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Il giornalino di Gian Burrasca - Vamba, Capitolo 18

Capitolo 18

9 gennaio.

Scrivo in casa del Maralli. Ho un nodo alla gola e duro fatica a riordinare le idee per raccontare qui la scena di ieri che è stata come la scena d'una tragedia, ma non di quelle che fa D'Annunzio che sentii recitare una volta e che anche la mamma diceva che non poteva stare, benché le mie sorelle le dessero sulla voce, dicendo che dipendeva che lei non era intellettuale. La mia, invece, è una tragedia vera che si potrebbe intitolare: Il piccolo bandito, ossia La vittima della libertà, perché, in fin dei conti, tutto quello che mi succede è stato per dare la libertà a un povero canarino che la sora Matilde voleva tenere chiuso in gabbia. Ieri mattina, dunque, il babbo venne a prendermi a Roma, e naturalmente ebbe dal Collalto la descrizione di tutte le mio birbanterie, meno, s'intende, quella della marchesa Sterzi e del marchese che fa la cura della cipolla. Il babbo è stato a sentir tutto, e da ultimo ha detto: - Ora il vaso è colmo. - E non mi ha detto più una parola, finché non siamo arrivati a casa. Lì ho trovato la mamma e l'Ada che mi hanno abbracciato tutte piangenti, ripetendo come un lamento: - Ah Giannino! Oh Giannino!... - Il babbo mi staccò da loro, mi accompagnò in camera mia e lì mi disse serio serio, con voce calma, queste precise parole: - Ho già fatto tutte le carte necessarie e domani andrai in collegio. - E se n'andò richiudendo l'uscio. Più tardi venne l'avvocato Maralli con mia sorella Virginia, e l'uno e l'altra fecero di tutto per rimuovere il babbo dalla sua risoluzione, ma io sentivo che il babbo ripeteva sempre questo ritornello: - Non lo voglio più vedere! Non lo voglio più vedere! - Bisogna che renda questa giustizia all'avvocato Maralli: è un uomo di cuore che difende i deboli contro la persecuzione e contro le ingiustizie, e che a tempo e luogo sa mostrarsi grato dei benefici ricevuti. E per questo, ricordando la pistolettata che gli tirai nell'occhio ha detto al babbo: - Che vuole? quel ragazzo fu lì lì per accecarmi e dopo, il giorno in cui sposai Virginia, andai anche a rischio di esser seppellito vivo sotto le rovine del caminetto nel salotto da ricevere. Ma non posso dimenticare che io e Virginia dobbiamo a lui se siamo uniti... E poi prese anche le mie difese, a scuola, contro il nipote di Gaspero Bellucci che diceva male di me... Io l'ho saputo, e questo indica che Giannino è un ragazzo di sentimento, non è vero, Giannino? Perciò io gli voglio bene... Perché bisogna guardare al fondo delle cose: per esempio anche per quei danni commessi a Roma, dopo tutto, il movente è stato generoso: egli voleva dar la libertà a un uccellino... - Che avvocato d'ingegno è il Maralli!... Io che stavo fuori dell'uscio a sentire questo suo discorso così poderoso, non potei più star fermo ed entrai nella stanza gridando: - Viva il socialismo!... - E caddi nelle braccia di Virginia, singhiozzando. Mio padre si mise a ridere, e poi disse, asciutto: - Va bene: ma poiché il socialismo vuole che ciascuno abbia la sua parte di gioia nel mondo, perché l'avvocato non ti prende con sé per qualche tempo? - E perché no? - esclamò il Maralli. - Scommetto che ho la maniera di farlo diventare un omino... - Sentirai che gioia! - disse il babbo. - In ogni modo, siccome io non voglio più vederlo, per me lo scopo è ugualmente raggiunto. Piglialo pure... - E così fu conchiuso il patto: io sarei stato bandito da casa mia e tenuto in prova per un mese dal Maralli, dove potrò riabilitarmi e dimostrare che non sono, in fondo, quell'essere insopportabile che dicono tutti. Virginia e suo marito, fin dal loro ritorno dal viaggio di nozze che fecero quando prese fuoco il caminetto nel salotto da ricevere, vennero ad abitare questo quartiere che è molto comodo e centrale e dove mio cognato ha messo pure il suo studio d'avvocato, che ha un ingresso a sé ma che comunica con la casa per mezzo d'un usciolino che mette nella stanza degli armadi. Io ho una cameretta piccola, ma elegante, che dà sul cortile e dove sto benissimo. In casa, oltre mia sorella e il Maralli, c'è il signor Venanzio, zio del Maralli, che è venuto da qualche giorno a passare un po' di tempo presso il nipote, perché dice che questo clima gli giova di più alla salute. Però la salute non si sa dove l'abbia: è un vecchio cadente, sordo al punto che bisogna parlargli col corno acustico, e ha una tosse che pare un tamburo. Dicono però che è ricco sfondato, e che bisogna trattarlo con tutti i riguardi. Domani ritorno a scuola.

