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Cristo si è fermato a Eboli - Carlo Levi, PREFAZIONE DI JEAN-PAUL SARTRE

PREFAZIONE DI JEAN-PAUL SARTRE

«L'universale singolare. Quando si incontra Carlo Levi, a Mosca, a New York, a Parigi, si è subito colpiti da una strana contraddizione: egli, dovunque si trovi, rimane il più romano dei romani, così che si crederebbe non abbia neppure lasciato Roma, o che se la sia portata dietro - simile, in questo, alla maggioranza degli italiani -, ma nello stesso momento - è qui che ne differisce - sembra ritrovarsi dappertutto come a casa propria. Non per arroganza, certamente, o per spavalderia, ma per una sorta di naturale adattamento della sua personalissima vita alla vita quotidiana delle masse: sovietiche, indiane o francesi che siano. All'origine di una tale sensibilità, così acuita da consentirgli di regolare il suo passo su quello degli uomini che lo circondano, di sentirsi completamente a suo agio in una strada straniera - .più, forse, che nel proprio appartamento -, c'è la passione di vivere. Ma bisognerebbe dire, piuttosto, la passione della vita; poiché la sua singolare esistenza non può realizzarsi che attraverso una specie di amorosa curiosità per tutte le forme umane del vissuto. Certo, è un uomo di cultura, un uomo di sapere, questa sua curiosità si appoggia sempre alla conoscenza; ma per tendere a qualcosa che è al di là o al di qua del sapere, per tendere al fondamentale, cioè all'esperienza concreta e inizialmente incomunicabile di ogni situazione. Egli conosce assai bene la storia dell'Urss e le strutture della società socialista, ma ciò che tenta di captare, per mezzo di non so quali antenne, è il modo con cui un intellettuale o un operaio di Mosca vive la sua condizione di cittadino sovietico. Tutto gli torna ,utile per riuscirvi, ma, innanzi tutto, i minimi incidenti che, nella loro concreta opacità, si succedono inavvertiti sotto gli occhi della maggior parte di noi. Per questa ragione gli sentiamo continuamente narrare cose che altri chiamerebbero aneddoti. Si tratta, a volte, di un particolare, di un gesto intraveduto, di una semplice apparizione. (Alle tre del mattino, delle belle, eleganti, giovani donne, a bordo di una macchina sport, giravano intorno alla deserta Piazza del Popolo, tre in piedi, la quarta al volante, urlando, con risate chiassose, osceni insulti al sesso maschile).

Ma ogni volta, dietro l'irriducibile singolarità del fatto raccontato, si può intravedere tutto un mondo - il nostro mondo - in quanto si esprime e si realizza nella qualità fuggitiva di una presenza subito dileguata. Darò a tutto questo il nome di senso, in contrapposizione ai significati. Il senso, ovvero l'incarnarsi del tutto in ciascuna parte, ecco ciò che conferisce ai discorsi di Carlo Levi un fascino inimitabile. Che quest'uomo così eccezionale vi racconti con la sua voce, le sue intonazioni, la sua fisionomia, il suo malizioso distacco - suoi e irrepetibili - un'effimera avventura da lui vista nascere e morire in un istante, è una singolarità selezionata da un'altra singolarità. E intanto Roma è là tutta intera, inafferrabile, opaca e presente: vissuta nella sua indecomponibile totalità.

