M09: Il trionfo elettorale di Mussolini
Benito Mussolini Milano, 16 maggio 1921
Venere, il pianeta “terrestre”, il pianeta gemello, così simile alla Terra per dimensione e massa, il corpo celeste più luminoso nel cielo notturno, a parte la Luna, può essere visto brillare soltanto per poche ore e soltanto dopo il tramonto o prima dell'alba, quando la feroce luminosità solare che gli dona e, simultaneamente, toglie luce, tenendolo alla catena corta della propria orbita stretta, si smorza. Questo accade di norma. Oggi, però, il giallo biancastro della stella della sera ha cominciato a brillare, lucentissimo, sull'orizzonte a ovest, almeno due ore prima del vespero. La luminescenza diurna di Venere è un fenomeno raro, quasi quanto un'eclissi di sole. Al direttore de Il Popolo d'Italia, notoriamente superstizioso, che la osserva dal suo studio di via Lovanio, alcuni redattori hanno spiegato che l'eclittica sull'orizzonte è il fattore fondamentale per la visibilità di Venere. Pare che nell'emisfero boreale l'inclinazione sia massima al tramonto durante l'equinozio di primavera. Ma la primavera è già arrivata da un pezzo, e lui, più che alla scienza, crede al destino. Se n'è rimasto, perciò, almeno un'ora alla finestra del nuovo ufficio in contemplazione dell'astro che spicca sul cielo terso ma ancora illuminato da un sole basso. Venere, la stella della sera, è conosciuta fin dall'antichità anche come “stella del mattino”. Si tratta di un sogno di buon augurio. Non c'è dubbio. L'oroscopo di Benito Mussolini è propizio. I dati che affluiscono dal ministero degli interni sono incontrovertibili. I socialisti perdono, ma meno di quel che si prevedeva, rimanendo il primo partito con il 25 per cento dei voti e buona parte di quel che perdono lo guadagnano i comunisti, al 3 per cento, o i repubblicani, che salgono al 2. I popolari reggo- no al 20 per cento e i partiti del Blocco nazionale crescono ma crescono meno di quel che Giolitti sperava: democratici, liberali, nazionalisti e i loro altri alleati minori, sommando tutti i voti, arriveranno a malapena al 47 per cento. Non può esserci, perciò, nessun dubbio. I vincitori di queste elezioni del maggio millenovecentoventuno sono i fascisti.
Dopo aver trattato fino all'estenuazione con gli emissari di Giolitti, faticando per un mese come un negro, Cesarino Rossi aveva ottenuto ottanta candidature fasciste nelle liste nazionali. Almeno quaranta di questi andranno in Parlamento, eletti quasi ovunque come capolista. Sono ancora pochi, sono un nulla rispetto alle centinaia di socialisti o liberali ma in molti casi sono ragazzi con meno di trent'anni, comandanti di squadre armate fino ai denti, una novità assoluta, una forza letteralmente dirompente, il fallimento completo delle vecchie astuzie di Giolitti. La campagna elettorale si è conclusa, così come era cominciata, nel turbine della violenza, tra il sangue di nuove vittime e i bagliori degli incendi. Nella sola giornata elettorale si sono avuti scontri mortali a Biella, Novara, Vigevano, Mantova, Crema, Padova, Lecce, Foggia, Siracusa. 29 morti e 104 feriti in un solo giorno. Ciò nonostante, e in virtù di questo, i voti sono affluiti, da decine di migliaia di nuovi simpatizzanti sedotti da quel sangue, da falangi serrate di nuovi piccoli proprietari disposte a versarlo, e le urne lo hanno purificato, redento.
Giolitti, la vecchia volpe, il mago della pioggia, la puttana vecchia, voleva addomesticarli e invece li ha legalizzati; voleva usarli per precipitare il crollo dei socialisti schiantati dai manganelli, così da rafforzare il proprio governo, invece avrà l'ingovernabilità di un Parlamento frammentato in partiti incompatibili, in gruppi lacerati al proprio interno da fazioni ostili e voraci. Insomma, la solita vecchia merda, sempre più densa, sempre più merda.
La crisi della democrazia entra ora nella sua fase più acuta, la decadenza parlamentare è irreversibile, una stella fissa, bassa all'orizzonte del cielo d'equinozio. Nella sua luce crepuscolare, il giovane, piccolo, robusto Partito fascista inizierà la sua vita parlamentare con la XXVI legislatura, l'ultima della decadenza, preparandosi a lottare da solo per la XXVII che sarà la prima legislatura fascista. E poi c'è il suo trionfo personale. Benito Mussolini è risultato capolista a Milano con 197.000 voti, capolista a Bologna con 173.000 voti. Terzo fra i primi dieci eletti a livello nazionale!
Il successo è tale che, appena ricevuta la notizia, in un rarissimo slancio di entusiasmo coniugale, il trionfatore ha perfino abbracciato sua moglie Rachele, poi l'ha inchiodata alla porta della cucina e, guardandola negli occhi come non fa mai, l'ha ammonita commosso: “Rachele, ricorda che questo sarà uno dei periodi più belli della nostra vita.” La donna, spaventata dalla profezia di una gioia straniera, non sapendo come accoglierla nella sua casa plebea, ha abbassato lo sguardo sul pavimento di graniglia ocra e nera. Adesso, però, rimasto solo, Benito Mussolini si stacca dalla finestra, lascia la stella della sera al suo tramonto e si aggira per la stanza riempiendola della propria euforia. I fantasmi da fugare sono tanti: il fantoccio del suo cadavere annegato nel naviglio dai 4000 miseri voti del millenovecentodiciannove, il traditore scacciato come un cane idrofobo dai suoi compagni nel millenovecentoquattordici, l'emigrante rabbioso che dorme sotto i ponti in Svizzera nel millenovecentootto, il maestrino di scuola che percorreva scalzo un miglio dal paese, camminando a piedi nudi sulla ferrovia, tenendosi le scarpe in spalla per non consumare la suola; nella rarissima luminescenza diurna di Venere, riverbera perfino lo spettro del bambino che, tanti anni fa, nelle campagne di Romagna, in una mattina chiara di sole, le vigne gialle e i tini già pronti per la vendemmia, sente rintoccare nell'aria di settembre la campana a morto per sua nonna. L'“onorevole” Mussolini. La sua ora si avvicina, l'ora di tutti, l'ora della vendetta. Ha vinto con i soldi degli agrari che affamarono la sua infanzia, sotto l'egida di Giolitti, a fianco dei nemici della sua gente, della sua giovinezza. Eppure ha vinto.
Per un attimo guarda con diffidenza, con rancore, il suo nuovo ufficio elegante. Ma la voce della Sarfatti è pronta a sussurrar- gli in un orecchio: “Bisogna essere uomini, la giovinezza semina, la virilità raccoglie.”
Oramai, d'altronde, lui va per i quarant'anni, è quasi calvo, fra poco non avrà più un capello sulla testa, la semina ha un suo tempo, un tempo breve. Bisogna mietere, bisogna concludere, bisogna vincere. E poi tornare a vincere ancora perché il mondo non ha pietà per i vincitori.
L'onorevole Mussolini si concede senza più freni alla propria gioia insolente. È diventato l'uomo che odiava da ragazzo. Se sarà necessario vibrare martellate potenti, per affrettare la rovina di questo fascismo, io mi adatterò all'ingrata bisogna. Il fascismo non è più liberazione ma tirannia; non più salvaguardia della nazione ma difesa di interessi privati delle caste più opache, sorde, miserabili che esistano in Italia; il fascismo che assume questa fisionomia, sarà ancora fascismo, ma non è più quello per cui – in pochi – negli anni tristi affrontammo le collere e il piombo delle masse, non è più il fascismo quale fu concepito da me.
Benito Mussolini, “La culla e il resto”, Il Popolo d'Italia, 7 agosto 1921 Chi ha tradito, tradirà.
Scritta antimussoliniana apparsa sui muri di Bologna, agosto 1921