10 gennaio.

In questo momento vorrei avere la penna di Edmondo De Amicis perché la scena che è successa a scuola stamani è una di quelle da far piangere la gente come vitelli. Appena sono entrato in classe si è sentito un gran brusìo: tutti i compagni avevano gli occhi fissi su di me. Certo è una bella soddisfazione l'essere stato il protagonista di un'avventura come quella dell'automobile, e io non stavo in me dalla gioia, e guardavo tutta quella massa di ragazzi dall'alto al basso, perché nessuno di loro s'era mai trovato a un pericolo come quello che avevo passato io... Ma però sbagliavo: ce n'era uno, invece, che ci s'era ritrovato come me... e quest'uno uscì faticosamente dal suo posto, puntellandosi con le mani sul banco e mi venne incontro reggendosi su una stampella. Io mi sentii tutto un rimescolìo dentro l'anima e il corpo, e in un baleno mi andò via tutta la vanità d'essere stato un eroe, mentre mi saliva un nodo alla gola e, pallido come un morto, ripetevo dentro di me: - Oh povero Cecchino! Oh povero Cecchino! - In un momento io e il Bellucci ci si ritrovò avvinghiati insieme, tutti bagnati di pianto, singhiozzando, senza poter dire una parola. Tutti i ragazzi avevano le lacrime agli occhi e persino il professor Muscolo che aveva incominciato a dire: Tutti fermi, rimase sull'effe che gli uscì di bocca come un lungo soffio: il quale finì da ultimo in un dirotto pianto. Povero Cecchino, davvero! Malgrado tutte le cure che gli hanno fatto fare gli è rimasto la gamba destra più corta e dovrà andare zoppo per tutta la vita. Ah, credi pure, giornalino mio: il vederlo ridotto a quel modo, con la stampella, mi ha fatto una grande impressione, e io che mi ero ormai quasi dimenticato il fatto dell'automobile, dinanzi allo spettacolo di sì terribili conseguenze, mi accorgo di tutta la leggerezza che mettiamo spesso noi ragazzi nell'affrontare certi rischi senza dar loro l'importanza che devono avere. Naturalmente mi sono guardato bene dal chiedere al povero Cecchino Bellucci i dieci pennini nuovi e il lapis rosso e turchino che avevamo scommesso e che gli avevo vinto.

13 gennaio.

Il mio cognato è proprio una brava persona. Egli mi tratta come se io fossi un uomo, non mi dà mai mortificazioni e ripete sempre: - Giannino in fondo è un bravo ragazzo e diventerà qualche cosa. Or ora mi ha sorpreso mentre avevo dinanzi a me il giornalino, e lo ha sfogliato guardando le figure che vi ho disegnato. - Ma sai - ha detto - che tu hai una grande disposizione per il disegno? E poi si vede che osservi e ti vai migliorando... Vedi un po' dalle prime figure che hai fatto a queste ultime che progresso! Bravo Giannino! Faremo di te un artista! - Queste sono cose che fanno piacere a un ragazzo, e io voglio dimostrare a mio cognato quanto gli sono riconoscente per tutto quello che fa per me, perciò ho deciso di fargli un regalo e, non avendo neppure un soldo, ho pensato di ricorrere al signor Venanzio, che è tanto ricco, e di chiedergli in prestito un paio di lire.

Oggi a desinare il Maralli ha parlato ancora del mio giornalino. - Tu non l'hai mai visto? - ha domandato a Virginia. - No. - Faglielo vedere, Giannino: vedrai ci siamo tutti, e come somiglianti! Giannino è un artista!- Io tutto contento ho preso il giornalino e ho mostrato a mia sorella le figure, ma ho proibito a tutti di leggerlo, perché voglio che i miei pensieri rimangano segreti. Però, nonostante la mia proibizione, a un certo punto, Virginia ha esclamato: - Ah, guarda: qui c'è il nostro sposalizio di San Francesco al Monte! - A queste parole mio cognato s'è slanciato sul giornalino e ha voluto leggere quelle pagine dove è descritto il mio viaggio sulla traversa dietro la carrozza e la scena che, successe quando li sorpresi tutti in chiesa e li rimproverai perché non mi avevano detto nulla. Dopo aver letto quello che avevo scritto, il Maralli mi ha fatto una carezza e poi mi ha detto: - Senti, Giannino, mi devi fare un gran piacere... Me lo prometti? Io gli ho risposto di sì. - Bene: - ha ripreso il mio cognato. - Tu devi permettermi di strappare dal tuo giornalino queste pagine... - Questo poi no! - Come! Ma se mi hai detto di si! - Ma scusa, perché mi vuoi strappar quelle pagine? - Per bruciarle. - Ma perché bruciarle? - Perché... perché... Il perché lo so io, e non è una cosa che possa capire un ragazzo. - Ecco le solite ragionacce! Ma ormai avevo giurato a me stesso di esser buono, e ho voluto accondiscendere anche a questo sacrifizio, ma molto a malincuore, perché l'idea di sottrarre al mio caro giornalino una parte delle mie confidenze, mi pareva una cosa fatta male e mi faceva un gran dispiacere. Il Maralli, dunque, ha strappato le pagine del suo sposalizio a San Francesco al Monte, ne ha fatto una palla e l'ha buttata nel caminetto. Quand'ho visto che il fuoco s'è attaccato a un angolo di una pagina che era rimasto arricciato sulla palla di carta fatta da mio cognato, mi son sentito una stretta dolorosa al cuore; ma ne ho sentita subito un'altra, e questa volta era di gioia, vedendo che la fiamma appena lambito quel pezzo di carta accartocciata s'è spenta rispettando la palla che era stata molto compressa ed era perciò assai resistente; e da quel punto, quanti palpiti a ogni minaccia del fuoco contro le pagine del mio giornalino! Ma fortunatamente ormai la fiamma aveva esulato dalla parte ove il Maralli l'aveva gettato, e poco dopo, mentre nessuno badava a me, svelto svelto, ho raccattato dal caminetto la palla di carta, me la son nascosta nella blouse, e ora ho steso per bene le pagine e con la gomma le ho riappiccicate al loro posto. C'è l'angolo di una pagina un po' abbruciacchiato ma lo scritto e l'illustrazione sono rimasti intatti, e io, caro giornalino mio, sono felice di riaverti intero, così, con tutti i miei sfoghi, buoni o cattivi, belli o brutti, spiritosi o stupidi ch'essi sieno, secondo il momento. Ora voglio andare a chiedere due lire al signor Venanzio. Me le darà?

Ho preso il momento buono: mia sorella è fuori, il Maralli è nel suo studio, e io ho afferrato la trombetta, l'ho ficcata in un orecchio al signor Venanzio e gli ho gridato: - Per piacere mi prestereste due lire? - Il paniere per poter partire? - ha risposto lui. - Che paniere? - Io ho ripetuto la domanda con quanta voce avevo, e allora ha risposto - I ragazzi non devono aver mai quattrini.- Questa volta aveva capito! Allora io gli ho detto : - Ha ragione la Virginia a dire che lei è un grande avaraccio!... - A queste parole il signor Venanzio ha dato un balzo sulla poltrona, e ha cominciato a brontolare: - Ah, dice così? Brutta pettegola! Eh! Si sa!... se avesse molti denari, lei li spenderebbe tutti in vestiti e cappellini!... Ah!... Ha detto che sono un avaraccio? Eh! Eh!...- Io per consolarlo ho creduto bene di dirgli che per questo il Maralli l'aveva sgridata, come infatti era vero; e lui tutto contento mi ha domandato: - Ah, mio nipote l'ha sgridata? Meno male! Volevo ben dire io! Mio nipote è un buon giovane e mi è stato sempre molto affezionato... E che le ha detto? - Le ha detto: È bene che lo zio sia avaro: così mi lascerà più quattrini. - Il signor Venanzio è diventato rosso come un tacchino, e s'è messo a balbettare in modo che credevo gli venisse un colpo. - Si faccia coraggio! - gli ho detto - forse questo è il colpo apoplettico che il Maralli dice sempre che un giorno o l'altro le deve venire... - Egli ha alzato le braccia al cielo, ha borbottato dell'altre parole e poi alla fine s'è levato di tasca il suo borsellino, ha preso una moneta di due lire e me l'ha data dicendomi: - Eccoti le due lire... E te le darò spesso, ragazzo mio, a patto che tu mi dica sempre quello che dicono di me mio nipote e tua sorella... perché sono cose che mi fanno molto piacere! Tu sei un bravo ragazzo e fai bene a dir sempre la verità!..- È un fatto che a esser buoni e a non dir bugie ci si guadagna sempre. Ora penserò a fare il regalo a mio cognato, perché se lo merita.


Capitolo 18 Chapter 18

9 gennaio.

Scrivo in casa del Maralli. Ho un nodo alla gola e duro fatica a riordinare le idee per raccontare qui la scena di ieri che è stata come la scena d'una tragedia, ma non di quelle che fa D'Annunzio che sentii recitare una volta e che anche la mamma diceva che non poteva stare, benché le mie sorelle le dessero sulla voce, dicendo che dipendeva che lei non era intellettuale. La mia, invece, è una tragedia vera che si potrebbe intitolare: Il piccolo bandito, ossia La vittima della libertà, perché, in fin dei conti, tutto quello che mi succede è stato per dare la libertà a un povero canarino che la sora Matilde voleva tenere chiuso in gabbia. Ieri mattina, dunque, il babbo venne a prendermi a Roma, e naturalmente ebbe dal Collalto la descrizione di tutte le mio birbanterie, meno, s'intende, quella della marchesa Sterzi e del marchese che fa la cura della cipolla. Il babbo è stato a sentir tutto, e da ultimo ha detto: - Ora il vaso è colmo. - E non mi ha detto più una parola, finché non siamo arrivati a casa. Lì ho trovato la mamma e l'Ada che mi hanno abbracciato tutte piangenti, ripetendo come un lamento: - Ah Giannino! Oh Giannino!... - Il babbo mi staccò da loro, mi accompagnò in camera mia e lì mi disse serio serio, con voce calma, queste precise parole: - Ho già fatto tutte le carte necessarie e domani andrai in collegio. - E se n'andò richiudendo l'uscio. Più tardi venne l'avvocato Maralli con mia sorella Virginia, e l'uno e l'altra fecero di tutto per rimuovere il babbo dalla sua risoluzione, ma io sentivo che il babbo ripeteva sempre questo ritornello: - Non lo voglio più vedere! Non lo voglio più vedere! - Bisogna che renda questa giustizia all'avvocato Maralli: è un uomo di cuore che difende i deboli contro la persecuzione e contro le ingiustizie, e che a tempo e luogo sa mostrarsi grato dei benefici ricevuti. E per questo, ricordando la pistolettata che gli tirai nell'occhio ha detto al babbo: - Che vuole? quel ragazzo fu lì lì per accecarmi e dopo, il giorno in cui sposai Virginia, andai anche a rischio di esser seppellito vivo sotto le rovine del caminetto nel salotto da ricevere. Ma non posso dimenticare che io e Virginia dobbiamo a lui se siamo uniti... E poi prese anche le mie difese, a scuola, contro il nipote di Gaspero Bellucci che diceva male di me... Io l'ho saputo, e questo indica che Giannino è un ragazzo di sentimento, non è vero, Giannino? Perciò io gli voglio bene... Perché bisogna guardare al fondo delle cose: per esempio anche per quei danni commessi a Roma, dopo tutto, il movente è stato generoso: egli voleva dar la libertà a un uccellino... - Che avvocato d'ingegno è il Maralli!... Io che stavo fuori dell'uscio a sentire questo suo discorso così poderoso, non potei più star fermo ed entrai nella stanza gridando: - Viva il socialismo!... - E caddi nelle braccia di Virginia, singhiozzando. Mio padre si mise a ridere, e poi disse, asciutto: - Va bene: ma poiché il socialismo vuole che ciascuno abbia la sua parte di gioia nel mondo, perché l'avvocato non ti prende con sé per qualche tempo? - E perché no? - esclamò il Maralli. - Scommetto che ho la maniera di farlo diventare un omino... - Sentirai che gioia! - disse il babbo. - In ogni modo, siccome io non voglio più vederlo, per me lo scopo è ugualmente raggiunto. Piglialo pure... - E così fu conchiuso il patto: io sarei stato bandito da casa mia e tenuto in prova per un mese dal Maralli, dove potrò riabilitarmi e dimostrare che non sono, in fondo, quell'essere insopportabile che dicono tutti. Virginia e suo marito, fin dal loro ritorno dal viaggio di nozze che fecero quando prese fuoco il caminetto nel salotto da ricevere, vennero ad abitare questo quartiere che è molto comodo e centrale e dove mio cognato ha messo pure il suo studio d'avvocato, che ha un ingresso a sé ma che comunica con la casa per mezzo d'un usciolino che mette nella stanza degli armadi. Io ho una cameretta piccola, ma elegante, che dà sul cortile e dove sto benissimo. In casa, oltre mia sorella e il Maralli, c'è il signor Venanzio, zio del Maralli, che è venuto da qualche giorno a passare un po' di tempo presso il nipote, perché dice che questo clima gli giova di più alla salute. Però la salute non si sa dove l'abbia: è un vecchio cadente, sordo al punto che bisogna parlargli col corno acustico, e ha una tosse che pare un tamburo. Dicono però che è ricco sfondato, e che bisogna trattarlo con tutti i riguardi. Domani ritorno a scuola.

10 gennaio.

In questo momento vorrei avere la penna di Edmondo De Amicis perché la scena che è successa a scuola stamani è una di quelle da far piangere la gente come vitelli. Appena sono entrato in classe si è sentito un gran brusìo: tutti i compagni avevano gli occhi fissi su di me. Certo è una bella soddisfazione l'essere stato il protagonista di un'avventura come quella dell'automobile, e io non stavo in me dalla gioia, e guardavo tutta quella massa di ragazzi dall'alto al basso, perché nessuno di loro s'era mai trovato a un pericolo come quello che avevo passato io... Ma però sbagliavo: ce n'era uno, invece, che ci s'era ritrovato come me... e quest'uno uscì faticosamente dal suo posto, puntellandosi con le mani sul banco e mi venne incontro reggendosi su una stampella. Io mi sentii tutto un rimescolìo dentro l'anima e il corpo, e in un baleno mi andò via tutta la vanità d'essere stato un eroe, mentre mi saliva un nodo alla gola e, pallido come un morto, ripetevo dentro di me: - Oh povero Cecchino! Oh povero Cecchino! - In un momento io e il Bellucci ci si ritrovò avvinghiati insieme, tutti bagnati di pianto, singhiozzando, senza poter dire una parola. Tutti i ragazzi avevano le lacrime agli occhi e persino il professor Muscolo che aveva incominciato a dire: Tutti fermi, rimase sull'effe che gli uscì di bocca come un lungo soffio: il quale finì da ultimo in un dirotto pianto. Povero Cecchino, davvero! Malgrado tutte le cure che gli hanno fatto fare gli è rimasto la gamba destra più corta e dovrà andare zoppo per tutta la vita. Ah, credi pure, giornalino mio: il vederlo ridotto a quel modo, con la stampella, mi ha fatto una grande impressione, e io che mi ero ormai quasi dimenticato il fatto dell'automobile, dinanzi allo spettacolo di sì terribili conseguenze, mi accorgo di tutta la leggerezza che mettiamo spesso noi ragazzi nell'affrontare certi rischi senza dar loro l'importanza che devono avere. Naturalmente mi sono guardato bene dal chiedere al povero Cecchino Bellucci i dieci pennini nuovi e il lapis rosso e turchino che avevamo scommesso e che gli avevo vinto.

13 gennaio.

Il mio cognato è proprio una brava persona. Egli mi tratta come se io fossi un uomo, non mi dà mai mortificazioni e ripete sempre: - Giannino in fondo è un bravo ragazzo e diventerà qualche cosa. Or ora mi ha sorpreso mentre avevo dinanzi a me il giornalino, e lo ha sfogliato guardando le figure che vi ho disegnato. - Ma sai - ha detto - che tu hai una grande disposizione per il disegno? E poi si vede che osservi e ti vai migliorando... Vedi un po' dalle prime figure che hai fatto a queste ultime che progresso! Bravo Giannino! Faremo di te un artista! - Queste sono cose che fanno piacere a un ragazzo, e io voglio dimostrare a mio cognato quanto gli sono riconoscente per tutto quello che fa per me, perciò ho deciso di fargli un regalo e, non avendo neppure un soldo, ho pensato di ricorrere al signor Venanzio, che è tanto ricco, e di chiedergli in prestito un paio di lire.

Oggi a desinare il Maralli ha parlato ancora del mio giornalino. - Tu non l'hai mai visto? - ha domandato a Virginia. - No. - Faglielo vedere, Giannino: vedrai ci siamo tutti, e come somiglianti! Giannino è un artista!- Io tutto contento ho preso il giornalino e ho mostrato a mia sorella le figure, ma ho proibito a tutti di leggerlo, perché voglio che i miei pensieri rimangano segreti. Però, nonostante la mia proibizione, a un certo punto, Virginia ha esclamato: - Ah, guarda: qui c'è il nostro sposalizio di San Francesco al Monte! - A queste parole mio cognato s'è slanciato sul giornalino e ha voluto leggere quelle pagine dove è descritto il mio viaggio sulla traversa dietro la carrozza e la scena che, successe quando li sorpresi tutti in chiesa e li rimproverai perché non mi avevano detto nulla. Dopo aver letto quello che avevo scritto, il Maralli mi ha fatto una carezza e poi mi ha detto: - Senti, Giannino, mi devi fare un gran piacere... Me lo prometti? Io gli ho risposto di sì. - Bene: - ha ripreso il mio cognato. - Tu devi permettermi di strappare dal tuo giornalino queste pagine... - Questo poi no! - Come! Ma se mi hai detto di si! - Ma scusa, perché mi vuoi strappar quelle pagine? - Per bruciarle. - Ma perché bruciarle? - Perché... perché... Il perché lo so io, e non è una cosa che possa capire un ragazzo. - Ecco le solite ragionacce! Ma ormai avevo giurato a me stesso di esser buono, e ho voluto accondiscendere anche a questo sacrifizio, ma molto a malincuore, perché l'idea di sottrarre al mio caro giornalino una parte delle mie confidenze, mi pareva una cosa fatta male e mi faceva un gran dispiacere. Il Maralli, dunque, ha strappato le pagine del suo sposalizio a San Francesco al Monte, ne ha fatto una palla e l'ha buttata nel caminetto. Quand'ho visto che il fuoco s'è attaccato a un angolo di una pagina che era rimasto arricciato sulla palla di carta fatta da mio cognato, mi son sentito una stretta dolorosa al cuore; ma ne ho sentita subito un'altra, e questa volta era di gioia, vedendo che la fiamma appena lambito quel pezzo di carta accartocciata s'è spenta rispettando la palla che era stata molto compressa ed era perciò assai resistente; e da quel punto, quanti palpiti a ogni minaccia del fuoco contro le pagine del mio giornalino! Ma fortunatamente ormai la fiamma aveva esulato dalla parte ove il Maralli l'aveva gettato, e poco dopo, mentre nessuno badava a me, svelto svelto, ho raccattato dal caminetto la palla di carta, me la son nascosta nella blouse, e ora ho steso per bene le pagine e con la gomma le ho riappiccicate al loro posto. C'è l'angolo di una pagina un po' abbruciacchiato ma lo scritto e l'illustrazione sono rimasti intatti, e io, caro giornalino mio, sono felice di riaverti intero, così, con tutti i miei sfoghi, buoni o cattivi, belli o brutti, spiritosi o stupidi ch'essi sieno, secondo il momento. Ora voglio andare a chiedere due lire al signor Venanzio. Me le darà?

Ho preso il momento buono: mia sorella è fuori, il Maralli è nel suo studio, e io ho afferrato la trombetta, l'ho ficcata in un orecchio al signor Venanzio e gli ho gridato: - Per piacere mi prestereste due lire? - Il paniere per poter partire? - ha risposto lui. - Che paniere? - Io ho ripetuto la domanda con quanta voce avevo, e allora ha risposto - I ragazzi non devono aver mai quattrini.- Questa volta aveva capito! Allora io gli ho detto : - Ha ragione la Virginia a dire che lei è un grande avaraccio!... - A queste parole il signor Venanzio ha dato un balzo sulla poltrona, e ha cominciato a brontolare: - Ah, dice così? Brutta pettegola! Eh! Si sa!... se avesse molti denari, lei li spenderebbe tutti in vestiti e cappellini!... Ah!... Ha detto che sono un avaraccio? Eh! Eh!...- Io per consolarlo ho creduto bene di dirgli che per questo il Maralli l'aveva sgridata, come infatti era vero; e lui tutto contento mi ha domandato: - Ah, mio nipote l'ha sgridata? Meno male! Volevo ben dire io! Mio nipote è un buon giovane e mi è stato sempre molto affezionato... E che le ha detto? - Le ha detto: È bene che lo zio sia avaro: così mi lascerà più quattrini. - Il signor Venanzio è diventato rosso come un tacchino, e s'è messo a balbettare in modo che credevo gli venisse un colpo. - Si faccia coraggio! - gli ho detto - forse questo è il colpo apoplettico che il Maralli dice sempre che un giorno o l'altro le deve venire... - Egli ha alzato le braccia al cielo, ha borbottato dell'altre parole e poi alla fine s'è levato di tasca il suo borsellino, ha preso una moneta di due lire e me l'ha data dicendomi: - Eccoti le due lire... E te le darò spesso, ragazzo mio, a patto che tu mi dica sempre quello che dicono di me mio nipote e tua sorella... perché sono cose che mi fanno molto piacere! Tu sei un bravo ragazzo e fai bene a dir sempre la verità!..- È un fatto che a esser buoni e a non dir bugie ci si guadagna sempre. Ora penserò a fare il regalo a mio cognato, perché se lo merita.