Discernere "natura" e "cultura", però, non è possibile: i propositi dello scrittore non si distinguono da quelli dell'uomo. Essere se stesso, per Levi, significa ridurre l'universale al singolare. Scrivere è comunicare questo incomunicabile: l'universalità singolare. Con ciò, bisogna intendere che egli, come narratore, si è collocato nel medesimo nodo di contraddizioni che la sua vita rivela, e che Merleau-Ponty descriveva in questi termini: "I nostri corpi sono presi nel tessuto del mondo, ma il mondo è fatto; della stoffa del mio corpo". L'alto valore di tutte le sue opere si fonda su di un duplice rifiuto: egli respinge contemporaneamente l'oggettività di maniera e la pura soggettività. Non c'è uno solo dei suoi libri che nel rappresentare un'avventura della sua vita non racconti il mondo; non uno, al tempo stesso, che non permetta di afferrare, attraverso il mondo oggettivo, la singolarità dell'autore: Cristo si é fermato a Eboli, L'Orologio, sono i momenti di un'autobiografia che non può svolgersi altrimenti che ricostruendo la storia della società italiana, dal fascismo ai primi anni del dopoguerra. Carlo Levi - qui è il centro della sua arte - non dipinge un quadro d'insieme di codesta società per poi, subito dopo, inserirvisi; non procede verso l'universale astratto. Nella sua opera il moto di universalizzazione è tutt'uno con l'approfondimento del concreto. Dai suoi inizi ci ha posto, sempre, contemporaneamente su due piani: quello della Storia e quello delle sue storie, specchiartisi l'uno nell'altro. Mi sia consentito affermare, in questa occasione, il mio totale consenso a un'arte dello scrivere così concepita. lo credo che, attualmente, non possiamo tentare nient' altro che collocare i nostri lettori in questa doppia prospettiva: di una vita che si singolarizza, avida di gustare il sapore di tutte le altre vite, e di una universalità strutturata del vissuto che si totalizza soltanto nelle vite particolari. Occorre, per questo, molta arte e molta semplicità, molta malizia e una sorta d'innocenza. Coraggio, anche: il coraggio di rifiutare tutti i realismi in nome della realtà. Sono queste le qualità che ammiro particolarmente in Levi. Egli, con applicazione costante, sa farci vivere, nei suoi scritti come nella sua conversazione, al di là dei significati, il senso ambiguo della nostra epoca. Ma il segreto della sua opera risiede in un fondamentale atteggiamento cui, mancandomi altre parole, darò il nome di bontà. I buoni libri, è chiaro, non si fanno con i buoni sentimenti, ma non parlo di questo. Si tratta di una disposizione originale: si direbbe che la vita l'abbia scelto per amarsi in lui e attraverso lui, in tutte le sue forme. Quella curiosità di cui poco fa ho parlato, e che ha fatto di lui lo scrittore di cui non possiamo mai dimenticarci, e nata dalla passione di vivere, che lo induce a cogliere come un valore, in se stesso e negli altri, ogni esperienza vissuta. In Levi tutto si accorda, tutto si tiene. Medico dapprima, poi scrittore e artista per una sola identica ragione: l'immenso rispetto per la vita. E questo stesso rispetto è all'origine del suo impegno politico, così come alla sorgente della sua arte. JEAN-PAUL SARTRE Ibid, pp. 259-60. [Traduzione di Aldo Marcovecchio].


PREFAZIONE DI JEAN-PAUL SARTRE

«L'universale singolare. Quando si incontra Carlo Levi, a Mosca, a New York, a Parigi, si è subito colpiti da una strana contraddizione: egli, dovunque si trovi, rimane il più romano dei romani, così che si crederebbe non abbia neppure lasciato Roma, o che se la sia portata dietro - simile, in questo, alla maggioranza degli italiani -, ma nello stesso momento - è qui che ne differisce - sembra ritrovarsi dappertutto come a casa propria. When one meets Carlo Levi, in Moscow, in New York, in Paris, one is immediately struck by a strange contradiction: he, wherever he is, remains the most Roman of Romans, so that one would believe he has not even left Rome, or that he has taken it with him - similar, in this, to the majority of Italians -, but at the same time - this is where he differs - he seems to find himself everywhere as at home. Non per arroganza, certamente, o per spavalderia, ma per una sorta di naturale adattamento della sua personalissima vita alla vita quotidiana delle masse: sovietiche, indiane o francesi che siano. All'origine di una tale sensibilità, così acuita da consentirgli di regolare il suo passo su quello degli uomini che lo circondano, di sentirsi completamente a suo agio in una strada straniera - .più, forse, che nel proprio appartamento -, c'è la passione di vivere. Ma bisognerebbe dire, piuttosto, la passione della vita; poiché la sua singolare esistenza non può realizzarsi che attraverso una specie di amorosa curiosità per tutte le forme umane del vissuto. Certo, è un uomo di cultura, un uomo di sapere, questa sua curiosità si appoggia sempre alla conoscenza; ma per tendere a qualcosa che è al di là o al di qua del sapere, per tendere al fondamentale, cioè all'esperienza concreta e inizialmente incomunicabile di ogni situazione. Egli conosce assai bene la storia dell'Urss e le strutture della società socialista, ma ciò che tenta di captare, per mezzo di non so quali antenne, è il modo con cui un intellettuale o un operaio di Mosca vive la sua condizione di cittadino sovietico. Tutto gli torna ,utile per riuscirvi, ma, innanzi tutto, i minimi incidenti che, nella loro concreta opacità, si succedono inavvertiti sotto gli occhi della maggior parte di noi. Per questa ragione gli sentiamo continuamente narrare cose che altri chiamerebbero aneddoti. For this reason we constantly hear him tell things that others would call anecdotes. Si tratta, a volte, di un particolare, di un gesto intraveduto, di una semplice apparizione. (Alle tre del mattino, delle belle, eleganti, giovani donne, a bordo di una macchina sport, giravano intorno alla deserta Piazza del Popolo, tre in piedi, la quarta al volante, urlando, con risate chiassose, osceni insulti al sesso maschile). (At three o'clock in the morning, beautiful, elegant, young women in a sports car drove around the deserted Piazza del Popolo, three standing, the fourth at the wheel, shouting, with boisterous laughter, obscene insults to the male sex.)

Ma ogni volta, dietro l'irriducibile singolarità del fatto raccontato, si può intravedere tutto un mondo - il nostro mondo - in quanto si esprime e si realizza nella qualità fuggitiva di una presenza subito dileguata. Darò a tutto questo il nome di senso, in contrapposizione ai significati. Il senso, ovvero l'incarnarsi del tutto in ciascuna parte, ecco ciò che conferisce ai discorsi di Carlo Levi un fascino inimitabile. Che quest'uomo così eccezionale vi racconti con la sua voce, le sue intonazioni, la sua fisionomia, il suo malizioso distacco - suoi e irrepetibili - un'effimera avventura da lui vista nascere e morire in un istante, è una singolarità selezionata da un'altra singolarità. E intanto Roma è là tutta intera, inafferrabile, opaca e presente: vissuta nella sua indecomponibile totalità.

Discernere "natura" e "cultura", però, non è possibile: i propositi dello scrittore non si distinguono da quelli dell'uomo. Essere se stesso, per Levi, significa ridurre l'universale al singolare. Scrivere è comunicare questo incomunicabile: l'universalità singolare. Con ciò, bisogna intendere che egli, come narratore, si è collocato nel medesimo nodo di contraddizioni che la sua vita rivela, e che Merleau-Ponty descriveva in questi termini: "I nostri corpi sono presi nel tessuto del mondo, ma il mondo è fatto; della stoffa del mio corpo". L'alto valore di tutte le sue opere si fonda su di un duplice rifiuto: egli respinge contemporaneamente l'oggettività di maniera e la pura soggettività. Non c'è uno solo dei suoi libri che nel rappresentare un'avventura della sua vita non racconti il mondo; non uno, al tempo stesso, che non permetta di afferrare, attraverso il mondo oggettivo, la singolarità dell'autore: Cristo si é fermato a Eboli, L'Orologio, sono i momenti di un'autobiografia che non può svolgersi altrimenti che ricostruendo la storia della società italiana, dal fascismo ai primi anni del dopoguerra. Carlo Levi - qui è il centro della sua arte - non dipinge un quadro d'insieme di codesta società per poi, subito dopo, inserirvisi; non procede verso l'universale astratto. Nella sua opera il moto di universalizzazione è tutt'uno con l'approfondimento del concreto. Dai suoi inizi ci ha posto, sempre, contemporaneamente su due piani: quello della Storia e quello delle sue storie, specchiartisi l'uno nell'altro. Mi sia consentito affermare, in questa occasione, il mio totale consenso a un'arte dello scrivere così concepita. lo credo che, attualmente, non possiamo tentare nient' altro che collocare i nostri lettori in questa doppia prospettiva: di una vita che si singolarizza, avida di gustare il sapore di tutte le altre vite, e di una universalità strutturata del vissuto che si totalizza soltanto nelle vite particolari. Occorre, per questo, molta arte e molta semplicità, molta malizia e una sorta d'innocenza. Coraggio, anche: il coraggio di rifiutare tutti i realismi in nome della realtà. Sono queste le qualità che ammiro particolarmente in Levi. Egli, con applicazione costante, sa farci vivere, nei suoi scritti come nella sua conversazione, al di là dei significati, il senso ambiguo della nostra epoca. Ma il segreto della sua opera risiede in un fondamentale atteggiamento cui, mancandomi altre parole, darò il nome di bontà. I buoni libri, è chiaro, non si fanno con i buoni sentimenti, ma non parlo di questo. Si tratta di una disposizione originale: si direbbe che la vita l'abbia scelto per amarsi in lui e attraverso lui, in tutte le sue forme. Quella curiosità di cui poco fa ho parlato, e che ha fatto di lui lo scrittore di cui non possiamo mai dimenticarci, e nata dalla passione di vivere, che lo induce a cogliere come un valore, in se stesso e negli altri, ogni esperienza vissuta. In Levi tutto si accorda, tutto si tiene. Medico dapprima, poi scrittore e artista per una sola identica ragione: l'immenso rispetto per la vita. E questo stesso rispetto è all'origine del suo impegno politico, così come alla sorgente della sua arte. JEAN-PAUL SARTRE Ibid, pp. 259-60. [Traduzione di Aldo Marcovecchio].