×

Utilizziamo i cookies per contribuire a migliorare LingQ. Visitando il sito, acconsenti alla nostra politica dei cookie.


image

Cristo si è fermato a Eboli - Carlo Levi, Assonanze - Ragghianti

Assonanze - Ragghianti

«Cristo si é fermato a Eboli è forse l'ultima nel tempo, e radicale smentita all'opinione vulgata quanto grossolana che l'arte si spieghi con la storia, con ogni storia aliena, e che non abbia essa potere d'iniziativa e di trasformazione della storia, anche civile e sociale. Quando è arte, s'intende, e non contingente letteratura, come accompagnamento o come sostituto.

Subito dopo la comparsa a stampa del libro, nel 1945, Eugenio Montale coglieva nelle sue fibre, nell'evocazione e contemplazione di un tempo lontano e quasi immobile, e di un'umanità arresa, irredimibile e senza attesa, piegata dal sole induttile tra i sassi e le crete dell'aspro cuore della Lucania, il messaggio più scotente; e il saggio finale sulla civiltà contadina, sul problema meridionale e sulle autonomie, sostrato intellettuale e morale della narrazione, gli appariva come un naturale spostamento di fuoco da parte di una personalità complessa e coerente di "Faust modernissimo". Ebbi il privilegio di leggere Cristo si é fermato, a Eboli in manoscritto, sullo scorcio del 1944, poco dopo il compimento del libro nel rifugio clandestino e la liberazione di Firenze in cui fummo compagni. E appuntai note ora introvabili sul passo di una prosa che si staccava singolarmente dalle esperienze letterarie europee ed italiane (numerose anche allora e spesso intercambiabili) verificatesi tra il '20 e il '40 e collegate a diverse notorie "poetiche", tranquillamente ignorate invece, e di tanto piú in quanto conosciute e valutate; e inventava un suo ritmo che poteva naturalmente, con serena autorità subito impositiva, includere diario e novella, lirismo e introspezione, spettacolo ed empito sentimentale, immagine e tensione morale, in un flusso che dall'inizio alla fine scorreva come un torrente, con la stessa acqua capace di moltiplicarsi in movenze e forme infinite. L'orchestra, il registro di questa prosa che ha dato un unicum alla letteratura italiana non provenivano, com'era ed è tanto solito, da una "coscienza di letterato", non avevano taccia di professionismo o di obbligate relazioni con un mondo a suo modo chiuso o "speciale" anch'esso, ne erano anzi in un certo senso un'antitesi». «In una [...1 situazione difficile e contrastata scoppiò nel '45 la bomba del Cristo si é fermato a Eboli. Era aperta la Consulta, e sarà perché quell'organo pur mediatamente rappresentativo era formato per un'aliquota importante da uomini di cultura sebbene della specie combattente, ma posso attestare che per un pezzo a Montecitorio non si parlò d'altro che del libro di Levi, o più che altro del libro di Levi: argomento, si badi, anche agli effetti politici più vivo e produttivo di altri apparentemente più intrinseci. Penso, senza ironia, che sarebbe del resto un bel segno d'avanzamento una discussione parlamentare fondata sul messaggio umano di un libro di poesia o di un'opera d'arte: un soffio depurante spoglierebbe sino a una nudità vergognosa quanto meno truismi e convenzioni giuridiche quali buon costume, pubblica morale, pubblica sicurezza e tanti altri, inducendo, magari con l'ausilio dell'ironia o del ridicolo, a progredire sulla via delle libertà di coscienza e di persona; senza contare gli effetti di proporzione e di giusta prospettiva che potrebbe portare l'avvertimento che nella vita delle società la dilatata amministrazione materiale ed economica è assai meno determinante - e lo si vede nelle crisi - dei fattori agenti di qualità morale e intellettuale, e la persuasione che l'educazione e la cultura si promuovono rispettando il loro autonomo corso che contiene il controllo critico, e non assoggettandole o impastoiandole con gli autoritarismi sopravviventi delle filosofie, estetiche e pedagogiche ministeriali e burocratiche.

Quel che avvenne nella Consulta avvenne nelle classi politiche e nel paese: il libro fu letto avidamente non solo, ma, anche se non inteso a pieno nella sua sostanza poetica, fece passare dall'impulso vitale di questa nelle coscienze l'assillo di un problema che dai termini ideologici, politici, economici, giuridici e statistici accessibili a pochi, si concretava in situazioni e in figure indimenticabili e irrecusabili; gli occhi immobili e in difesa delle plebi del Mezzogiorno seguivano accusatori o semplicemente presenti per ogni dove, e il loro muto fissare bastava per non scampare al dovere di coscienza di un riscatto e di una redenzione, che i più veggenti indicavano e provavano anche come la via maestra per la rinascita e lo sviluppo dell'intero paese».

Da L'umanesimo e l'arte di Carlo Levi di Carlo Ludovico Ragghianti, in «Galleria», n. 3-6, Roma 1967.

