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Cristo si è fermato a Eboli - Carlo Levi, Assonanze - Falaschi

Assonanze - Falaschi

«Nella letteratura del dopoguerra la figura di Levi è stata di grande rilievo, ma lo è senz'altro anche nell'ambito della storia degli intellettuali borghesi dal 1922 in poi. Per definirlo in questo senso occorre partire dall'origine; torinese - e già questo è un dato anagrafico di somma importanza - Levi ha tratto dalla sua città il senso aristocratico di una primogenitura politica rispetto alle altre zone dell'Italia, e il gusto di una cultura attiva e impegnata, il senso pragmatico della conoscenza; dalle tradizioni familiari ha tratto quella sicurezza in se stesso e nelle proprie posizioni che gli hanno permesso di mantenersi immune da compromessi personali durante il lungo ventennio del fascismo; dalla educazione familiare, che si rivela vissuta senza i traumi violenti che invece subì la piccola borghesia della sua generazione, ha tratto quel tono aristocratico del comportamento, che si potrebbe definire di sicurezza anche nella solitudine, il senso del valore della posizione individuale, nonostante il comportamento generale o «di massa» (col male e col bene che vi è connesso); e ne ha tratto anche un certo amore gozzaniano per "le buone cose di pessimo gusto" e l'atteggiamento incantato e magico che imprime al suo approccio agli oggetti il significato di una scoperta del mondo. Dall'origine israelitica della sua famiglia, di cui pure non fa mai cenno nelle sue opere, Levi ha tratto la convinzione del carattere universale della cultura, la conoscenza sicura della Bibbia, e la natura profetica ed ecumenica del messaggio...»

Da Carlo Levi di Giovanni Falaschi, La Nuova Italia, 1978.


Assonanze - Falaschi Assonances - Falaschi

«Nella letteratura del dopoguerra la figura di Levi è stata di grande rilievo, ma lo è senz'altro anche nell'ambito della storia degli intellettuali borghesi dal 1922 in poi. Per definirlo in questo senso occorre partire dall'origine; torinese - e già questo è un dato anagrafico di somma importanza - Levi ha tratto dalla sua città il senso aristocratico di una primogenitura politica rispetto alle altre zone dell'Italia, e il gusto di una cultura attiva e impegnata, il senso pragmatico della conoscenza; dalle tradizioni familiari ha tratto quella sicurezza in se stesso e nelle proprie posizioni che gli hanno permesso di mantenersi immune da compromessi personali durante il lungo ventennio del fascismo; dalla educazione familiare, che si rivela vissuta senza i traumi violenti che invece subì la piccola borghesia della sua generazione, ha tratto quel tono aristocratico del comportamento, che si potrebbe definire di sicurezza anche nella solitudine, il senso del valore della posizione individuale, nonostante il comportamento generale o «di massa» (col male e col bene che vi è connesso); e ne ha tratto anche un certo amore gozzaniano per "le buone cose di pessimo gusto" e l'atteggiamento incantato e magico che imprime al suo approccio agli oggetti il significato di una scoperta del mondo. Dall'origine israelitica della sua famiglia, di cui pure non fa mai cenno nelle sue opere, Levi ha tratto la convinzione del carattere universale della cultura, la conoscenza sicura della Bibbia, e la natura profetica ed ecumenica del messaggio...»

Da Carlo Levi di Giovanni Falaschi, La Nuova Italia, 1978.