociali existenti

e di fatto

oggi internet è una gerarchia

cioè ci sono questi

grossissimi monopoli

e non tutti

hanno la stessa possibilità

di emergere

anzi questo sta diventando

sempre più evidente

nel momento in cui

la piattaforma

poi va sempre più

verso il profitto

gli algoritmi

per esempio

quelli di facebook

quello di instagram

stanno cambiando

velocissimamente

proprio per fare in modo

che poi chi

sia più premiato

in visibilità

sia chi ad esempio

passa per dei gatekeepers

tipo i brand

influencer

oppure i media

più tradizionali

diciamo persone

o gatekeepers

che già

possiedono una certa visibilità

quindi l'algoritmo

partiamo sempre dal presupposto

che per noi

è un luogo

che è un luogo

che è sempre

il presupposto

che poi non premi

necessariamente il contenuto

o il valore del contenuto

ma crea

poi cerca di premiare

appunto o il profitto

o comunque il dato

che crea più profitto

quindi quello che ti permette

di restare più tempo

nella piattaforma

in questo caso

per esempio anche la di renta

non è un caso

che poi si espandano

perché crea

più attenzione

e quindi più soldi

per le piattaforme

detto questo

è chiaro che appunto

non essendo neutrali

le piattaforme

rispecchiano poi

un pensiero dominante

quindi gli algoritmi

non sono

quindi gli algoritmi

sono basati

su delle policies

e queste policies

sono create

da esseri umani

e questi esseri umani

hanno dei bias

hanno delle visioni del mondo

hanno degli interessi

e per esempio

per la domanda

che vi facevi

alcuni studi

hanno proprio mostrato

come l'algoritmo

per esempio

tenda a premiare

dei corpi

che si basano

sul modello

Victoria's Secret

esistono proprio

delle guidelines

per esempio

per i brand di costumi

che parlano

ovviamente solo

di corpi femminili

proprio

danno delle guidelines

sulle pose

da seguire

sul tipo di corpo

da avere

per cui

appunto

esiste di fatto

poi una premiazione

del corpo

diciamo tradizionale

stereotipato

femminile

e questa

introiezione

poi di uno sguardo

maschile

alla fine

viene

viene

viene

fatta anche

dalle stesse donne

poi

vediamo molto spesso

anche le donne

molto giovani

che si cercano

di rappresentare

in quel modo

anche in forme

che non sono necessariamente

naturali

però

effettivamente

poi funziona

dal punto di vista

del social network

cioè quella foto

ha più visibilità

e quindi

cioè viene favorita

questa rappresentazione

più tradizionale

piuttosto che premiare

per esempio

la rappresentazione

di corpi

non conformi

o

corpi politici

che

che anzi

non solo

non vengono

non vengono premiati

ma molto spesso

dall'algoritmo

vengono addirittura

censurati

e basta pensare

a corpi

appunto

grassi

o

attivitì queer

anche in realtà

non solo il corpo

ma anche il discorso

tutto ciò che riguarda

la sessualità

la sex positivity

il lavoro sessuale

automaticamente

o dal moderatore

viene rimosta

nelle piattaforme

perciò

diciamo

che per il momento

io temo

che siamo ancora

al punto in cui

in verità

i social network

e le piattaforme

stanno riproducendo

una serie di

linkazioni

e di

stereotipi

che ancora colpiscono le donne

forse

quando arriveremo

a non avere più il tabù

cambierà qualcosa

assolutamente

credo che

in qualche modo

rispecchino un po'

quello che già

sono gli stereotipi

di cui parlavamo prima

ma

non so

se ne sai

ma qui

ci sono tante persone

che chiedono

come fare

a educare

i più giovani

confermiamo

il fatto che

Telegram non è

ancora lì

non è che

succedono le stesse cose

su Telegram

che succedeva

addirittura

ci sono più gruppi

quindi

non è minimamente risolto

non è cambiato niente

come si può fare

in qualche modo

a cercare di

dare

un'indicazione

ai più giovani

visto che ti occupi

proprio di social

beh

sai che

io nel mio piccolo

ci provo

io ho un collettivo

che tu conosci

che si chiama

Vergine Martire

e noi

quello che cerchiamo di fare

è proprio andare nelle scuole

a parlare di

non solo

educazione sessuale

educazione socio emotiva

di genere

ma anche educazione digitale

quindi fare proprio

educazione civica

relativa al digitale

per

imparare insieme

delle regole

che magari avevamo già

prestabilito offline

ma che online

sono magicamente

scomparse

no

tipo

insultare qualcuno

cioè per strada

su una direttiva

qualcuno gli dice

gratta

cecciona no

perché ti arriva

un manrovescio

però su internet

lo si fa

ma magari appunto

portando

a un livello

della conversazione

un pochino più alto

anche per ciò che riguarda

appunto la parità di genere

eccetera

si arriverà magari

a una maggiore

consapevolezza

poi di questi mezzi

infatti

questo

diciamo è

in qualche modo

è stata anche la

la lotta no

del femminismo

in generale

parlare della questione

di genere

parlare delle difficoltà

delle donne

e delle discriminazioni

delle donne

chiara

c'è qualcosa

che critichi tu

primo

movimento femminista

e l'altra mia domanda è

diamo per scontato

non riconosciamo

le conquiste fatte

fino ad oggi

io sto a Torino

e nella strada

davanti a casa mia

è pieno di cartelli

in cui

c'è un'organizzazione

femminista

che non conoscevo

e in cartelli

dice se puoi votare

ricorda

il voto

e se non puoi votare

non importa

non importa

non importa

non importa

non importa

non importa

non importa

se puoi votare

ringrazia una femminista

se puoi fare carriera

ringrazia una femminista

se puoi decidere

se avere o non avere un figlio

ringrazia una femminista

quindi

questo va sempre ricordato

assolutamente

ricordato

e se non fossimo qui

e tutti noi

sulla

come dire

sempre

sulla frontiera

molti diritti

potrebbero anche

tornare indietro

cioè non sono

un'opzione

ma

è una

possibilità

e

è una

possibilità

e

è una

possibilità

e

questo

strumento

sarebbe una cosa

grandiosa

e non si sarebbe

sprecatto

anche un po'

di tempo

assolutamente

infatti

sicuramente

diciamo

la dad

ma anche il fatto

che ragazzi

sono sempre

più spesso da soli

peggiora

questo tipo

di

situazioni

ma la peggiora

anche perché

non gli si da

uno strumento

ma è una

possibilità

e

questo

è un

strumento

che

è

un'azione

di

apprendimento

diverso

assolutamente

in effetti

oggi

diciamo

c'è un

tentativo

no di

dare delle

informazioni

più giovani

a volte

diciamo che

manca forse

una cultura

digitale

in Italia

come come

la

città

di

Italia

e

quindi

è

un

tentativo

di dare

le informazioni

più giovani

a

persone

più

giovani

e

quindi

è

un

tentativo

di dare

le informazioni

più giovani

a persone

più

giovani

e

quindi

è

un

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di dare

le informazioni

più

giovani

a

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più

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e

quindi

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giovani

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FEMMINISMO FEMINISMUS FEMINISM FEMINISMO FEMINISME ФЕМИНИЗМ 女权主义

Eccoci qui e benvenuti a tutti al quarto incontro di Interregno,

che è uno spazio di confronto intergenerazionale in cui cerchiamo di guardare le differenze e i punti in comune

tra diverse generazioni, con uno sguardo sul passato, presente e anche sul futuro.

Stasera parliamo di femminismo e questioni di genere, grazie a Editori La Terza che ha creato questo spazio

e grazie alle nostre ospiti di questa sera, che sono Chiara Saraceno, sociologa, filosofa e accademica,

Cristiana Videi, che è una giornalista freelance, e Silvia Semenzin, anche lei sociologa.

Sappiamo ormai che molte battaglie per i diritti delle donne sono state vinte

e molti sono i diritti che abbiamo acquisito nel tempo.

Ma non dobbiamo dimenticarci che ci sono anche dei diritti che abbiamo acquisito molto recentemente,

quando si parla per esempio del delitto d'onore, del matrimonio riparatore,

per esempio sono stati abiliti soltanto nell'81, quindi l'altro ieri,

e lo stesso stupro, era un reato contro la morale e non contro la persona fino al 1996,

quindi noi eravamo nate ma da poco.

Oggi questi diritti forse li diamo un po' per scontati,

quindi è interessante parlare di come ci siano delle differenze proprio generazionali su questi diritti.

L'altro giorno stavo ascoltando Margarethe Westager, la vice presidente della Commissione Europea,

che diceva in un'intervista rilasciata proprio l'8 marzo,

di essere una grande fan delle quote rosa,

proprio perché nel tempo ci sono state quote informali per gli uomini,

ma parliamo appunto negli ultimi secoli.

Il nostro governo ancora oggi è composto principalmente da uomini,

in Italia la situazione dirigenziale è ancora gravissima,

c'è solo un dirigente su dieci è donna,

e le donne guadagnano ancora un quinto in meno al mese rispetto agli uomini,

quindi ci sono ancora moltissime differenze tra uomo e donna.

C'è anche un grandissimo problema di rappresentazione, ma non solo.

Oggi siamo, ne parlavamo poco fa, per l'ennesima volta ancora tutti in zona rossa,

ma durante la pandemia, come appunto spesso accade,

le donne si sono trovate a svolgere due lavori,

quello di cura dei figli, della casa, della famiglia, e l'attività professionale.

Abbiamo deciso tutti di darci del tu, quindi do del tu anche alla professoressa,

chiara, rispetto alle politiche sul welfare e sulla famiglia.

Il femminismo è un po' fallito?

In realtà è un po' più complicato di così, perché a parte la situazione eccezionale di oggi,

devo dire che se noi guardiamo all'indietro il tempo lungo,

se noi pensiamo che dopo il fascismo abbiamo dovuto aspettare moltissimi anni

per la riforma del diritto di famiglia, ed è avvenuta proprio anche

perché c'è stato il movimento delle donne nel 75,

cioè la parità uomo-donna in famiglia è avvenuta tardissimo

e solo sulla spinta del movimento.

Quindi moltissime delle riforme che ci sono state nel campo del diritto di famiglia

sono dovute ai cambiamenti femminili, alle cose.

Quindi questo non va sottovalutato, così come non va sottovalutato il fatto che molte leggi,

noi oggi non abbiamo tanto bisogno di altre leggi,

che sono quasi tutte state fatte quelle che garantiscono formalmente la parità.

Il problema è nella pratica, nella cultura, nella divisione del lavoro in famiglia e così via.

Certamente il welfare è il punto debole, di nuovo negli anni 90

c'è stata una grande accelerazione, se penso ai congedi di maternità e parentale ancora nel 2000,

gli asili nido e così via.

Poi ci si è un po' fermati e forse anche senza dire del tutto

che c'è stata una responsabilità del movimento delle donne,

perché naturalmente non è solo loro responsabilità,

anche perché non avevano il potere, c'è questo piccolo particolare,

che le donne non hanno ancora conquistato il potere.

Tuttavia forse c'è stato un momento in cui il movimento femminista si è un po' ripiegato

anche su temi importanti, la differenza, la cultura femminile e così via,

e ha perso forse un po' di vista la crucialità per la vita quotidiana delle donne

di un sistema di servizio, di infrastrutture sociali,

di cui oggi stiamo parlando anche rispetto al PNR,

per poter vivere con maggiore agio.

Questa pandemia è un po' la cartina di Tornasole,

perché il doppio lavoro, ahimè, le donne lo fanno anche in condizioni di normalità.

Il problema del doppio lavoro, come sta avvenendo un anno fa,

e siamo di nuovo adesso, è che avviene in contemporanea, non più in sequenza.

24 ore su 24 si deve essere contemporaneamente sulla scena del lavoro,

sulla scena della prestazione lavorativa e di quella familiare.

Siamo al punto, e io sono veramente sconcertata,

che la ministra della famiglia delle pari opportunità è riuscita a teorizzare

che se una lavora a distanza può anche occuparsi dei bambini,

cioè che non c'è problema, quindi non occorre la babysitter, eccetera.

Come se fosse, come dire, possibile lavorare,

pensate, noi che stiamo parlando, avessi qui un bambino che mi dice

non mi funziona il computer, non vedo la maestra in DAD,

e tutte queste cose qui.

C'è un'idea della conciliazione in cui basta essere a casa e si può fare tutto.

Nella mia generazione si rappresentava questo,

chi era bravo a disegnare, con la figura della donna giocogliera.

Siamo ancora qui, anzi, e la DAD all'estremo,

dove bisogna fare contemporaneamente sette cose,

ed essere anche brave sul lavoro, perché poi dopo ti riproverano

se tu sei distratta, non sei disponibile per la riunione

nel momento in cui tutti gli altri non hanno problemi.

Per cui non è che ha fallito, e questo è chiudo perché sto prendendo troppo tempo,

mi viene in mente un bellissimo libro che vi raccomando,

soprattutto a voi più giovani, se non l'avete già letto,

che è un dialogo tra una madre femminista e la figlia,

è Tramete, in cui Maddalena Vianello e la mamma,

che era Mariella Gramaglio, una donna della mia generazione,

che purtroppo è morta, discutono, in cui la figlia dice alla madre

ma come tu mi avevi promesso, mi avevi detto che mi avevi...

e invece nel frattempo è cambiato il mercato del lavoro,

quindi non basta più studiare per essere, per inserirsi agevolmente

nel mercato del lavoro e così via.

È un dialogo importante, è un bel dialogo tra due generazioni,

adesso sarà una trentenne, una mamma, 30, 40 anni,

una mamma della mia generazione, femminista, militante,

in cui a un certo punto Mariella risponde,

forse noi non abbiamo capito mentre stavamo facendo le nostre lotte

che intanto il mondo stava cambiando attorno a noi

e quindi che i problemi in parte non erano più gli stessi,

magari stavano cambiando forma, questo forse è un problema.

Quindi abbiamo rivisto un po' le stesse dinamiche che vediamo comunque

nella vita normale delle donne, forse a cui irsi in questa situazione

ma non è che si è cambiato poi più di tanto.

Ci sono più donne nel mercato del lavoro, per esempio più mamme

rispetto agli anni 70, quelli del femminismo, ci sono più donne istruite

e quindi anche più donne nel mercato del lavoro

anche con la presenza di figli piccoli, quindi questo sta diventando il dramma adesso

perché forse se ci fosse stata la pandemia negli anni 70

non sarebbe stato un problema così grosso per un numero così importante di donne

anche se purtroppo in Italia il tasso di occupazione femminile

è molto più basso che nella media europea.

Però ci sono molte mamme di figli minorenni che sono nel mercato del lavoro.

Verissimo e soprattutto sappiamo anche che sono quelle che hanno perso più lavoro

ricordavamo a dicembre hanno perso il lavoro su 101.000 persone

che hanno perso il lavoro e 99.000 erano donne.

Non tanto perché sono mamme, anche se lo stimo diventa più difficile,

ma perché sono prevalentemente occupate nei settori più colpiti dalle chiusure.

C'è anche un altro aspetto che è diventato più critico con il Covid

ed è la violenza domestica.

Cristiana tu ti sei occupata spesso nei tuoi articoli di violenza sulle donne,

oggi qual è il panorama e soprattutto qual è la consapevolezza

magari nelle generazioni più giovani?

Allora ancora oggi purtroppo la violenza sulle donne rappresenta

una delle più diffuse violazioni di diritti umani in tutto il mondo.

Avviene in qualsiasi paese indipendentemente dallo stato socio-economico

o dalla collocazione geografica.

È importante rivadire che la violenza sulle donne, che ha tante manifestazioni,

non è una sorta di destino inevitabile e quindi non dobbiamo rassegnarci

all'idea che non possa essere contrastata o prevenuta,

sia con interventi da parte dello Stato, sia con l'educazione

e l'azione della società intera.

Per dare delle stime all'Organizzazione Mondiale della Sanità

stima che nel mondo una donna su tre abbia subito

una violenza fisico-sessuale da parte di un uomo.

Si parla di stime perché quello della violenza sulle donne

è un fenomeno ancora in gran parte sommerso.

Questo è dovuto anche al fatto che molte delle violenze,

soprattutto nelle forme più gravi, sono commesse da uomini

che le donne conoscono bene.

Per esempio sono usciti recentemente i dati ISTAT

sugli omicidi in Italia nel 2019 che ci dicono che

oltre l'80% delle donne uccise sono state uccise da partner,

ex partner, familiari o conoscenti.

Questo dato però non va letto come risultato di relazioni

finite male come a volte vengono presentate anche dai media

perché la violenza maschile sulle donne non è un fatto

legato a dinamiche private ma è legato a dinamiche di genere.

Quindi è l'espressione estrema della non accettazione

da parte di alcuni uomini della libertà e dell'autonomia

della donna.

La pandemia, come accennavi, per molti versi ha peggiorato

la situazione.

Nel 2020 le Nazioni Unite stimavano almeno 15 milioni di casi

di violenza domestica in più in tutto il mondo

legate alle restrizioni dovute alla pandemia

perché chiaramente le limitazioni alla mobilità

ma anche la crisi economica della pandemia,

il distanziamento sociale sono tutti degli ostacoli

alla fuoriuscita della violenza.

In Italia durante il lockdown a marzo e aprile dello scorso anno

c'è stato un aumento di telefonate,

il numero verde antiviolenza, antistalking,

che è il 15,22 del 73% rispetto allo stesso periodo del 2019.

Ma in generale in tutto il mondo le misure di lockdown

hanno portato a un aumento delle richieste d'aiuto

come riporta anche UNWIME,

l'Agenzia delle Nazioni Unite a Sostegno delle Donne.

Spesso si parla di violenza sulle donne in termini di emergenza

e nella pandemia si è spesso parlato giustamente di emergenza,

ma sappiamo che la violenza sulle donne non è un fenomeno transitorio

ma è un problema strutturale che si alimenta

e alimenta la disuguaglianza di genere,

quindi affonda le sue radici che sono profondissime

nei ruoli e negli stereotipi di genere

a cui alcuni uomini rimangono ancorati

e da cui le donne cercano invece sempre più di emanciparsi.

Quindi contrastare la violenza sulle donne

significa anche combattere le sue radici culturali e sociali,

combattere le disclinazioni e gli stereotipi

che sono legati ai ruoli di genere e al sessismo

per creare una società più inclusiva e rispettosa

della dignità e della libertà della donna

con l'educazione e con la realizzazione autentica

delle pari opportunità sia nel privato che in pubblico.

Per quanto riguarda le nuove generazioni,

intendo quelle più giovani anche della mia,

soprattutto gli adolescenti,

ci sono dei sondaggi che ci dicono

che hanno maggiore consapevolezza rispetto al tema della violenza sulle donne,

questo sicuramente a frutto anche di diverse campagne di sensibilizzazione

che comunque negli ultimi anni sono stati fatti,

ma ancora tantissime ragazze per esempio subiscono molestie

e lo studio dell'OMS che citavo all'inizio

ci dice che nel mondo una donna su quattro

aveva già subito violenza da parte di un partner

prima dei 25 anni,

quindi è un problema che tocca veramente da vicino.

Anche più giovani, sì.

E tra gli adolescenti permangono anche qui i pregiudizi,

sia su cose come ad esempio affermarsi sul lavoro

o negli studi sia per esempio più importante per gli uomini rispetto alle donne,

sia sulla violenza,

questi dati che cito sono di un sondaggio di Save the Children

che è uscito lo scorso novembre

che riporta per esempio che il 21% degli adolescenti maschi italiani

crede che le vittime di violenza sessuale

possano contribuire a provocare la violenza

con il loro modo di vestire o di comportarsi.

Quindi chiaramente il lavoro da fare è ancora molto,

però sicuramente si vede anche un rinnovato slancio femminista

nei più giovani,

di un femminismo che sostiene per esempio un'idea più fluida del genere,

della sessualità,

che si rende conto anche di come la discriminazione di genere

si incroci con altri tipi di discriminazioni.

Quindi in realtà siamo in un momento abbastanza dinamico,

credo anche per le nuove generazioni.

Il lavoro è tanto, ma sono anche fiduciosa.

Certo, infatti dopo parleremo anche del futuro del femminismo

e con questo volevo rispondere anche a Cristina

che ci fa una domanda, ci chiede perché parlano solo donne.

In realtà non è stata proprio una scelta specifica,

ma volevamo parlare di diversi tipi di femminismo,

non volevamo mettere in discussione la questione di genere

ed è per questo che abbiamo scelto delle esperte in questi campi.

Non è stata una scelta specifica,

non volevamo assolutamente escludere gli uomini,

infatti ne parleremo poi più avanti.

Silvia, con te, appunto, tornando sul tema dei più giovani,

delle generazioni dei più giovani,

volevo un po' parlare di quello che viene erroneamente

e adesso vorrei che tu ci spiegassi anche perché

è chiamato Revenge Porn,

so che lo ripeti ormai in tutti i panel in cui vai,

però è sicuramente un tema importante.

Tu nel 2018 hai lanciato questa campagna

che si chiama Intimità Violata

per chiedere proprio l'approvazione di una legge in Italia

contro la condivisione consensuale di materiale intimo,

quello che appunto viene comunemente chiamato Revenge Porn,

ma non è il termine adatto.

Quali sono in generale oggi i rischi della violenza di genere online?

Sì, allora, tanto buonasera.

Sì, effettivamente, come dici,

partirei subito spiegando perché non dovremmo parlare di Revenge Porn,

così poi nella conversazione siamo tutti sullo stesso piano.

Revenge Porn è questa parola mediatica

che vuol dire porno vendetta,

dove si riferisce a quegli atti in cui

in una coppia o in una relazione

uno dei due alla fine pubblica per vendetta

materiale intimo su internet,

riguardante l'altro, senza alcun senso.

In realtà, nella maggior parte dei casi,

questo è stato anche l'analisi che io ho fatto,

la vendetta non è necessariamente una matrice di questa violenza

e soprattutto poi non si tratta nemmeno di pornografia

perché poi partiamo dal fatto che appunto il corpo femminile

una volta che viene visto online

o venga considerato necessariamente pornografico.

Quindi in realtà io preferisco parlare di condivisione non consensuale

di materiale intimo, questo giusto per fare un piccolo incipit.

In realtà, per parlare di questo, secondo me,

bisogna parlare poi di una violenza esistente

che è assolutamente in linea con la violenza

che descriveva poco fa Cristiano,

quindi una violenza di genere che esiste

e che attraverso internet si è ampliata,

si è rimpolpata e ha trovato dei luoghi nuovi in cui espandersi.

Purtroppo la violenza online contro le donne

è una violenza a tutti gli effetti reali

e una violenza anche in grandissima espansione

che anche in questo caso con la pandemia si è evoluta.

Ci tengo a dire questo perché poi quando parliamo di violenza e molestie online

spesso pensiamo appunto alla condivisione non consensuale

ma quella è solo la punta del live

perché poi possiamo partire da linguaggio d'odio,

insulti, di offese.

Queste poi vengono spesso riservate a donne che si espongono,

donne che parlano, politiche, giornaliste, accademiche

che ancora danno fastidio quando diventano visibili

e quando le loro voci ti fanno sentire.

Quindi assolutamente in linea con altri tipi di violenza,

poi la violenza di genere online

quello che cerca di fare è silenziare le donne,

zittirle, ridurle, rimetterle al loro posto

e esistono tantissimi tipi di violenza

con delle conseguenze molto reali,

dicevo poco fa, sulla vita delle donne.

Cioè andiamo da panico, ansia, depressione

fino ad arrivare poi nei casi più estremi pure al suicidio.

Pensiamo che il 51% delle vittime di condivisione non consensuale

di materiale intimo pensa al suicidio

come soluzione per uscire poi da questa enorme vergogna

che causa ancora l'essere stata vista in atteggiamenti di ultimi.

Quindi la violenza online vediamo che è una violenza

su tutti gli effetti culturali,

cioè una violenza che appunto si rinforza su stereotipi tabù,

specialmente quelli relativi appunto come diceva poco fa

anche al desiderio femminile, alla libertà sessuale femminile

che ancora viene criminalizzata,

ancora non viene accettata.

E poi cos'è il problema?

Il problema è che questo genere di violenza è molto subdola

perché si intreccia a un lato che è quello tecnico delle tecnologie

e che lo rende, rende questa violenza

non solo più pervasiva ma anche molto difficile da rimuovere

e anche molto semplice da commettere,

nel senso che inviare un commento o inviare una foto

o fare una molestia, insomma inviare una foto non richiesta

per esempio di un membro maschile

si considera tutti gli effetti una molestia oggi,

richiede poco sforzo e spesso poca responsabilità,

cioè è molto difficile ancora andare poi a provare i responsabili,

riuscire a fare le denunce,

questo poi nel caso della condivisione non consensuale è particolarmente vero.

Basta pensare, tutti già conosci già questo caso,

ma per chi non lo conosce è il caso di Telegram,

Telegram è questa piattaforma di messaggistica

che permette di creare dei gruppi di utenti

che arrivano fino alle 200.000 persone

e questa piattaforma viene utilizzata

da quella parte di internet che è stata soprannominata Manosphere,

quindi una parte di internet composta principalmente da uomini

che parlano di donne, parlano di femminismo

e parlano di donne con un tono molto misogeno

per poi creare dei gruppi tematici proprio per l'invio di queste foto,

in cui le donne poi vengono categorizzate, commentate, votate,

addirittura alcune volte scambiate anche attraverso scambi monetari,

quindi ridotte assolutamente a degli oggetti.

Queste persone sono molto difficili da trovare

e si nascondono dietro l'anonimato,

oltre al fatto che poi appunto una volta che del materiale diventa virale

è davvero, davvero difficile rimuoverlo da internet

ed è questo che poi porta molte donne a non farcela più.

Quindi qui io sono d'accordo nel dire che ovviamente

essendo un problema culturale la prima cosa da fare è

continuare a fare cultura, continuare a fare educazione,

forse cominciare a fare educazione anzi sessuale di genere,

però dall'altra parte credo che si tratti anche

di prendere delle decisioni politiche più forti,

cioè delle posizioni politiche che per esempio

riconoscano la responsabilità delle piattaforme digitali

su internet oggi come mediatrici di violenza,

perché se tutti i dati ci raccontano che le donne sono le prime vittime del web,

allora bisogna trovare anche una maniera di limitare questa violenza

e anche dei responsabili, a mio parere principalmente,

probabilmente i detentori di monopoli di piattaforme

che in questo momento se ne davano assolutamente le mani.

Un tema che continua a tornare in tutti questi discorsi

è quello degli stereotipi e anche del linguaggio

con cui vengono chiamate le donne,

i termini che ci vengono asfibbiati.

Le polemiche sono sempre difficili da gestire

perché c'è il buon senso ma c'è anche una battaglia,

una lotta che noi portiamo avanti per cercare di ottenere dei diritti.

Quindi volevo chiedere a Chiara, che è la senior tra di noi,

perché il linguaggio e gli stereotipi hanno un valore così reale,

così pratico, perché a volte è solo un modo di chiamarsi

o è solo una parola, in realtà non è solo una parola.

No, anche riallacciandomi a quello che diceva prima Silvia,

io ho fatto parte, qualche anno fa,

di una commissione sul linguaggio dell'odio

che era stata istituita dall'allora presidente della Camera Boldrini

e avevamo fatto una serie di audizioni

anche con responsabili dei piattaforme,

ed erano venute fuori delle cose.

Io che non sto sui social, dopo di allora ho deciso

che continuavo a non stare sui social

perché i dati che emergevano era che bastava

che si creasse un profilo femminile,

c'erano proprio state fatte delle ricerche,

che immediatamente, a parità di profilo,

se uno era femminile e l'altro maschile,

gli insulti che arrivavano al femminile erano notevolissimi,

erano molto molto di più,

per cui aggiungo a quello che è stato detto

che molte più donne escono dai social che gli uomini

proprio perché devono far fronte a una aggressività

molto maggiore che non gli uomini.

Ma tornando alla domanda,

sempre in questa commissione

avevamo arrivato a discutere di quello

che viene chiamato la piramide dell'odio

che anche a livello internazionale viene chiamata così,

di cui gli stereotipi sono appunto la base.

Sembrano, nel fondo, è anche un modo semplice

di categorizzare le cose, il mondo, le persone,

ma è anche un modo di irrigidirle

in una particolare caratteristica

nel nostro caso, quello di cui parliamo questa sera,

è l'appartenenza di sesso,

potrebbe essere il colore della pelle,

la religione, l'etnia e così via,

per cui una persona viene ridotta

a questa sua caratteristica

e viene totalmente depersonalizzata,

cioè non è quella storia lì,

quelle capacità lì, quei desideri,

quegli interessi, ma è una donna

piuttosto che un nero,

piuttosto che un'altra cosa,

e sulla base di questa caratteristica

le vengono attribuite capacità o incapacità,

opportunità o mancanze di opportunità

che vincolano assolutamente

la sua possibilità poi di muoversi nel mondo,

perché viene continuamente considerata ingabbiata,

così le aspettative che incontra

rispetto al suo poter fare o essere

sono vincolate da questa immagine stereotipica.

Per questo quando nasce un bambino

e si mette fuori un nastro rosa

piuttosto che un nastro blu,

non è un fatto marginale,

però è come se già venisse inserito

in un percorso di vita,

di opportunità e di vincoli

che sono determinati dal fatto

di nascere con quel sesso

piuttosto che con quell'altro.

E quindi hanno una forza reale,

sono semplificazioni molto forti della realtà

che diventano quasi dei destini cristallizzati

per le persone che devono sopportare

questi stereotipi.

Ma anche per fare degli esempi molto pratici,

nell'ultima indagine fatta dall'Istrat

proprio sugli stereotipi,

inclusi gli stereotipi di genere,

è uscito che il 50% delle donne

e una percentuale superiore di uomini

ritiene che gli uomini non siano adatti

per la cura dei bambini,

per cui se la pigliano tutte le donne,

non sono adatti, evidentemente

i bambini gli cascano dalle mani

se li prendono e se gli fanno il bagno,

non sono capaci, perché come uomini,

non lui, lei o perché non hanno imparato.

E viceversa, una buona percentuale,

adesso non ricordo esattamente quanto,

ritiene che in caso di necessità

il lavoro debba prima andare a un uomo.

Quindi sono stereotipi, perché questo?

Un uomo e una donna,

che è il motivo per cui ormai mi secco un po'

quando nel dibattito si dice

ci vuole una donna,

uno non dice ci vuole un uomo,

se organizza un convegno piuttosto che un governo,

non dice ci vuole un uomo,

ci vogliono quattro uomini,

dice ci vuole Chizio, Caio, Sempronio,

quello di quel partito.

La donna come cosa aggiuntiva,

ma come categoria generica,

non ci vuole una persona che sappia fare

questo e quello, a prescindere dal senso

cui appartiene.

Per cui questo funzionare per stereotipi,

ovviamente esistono anche stereotipi sugli uomini,

non solo sulle donne,

però gli stereotipi sugli uomini

sono in genere più articolati,

più ricchi, consentono più possibilità,

quelli per le donne sono più ristretti,

vale anche per la razza,

non vale per altre cose,

è il funzionamento degli stereotipi.

Per cui non dobbiamo sottovalutare

il potere degli stereotipi,

compresi quelli che abbiamo noi,

cioè il 50% di donne che ritiene

che i propri compagni non siano adatti

a fare lavoro di cura,

vuol dire che accettano una divisione del lavoro

e delle responsabilità

che è pesante per loro,

ma anche che depriva di possibilità

i loro compagni.

Assolutamente, siamo tutti coinvolti

in questo cambiamento.

Ne approfitto per dire che c'è Giorgio

che chiede cosa potremmo fare noi uomini concretamente,

ci arriviamo Giorgio,

dacci un attimo di tempo che adesso

arriviamo anche a rispondere

ad alcune delle vostre domande

che vedo nei commenti.

Questo perpetuare degli stereotipi

viene fatto anche,

purtroppo in maniera molto grave,

dai media cristiana,

ti sei occupata anche di studiare questo,

quindi volevo chiederti un po'

come si parla oggi delle donne

sui media.

Allora, intanto non se ne parla molto,

perché ci sono delle indagini,

per esempio il Global Media Monitoring Project

è un'indagine mondiale

sulla parità di genere nei media

che si fa ogni cinque anni,

e l'ultima edizione disponibile al momento

è quella del 2015,

e ci dice che le donne rappresentano

solo il 24% delle persone

che sentiamo, leggiamo o vediamo

sui giornali, nei notiziari TV e in radio.

Quindi la rappresentazione

che i media danno del mondo

è ancora fortemente maschile.

Ci sono degli ambiti

dove le donne sono particolarmente invisibili,

per esempio la politica e l'economia,

dove non raggiungono una presenza mediatica

che corrisponde a quella

che poi hanno nel mondo reale.

Sappiamo che non vengono spesso

interpellate come esperte,

quindi questo contribuisce a delegittimare

la competenza femminile.

Tra l'altro lo scorso ottobre

è uscito uno studio condotto

su delle testate britanniche, americane e australiane

del Global Institute for Women's Leadership

del King's College di Londra,

che ha mostrato che durante la pandemia

le donne sono state marginalizzate

ancora di più nell'informazione,

sia come esperte che come fonti

sono state citate ancora meno.

In generale poi vediamo che

nell'informazione c'è ancora

un'attenzione particolare all'aspetto esteriore

oppure al ruolo di madre

o al ruolo della famiglia

quando si parla di donne,

anche in storie in cui questi

non sono assolutamente rilevanti.

C'è quasi sempre la domanda

sul conciliare la vita domestica

e la vita lavorativa,

la vita privata e la vita pubblica,

cosa che non succede per esempio per gli uomini.

Abbiamo detto che le donne

sono piuttosto invisibili nelle news,

ma in realtà c'è una modalità

in cui compaiono molto più degli uomini

quando sono vittime o sopravvissute

di incidenti, di disastri naturali,

di conflitti, di violenza e di omicidi.

Quindi i media ripropongono

lo stereotipo della donna vittima,

della donna debole

e non danno una visione completa

nel mondo femminile in realtà.

Da una parte non possiamo accettare

che le donne appaiano soltanto

come vittime o sopravvissute

e dall'altra anche quando si parla

per esempio di violenza sulle donne

il lavoro da fare è ancora tanto.

I media si concentrano solitamente

sulle forme più estreme della violenza,

quindi per esempio il femminicidio o lo stupro.

La dentologia è stata aggiornata

per includere come raccontare

la violenza sulle donne,

quindi evitare gli stereotipi di genere,

la spettacolarizzazione della violenza,

non usare espressioni che sminuiscano

la gravità dei fatti commessi.

Eppure non sono scomparsi

gli articoli sui femminicidi

in cui si usano espressioni

che fanno riferimento al troppo amore

o comunque all'amore

quando in realtà sappiamo

che il femminicidio è una questione

di disparità di genere

oppure che fanno riferimenti

al raptus dell'assassino

tendendo a deresponsabilizzarlo,

quasi a giustificarlo.

Ricordo che per esempio

anche il professor Claudio Melcacci

che è past president

della società italiana di psichiatria

ha detto più volte

che questo raptus omicida

non esiste.

Gli articoli spesso danno spazio

alle false giustificazioni dell'assassino

quindi lei l'aveva lasciato,

lei voleva andarsi

dopo di cui aveva perso il lavoro

insinuando quasi

quell'idea che la donna

abbia una qualche colpa

per essere stata ammazzata.

A volte in realtà la donna scompare

dall'articolo

o compare soltanto

in relazione all'uomo

quindi è moglie di,

è fidanzata di,

è madre di

e non una persona con una vita

che le è stata tolta.

Quindi poi i casi di violenza

spesso vengono presentati

come casi isolati

invece andrebbero contestualizzati

magari con interviste a esperte

anche quando si parla di molestie

per esempio

spesso ci si concentra

sui casi singoli

si è dato anche spesso

spazio al pettegolezzo

o alle opinioni

che poi finiscono

per polarizzare il dibattito.

Cosa ne pensava il vicino?

Cosa ne pensava l'amica?

Il villaggio?

Eccetera.

Scusami se ti interrompo

ma ci stanno arrivando

una quantità di domande

incredibili

sono veramente contenta

perché vuol dire

che questo dibattito

è seguito

ed è appassionante.

Una cosa appunto

che volevo chiedere a te

ma in realtà a tutte

perché vedo che appunto

scusate dico il nome

Alice

chiedeva se avere delle categorie

in cui rispecchiarsi

è un passo fondamentale

quali sono gli step

per arrivare a questo tipo di percorso

per arrivare diciamo

io penso che intenda

una rappresentazione

come si può

che si riesca a uscire

un po' da questi stereotipi

chiedo sui media

perché ci sei tu?

Ma in realtà

ci vuole un impegno

autentico

da parte dei giornalisti

e delle giornaliste

perché ormai i corsi

le regole

sono a disposizione di tutti

ma ci vuole

ci vuole un cambiamento

culturale e sociale

anche all'interno del giornalismo

c'è un dato che mi viene

sempre in mente

quando si parla di informazioni

sulle donne

che è quello

di un'indagine realizzata

dalla commissione pari opportunità

della FNSI

che è la federazione nazionale stampa italiana

presentata nel 2019

secondo questa indagine

l'85% dei giornalisti

dichiara di aver subito

una qualche forma di molestia sul lavoro

quindi io mi domando

che informazione

può uscire

da un mondo dove

un problema come questo

sembra ancora così pervasivo

quindi nel senso

è necessario un lavoro

sul lavoro giornalistico

ma è necessario

un cambiamento più ampio

assolutamente

e secondo me

aggiungo

ci vogliono degli esempi

delle rappresentazioni

cioè degli esempi

che possono essere rappresentativi

per

tra virgolette

dare il buon esempio

l'esperta

il fatto di intervistare

le donne come persone

che hanno delle cariche importanti

che ricoprono

delle cariche importanti

che sono competenti

sicuramente aiuta

ma i media

diciamo non sono

l'unico

aspetto

ormai ci sono anche i social

Silvia

e quindi volevo chiedere a te

ormai ovviamente

tutti facciamo

uso

ampio uso dei social

credi che

in generale

abbiano dato più libertà

alle donne

di esprimersi

o di autorepresentarsi

o

in qualche modo

hanno portato

gli stereotipi all'estremo?

Beh allora dipende

nel senso che

da un certo punto di vista

sicuramente i social network

hanno permesso

al movimento femminista

e alle donne

di acquisire visibilità

di comunque anche creare

delle connessioni globali

che prima erano molto più complesse

da creare

basta pensare al movimento

Me Too

e a movimenti del genere

che hanno poi sfruttato

ampiamente

la rete per

per conoscersi

per evolversi

però bisogna sempre partire

dal presupposto

come

come dicevo anche prima

poi che internet

non è assolutamente

un luogo neutrale

quindi a noi viene da pensare

appunto a internet

e alle tecnologie

come delle formule matematiche

che assolutamente

sono lontanissime

dagli stereotipi

dai tabù

dai pregiudizi

ma in verità

come appunto

nel caso della violenza

internet e i social network

non fanno altro che

appunto essere sempre in linea

con disuguaglianze sociali existenti

e di fatto

oggi internet è una gerarchia

cioè ci sono questi

grossissimi monopoli

e non tutti

hanno la stessa possibilità

di emergere

anzi questo sta diventando

sempre più evidente

nel momento in cui

la piattaforma

poi va sempre più

verso il profitto

gli algoritmi

per esempio

quelli di facebook

quello di instagram

stanno cambiando

velocissimamente

proprio per fare in modo

che poi chi

sia più premiato

in visibilità

sia chi ad esempio

passa per dei gatekeepers

tipo i brand

influencer

oppure i media

più tradizionali

diciamo persone

o gatekeepers

che già

possiedono una certa visibilità

quindi l'algoritmo

partiamo sempre dal presupposto

che per noi

è un luogo

che è un luogo

che è sempre

il presupposto

che poi non premi

necessariamente il contenuto

o il valore del contenuto

ma crea

poi cerca di premiare

appunto o il profitto

o comunque il dato

che crea più profitto

quindi quello che ti permette

di restare più tempo

nella piattaforma

in questo caso

per esempio anche la di renta

non è un caso

che poi si espandano

perché crea

più attenzione

e quindi più soldi

per le piattaforme

detto questo

è chiaro che appunto

non essendo neutrali

le piattaforme

rispecchiano poi

un pensiero dominante

quindi gli algoritmi

non sono

quindi gli algoritmi

sono basati

su delle policies

e queste policies

sono create

da esseri umani

e questi esseri umani

hanno dei bias

hanno delle visioni del mondo

hanno degli interessi

e per esempio

per la domanda

che vi facevi

alcuni studi

hanno proprio mostrato

come l'algoritmo

per esempio

tenda a premiare

dei corpi

che si basano

sul modello

Victoria's Secret

esistono proprio

delle guidelines

per esempio

per i brand di costumi

che parlano

ovviamente solo

di corpi femminili

proprio

danno delle guidelines

sulle pose

da seguire

sul tipo di corpo

da avere

per cui

appunto

esiste di fatto

poi una premiazione

del corpo

diciamo tradizionale

stereotipato

femminile

e questa

introiezione

poi di uno sguardo

maschile

alla fine

viene

viene

viene

fatta anche

dalle stesse donne

poi

vediamo molto spesso

anche le donne

molto giovani

che si cercano

di rappresentare

in quel modo

anche in forme

che non sono necessariamente

naturali

però

effettivamente

poi funziona

dal punto di vista

del social network

cioè quella foto

ha più visibilità

e quindi

cioè viene favorita

questa rappresentazione

più tradizionale

piuttosto che premiare

per esempio

la rappresentazione

di corpi

non conformi

o

corpi politici

che

che anzi

non solo

non vengono

non vengono premiati

ma molto spesso

dall'algoritmo

vengono addirittura

censurati

e basta pensare

a corpi

appunto

grassi

o

attivitì queer

anche in realtà

non solo il corpo

ma anche il discorso

tutto ciò che riguarda

la sessualità

la sex positivity

il lavoro sessuale

automaticamente

o dal moderatore

viene rimosta

nelle piattaforme

perciò

diciamo

che per il momento

io temo

che siamo ancora

al punto in cui

in verità

i social network

e le piattaforme

stanno riproducendo

una serie di

linkazioni

e di

stereotipi

che ancora colpiscono le donne

forse

quando arriveremo

a non avere più il tabù

cambierà qualcosa

assolutamente

credo che

in qualche modo

rispecchino un po'

quello che già

sono gli stereotipi

di cui parlavamo prima

ma

non so

se ne sai

ma qui

ci sono tante persone

che chiedono

come fare

a educare

i più giovani

confermiamo

il fatto che

Telegram non è

ancora lì

non è che

succedono le stesse cose

su Telegram

che succedeva

addirittura

ci sono più gruppi

quindi

non è minimamente risolto

non è cambiato niente

come si può fare

in qualche modo

a cercare di

dare

un'indicazione

ai più giovani

visto che ti occupi

proprio di social

beh

sai che

io nel mio piccolo

ci provo

io ho un collettivo

che tu conosci

che si chiama

Vergine Martire

e noi

quello che cerchiamo di fare

è proprio andare nelle scuole

a parlare di

non solo

educazione sessuale

educazione socio emotiva

di genere

ma anche educazione digitale

quindi fare proprio

educazione civica

relativa al digitale

per

imparare insieme

delle regole

che magari avevamo già

prestabilito offline

ma che online

sono magicamente

scomparse

no

tipo

insultare qualcuno

cioè per strada

su una direttiva

qualcuno gli dice

gratta

cecciona no

perché ti arriva

un manrovescio

però su internet

lo si fa

ma magari appunto

portando

a un livello

della conversazione

un pochino più alto

anche per ciò che riguarda

appunto la parità di genere

eccetera

si arriverà magari

a una maggiore

consapevolezza

poi di questi mezzi

infatti

questo

diciamo è

in qualche modo

è stata anche la

la lotta no

del femminismo

in generale

parlare della questione

di genere

parlare delle difficoltà

delle donne

e delle discriminazioni

delle donne

chiara

c'è qualcosa

che critichi tu

primo

movimento femminista

e l'altra mia domanda è

diamo per scontato

non riconosciamo

le conquiste fatte

fino ad oggi

io sto a Torino

e nella strada

davanti a casa mia

è pieno di cartelli

in cui

c'è un'organizzazione

femminista

che non conoscevo

e in cartelli

dice se puoi votare

ricorda

il voto

e se non puoi votare

non importa

non importa

non importa

non importa

non importa

non importa

non importa

se puoi votare

ringrazia una femminista

se puoi fare carriera

ringrazia una femminista

se puoi decidere

se avere o non avere un figlio

ringrazia una femminista

quindi

questo va sempre ricordato

assolutamente

ricordato

e se non fossimo qui

e tutti noi

sulla

come dire

sempre

sulla frontiera

molti diritti

potrebbero anche

tornare indietro

cioè non sono

un'opzione

ma

è una

possibilità

e

è una

possibilità

e

è una

possibilità

e

questo

strumento

sarebbe una cosa

grandiosa

e non si sarebbe

sprecatto

anche un po'

di tempo

assolutamente

infatti

sicuramente

diciamo

la dad

ma anche il fatto

che ragazzi

sono sempre

più spesso da soli

peggiora

questo tipo

di

situazioni

ma la peggiora

anche perché

non gli si da

uno strumento

ma è una

possibilità

e

questo

è un

strumento

che

è

un'azione

di

apprendimento

diverso

assolutamente

in effetti

oggi

diciamo

c'è un

tentativo

no di

dare delle

informazioni

più giovani

a volte

diciamo che

manca forse

una cultura

digitale

in Italia

come come

la

città

di

Italia

e

quindi

è

un

tentativo

di dare

le informazioni

più giovani

a

persone

più

giovani

e

quindi

è

un

tentativo

di dare

le informazioni

più giovani

a persone

più

giovani

e

quindi

è

un

tentativo

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le informazioni

più

giovani

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persone

più

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e

quindi

è

un

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e

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giovani

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