* © 1945, 1963 e 1990 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino


Assonanze - Ragghianti Assonances - Ragghianti

«Cristo si é fermato a Eboli è forse l’ultima nel tempo, e radicale smentita all’opinione vulgata quanto grossolana che l’arte si spieghi con la storia, con ogni storia aliena, e che non abbia essa potere d’iniziativa e di trasformazione della storia, anche civile e sociale. Quando è arte, s’intende, e non contingente letteratura, come accompagnamento o come sostituto.

Subito dopo la comparsa a stampa del libro, nel 1945, Eugenio Montale coglieva nelle sue fibre, nell’evocazione e contemplazione di un tempo lontano e quasi immobile, e di un’umanità arresa, irredimibile e senza attesa, piegata dal sole induttile tra i sassi e le crete dell’aspro cuore della Lucania, il messaggio più scotente; e il saggio finale sulla civiltà contadina, sul problema meridionale e sulle autonomie, sostrato intellettuale e morale della narrazione, gli appariva come un naturale spostamento di fuoco da parte di una personalità complessa e coerente di "Faust modernissimo". Ebbi il privilegio di leggere Cristo si é fermato, a Eboli in manoscritto, sullo scorcio del 1944, poco dopo il compimento del libro nel rifugio clandestino e la liberazione di Firenze in cui fummo compagni. E appuntai note ora introvabili sul passo di una prosa che si staccava singolarmente dalle esperienze letterarie europee ed italiane (numerose anche allora e spesso intercambiabili) verificatesi tra il '20 e il '40 e collegate a diverse notorie "poetiche", tranquillamente ignorate invece, e di tanto piú in quanto conosciute e valutate; e inventava un suo ritmo che poteva naturalmente, con serena autorità subito impositiva, includere diario e novella, lirismo e introspezione, spettacolo ed empito sentimentale, immagine e tensione morale, in un flusso che dall’inizio alla fine scorreva come un torrente, con la stessa acqua capace di moltiplicarsi in movenze e forme infinite. L’orchestra, il registro di questa prosa che ha dato un unicum alla letteratura italiana non provenivano, com’era ed è tanto solito, da una "coscienza di letterato", non avevano taccia di professionismo o di obbligate relazioni con un mondo a suo modo chiuso o "speciale" anch’esso, ne erano anzi in un certo senso un’antitesi». «In una [...1 situazione difficile e contrastata scoppiò nel '45 la bomba del Cristo si é fermato a Eboli. Era aperta la Consulta, e sarà perché quell’organo pur mediatamente rappresentativo era formato per un’aliquota importante da uomini di cultura sebbene della specie combattente, ma posso attestare che per un pezzo a Montecitorio non si parlò d’altro che del libro di Levi, o più che altro del libro di Levi: argomento, si badi, anche agli effetti politici più vivo e produttivo di altri apparentemente più intrinseci. Penso, senza ironia, che sarebbe del resto un bel segno d’avanzamento una discussione parlamentare fondata sul messaggio umano di un libro di poesia o di un’opera d’arte: un soffio depurante spoglierebbe sino a una nudità vergognosa quanto meno truismi e convenzioni giuridiche quali buon costume, pubblica morale, pubblica sicurezza e tanti altri, inducendo, magari con l’ausilio dell’ironia o del ridicolo, a progredire sulla via delle libertà di coscienza e di persona; senza contare gli effetti di proporzione e di giusta prospettiva che potrebbe portare l’avvertimento che nella vita delle società la dilatata amministrazione materiale ed economica è assai meno determinante - e lo si vede nelle crisi - dei fattori agenti di qualità morale e intellettuale, e la persuasione che l’educazione e la cultura si promuovono rispettando il loro autonomo corso che contiene il controllo critico, e non assoggettandole o impastoiandole con gli autoritarismi sopravviventi delle filosofie, estetiche e pedagogiche ministeriali e burocratiche.

Quel che avvenne nella Consulta avvenne nelle classi politiche e nel paese: il libro fu letto avidamente non solo, ma, anche se non inteso a pieno nella sua sostanza poetica, fece passare dall’impulso vitale di questa nelle coscienze l’assillo di un problema che dai termini ideologici, politici, economici, giuridici e statistici accessibili a pochi, si concretava in situazioni e in figure indimenticabili e irrecusabili; gli occhi immobili e in difesa delle plebi del Mezzogiorno seguivano accusatori o semplicemente presenti per ogni dove, e il loro muto fissare bastava per non scampare al dovere di coscienza di un riscatto e di una redenzione, che i più veggenti indicavano e provavano anche come la via maestra per la rinascita e lo sviluppo dell’intero paese».

Da L’umanesimo e l’arte di Carlo Levi di Carlo Ludovico Ragghianti, in «Galleria», n. 3-6, Roma 1967.

*************** © 1945, 1963 e 1990 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino